di Filippo Giannini
Qualche settimana fa titolai un mio intervento: “Magistratura inetta? Magistratura politicizzata? Magistratura
corrotta? Bah! Decidete voi.
Terminai il mio lavoro con queste
parole: “Per provare a capire se la
Magistratura nata dopo la Resistenza sia realmente (come da titolo) inetta,
politicizzata, corrotta, farò seguire una analisi documentata di come operava
la Magistratura ai tempi del “Male Assoluto”.
Prima di immettermi in questo nuovo tema, vediamo come viene giudicata –
solo con alcuni ulteriori esempi – la Magistratura oggi secondo il giudizio di
valenti uomini di legge.
Il procuratore aggiunto alla Procura di Torino, Bruno Tinti, nel suo
libro Le toghe rotte, dopo aver espresso
alcune considerazioni, prosegue: “(…). Non ci posso credere, ma veramente la
magistratura è ridotta così?”.
Il capo della Procura di Napoli,
Vincenzo Galgano, ha dichiarato al Corriere
del Mezzogiorno del 19 ottobre 2009: “Nella nostra Procura ci sono alcuni
pm faziosi e fanatici che danneggiano persone e collettività e provocano
sofferenze (….)”.
Antonio Ingroia (lo ricordate?),
qund’era PM alla Procura di Palermo ha definito “politicizzata” la sentenza della Consulta, che ha dato ragione al
Presidente Giorgio Napoletano nel conflitto
con la Procura di Palermo sulle intercettazioni delle sue telefonate col
senatore Nicola Mancino.
A questo va aggiunto
l’osservazione di Gustavo Zagrebelsky, ex Presidente della Corte Costituzionale,
che, in pratica condivise il giudizio di Ingroia.
Piero Ostellino, sul Corriere della Sera dell’11 maggio 2013,
fra l’altro ha scritto: “A giudicare da come sono condotte certe inchieste, si
perviene a sentenze poi smentite anni dopo, si tratta di gente che non sa
semplicemente fare il proprio mestiere o lo fa con la (paranoia) presunzione di
poter disporre della vita degli altri a proprio arbitrio. Il difetto sta,
evidentemente, in un concorso inadeguato a individuare preparazione professionale
e attitudini personali”.
Alcuni
decenni fa, al tempo del Male assoluto,
pur nelle strettoie di un regime autoritario, questo ha saputo dimostrare una
notevole autonomia nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.
Infatti possiamo sostenere che
Benito Mussolini, Capo del Governo Fascista, mostrò una indubbia sensibilità
politica nei confronti della magistratura e, quindi, nei magistrati ai quali
impose una assoluta indipendenza nei confronti della politica. Quando, su
consiglio dei suoi ministri, ritenne opportuno di dover intervenire a difesa
del Regime, Mussolini concepì, con la legge 25 novembre 1926 n. 2008, il Tribunale per la difesa dello Stato,
escludendo dalla sua compilazioni magistrati ordinari.
E ancora, ai magistrati era fatto
divieto l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, questo fu certamente
condiviso dal ministro della Giustizia Alfredo Rocco.
Questo trova conferma con quanto
ha scritto Francesco Andreussi su La voce
di Mantova del 25 ottobre 1994: “Vi
furono infatti eminenti figure di Magistrati che raggiunsero i più alti gradi
senza appartenere al Partito. Solo nel 1940, la legge 28 ottobre n. 148,
richiede l’appartenenza al Partito quale condizione per l’avanzamento in
carriera del personale dello Stato”.
Andreussi osserva: “Il giuramento che fin dal 1927, era stato imposto a tutti i funzionari
viene considerato una dichiarazione di lealismo, non richiede l’iscrizione al
Partito, ed è accettato dai magistrati anche dalla sua formulazione che dice:
“Giuro di essere fedele al Re ai suoi reali successori, al regime fascista e di
osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato”.
