venerdì 14 dicembre 2018

STORIA DELLA FEDERAZIONE ITALIANA COMBATTENTI DELLA RSI

La mia introduzione al libro STORIA DELLA FEDERAZIONE ITALIANA COMBATTENTI DELLA RSI

E' un poco lungo ma vale la pena leggerlo essendo uno spaccato di storia recente.

A seguire altro post con la POSTFAZIONE alla riedizione del libro:

INTRODUZIONE STORICA

di Maurizio Barozzi

Dal Fascismo al neofascismo

La storia non certo edificante del “neofascismo” italiano, con le sue deviazioni nel destrismo e il suo filo atlantismo, può farsi risalire all’infausta data dell’8 settembre 1943 quando, mentre la parte migliore del nostro popolo aderiva all’appello di Mussolini per riprendere le armi e salvare l’onore dell’Italia sporcato dal tradimento badogliano, il resto maggioritario della popolazione restò indifferente ed una esigua parte (in quel momento): gli antifascisti, fu addirittura avversa.

Tra gli indifferenti o comunque i contrari a questo richiamo della Patria e del Fascismo c’erano anche tanti cosiddetti fascisti del ventennio, in genere una massa passiva, conservatrice, di indole borghese e spesso di tendenza monarchica, che aveva aderito a suo tempo e a suo modo al Fascismo perché questo aveva stroncato il pericolo bolscevico, “faceva arrivare i treni in orario” ed aveva garantito un certo progresso sociale e di prestigio alla nazione, insomma perché le cose andavano bene.

Teniamola a mente questa componente borghese e reazionaria, sostanzialmente pavida, già fascista sui generis, anzi sostanzialmente antifascista, perché la ritroveremo in misura via via sempre più preponderante nella componente qualunquista e nazionalista del neofascismo del dopoguerra.

Dal settembre del 1943 Mussolini non si era limitato a rimettere in piedi uno Stato ed un Esercito disintegrati dal tradimento badogliano; egli aveva anche portato finalmente a compimento il lungo percorso storico ed ideologico del Fascismo al quale vennero dati dei capisaldi politici e sociali di enorme portata: la svolta socializzatrice per la ricomposizione economica e sociale del mondo del lavoro e delle imprese e l’impronta repubblicana da dare alle Istituzioni: era nata la Repubblica Sociale Italiana (RSI) e allo stesso tempo era anche nato il Partito Fascista Repubblicano, che con la costituzione a marzo del ’44 della Legione Autonoma “E. Muti” ed a luglio dello stesso anno delle Brigate Nere poteva veramente definirsi un ordine di credenti e combattenti. 

Si calcola che aderirono attivamente alla RSI circa 800 mila italiani, ma questo calcolo è molto approssimato perché bisogna considerare che, a causa della guerra, il territorio italiano in quel momento si trovò spaccato, grosso modo, in due: da Roma in su, nella giurisdizione della neonata Repubblica Sociale, mentre tutto il Sud della penisola era occupato dagli Alleati. Si aggiunga poi la ingombrante e scomoda presenza e ingerenza dell’esercito tedesco, reso più nemico che amico dalle note vicende del tradimento (circa 600 mila italiani erano stati nel frattempo deportati in Germania come massa di lavoro; e peggio sarebbe andata se non fosse intervenuta la RSI nel pieno delle sue funzioni).

Di fatto, tra coloro che aderirono attivamente alla RSI, si finì anche per contare tutti coloro che, dislocati nella parte centro nord della barricata, trovarono naturale proseguire i loro impieghi nei servizi militari o civili delle nuove Istituzioni repubblicane, con gli acquisiti inquadramenti burocratici e di carriera i quali, comunque, assicuravano pane e lavoro.

Era però evidente che, mano a mano che il territorio sotto la giurisdizione della RSI si restringeva a causa dell’avanzata alleata, queste adesioni, per così dire “d’ufficio” venivano meno.
A testimonianza della scelta piena e convinta per i valori ideali, storici e di combattimento, nella visione della vita e del mondo che il Fascismo aveva espresso ed incarnato fino ad allora, restava la minoranza inquadrata nel Partito Fascista Repubblicano, sotto la guida del segretario provvisorio Alessandro Pavolini. Una minoranza composita, rappresentata da elementi di varia tendenza, ma che in genere si riconosceva nella nuova svolta socializzatrice che Mussolini aveva dato al Fascismo, dove non mancavano sia elementi che tendevano ad accentuare gli aspetti di destra della politica fascista ed altri che invece, addirittura, volevano spingere ad estremizzare ancor più a sinistra le innovazioni sociali. 

Le anime, insomma, che avevano da sempre caratterizzato questo nuovo soggetto storico che era stato il Fascismo: la tendenza repubblicana e quella monarchica, la tendenza rivoluzionaria e quella conservatrice, la tendenza socialista e quella liberale, seppur soggiogate dalla forte personalità e dalla prassi politica mussoliniana ed anche se subordinate ai nuovi dettami politici e sociali della RSI, non potevano di certo scomparire dall’oggi al domani.

Questo nonostante che il compimento storico ideologico del Fascismo, attuatosi con la RSI, fosse oramai fuori dai vecchi schematismi destra-sinistra; e si poteva dire che il Fascismo aveva superato a sinistra lo stesso marxismo, pur partendo dal principio di una disuguaglianza ontologica degli esseri umani e da una visione spirituale della vita.

Nella contingenza storica della RSI eravamo quindi ancora in presenza di varie “anime” del Fascismo, tutte legittime, ma alquanto diverse dalla sostanza propriamente rivoluzionaria del Fascismo repubblicano.

La fine della guerra, con la inevitabile sconfitta e la scomparsa dalla scena politica di Mussolini, avrebbe certamente fatto riemergere queste anime in tutte le loro sfumature e peculiarità.

Settembre 1943: fare di necessità virtù

Di fronte alla impellente necessità di riorganizzare lo Stato ed un simulacro di esercito, senza i quali non avrebbero avuto senso il concetto di Patria ed il Fascismo stesso, Mussolini si era quindi trovato costretto a chiamare a raccolta quanti, fascisti o meno che fossero, si rendessero disponibili a portare il loro contributo alla ricostruzione della Patria devastata dalle armate straniere e dal tradimento badogliano.

