Maurizio Barozzi
Premessa
Per introdurre
adeguatamente questo importante libro [Giovanni Fasanella Mario J. Cereghino:
Colonia Italia - Ed. Chiarelettere 2015, pag. 483], dobbiamo
fare una necessaria premessa storica.
La disgrazia per il nostro paese (se avessimo avuto una sufficiente potenza
economica e militare, avrebbe potuto essere una fortuna), si determinò a
metà dell'ottocento, quando venne scoperto il petrolio che in poco tempo
divenne la principale materia energetica per l'Industria e i trasporti e al
contempo fu aperto il canale di Suez.
In quegli anni l'Italia, una portaerei naturale nel Mediterraneo, assunse
una dimensione strategica enorme per il controllo delle rotte da e verso i
paesi produttori di petrolio e altre materie prime: il Medio Oriente e
l'Africa. Controllare l'Italia, averla nella propria sfera di influenza,
significava controllare il processo geopolitico del futuro ed assicurarsi
buona parte del predominio internazionale.
Lo capirono immediatamente gli inglesi soprattutto, e i francesi e quindi fu
da quel momento che il sostegno verso i fremiti e le istanze risorgimentali
che si manifestavano in Italia, da ideal-massonico divenne ancor più
concreto e intenso, quali finanziamenti, Intelligence e armi.
Il Risorgimento ci assicurò una certa dimensione nazionale e la possibilità
di unire genti eterogenee in una unità nazionale e spirituale che diede vita
alla nazione Italiana.
Il lato negativo dell'apporto anglo francese al nostro risorgimento, fu
quello che il paese si trovò invischiato da una specie di "protettorato"
soprattutto britannico e quindi buona parte della nostra economia e finanza
e della nostra editoria che attendeva alla cultura nazionale si svilupparono
sotto l'egida massonica da sempre forte in quei paesi.
Furono soprattutto gli inglesi che si avvantaggiarono e riuscirono a mettere
un piede in pianta stabile in casa nostra, potendo contare su larghi mezzi e
sulla monarchia Sabauda, un tumore incistato nella nazione, che di fatto era
una loro creatura.
Casa Savoia da una parte e il Vaticano dall'altra, furono due corpi estranei
agli interessi nazionali e il paese si trovò anche pervaso da una cultura di
stampo massonico bilanciata da un'altra di stampo cattolico, entrambe
sostanzialmente antinazionali e non fu un caso che quando il fascismo tento
di valorizzare una cultura "nostra" negli interessi italiani, queste forse
si misero decisamente di traverso.
Non essendo comunque l'Italia un vero e proprio protettorato ed avendo il
paese sviluppato Istituzioni e un suo assetto socio economico, il
colonialismo inglese dovete indirizzarsi verso il controllo sottile
mascherato e quasi invisibile delle Intelligence e della propaganda. In
questo senso fu soprattutto l'editoria e in particolare i grandi mezzi di
informazione, giornali e riviste che furono oggetto della invadenza e del
controllo trasversale dei britannici.
Gli inglesi ebbero gioco facile in quanto la loro editoria, i loro giornali
erano al tempo quanto di più efficiente e moderno possa esserci e di
conseguenza la nostra editoria cercava spesso di copiarne lo stile e le
tecniche di comunicazione.
Inviati, cronisti, giornalisti o direttori che venivano mandati in
Inghilterra acquisivano le capacità manageriali e le conoscenze adeguate per
fare un grande giornale, ma al contempo erano preda della cultura
anglosassone, delle loro tradizioni e spesso erano infeudati da legami
massonici o di Intelligence con le conseguenze che anche buona parte della
nostra editoria, di fatto, diventava filo britannica.
E gli inglesi, è bene specificarlo subito, non regalavano niente: ogni loro
atto, ogni loro "amicizia" e concessione era finalizzata ai loro interessi
di grande nazione colonialista che aveva un Impero da governare.
In tutto questo non agiva solo uno spontaneo andazzo di rapporti umani,
imprenditoriali e culturali, ma vi erano anche apposite strutture di
Intelligence, e organismi si Stato impiegati per la propaganda e il
controllo sulle nazioni straniere.
