Nella mentalità europea la rivoluzione francese è
considerata generalmente un avvenimento positivo perché, nonostante i
crimini compiuti in questo periodo siano ormai noti, viene associata
alla finedell’Ancien Règime e
alla proclamazione dei diritti dell’uomo. Anche molti cattolici sono
oggi di questo avviso. Eppure paradossalmente in quell’epoca avvenne una delle peggiori persecuzioni anticristiane della storia.
In realtà, lo scontro tra Chiesa e Rivoluzione inizialmente era tutt’altro che scontato. La maggior parte del clero aveva infatti accolto favorevolmente i
moti dell’89 tanto che alla costituzione dell’Assemblea nazionale
quattro vescovi e 149 preti si unirono al terzo stato. Il clerovotò a favore dell’abolizione
della decima e non vi furono particolari problemi quando si decise di
nazionalizzare i beni della Chiesa, ma i rapporti si ruppero quando i
legislatoripretesero di avere poteri decisionali in materie attinenti al campo spirituale.
Infatti i rivoluzionari, oltre a decretare lo scioglimento degli ordini religiosi che
non si dedicassero all’insegnamento e all’assistenza, emanarono nel
luglio del 1790 la costituzione civile del clero che prevedeva la
riduzione delle diocesi da 130 a 83, l’elezione dei vescovi e dei curati
e l’abolizione di ogni giurisdizione del papa sulla Francia venendo a
creare di fatto una chiesa nazionale scismatica. Questo provvedimento fu
assai controproducente perché diede un aiuto fondamentale alla controrivoluzione e spinse il papa Pio VI (che
pur critico verso la rivoluzione si era astenuto da pronunciamenti
ufficiali) ad una condanna pubblica. Il clero si divise tra i “refrattari” che si rifiutarono di giurare fedeltà alla costituzione e i “costituzionali” che
invece accettarono di farlo (questi ultimi composti da 7 vescovi e
circa metà del basso clero anche se vi furono numerose defezioni in
seguito alla condanna papale). Il clero refrattario inizierà perciò ad
essere accusato di tendenze aristocratiche e controrivoluzionarie.
La
situazione religiosa peggiorò con l’avvento della repubblica. Dopo la
destituzione del re nell’agosto del 1792, l’Assemblea Costituente emanò
una serie di normative antireligiose:
la deportazione dei preti refrattari che non avessero lasciato il paese
entro 15 giorni (salvo poi negare i passaporti per tenere i preti come
ostaggi), la confisca delle campane, lo scioglimento degli ordini
religiosi caritativi e il divieto di fare processioni o di indossare
l’abito talare al di fuori degli edifici di culto. Anche il clero
costituzionaleincomincerà a essere perseguitato perché
sospetto di tendenze monarchiche e moderatismo e, del resto, molti
rivoluzionari non vedevano alcuna differenza tra le due Chiese. Durante
il Terrore, si ebbe la cosiddetta “Scristianizzazione” nella quale i “rappresentanti in missione” influenzati
del materialismo tardo-illuminista distrussero oggetti sacri,
profanarono chiese e costrinsero all’abiura parecchi preti
costituzionali. Venne inoltre adottato il calendario rivoluzionario in sostituzione a quello ecclesiastico
e le decadi al posto delle settimane. Non tutti i politici francesi
però condividevano la politica di scristianizzazione perché vi era il
timore di perdere l’appoggio della maggioranza del popolo rimasta
religiosa e d’inimicarsi le nazioni neutrali.
Nel 1795, perciò, si acconsentì alla riapertura delle chiese e
lo stato rinunciò al finanziamento del culto. Non vi fu però una vera
libertà perché le manifestazioni pubbliche di religiosità rimasero vietate e la repubblica proseguì con la laicità d’attacco, imponendo il calendario repubblicano in tutti gli atti della vita pubblica e il festeggiamento delle decadi al posto delle festività cristiane. Solo sotto Napoleone Bonaparte ebbe fine la fase più anticattolica della rivoluzione, grazie al Concordato stipulato nel 1801. Ilfuturo imperatore considerava però la Chiesa un mero strumento di governo e con gli “Articolo Organici”subordinò strettamente il
clero allo stato (per una brevi sintesi sulle misure antireligiose dei
rivoluzionari, seppur benevola verso quest’ultimi, si veda A. Soboul, La rivoluzione francese, Roma 1998 pp. 466-468).
La politica antireligiosa suscitò scontento tra la popolazione sfociando in alcuni casi in aperte rivolte. La più importante tra queste fu quella che scoppiò in Vandea.