La scelta repubblicana e la necessità di trovare un correttivo alla esperienza negativa delle “nomine dall’alto”, inoltre, aveva anche indotto a tollerare alcune personalità e schieramenti politici e culturali “afascisti”, purchè si riconoscessero nel trinomio Italia, Repubblica, Socializzazione.
Così come il doveroso imperativo di continuare a combattere al fianco dell’alleato tedesco, per l’onore e la bandiera, vide anche lo splendido fenomeno combattentistico di organismi militari particolari, quali la X Mas il cui comandante, il principe Valerio Borghese, con doti militari di coraggio e fascino non comuni, rappresentò un fenomeno a sé stante; che non può però essere confuso con il Fascismo, essendo espressione di una tradizione militare italiana che aveva così deciso di continuare il combattimento; ma lo stesso comandante era, sostanzialmente, il rappresentante di una certa aristocrazia conservatrice aliena dai valori rivoluzionari e sociali che il Fascismo incarnava.
[Come vedremo in corso d’opera, nel 1959 Valerio Borghese fu espulso dalla FNCRSI avendo egli sponsorizzato un candidato del MSI alle elezioni, contrariamente alla politica del non voto della Federazione.

Sul Foglio di Orientamento della Fncrsi marzo 2000, firmato Comitato Direttivo Fncrsi, si parlò di quella pagliacciata che è passata alla storia come Golpe Borghese, e riferendosi a Valerio Borghese si aggiunse:
"Sulle capacità di J. V. Borghese in campo navale, nulla quaestio, ma non su altri campi (non s’improvvisa dall’oggi al domani un comandante di G.U.); nondimeno, egli ebbe il privilegio di disporre di un eccellente S. M., dei migliori ufficiali del disciolto R. E. e di un’ottima truppa composta esclusivamente di volontari.

Tuttavia, sin dalla fine del ’43, Borghese divenne preda degli emissari dell’ammiraglio badogliano De Courten, tanto che il colonnello F. Albonetti (prefetto di palazzo a Villa Feltrinelli fino alla destituzione di Renato Ricci da Comandante generale della G.N.R.), dopo averlo più volte catturato, paventò seriamente di doverlo fucilare, ma Mussolini si limitò a farlo sorvegliare, al fine di valersene come fonte di notizie riguardanti il Governo del Sud. Comunque, che egli abbia collaborato con i «servizi» angloamericani durante e dopo la RSI, è un fatto storicamente certo";.]

In pratica, dovendo fare di necessità virtù, vennero dal Duce, in quel tragico momento, anteposti gli interessi della Nazione a quelli della fazione (il Fascismo).

Il punto debole di tutta questa impalcatura eterogenea, con forti connotati di carattere emotivo, era quello che essa si poteva reggere fin quando anche le condizioni militari della guerra reggevano.
Ma quando, con l’esaurirsi della velleitaria controffensiva tedesca dell’inverno 1944 e lo spalancarsi evidente del baratro della sconfitta il territorio repubblicano, che già a giugno del ’44 aveva perduto Roma, cominciò ad essere invaso, la massa di quegli “ottocentomila” prese a vacillare e molti, di fronte alla imminente sconfitta, cominciarono a porsi il problema del “dopo”.

Il PFR bene o male tenne magnificamente, così come tennero fino all’ultimo alcune strutture militari autonome (la “Muti”), ma il grosso dei partecipanti alla repubblica entrarono seriamente in crisi.
Tra questi, varie personalità di ogni genere e spesso di alto livello sociale, che avevano dato il loro pur valido contributo alla RSI o altri, magari fascisti sui generis o addirittura neppure fascisti (i cosiddetti “moderati”), o ancora molti ufficiali e sotto ufficiali delle FF.AA repubblicane, sovente tutta gente con una mentalità più che altro prevalentemente anticomunista, nazionalista e comunque di cultura occidentale, erano già mentalmente predisposti a riciclarsi nel dopoguerra magari sulla sponda dell’anticomunismo, nella speranza che, a guerra finita, potesse esserci una spaccatura tra Alleati e Unione Sovietica; seppellendo ovviamente le istanze rivoluzionarie del Fascismo.
Non è un mistero - ed il valente storico Giuseppe Parlato lo ha dimostrato con evidenti documentazioni - che i “contatti” con l’Oss americano e ufficiali o elementi della RSI cominciarono a verificarsi già molto prima del 25 aprile 1945. 
[Giuseppe Parlato: Fascisti senza Mussolini - Le origini del neofascismo in Italia 1943-1948, Ed. Il Mulino.
Con la sua ricerca il prof. Parlato ha finalmente riportato quello che da sempre si sapeva, ovvero come gli americani, anche attraverso l’OSS (il predecessore della CIA), arruolarono, per i loro scopi e interessi, ufficiali e sotto ufficiali (in particolare nella X MAS), reclutandoli tra i reduci della RSI e favorirono, al contempo, il neofascismo italiano. A ruota, aggiungiamo noi, si portarono su quella sponda ex gerarchi e gerarchetti, giornalisti e manovalanza varia. Alcuni di costoro, nel dopoguerra si resero disponibili a sostenere la causa della nascita dello stato di Israele.].

Le ricerche storiche ci consentono oggi di confermare quanto già all’epoca molti avevano intuito: il Fascismo cadde, e cadde male, il 26 aprile 1945 in Como, dove per la loro scelleratezza e per la loro già ricordata predisposizione mentale, i comandanti fascisti - defluiti all’alba del 26 aprile da Milano - arrivarono in armi a Como dove finirono per sottoscrivere una vergognosa tregua, in realtà una vera e propria resa. 
Erano arrivati a Como di prima mattina, ma non trovandovi Mussolini che si era, prima dell’alba, spostato circa 30 Km più avanti a Menaggio, invece di proseguire, senza neppure spegnere i motori - come osservò Bruno Spampanato nel suo “Contromemoriale” - si fermarono ad attendere, a discutere, ad avere approcci con un ectoplasma del CLN che si aggirava attorno alla Prefettura, dove le autorità della RSI erano da tempo intente a trovare una scappatoia indolore per il trapasso dei poteri.
Poi arrivarono anche un paio di emissari degli americani (Guastoni e Dessì) e lo sbraco fu totale. 
 Avvenne così che con il passare delle ore una forza in armi di circa quattromila fascisti si squagliò come neve al sole.

Erano le conseguenze di una mentalità non in linea con l’ultima strategia di Mussolini, che stava sganciandosi dalle località dove potevano arrivare gli Alleati al fine di restare libero e poter contrattare una resa dignitosa, utile per la nazione ed a salvaguardia delle vite dei fascisti; anche in virtù di certe compromettenti (soprattutto per i britannici) documentazioni che portava con sé.