Questo colonialismo, sottile e perverso, durò almeno fino alla fine della
seconda guerra mondiale, ma anche successivamente gli inglesi non persero
mai l'interesse a condizionare ampi strati della nostra nazione, a
proteggere i loro interessi a scapito dei nostri, ad intervenire anche
pesantemente e violentemente tutte le volte che gli era necessario. La
seconda guerra mondiale però sancì il passaggio della Colonia Italia, nelle
mani degli Stati Uniti d'America. E il servaggio continua tutt'ora.
Anche qui ci sarebbe da raccontare un altra storia fatta di colpi bassi e di
rapporti di forza tra britannici e statunitensi, che alla fine venne vinta
dagli americani in virtù di un grande accordo mediato dalla massoneria
finanziaria americana con il Vaticano, per il quale il nostro paese fini
nella sfera di influenza della nuova grande potenza statunitense che si era
accollata, con Jalta, il dominio di mezza Europa. La liquidazione della
monarchia sabauda, la rinascita e ristrutturazione delle nostre strutture di
sicurezza ad opera della Intelligence americana, le reti stay behind e le
Gladio, ecc., il tutto ancora pagato in termini di servaggio, di strategie
della tensione per perpetuarlo di omicidi eccellenti e di stragi. Ma questa
è un'altra storia.
Il libro Colonia Italia
La politica britannica nei nostri confronti può essere riassunta
in una frase dell'ambasciatore inglese a Roma nel 1971:
«L'obiettivo primario della nostra opera informativa consiste
nell'influenzare l'opinione pubblica italiana in funzione degli interessi
britannici».
Ed è questa l'ottica che ha sempre guidato, con impiego di uomini e
larghezza di mezzi le strategie britanniche. Di conseguenza il testo di
Cereghino e Fasanella ricostruisce le ingerenze inglesi nei nostri
confronti, soprattutto nell'ambito diplomatico, editoriale, giornalisti e
scrittori ovvero tutte quelle personalità, quei circoli culturali in grado
di influenzare l'opinione pubblica italiana.
Vengono invece trascurati altri episodi quali interventi di Intelligence
cruenti, veri e propri crimini, operazioni sporche di Servizi, ma del resto
la de-secratazione dei documenti e il reperimento degli stessi nei National
Archives a Kew Gardens a sud di Londra, negli scaffali del
Public Record
Office,
non potevano di
certo fornire informazioni e segreti di questa portata.
Qui è anche bene accennare ad un limite che si riscontra sempre nel leggere
la Storia attraverso questo genere di documentazioni, perché una cosa è
certa: i documenti veramente compromettenti, quelli di ordine "criminale",
ammesso che ci siano in quanto certe operazioni spesso non lasciano tracce
documentali, non si reperiscono di certo negli archivi di Stato. Quindi
bisogna accontentarsi di quello che passa il convento che magari a volte
consente di arrivare a ricostruire per deduzione anche questi avvenimenti.
In questo senso qualcosa di più le troviamo in un altro libro, a questo
omogeneo, pubblicato sempre da Chiarelettere: "Il golpe inglese",
ancora di G. Fasanella e M. J. Cereghino del 2011.
Per tornare a
Colonia Italia, se l'obiettivo era di promuovere e di proteggere gli
interessi di Sua Maestà nel Mediterraneo, che gli inglesi consideravano un
loro Lago, uno spazio vitale per le rotte petrolifere e le strategie
militari e questo obiettivo deve essere conseguito influenzando l'opinione
pubblica italiana, consentendo di far assurgere a posizione di potere
personaggi favorevoli agli inglesi, è naturale che il massimo degli sforzi
si indirizzarono verso giornali, radio e dal secondo dopoguerra in avanti la
TV.
La strategia
britannica di conseguenza prese ad agire su intellettuali, scrittori e
giornalisti anche di fama, facendogli pervenire materiali, informazioni e se
il caso finanziamenti i cui beneficiari, come premettono gli autori, a volte
forse non erano «nemmeno al corrente della fonte dei materiali che
ricevevano».
Troviamo così
i grandi giornalisti del Corriere della Sera, i Barzini, Benedetto Croce,
Indro Montanelli, e tanti altri intellettuali che comunque gli inglesi
considerano "amici" o persone di gande talento e influenza che gli possono
tornare utili..