Vi erano già stati segnali di malumore in questa regione quando venne
approvata la costituzione civile del clero e i vandeani accolsero con
sfavore la notizia dell’esecuzione del sovrano. La goccia che fece
traboccare il vaso fu la notizia della coscrizione obbligatoria di 300000 uomini: “Hanno ucciso il nostro Re; hanno cacciato via i
nostri preti; hanno venduto i beni della nostra chiesa; hanno mangiato
tutto quello che avevamo e adesso vogliono prendersi i nostri corpi… No,
non gli avranno”, dichiararono gli insorti vandeani del villaggio di Doulon. Essi si proclamarono perciò realisti e cattolici,
ritorcendo contro la Repubblica il diritto all’insurrezione per
ottenere la libertà. La pessima organizzazione delle truppe
rivoluzionarie permise agli insorti di prendere il controllo di
una vasta area del paese, che le truppe rivoluzionarie avrebbero dovuto
riconquistare palmo a palmo. I ribelli riuscirono ad infliggere pesanti perdite ai
repubblicani applicando la tattica della guerriglia e per domare la
rivolta, i parigini ricorsero a metodi brutali. In entrambi i fronti si
ebbero atrocità, ma quello che fecero i rivoluzionari fu così terribile
che alcuni studiosi hanno persino parlato di “genocidio”. I massacri più sanguinosi avvennero tra l’altro nel 1794 quando la rivolta era stata in gran parte domata: migliaia di prigionieri vennero brutalmente assassinati. Le azioni più sanguinose si ebbero a Nantes doveJean-Baptiste Carrier, oltre alla ghigliottina, integrò quelle che lui definiva «deportazioni verticali» ossia gli annegamenti nelle
acque della Loira: vennero praticati dei fori sulle fiancate dei
barconi a chiglia piatta sui quali s’inchiodavano delle tavole di legno
che poi venivano schiodate quando le barche erano al centro del fiume,
portando così alla morte per annegamento alle vittime legate. In un
primo tempo questi annegamenti furono limitati ai sacerdoti, ma presto si
estesero ad un numero sempre maggiore di persone (si calcola che le
vittime nella sola Nantes siano state tra le duemila e le
quattromilaottocento).
Nei mesi di febbraio e marzo del 1794,
le forze repubblicane intrapresero attraverso la regione ribelle una
marcia «pacificatrice». Le dodici “colonne infernali” del maresciallo
Turreau massacrarono ogni personache
trovarono sul loro cammino, uccidendo anche vandeani di provata fede
repubblicana. Le violenze e le uccisioni su donne e bambini erano
all’ordine del giorno. Si calcola che su una popolazione di poco superiore alle 800.000 persone, i vandeani uccisi siano stati più di 117.000 (ma alcuni si spingono fino a 250000, cfr. S. Schama, Cittadini. Cronaca della rivoluzione francese, Milano 1989 pp. 813-817).
Questi massacri non furono dovuti alla semplice brutalità della guerra, ma vennero incitati (se non espressamente ordinati) dai deputati della Convenzione, come
apprendiamo dai documenti rinvenuti. Il generale Westermann così
scriveva ad esempio al Comitato di Salute Pubblica nel dicembre del
1793: “Non esiste più
Vandea, cittadini repubblicani, essa è morta sotto l’albero della
libertà con le sue donne e i suoi bambini (…) Eseguendo gli ordini che
mi avete dato, ho fatto calpestare i bambini dai cavalli, ho fatto
massacrare le donne che almeno non partoriranno più briganti. Non ho
prigionieri per i quali possa rimproverarmi”. Anche il deputato Carrier ammetterà candidamente di aver ricevuto “l’ordine
di sterminare la popolazione in modo da poter ripopolare il paese in
più in fretta possibile con cittadini repubblicani”. Secondo lo storico Reinald Secher,
il genocidio vandeano fu quindi concepito, organizzato e messo in atto
dal Comitato di Salute Pubblica ovvero, tra gli altri, da Robespierre in persona. (Lorenzo Fazzini, E Robespierre disse: cancellate i vandeani, Avvenire,
21 ottobre 2012). La fine dei massacri si ebbe con l’avvento dei
termidoriani che stipularono diversi accordi con i ribelli nella quale
promettevano di rispettare la loro fede e i loro beni, ma la pace durò
pochi mesi e si ebbero in seguito altri focolai di guerriglia.
Simili insurrezioni si ritroveranno anche nei territori occupati dai francesi. In Belgio i contadini cominciarono ad abbattere gli alberi della libertà sostituendoli con delle croci, in Lussemburgo i
francesi dovettero impiegare una battaglia in piena regola per vincere
la ribellione e provvidero a deportare molti preti sull’isola di Ré,
mentre nello stato Pontificio le truppe francesi venivano spesso
assalite da gruppi di contadini guidati dai rispettivi parroci. Tutto
questo accade dopo che l’occupazione di Roma e l’esilio del pontefice,
aveva fatto credere ai rivoluzionari d’aver schiacciato il “fanatismo” e
portato la pace universale (F. Furet – D. Richet, La rivoluzione francese, Bari 1974 pp. 534-535).
La rivoluzione francese ebbe indubbiamente grandi meriti, ma ebbe anche la colpa di aver creato un nuovo fanatismo di tipo ideologico che guardava ai suoi avversari come esseri privi di tratti umani e che scatenò atrocità che nulla avevano da invidiare a quelle provocate in nome del fondamentalismo religioso.