In quest’ottica il Duce aveva inteso l’ultimo ridotto in Valtellina, e anche quando si rese conto che, per la defezione dei tedeschi e per le quasi nulle opere di fortificazione - promesse ma non realizzate in Valtellina -, la strenua e simbolica difesa era impossibile, ugualmente intendeva recarsi in zona e raggiungere gli estremi confini, nell’ottica di una sua strategia “temporizzatrice” e di sganciamento.
Ma alcuni comandanti fascisti erano già mentalmente oltre, il loro desiderio era quello di arrendersi al più presto agli Alleati.

E fu quello che si concretizzò in Como, lasciando praticamente Mussolini solo, ovvero senza scorta armata, in Menaggio, costringendolo a muoversi mettendosi nelle mani dei tedeschi,
per finire catturato da uno sparuto gruppetto di partigiani ai quali, a Dongo, venne praticamente consegnato dai tedeschi.

E’ pur vero che le contingenze del momento determinavano e consentivano approcci del genere, ma quando queste “collusioni” andavano ben oltre certe intenzioni e necessità, si evidenziava chiaramente una predisposizione mentale al passaggio nello schieramento occidentale.

Un trasbordo ideale, prima ancora che materiale che, con l’Italia occupata dagli eserciti Alleati e con la scusa dell’anticomunismo, sia che ci si considerasse fascisti che afascisti, rappresentava un doppio tradimento: tradimento ideale, perché seppure tra vari tentennamenti e opportunismi, l’ideologia e la geopolitica di Mussolini aveva sempre mantenuto una evidente costante di continuità su alcuni presupposti essenziali tra i quali la proposizione di un modello di Stato in cui l’etica e la politica erano prevalenti sugli aspetti economici e finanziari (questo l’alta finanza non glielo aveva mai perdonato!) e quindi nettamente in contrasto con ogni forma statale e istituzionale a base liberista occidentale; ma anche tradimento effettivo, perché se è pur vero che dal momento dell’assunzione del potere (1922) e fino al suo ultimo giorno nella RSI Mussolini, quale capo di uno Stato sovrano e relativamente indipendente, anche se negli ultimi giorni ridotto militarmente a misera cosa, poteva pur intraprendere iniziative per accordi ed alleanze internazionali di qualunque genere egli ritenesse opportuno per gli interessi della Nazione, dal momento esatto in cui, con la sconfitta, si concretizzava l’occupazione Alleata, con il nostro paese brutalmente colonizzato e subordinato militarmente, economicamente e soprattutto culturalmente agli Stati Uniti d’America, ogni forma di collaborazione con gli occupanti (il futuro atlantismo) rappresentava un tradimento vero e proprio della Patria.
Era chiaro quindi che la famosa contingenza di anteporre la Nazione alla fazione (il Fascismo), non poteva più valere di fronte ad una Italia post ciellenista e occupata dallo straniero.

Comunque la si voglia rigirare è indubbio che per i fascisti, dopo la inevitabile sconfitta dell’aprile del ’45, si prospettava un solo atteggiamento coerente con i postulati della RSI e gli ideali del Fascismo repubblicano: operare, nella nuova realtà del dopoguerra, dove il Fascismo sarebbe stato bandito dal consesso politico e civile, qualunque veste si fosse giocoforza assunta, a difesa delle conquiste economiche e sociali già attuate dalla RSI, impegnandosi quindi nella lotta a tutto campo contro ogni restaurazione monarchica e liberista e soprattutto contro l’occupante, in tutti i sensi, americano.

Questa l’indicazione politica, magari comprensiva anche di una lotta militare clandestina contro l’occupante, scaturita dal convegno di Maderno del 3 aprile 1945 del Direttorio del PFR, presieduto da Pavolini, ma anche il desiderio, rimasto irrealizzato, di Mussolini di lasciare le conquiste sociali della RSI alle componenti socialiste della resistenza.

Di fronte a questa prospettiva, ogni diatriba interna ai fascisti, quelli tendenzialmente di destra o tendenzialmente di sinistra, avrebbe dovuto essere definitivamente superata.

E questo perché, al di là delle scelte politiche, pur sempre opinabili o comunque condizionate da atteggiamenti tattici di diversa opportunità, i fascisti usciti in qualche modo dalla tragedia della sconfitta avevano un sacrosanto dovere, di fronte al quale nulla poteva essere opposto, né aggirato con pseudo formulazioni tattiche o necessità contingenti di lotta ad un presunto (e strumentale) “pericolo bolscevico”: i fascisti, di qualunque tendenza fossero stati, avrebbero dovuto lottare, a tutto campo, con tutte le loro forze ed il loro impegno, per una prospettiva di indipendenza della patria, occupata militarmente e stravolta economicamente e culturalmente dalla colonizzazione americana.

Quindi la vera opposizione alla NATO, considerando quella comunista una opposizione strumentale subordinata alla dipendenza da Mosca, avrebbero dovuto farla prioritariamente i fascisti ed i reduci della RSI i quali, tra l’altro, avevano un bagaglio ideologico, storico e spirituale da opporre alle nefaste conseguenze del cosiddetto “mondo libero” incarnato nella way of life americana.

Ogni fascista, che dietro qualsiasi motivazione o pseudo necessità tattica fosse entrato in connubio con l’Oss americano, poi CIA, e avesse accettato di entrare in determinate e famigerate strutture coperte, preposte a quella guerra non ortodossa come, ad esempio, le strutture della GLADIO, avrebbe dovuto essere tacciato di tradimento e trattato di conseguenza!

Sarebbe oltretutto bastato un semplice ragionamento politico ed un minimo di esperienza storica per capire che la contrapposizione USA – URSS della guerra fredda era solo una contrapposizione di livello tattico, non strategico, ovvero la necessità di mantenere, negli accordi stabiliti a Yalta, i limiti assegnati nella spartizione dell’Europa.

Il vero contenuto di Yalta era la cooperazione tra le due superpotenze che aveva consentito di dividere popoli, governi e schieramenti politici dell’Europa in attivisti della NATO o partigiani del patto di Varsavia, insomma tra scemi & più scemi, imbalsamando sotto un tallone di ferro tutta l’Europa.