Il libro
pubblica anche un clamoroso elenco di giornalisti, scrittori e
intellettuali, che hanno orbitato in questi traffici, ricevuto prezioso
materiale informativo e riservato, se il caso finanziamenti. Occorre però
precisare che non sempre siamo in presenza di veri e propri atti di
"corruzione" o di "assoldamento di penne", ma di una "rete" di interessi, di
rapporti e relazioni nella quale far affluire informazioni, magari
taroccate, ma sempre di spessore, linee culturali, in grado di influenzare
queste personalità, mettendoli al contempo in grado di utilizzarle nel loro
lavoro e quindi nella carriera.
L'uso che
poi, effettivamente ne fecero, cambia da personaggio a personaggio.
Spesso
comunque queste operazioni provocavano scandali che travolgevano personalità
politiche o di governo sgradite agli inglesi.
Tanti gli
intellettuali considerati "amici" dagli inglesi e per i quali -anche questo
è bene specificarlo- in certi casi si è in presenza di veri nemici dei
nostri interessi nazionali.
Lo si evince
in un dispaccio inedito di sir Ashley Clarke l'ambasciatore inglese in
Italia:
«Se al
dipartimento informativo dell'ambasciata viene chiesto di dare ampio risalto
a un determinato argomento, è consuetudine stabilire un contatto con
giornalisti amici per enfatizzarne i punti più importanti».
Viene così ad
essere documentata una luce sinistra sulla storia italiana dall'unità in
avanti con tanto di perfide manovre che ci portarono in guerra a fianco
dell'Intesa nel 1915, ci boicottarono durante il "ventennio" nella nostra
crescita di sia pur piccola media potenza, e ci danneggiarono seriamente
durante la seconda guerra mondiale.
Nel secondo
dopoguerra, a parte certi scandali procurati per ridimensionare De Gasperi,
per distruggere Enrico Mattei, per osteggiare Aldo Moro e molte sporche
manine nella stessa "strategia della tensione", l'ingerenza inglese assunse
un aspetto più defilato, trasversale, avendo dovuto gli inglesi lasciare il
bastone di comando agli Stati Uniti.
In ogni caso
nel 1975, quando la Tripoli di Gheddafi e l'ENI siglarono un ulteriore
accordo petrolifero che danneggiava gli interessi inglesi, Londra aumenta i
suoi sforzi propagandistici e compromissori, come riportato da un suo
documento, per moltiplicare «i contatti personali con giornalisti,
funzionari della radio e della televisione, agenzie di stampa, esponenti del
governo e via dicendo per assicurarci il sostegno dei media nel momento del
bisogno».
Le
documentazioni e le ricostruzioni di questa sporca attività britannica nel
nostro paese sono tante per cui rimandiamo alla lettura del libro.
Mussolini e gli inglesi
Dispiace notare che gli autori
Fasanella e Cereghino non sono nuovi dall'insinuare sospetti atti a
dipingere Mussolini come un "agente inglese", finanziato dagli stessi, e
persino implicato nel delitto Matteotti, non lo si dice chiaramente ma lo si
intende, per qualche collusione con gli inglesi in sintonia con i teoremi,
perché altro non sono, dello storico Mauro Canali.
E' quindi
necessario spendere qualche parola per precisare e considerare queste
insinuazioni.
Premettiamo intanto che il finanziamento, da parte di chi che sia, a partiti
o figure rivoluzionarie non sempre costituisce una forma di corruzione.
Tutt'altro.
Questi
traffici rientrano in una legge storica: ogni volta che alla ribalta delle
cronache, della Storia emerge una Forza, una figura sopra le righe, sempre e
comunque ci sono poteri o contropoteri che hanno interesse a finanziare per
timore o per propri interessi. Al contempo i rivoluzionari non hanno
difficoltà ad incassare questi finanziamenti perchè la politica, le
rivoluzioni si fanno con i soldi, tanti, e i soldi si trovano o con gli
espropri armati o con i finanziamenti. Ma questa non è corruzione, sono le
necessità della politica.
Come noto
Lenin venne finanziato dalla Finanza di Wall Street e per giunta rientrò nel
1917 a Mosca in un treno blindato, carico di denaro messo a disposizione del
Kaiser di Germania. Hitler da parte sua ebbe finanziamenti financo da banche
ebraiche, mentre Mussolini venne finanziato, tramite la massoneria, da
coloro che erano interessati all'Interventismo italiano, poi come vedremo
dagli inglesi e così via.