Anzi, se un espediente tattico doveva esserci, esso era quello di inserirsi nelle contraddizioni di Yalta appoggiandosi, fin dove possibile, alle inevitabili spinte dinamiche della geopolitica sovietica per tentare di scardinare l’occupazione americana nel nostro paese.

La lotta dei fascisti italiani per l’indipendenza del paese dal colonialismo americano si sarebbe dovuta riallacciare, per simpatia e per rapporti di interscambio, con le altre lotte di liberazione dagli yankee in atto nel mondo, lotte che di li a pochi anni si verificarono nella Cuba di Castro e Guevara, in Vietnam e altrove.

[A testimonianza della posizione della FNCRSI, circa la guerra nel Vietnam (così come anche l’appoggio dato alla lotta dei popoli arabi), mentre tutto l’ambiente neofascista parteggiava per gli yankee e favoleggiava inesistenti centurioni e hollywoodiani Berretti Verdi, ecco cosa scrisse il Bollettino della FNCRSI nel suo N. 4 del febbraio 1968, dopo aver fatto una analisi dell’aggressione americana al Vietnam, riportava:
“Così stando le cose, noi combattenti della, «guerra del sangue contro l'oro» non possiamo che essere vicini a coloro i quali in qualsiasi parte dei mondo difendono in armi la patria dallo straniero”.
In un altro Bollettino della FNCRSI (il N. 15/16 dell’ottobre 1971) si precisava: 
“Per contrastare le nostre tesi taluno elaborò la curiosa teoria detta dei "centurioni". 
Usciti vittoriosi dal Vietnam e passati sotto gli archi di trionfo allestiti dalla destra americana, questi novelli centurioni, si sarebbero impadroniti degli USA e avrebbero mosso subito guerra all'URSS ed alla Cina. Il disegno di certe organizzazioni (il cui asservimento a qualche ambiente dello S.M. fu evidentissimo) prevedeva che le truppe ausiliarie della NATO (paras, corsi di ardimento, ecc.) si sarebbero coperte di gloria nelle varie fronti all'unico scopo di meglio consolidare il dominio ebraico-yankee sul mondo. Senonchè, nonostante le abbondanti libagioni di droga per vincere il terrore dei Viet-cong, i centurioni incominciarono a vedere abbastanza chiaro...”]

E questo non certo per una condivisione ideologica delle analisi marxiste; ideologia che, a ben guardare, in quei paesi non era altro che una nomenklatura, una opportunità dell’epoca; in definitiva il comunismo, utopia al di fuori della portata umana, poco c’entrava con quelle lotte rivoluzionarie.

La stessa Russa sovietica non era altro che una abbrutita dittatura di Stato, che prima o poi sarebbe implosa su sé stessa; era una enorme nazione che praticava un certo tipo di “colonialismo”, teso non ad esportare un ipotetico comunismo, ma a controllare e sfruttare le aree sottoposte alla sua influenza in base agli accordi di Yalta.

Stante la collocazione dell’Italia, posta sotto il tallone dell’imperialismo americano, occorreva fare di necessità virtù, cercando tutti i punti di contatto con la politica sovietica e proponendo al contempo, sul piano delle idee, quelle soluzioni sociali che il Fascismo aveva intuito da anni. 
Proprio il Fascismo era quindi in grado di scegliere le proprie alleanze senza sconfinare in infatuazioni ideologiche e simpatie morali, ma allo scopo di subordinarle semplicemente agli interessi della propria patria e alla lotta di liberazione del nostro popolo.
Ma tutto ciò si è fatto in modo che non accadesse.
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Lo spostamento a destra e su sponde atlantiche dei fascisti repubblicani

Oggi ciò che un tempo affermavano i fascisti repubblicani della Fncrsi e che allora poteva sembrare esagerato, ossia un vero e proprio tradimento finalizzato a spostare su sponde reazionarie e filo occidentali la pur variegata massa dei fascisti, viene in genere accettato da una storiografia obiettiva.

In sintesi, si ritiene che in un periodo di sbandamento e di evidenti difficoltà, come fu per i superstiti fascisti il primo dopoguerra, approfittando della composizione eterogenea dei reduci della RSI, dietro una sottile strategia massonica, sotto l’egida del Viminale democristiano, benedetto da Washington e dal Vaticano e con l’apporto di alcuni traditori ideali del Fascismo repubblicano ed altri persino mai stati aderenti alla RSI, si riuscì a condizionare la nascita del Movimento Sociale Italiano, il partito nato nel 1946 anche dallo sforzo generoso di tanti camerati che volevano riprendere uno spazio politico per il Fascismo in Italia.

Nell’atto di nascita di quel partito si sovrapposero determinate forze e conventicole, dotate di adeguati mezzi, che sempre più ne stravolsero la politica e gli intenti ideali fino a farlo ben presto diventare tristemente noto come l’incarnazione forcaiola del destrismo italiano, ultra atlantico, conservatore e reazionario oltre ogni dire, ruota di scorta per i momenti di difficoltà della politica parlamentare della Democrazia Cristiana.

Anzi si tende oggi a supporre, seppur è difficile provarlo con adeguati documenti (ma i fatti parlano chiaro), che il MSI venne opportunamente creato proprio per adempiere a questi scellerati fini (si veda a questo proposito l’articolo del ricercatore storico Franco Morini “Nome MSI – paternità SIM” pubblicato su Aurora N. 44 novembre-dicembre 1997).

E’ inutile ricordare un penoso cammino fatto di inganni, di strumentali contrapposizioni, di favolette per imbecilli (come quella che non ci si poteva sedere a sinistra nel parlamento perché lì c’erano gli assassini dei camerati… come se a destra ci fossero gli amici!), mentre anni dopo un certo Caradonna confidò candidamente che il metodo migliore per portare i fascisti dalla parte dell’atlantismo e dell’anticomunismo viscerale era stato quello di farli scontrare il più possibile con i “rossi”.

Per non ricordare l’utilizzo di ex (ma veramente ex!) ufficiali della RSI, impiegati per gli interessi dell’Oss; o gli apporti che furono dati persino in favore della nascita dello stato di Israele, se è vero, come sembra, che dal destrismo furono persino forniti gli esplosivi alle bande sioniste - per gli attentati che dovevano forzare la nascita dello stato israeliano - e ufficiali di marina per l’addestramento di sabotatori sionisti. Senza dimenticare molti elementi, da tempo emersi, che indicano persino un certo ruolo, di fatto confacente alle sporche operazioni paramafiose e americane nella Sicilia del dopoguerra.
E’ meglio stendere un velo pietoso.