Ma solo
uno storico sprovveduto o sciocco può sostenere che Lenin, Hitler e
Mussolini furono corrotti o furono pedine di chi li ha finanziati che a sua
volta in quel momento, aveva interesse, per ragioni o strategie sue,
all'agitazione rivoluzionaria di Lenin, Hitler o Mussolini.
Detto
questo vediamo quindi i finanziamenti inglesi a Mussolini.
Si era
nel 1917 e nel paese stava montando l'opposizione alla guerra che poi, dopo
Caporetto, minacciava di far crollare il fronte interno. Inglesi e francesi
già paventavano l'uscita dell'Italia dalla guerra. Gli inglesi individuarono
nel giornale di Mussolini, "Il Popolo d'Italia", un deciso sostengo per
tenere il fronte interno e quindi presero a finanziarlo.
Non
vediamo dove sia il problema, visto che Mussolini accettando quei
finanziamenti non faceva altro che sostenere le sue note ragioni politiche e
veniva finanziato da una nazione in quel momento nostra alleata, per una
causa comune: le sorti della guerra. Sarebbe stato diverso se avesse
accettato denaro dai nemici in guerra con noi, gli austroungarici o i
tedeschi: in quel caso sarebbe stato un vero e proprio tradimento
esattamente come per quegli antifascisti che nell'ultima guerra servirono
gli interessi degli Alleati andando contro il proprio paese.
Finita la
guerra, negli anni successivi, durante la rivoluzione fascista e gli scontri
dei fascisti contro i "rossi", il giornale di Mussolini e il fascismo ebbero
come tutti i movimenti in circostanze simili, finanziamenti da più parti,
ovvero da coloro che avevano interesse a sostenerli o ad ingraziarsi una
forza che dimostrava di poter prendere il potere.
Ai
britannici, per esempio, non dispiaceva che in Italia si affermasse un Stato
forte e si chiudessero le porte a qualsiasi possibilità di sovvertimento
bolscevico. Gli inglesi e ce lo mostra chiaramene l'esame delle loro
relazioni internazionali, avevano interesse alla stabilità del nostro paese
per via della sua delicata funzione strategica sulle rotte petrolifere. Come
fu poi evidente, sbagliarono il "cavallo", perchè Mussolini dimostrerà ben
presto di avere a cuore gli interessi politici del paese.
Non fu un
caso che intellettuali e giornalisti, che il libro di Fasanella e Cereghino
ci indica essere strenui filo britannici, come Barzini jr. o il direttore
del corriere della Sera, fatto senatore del Regno, Luigi Albertini, dopo
aver appoggiato Mussolini fino alla marcia su Roma, si trovarono poi con lui
in dissidio. E nel caso di Albertini legato ad ambienti liberali e
finanziari che, con buone ragioni, cominciavano a paventare l'operato
dirigistico del Duce impegnato a difendere le ragioni dello Stato contro
ogni ingerenza liberista e della finanza speculatrice, allo sesso modo della
famigerata Banca Commerciale di Toeplitz, vi entrassero in collisione, anche
se poi Barzini, evidentemente facendo il doppio gioco, rimase come "penna" a
disposizione del regime e venne usato da Mussolini per i rapporti con gli
inglesi.
Anni
dopo, quando durante la nostra "non belligeranza" Barzini jr.,
corrispondente da Londra del Corriere della Sera, in una relazione mostrata
poi a Mussolini mostrò acquiescenza e supervalutazione degli inglesi,
Mussolini, andando su tutte le furie non ebbe esitazioni a definirlo "un
cretino". Veramente avrebbe dovuto definirlo assai peggio.
Nel corso
del ventennio Mussolini, da capo dello Stato ebbe modo di intrecciare
accordi o di avere dissidi, di essere in sintonia o di traverso con i
britannici, come ovviamente avviene nelle vicende internazionali.
In ogni
caso ben sappiamo che gli interessi geopolitici inglesi erano opposti ai
nostri, laddove questi atavici "pirati internazionali" consideravano il
Mediterraneo un loro lago. Mussolini difendendo sempre le nostre ragioni e i
nostri interessi finì inevitabilmente, nonostante ogni tentativo di
accomodamento, per trovarsi in guerra con loro. Ma c'è anche dell'altro:
Mussolini indirizzò lo Stato fascista, nonostante compromessi e debolezze
che non mancarono, in una prassi e conformazione ideale laddove gli
interessi economici e finanziari erano subordinati a quelli etici e
politici.
Una
conformazione queste che glia tirò addosso l'odio della potente massoneria
finanziaria ed ovviamente della City di Londra e di Wall Street.
Altro che
Mussolini "agente inglese"!
Tra i
documenti elaborati dal War Cabinet a Londra da Churchill in persona ne
emerge uno del dicembre 1940, segreto e titolato: "Il collasso
dell'Italia le ragioni propagandistiche britanniche". Vi si invita a
mettere in campo ogni mezzo ed espediente possibile e il bersaglio
principale è Mussolini contro cui, Londra, vuole scatenare una "campagna
personale" da condurre però con attenzione perché gli italiani, si avverte,
amano il duce.
Non
crediamo ci sia ulteriore bisogno di mostrare come Mussolini difese sempre e
soltanto gli interessi del nostro paese fino ad arrivare allo scontro armato
con i britannici e ci perse la vita.
Il
caso Matteotti
Gli autori mostrano di condividere i
teoremi di Mauro Canali circa le responsabilità di Mussolini nel delitto
Matteotti e su questo ci sarebbe molto da dire, ma soprassediamo non essendo
questa la sede. Rimandiamo a due nostri lavori:
"Il
delitto Matteotti" (visibile on line:
http://fncrsi.altervista.org/il_delitto_matteotti_150218.pdf); e
"Delitto Matteotti: il teorema di Mauro Canali" (visibile on line:
http://fncrsi.altervista.org/Delitto_Matteotti_Il_teorema_di_Mauro_Canali.pdf).
Qui, nel
loro testo gli autori apportano due insinuazioni per puntellare il teorema
Canali, in riferimento ai britannici.
Si parte
dalla considerazione, del tutto superficiale, che i conservatori inglesi
appoggiarono Mussolini durante la sua ascesa al potere e che poi quando a
Londra salirono al potere i laburisti di McDonald, costoro ci vollero veder
chiaro e fornirono scottanti documentazioni a Matteotti nel corso del suo
viaggio a Londra dell'aprile del 1924, circa certi traffici petroliferi e
questi, divenuto un pericolo, dovette essere eliminato.
Tutto un
teorema insomma, per mettere in mezzo Mussolini, ma che si regge su
congetture ma, come detto, non è questa la sede per confutarlo.
Il libro riporta che il consigliere britannico William McClure seppe che De
Bono era tra i capi della Ceka (il gruppetto di sicari, guidato da Dumini,
che spesso svolgeva lavori sporchi e violenti). L'informazione gli venne
procurata da personaggi legati al mondo liberale e filo britannico attorno
al Corriere della Sera, che lo indirizzarono, per averla, dal Duca
Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, altro personaggio ambiguo, ministro nel
governo fascista, ma filo britannico e legato a certe sette esoteriche
anglofile.
Di conseguenza De Bono venuto a conoscenza che Matteotti sarebbe in possesso
di pericolosi documenti, avuti a Londra, che inchiodano il Re Vittorio
Emanuele III e Mussolini, attivò la Ceka per eliminarlo.
In realtà, probabilmente De Bono, in qualche modo, era implicato in quel
delitto, ma non di certo come "capo della Ceka", ed in ogni caso De Bono
agiva per obbedienza massonica, per il suo essere anche lui filo britannico
e per rendere servigi a Vittorio Emanuele III. Quel delitto, come è facile
dimostrare, fu contro Mussolini ed è del tutto campato in aria, volerci
implicare per forza il Duce. De Bono era a capo della Polizia e servendo
Mussolini e il fascismo (ma ancor di più casa Savoia), serviva se steso e la
sua carriera, ma in casi di tale importanza e criminalità De Bono era di
certo gestito da ben altre forze.
Un altro episodio ricordato dagli autori, si svolse a Derna, in Libia nel
1941 quando gli inglesi in casa di Dumini (il sicario a capo della
spedizione che uccise Matteotti), ben nascosti, trovarono documenti molto
importanti sul delitto Matteotti. Trasmessi a Londra, venne chiesto di
pubblicarli per colpire il regime fascista.