In sostanza l’operazione di trasbordo sulle sponde della reazione, che venne da subito attuata non appena finita la guerra, ed in cui si tuffarono un po’ tutti - anche perché c’era da spartirsi le briciole di qualche fetta di seggi parlamentari o negli enti locali -, fu quella di snaturare il Fascismo repubblicano socializzatore e soprattutto di convincere i reduci della RSI, che avevano combattuto la guerra “del sangue contro l’oro” a schierarsi, “per difendere l’Italia dai rossi” sulla ignobile (e contraria agli interessi nazionali!) sponda atlantista dell’Occidente e in supporto del neonato esercito post badogliano democratico e antifascista.

Ed è chiaro che si ritrovarono, in questo calderone del destrismo nazionale che andava così formandosi, uomini e forze uscite dal magma qualunquista, gli pseudi fascisti borghesi del ventennio cui abbiamo precedentemente accennato e che ben si erano guardati dal partecipare alla RSI, addirittura i venticinqueluglisti e gli ex monarchici, oltre ai partecipanti “moderati” o “afascisti” della RSI ai quali non pareva vero, dietro il dispiegarsi della guerra fredda, di attuare il loro desiderio degli ultimi tempi di guerra: riciclarsi come anticomunisti!

Tutti amalgamati sotto la pretestuosa scelta fuorviante del famoso e subdolo: “non rinnegare, non restaurare”, un’esca missista buona per tutti gli usi.

In realtà il Fascismo di Mussolini, repubblicano e socializzatore lo si era rinnegato senza indugi, ed una mano la si era data senza eccessive esitazioni per restaurare in Italia la monarchia - fin quando ha potuto tenere (2 giugno 1946) -, il liberismo ipercapitalista e la forma mentale più deleteria del Fascismo del ventennio: borghese, bigotto e qualunquista.

E questo andazzo da parte di vari personaggi che reggevano le fila del neofascismo, orfano di Mussolini, era cominciato da subito, anche con quello così detto clandestino (i FAR, ecc.), cioè prima che nascesse il MSI che poi se ne assunse il ruolo e la strategia politica.

E pensare che già dal primo dopoguerra anche Togliatti aveva cercato di catturare i reduci della RSI e ancora oggi la collezione di “Candido”, il giornale di G. Guareschi con le sue vignette e i suoi trafiletti, ci attesta questo fenomeno; indice evidente di uno strato di ex repubblicani sensibili a perpetuare il discorso sociale della RSI. 
Ma la manovra intercettatrice dei comunisti rimase minimale, mentre quella destrista in pochi anni risultò pienamente riuscita.

Un doveroso distinguo

Storicamente non sarebbe giusto giudicare drasticamente, con gli occhi di oggi e con la conoscenza storica dei decenni seguenti, i rischi, le scelte e l’impegno di tanti camerati che tra la fine del 1945 e il 1947 diedero vita o parteciparono ad una ripresa del fenomeno neofascista e poi al MSI.

In effetti le intenzioni subdole e mistificatorie che dovevano portare quel partito su determinate posizioni, stravolgendo e rinnegando tutto il patrimonio storico della RSI, erano soprattutto nell’animo e nella mente di coloro che agirono in questa maniera e non è poi così importante andare a stabilire se questo avvenne perché ci furono uomini manovrati e collusi con le centrali occidentali e massoniche - e quindi dietro interessi inconfessabili - o perché costoro erano comunque già predisposti, per mentalità ideologica e politica di destra, a percorrere quella strada
che allora, venne asserito, fu ritenuta una opportunità tattica per riprendere, in qualche modo, l’attività politica del neofascismo.

Quando in futuro si apriranno gli archivi statunitensi e vaticani potremo conoscere la verità, ma già oggi, come dimostrato da vari ricercatori storici, certi “contatti” con le centrali dell’Oss e le forze conservatrici della Nazione sono stati ampiamente accertati.

In ogni caso, godendo di adeguati mezzi ed “appoggi”, furono proprio un pugno di imbonitori e di traditori ideali del Fascismo repubblicano che tennero le redini o comunque vennero opportunamente fatti assurgere alle cariche direttive di quel partito, in modo da guidarlo nei porti del destrismo nazionale.

Ma tutti gli altri, la gran massa dei reduci repubblicani e dei giovanissimi, seppur animati da convinzioni politiche ed ideologiche alquanto difformi, da spinte ideali di varia natura, non possono essere liquidati, con il loro generoso prodigarsi per la ripresa del fenomeno fascista in Italia, in un giudizio tanto drastico e negativo.

I partecipanti alla nascita ed ai primi anni di vita politica del Msi erano un composto alquanto eterogeneo, come eterogeneo e con tutte le sue diverse anime era stato il Fascismo sotto la guida di Mussolini.

Il fatto è che agendo su queste diversità si fece in modo di isolare e di snaturare la componente dei fascisti repubblicani, quella che spesso viene grossolanamente definita “di sinistra”, per privilegiare ed incanalare il MSI sulle sponde del destrismo e del filo atlantismo.

Ecco come il prof. Manlio Sargenti, tra i fondatori del MSI milanese, rispondendo alle domande di A. Fontana, direttore della rivista “Italia Tricolore” descrisse con molta efficacia quei momenti e quelle scelte:
D: “Quali furono le motivazione che la spinsero alla scelta del MSI?”
R: ".Questo appariva come l’unico soggetto capace di continuare l’opera della RSI, della quale conservava, nel segno distintivo il ricordo. E fu appunto questa prospettiva a indurre me, come gli altri che nell’Italia settentrionale aderirono al Movimento, a scegliere questa alternativa nonostante il pericolo a cui si andava incontro
D: “Che posizione ebbe Lei quando il MSI aderì alla NATO?”
R: ";... io fui della corrente che si oppose per i motivi che ora soprattutto si rivelano determinanti; perché la NATO si è sempre più rivelata lo strumento della supremazia americana e del controllo dell’America sulla politica dei paesi che vi hanno aderito. Lo spirito del MSI fu perduto nel momento in cui il Movimento votò a favore dell’adesione alla NATO";.

[Vedi Italia Tricolore N. 8, Maggio 2008].

In verità, almeno per le sue linee politiche e programmatiche, dettate dai suoi dirigenti, lo spirito del MSI, nel senso della vera continuità della politica del Fascismo repubblicano era già perso fin dal momento della sua fondazione (26 dicembre 1946) perché, di fatto, l’operazione che aveva condizionato la sua nascita proprio a questo mirava.


Non è un caso che nell’autunno del 1947 il MSI partecipò per la prima volta alle elezioni amministrative che si tennero a Roma con una propria lista. Giovandosi anche della crisi che oramai aveva investito il movimento qualunquista, il MSI raggiunse quasi il 4 percento dei voti e 3 seggi al Comune. Ebbene questi seggi furono determinanti per la creazione della giunta di centro destra (41 a favore, 39 contro) del democristiano Rebecchini!

 
Era quindi iniziato, da subito, quel penoso cammino dell’apparentamento con i conservatori, i liberali, i monarchici, i democristiani di destra, in funzione di ruota di scorta o di supporto alla Democrazia Cristiana. Funzione di sostegno e di salvataggio nei momenti di crisi politica, richiesta e in qualche modo ricompensata, ma non gradita e comunque trattata come la mano tesa dell’appestato, perché agli occhi dell’opinione pubblica il MSI veniva fatto apparire come il partito del neofascismo.
E questa contraddizione, questa mistificazione, che portava gli antifascisti a inquadrare e definire il partito, che di fatto era il più distante dal Fascismo, come la tentata ricostituzione di un partito fascista, a chiederne addirittura lo scioglimento, quando invece avrebbero dovuto, come poi in effetti sottobanco facevano, cullarlo, coccolarlo e proteggerlo per il loro interesse nell’agitare un antifascismo di maniera, un pericolo fascista inesistente e di averlo all’opposizione relegato in una nicchia reazionaria e priva di prospettive.

 
La contraddizione evidente di sbandierare un pericolo fascista in un “qualcosa” che fascista non era se non nella riproposizione insulsa e nostalgica e con il passere degli anni sempre più sfumata di qualche icona, di qualche “saluto al Duce” e superficialità del genere, ha cristallizzato l’immagine falsa di questo Movimento che agli occhi dell’opinione pubblica cercava di apparire come un partito democratico della destra nazionale, mentre invece alla sua base faceva intendere di essere il continuatore del Fascismo, sia pure di un Fascismo, per esigenze tattiche, in “doppio petto”.


Non solo fuorvianti e strumentali erano le richieste dell’antifascismo parlamentare nel voler chiedere lo scioglimento del MSI, ma addirittura erano funzionali proprio alla salvaguardia di quel partito tanto utile un po’ a tutti.

 
E’ inutile continuare a tracciare la storia di questo partito che comunque riuscì a manovrare e gestire una non indifferente massa del popolo italiano, quella qualunquista, conservatrice, di destra, seppur con sfumature e tendenze di altra natura.


Le due vere anime di questo partito, nella loro apparente contrapposizione, furono quelle di Pino Romualdi e di Giorgio Almirante


Due anime che, a guardar bene, erano sempre state idealmente fuori dal Fascismo repubblicano (già al convegno di Maderno, dell’aprile ’45, prima richiamato, Romualdi, pur vicesegretario del Pfr, uomo che poi si rivelò di destra e di ideologia occidentale, si era dichiarato contrario a quelle linee programmatiche indicate per il dopoguerra). 
 
Romualdi quindi incarnava la componente di destra di questo partito, mentre Almirante, che neppure aveva seguito il suo ministro Mezzasoma nel suo ultimo viaggio, con le sue doti istrioniche aveva cercato di manovrare l’altra, quella cosiddetta “sociale”.


Al primo si può forse concedere l’attenuante di una sua convinzione ideologica e politica su quelle posizioni, che fin dal primo dopoguerra, nella sua clandestinità operò per spostare a destra e in senso occidentale la massa dei reduci della RSI; al secondo neppure quell’attenuante, perché la sua apparente collocazione su posizioni “sociali”, che all’interno del partito lo portavano ad essere il leader delle componenti socializzatrici o comunque “meno di destra”, erano sempre puntualmente tradite con l’accordo dell’ultimo minuto con la direzione “liberale” di Arturo Michelini che, di fatto, controllava le casse e le strutture del partito: così al congresso di Milano del 1956, così a quello di Pescara del 1965 fino a quando, divenuto finalmente segretario del partito nel 1968, gettò definitivamente la maschera “sociale” trasformando il partito nella peggior Destra qualunquista e forcaiola che mai si era vista in Italia.
Tutto questo andazzo, questo interpretare una specie di Fascismo, proprio come lo vedevano e desideravano che fosse gli antifascisti, finì, con gli anni, per realizzare una vera e proprio mutazione antropologica del “neofascista”, conformandolo ai dettami della conservazione, della reazione e delle più bieche specifiche del destrismo.

 
In ogni caso, a partire dal dopoguerra, a latere di questo partito, sorsero anche vari gruppi e movimenti politici, estremamente minoritari, che di fatto ne fecero la ruota di scorta, perché al di là di una certa impostazione extraparlamentare, non erano altro che il “MSI fuori dal MSI”, ma soprattutto agirono anche svariati personaggi che le cronache giudiziarie dei decenni successivi ci hanno mostrati, per quel periodo infame della strategia della tensione, essere in servizio permanente effettivo del SID e/o degli Affari Riservati, intelligence con le quali erano intimamente collusi.
E furono anche queste collusioni e strumentalizzazioni a trascinare quasi tutto un ambiente umano, oramai allo sbando e disorientato, nel più gretto e sciocco servilismo all’atlantismo.
Ma questo è niente a confronto di quello che accadrà alla fine degli anni ‘60, perché quando in Italia occorse mantenere ferme certe collocazioni NATO del nostro paese, i servizi d’oltreoceano non si fecero scrupoli a far esplodere bombe e innescare provocazioni di ogni tipo, trascinando nel fango per prima cosa i loro principali servi sciocchi, che poi nel giro di qualche anno vennero anche scaricati e lasciati andare in galera o sbattuti nelle pagine di cronaca nera.
La vera trasformazione del nostro paese, culturale, sociale e istituzionale, infatti, passate le strette contingenze e necessità internazionali, doveva gradualmente avvenire in senso progressista e neo radicale, non conservatore!

 
E i “reazionari”, sbattuti come mostri sulle pagine della cronaca nera dovevano, con la loro immagine, contribuire indirettamente a questo spostamento politico e culturale del paese.