Sembra però che Churchill si oppose decisamente, sostenendo che quella
pubblicazione avrebbe ancor più potuto danneggiare gli inglesi.
La storiografia antifascista legge questo episodio nel senso che
probabilmente gli inglesi ebbero a suo tempo, una parte nelle presunte
speculazioni petrolifere di Mussolini e pertanto colpire Mussolini voleva
dire auto accusarsi.
Ma sono solo congetture in contraddizione con il fatto che semmai le
speculazioni petrolifere del 1924 erano avvenute con l'americana Sinclair,
che ambienti della massoneria e laburisti inglesi fornirono a Matteotti
documenti proprio per denunciare i traffici sporchi con la Sinclair e
questi traffici probabilmente riguardavano il Re Vittorio Emanuele III, da
sempre impegolato con gli inglesi anche per i giacimenti di petrolio in
Libia (si era impegnato a non renderli ancora noti), non Mussolini.
Churchill sapeva bene che uno scandalo in piena guerra avrebbe travolto il
Re che ben sapeva fosse filo britannico e su cui contava per defenestrare
Mussolini e ribaltare il fronte e quindi coinvolto e danneggiato anche gli
inglesi.
Né si può avanzare il sospetto che Churchill temesse solo che uscissero
fuori vecchi appoggi e sostegni propagandistici al regime di Mussolini da
parte dei Tories, perchè questi sostegni erano noti e comunque non
potevano di certo mettere in crisi i britannici. Quindi se vere sono le
preoccupazioni di Churchill di temere qualcosa, egli temeva implicazioni
inglesi negli scandali petroliferi e nel delitto Matteotti, se queste
implicazioni ci sono, esse riguardavano Casa Savoia e i britannici.
La storiografia antifascista che tende a leggere questi avvenimenti
contraddittori spiegandoli con le differenze che potevano esserci tra i
precedenti governi Conservatori di Londra favorevoli a Mussolini, e il nuovo
governo Laburista di McDonald durante il delitto Matteotti non favorevole,
non si rende conto che trattasi di distinzioni relative, nel caso ci fossero
veramente stati dietro grandi interessi industriali, petroliferi e
massonici, laburisti e conservatori non sono mai stati in netta e
irriducibile opposizione e neppure potevano essere in contraddizione nella
comune necessità geopolitica di avere in Italia un governo forte e stabile.
* * *
Per concludere consigliamo decisamente la lettura di "Colonia
Italia" un libro indispensabile per comprendere la nostra storia
recente.
Se la Storia infatti non può essere letta solo con l'ottica "complottista",
perchè vi agiscono azioni e reazioni, cause e concause che cambiano sempre
il quadro generale degli avvenimenti, che scombinano piani e trame ordite da
tempo, è altrettanto vero che il complottare, il corrompere, l'agire per vie
traverse, le false flag, ecc., sono una componente inalienabile della natura
umana e quindi della Storia stessa.
Quello che si svolge dietro le quinte dei fatti apparenti di cronaca occorre
comprenderlo, averne conoscenza, perché niente accade per caso
Il nostro paese fu un importante bastione strategico della dominazione
imperiale britannica e come tale venne considerato e trattato. Noi ne
subimmo le conseguenze, in quanto i britannici, considerandoci una Colonia
non ebbero scrupoli.
Le vicende del nostro risorgimento, l'apporto ad esso dato dalla massoneria
e dagli anglo francesi, contribuirono a creare un substrato culturale,
economico e finanziario dove gli elementi filo britannici nascevano per
"germinazione spontanea". E gli inglesi sfruttarono senz'altro questi
elementi, tanto che si può dire che nella seconda guerra mondiale, gli
inglesi in Italia ebbero bisogno di pochissime spie effettive, in quanto non
pochi erano gli ambienti e i personaggi, filo britannici per natura.
Le cose non cambiarono quando poi siamo trasbordati sotto il dominio
statunitense.
Se oggi ci ritroviamo totalmente privi di ogni minima sovranità nazionale,
le cause vanno ricercato partendo da lontano.
Maurizio Barozzi TRATTO DA:
http://fncrsi.altervista.org/
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