 
Le “bombe”, usciti dalla contingenza della crisi mediorientale (guerra arabo – israeliana del giugno 1967 e quella del 1973 e conseguenti crisi internazionali) che aveva determinato la necessità, costi quel che costi, di tenere il nostro paese saldamente ancorato alla collocazione NATO (1964 – 1973 “destabilizzare per stabilizzare”), in conseguenza dell’ipotetico pericolo che questa collocazione potesse essere messa in discussione dalla presenza del più forte partito comunista d’Europa o dalle iniziative imprevedibili dei governi di centro sinistra (già nei primi anni ’60 si era dovuto ricorrere all’assassinio per bloccare le iniziative economiche, ma con pesanti risvolti di politica internazionale, di Enrico Mattei) dovevano quindi continuare ad esplodere, anche in seguito, in modo da scatenare la caccia al “bombarolo nero” e consentire uno spostamento progressista della nazione che agevolasse al contempo l’”occidentalizzazione” dello stesso partito comunista. Tutti eventi puntualmente verificatisi.


Accadde così che venute meno le strumentali accuse agli anarchici per piazza Fontana, in piena strategia della tensione, dopo la strage di Brescia e poi quella dell’Italicus (agosto 1974), mezzo milione di persone manifestarono in tutto il paese, persino nelle località balneari, contro quelli che nell’immaginario collettivo erano stati fatti passare come gli “attentati fascisti”.

 
Da quel momento la parola “Fascismo” divenne un luogo comune, sinonimo di bombarolo, macelleria cilena, reggicoda degli USA.

 
Mass media e magistratura si “inventarono” persino l’esistenza di una “eversione nera”, quando era noto a tutti che i neofascisti, tranne che negli slogan, (salvo rare eccezioni ininfluenti) non avevano mai praticato alcuna lotta al sistema, ma erano sempre stati controllati, se non al servizio degli apparati di sicurezza (per non parlare di iscrizioni o frequentazioni di mafie, ‘ndrine o Logge massoniche) per svolgere opera di provocazione o per coadiuvarli nella repressione del comunismo.
Ed i responsabili diretti, indiretti o semplicemente coinvolti in quelle strategie infami, che avevano contribuito a consolidare queste ignobili equazioni, non potranno e non dovranno mai essere perdonati da coloro che hanno combattuto la “guerra del sangue contro l’oro”.
Non è infatti importante, né interessa appurare se pseudo neofascisti di ogni sfumatura abbiano avuto le mani sporche di sangue in funzione degli interessi statunitensi, o fossero solo stati utilizzati per contorno alle stragi o semplicemente messi in mezzo come utili idioti “USA e getta”, perché il risultato storico non cambia di molto. 

 
Le pagliacciate che si ebbero in ipotetici e speranzosi golpe alla “vogliamo i colonnelli”, i tanti raduni e comitati tricolore, la costituzione di Fronti e nuclei per la difesa dello Stato, gli appelli alle cosiddette forze sane, ecc., hanno tutti fatto parte di un film già scritto il cui degno finale è stata la liquidazione non certo gloriosa di tutto un ambiente da tempo degenerato.


In termini di neofascismo, quello che oggi in Italia ci ritroviamo è quello che ieri è stato seminato, o che “qualcuno” ha contribuito a determinare.

 
Non possiamo infatti ignorare che anche in Italia, culla del Fascismo, siano da tempo presenti strani “aggregati” (non vogliamo neppure chiamarli “gruppi” o “schieramenti”) che si rifanno, in modo totalmente stravolto e mistificatorio, al Fascismo e ne ripropongono demenzialmente simboli, slogan ed emblemi tra l’altro fuori da ogni logica e dal tempo.
A questo si accompagnano, spesso, fatti delinquenziali e cruenti, sotto gli emblemi di un razzismo rozzo o banalmente xenofobo che finiscono per ottenere risultati diametralmente opposti a quelli che si attestano, tanto da far ingenerare il sospetto che proprio questa sia la vera funzione di queste manifestazioni.

Per chi è conscio delle conseguenze che abbiamo sempre subito a causa dell’occupazione statunitense, del collocamento nella NATO e della introduzione nel nostro paese della way of life americana, per chi conosce il grande inganno che fu perpetrato ai danni dei reduci della RSI e in particolare dei fascisti repubblicani quando, ancor prima della fine della guerra, si cercò di portare quelle energie e quelle esperienze su posizioni filo atlantiche e strumentalmente anticomuniste, per chi comprende cause e conseguenze di quel periodo che vide all’opera la precedente richiamata strategia della tensione, con i tanti strani personaggi risultati poi collusi con gli Affari Riservati e/o con il Sid (se non direttamente con la CIA), non è difficile intuire una continuità operativa tra il vecchio anticomunismo viscerale, ormai inservibile ed il nuovo pseudo razzismo a tutto campo.
Non è un caso che l’ex colonnello Amos Spiazzi, già a suo tempo inquisito (ma forse più che altro usato come capro espiatorio) per i fatti relativi alla Rosa dei Venti e al cosiddetto Golpe Borghese, in un libro-intervista con il giornalista Sandro Neri ("Segreti di Stato" per i tipi della Aliberti), abbia ancora oggi evidenziato:
"il ruolo delle potenze straniere atlantiche nei falsi tentativi di golpe degli anni Sessanta e Settanta.
D’altro canto – secondo Spiazzi – sia gli attentati terroristici che i vari colpi di Stato abortiti servivano al governo centrista di allora tanto per colpire a sinistra quanto a destra. In questo panorama – racconta l’ex colonnello – si muovevano (e si muovono tutt’oggi) unità segrete di militari e riservisti oltre ad attivisti di estrema destra, tutti determinate a operare contro il comunismo. Ed oggi che il comunismo non rappresenta più un pericolo immediato, queste formazioni continuerebbero ad operare per difendere l’Italia dall’integralismo mussulmano
"
; (Vedi la Newletter di Storia in Rete di marzo 2008).
Ma l’osservazione e la conoscenza di tutto questo non è neppure sufficiente per inquadrare quanto accade in svariati paesi dell’occidente (il fenomeno, infatti, è comune a tutto l’occidente) ed in particolare in Italia.

Forse occorre anche affrontare l’argomento da un punto di vista più introspettivo ed oserei dire esistenziale.
In una società priva di valori, dell’etica e del senso dello Stato, com’è quella moderna, consumista e democratica, la gioventù allo sbando e in cerca di sensazioni (specialmente quella con impulsi delinquenziali e a volte purtroppo anche quella, che in tal modo viene deviata, con attitudini di lotta), è attratta da simboli, forme ed atteggiamenti trasgressivi, anche repellenti: anzi, più questi simboli sono paventati e demonizzati dalla società e più essi costituiscono un elemento di attrazione, da far proprio: per distinguersi, per aggredire, spaventare i cosiddetti “borghesi”. Insomma, contare qualcosa, sentirsi qualcuno nel branco e nascosti dietro una simbologia comunemente fuori legge o ritenuta aberrante.
Negli anni ’50 un timido fenomeno trasgressivo erano i cosiddetti teddy boys, ma da allora se ne è fatta di strada, oggi si ostenta qualcosa di più truce, come per esempio il satanismo o, purtroppo, anche la simbologia spregiativamente definita “nazifascista”.


Si da il caso, infatti, che tutta una filmografia hollywoodiana, tutta una pubblicistica antifascista, dalla Resistenza all’olocausto, ha descritto il Nazionalsocialismo soprattutto, ma anche il Fascismo, come un aggregato di maniaci, di psicopatici, di criminali, di delinquenti assetati di sangue e così via. Anche l’industria dei fumetti ha freudianamente ritagliato sulla tipologia del nazista un misto di sesso perverso e criminalità.
Non erano altro che i vecchi contenuti della guerra psicologica degli Alleati, divenuti col tempo e col diffondersi della letteratura, del cinema e della televisione, un luogo comune, una immagine indotta e fatta propria dall’inconscio collettivo.
Orbene, svariati gruppi cosiddetti “neonazisti” europei ed americani (sic!), spesso creati a bella posta dalle centrali occidentali “recitano”, di fronte all’opinione pubblica, questa miserabile parodia del Fascismo, facendo addirittura propri slogan, atteggiamenti e modelli che l’antifascismo aveva, a suo tempo, disegnato proprio per denigrare il fascista.
Ecco, allora, che oggi ci ritroviamo bandiere e simboli, bagnati dal sangue di centinaia di migliaia di caduti, squalificati e riportati con scritte demenziali sui muri delle strade, mostrati negli stadi di calcio, utilizzati nelle imprese da cronaca nera, ostentati da tanti delinquenti e prezzolati che ne sono attratti, ma probabilmente anche manovrati dai soliti mascalzoni.
Se, con pazienza, si fa una esplorazione in Internet, risulta facile imbattersi in qualche sito, comprensivo di forum, dove se ne vedono e se ne leggono delle belle: tra svastiche, croci celtiche e slogan in misto inglese (“white power”), tedesco e italiano, estrapolati dalle mode correnti, si possono trovare canzoncine e poesie di cattivo gusto, offensive per gli ebrei ed inneggianti alle camere a gas.

Pensate un po’ “chi” può rallegrarsene! A “chi” possono giovare! Tanto più che non bisogna ignorare il fatto che negli Stati Uniti, per esempio, è stato di recente provata l’origine a dir poco “spuria” di vari dirigenti, anche massimi dirigenti, di organizzazioni ultra razziste e di estrema destra. Come se al “sistema” facesse oltremodo comodo la presenza di queste organizzazioni ed il loro gestire minoranze di giovani da indirizzare e strumentalizzare su determinati temi e azioni.

In ogni caso è difficile stabilire se questa aberrazione faccia parte di una degenerazione becera e demenziale dei soggetti in questione o sia invece l’opera di qualche “addetto ai lavori” appositamente impiegato in queste nefandezze (forse un po’ tutte e due le cose, visto che una volta “dato il via”, la demenzialità prosegue anche da sola).

A parte il buon gusto, infatti, queste esternazioni vanno ad esclusivo vantaggio di chi si vorrebbe (falsamente) colpire in quanto: 

 
1. guarda caso, con questi insulti, si fa propria la storiografia dell’olocausto e la verità sulle camere a gas, la cui macabra esaltazione indirettamente le va a convalidare e contribuisce a veicolarne la versione storica. E questo mentre coraggiosi storici  e ricercatori, a rischio della propria libertà, provano a dimostrare la falsità della versione olocaustica.


2. si consente, per l’emozione suscitata, dietro episodi esecrabili o scritti deliranti, di incrementare e far passare con naturalezza la società multi razziale, come nel desiderio delle centrali mondialiste, ed allo stesso tempo contribuire a suscitare l’odio verso l’Islam ritenuto un ostacolo, soprattutto culturale, per il mondialismo. 


3. si offre al sistema un’arma preziosissima per colpevolizzare e mostrificare il dissenso scatenando, quando lo ritiene opportuno, una repressione generalizzata verso chi, anche con altri e più seri argomenti, porta avanti tesi revisioniste della storia e/o critiche al mondialismo ed al sionismo.
La conseguenza immediata è infatti il varo di leggi liberticide articolate dietro la scusa di reprimere l’odio razziale.

Anche contro questa tendenza, di cui già dalla fine degli anni ’60 si cominciava ad intravedere e ad intuire le finalità, la Federazione Nazionale Combattenti della RSI ha sempre combattuto cercando, con i suoi uomini e il loro insegnamento di vita e con i suoi fogli di orientamento politico e dottrinale, di opporsi alla degenerazione umana di tutto un ambiente storico. E forse oggi possiamo dire che il Fascismo ha avuto la sua vera testimonianza umana, ideale e dottrinale, proprio e soprattutto nei camerati della FNCRSI.

Ma siamo andati troppo avanti, dovremo tornare agli anni del dopoguerra quando, a poco a poco, il grande inganno in cui stavano per essere coinvolti i fascisti ed i combattenti repubblicani, dapprima subdolo e difficilmente avvertibile (se presi dalle contingenze del tempo) diveniva sempre più evidente.

Ma nel frattempo nacque la FEDERAZIONE NAZIONALE COMBATTENTI della REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.

TRATTO DA:
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1 commento:

  1. Barozzi quando parla di ebrei o che non sa o che fa finta di non sapere lei barozzi manda in vacca tutto il lavoro dei revisionisti degli studiosi come faurisson mattogno ryssen ecc e altra gente che per voler svelare LA verita e' ancora in prigione ,lei barozzi e' peggio degli ebrei almeno loro non tradiscono I'll Ghetto reietto da dove vengono mentre invece lei tradisce gli italiani e gli europei (non ebrei) a cui appartiene

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