In pratica è un giuramento alla
persona del Re, il che è costituzionalmente ineccepibile.
Tesi accettata dall’Osservatore Romano che nel numero del 4
novembre 1931 dichiara che il giuramento è legittimo e che il termine “Regime fascista” equivale alla dizione “governo dello Stato”.
Fino al 1936 la Magistratura è
esclusa da qualsiasi attività politica in seno al Partito, però da quella data
i magistrati, se iscritti avevano l’obbligo di appartenere all’Associazione
fascista del pubblico impiego, segno evidente che molti magistrati non erano
iscritti.
Nel 1940, allo scoppio della
guerra, si verificò un accentuato intervento nelle file del Partito, tanto che
si stabilì l’opportunità di stabilire il tirocinio degli uditori giudiziari.
L’8 settembre 1943, a seguito
della fuga (o come qualcuno vuole ancora indicarla trasferimento) del governo Badoglio e del Re, pose il Paese in
grave crisi a seguito della rapida occupazione tedesca, con conseguente
paralisi di tutte le organizzazioni dello Stato.
Solo con il ritorno di Mussolini
si cercò di ricostituire una normativa atta a far riprendere una vita
amministrativa del Paese.
Come per ogni altra attività, anche l’esercizio della magistratura è
completamente paralizzata, inoltre i magistrati non possono pronunciare le
sentenze in nome del Re, e ancora:
furono emanate dal P.F.R. norme per la creazione di Tribunali speciali
provinciali intesi a colpire cittadini che nel periodo dei 45 giorni del
governo Badoglio avevano espresso dissenso contro il Fascismo e Mussolini.
Erano norme a carattere penale
retroattive e come tali ingiustificabili se non nel contesto dello speciale
momento storico nel quale il Paese viveva.
Il 29 ottobre (1943) a seguito
della morte del guardasigilli Trincali Casanova, Mussolini chiama a sostituirlo
Piero Pisenti, validissimo avvocato fondatore del fascio friulano; Pisenti
accetta il delicato incarico perché desideroso di contrastare il controllo del
Gauleiter e con ciò tutelare l’italianità della Venezia Giulia.
Pisenti comprende l’importanza di
mantenere l’autonomia della Magistratura, condizione che Mussolini stesso non
solo non contesta, ma ne riconosce assolutamente la necessità.
Con ciò le sentenze vengono
pronunciate “nel nome della Legge” e
non “nel nome della R.S.I.”. “Sia ben chiaro” osserva di nuovo
Francesco Andreussi “è una magistratura
non fascista, ma non avversa al Governo che in condizione di necessità regge il
Paese”.
Non si trascuri un fatto
storicamente di grande rilevanza: mentre nel cosiddetto Regno del Sud, come per qualsiasi altra attività i magistrati non
potevano godere di alcuna autonomia, tanto che le loro sentenze erano poste al
controllo e alla arbitraria revisione delle autorità alleate inglesi o
americane; al Nord, nella Rsi le sentenze escludevano ogni controllo sia
dell’alleato tedesco che del Partito Fascista Repubblicano.
Questa autonomia conferiva ai
magistrati una notevole forza morale.
Come detto la magistratura non fu
chiamata ad alcun giuramento alla Rsi, ma ciò non toglie che essa abbia operato
con lealtà nell’applicazione delle leggi.
Con il 25 aprile 1945 cessò il ciclo della Magistratura cosiddetta “fascista, in quanto questa ha sempre
conservato la sua autonomia, sorgente delle origini liberali e dalla concezione
di Mussolini che ha sempre inteso rispettare il potere giudiziario. Con
l’avvento a questo ministero di Palmiro Togliatti, subentrò la partitocrazia e
già alla fine del 1960 la Magistratura fu vittima dei partiti che entrarono di
prepotenza con la corruzione e con le lusinghe nelle aule giudiziarie”.
Terminiamo
con un giudizio di Indro Montanelli: “Sicché
quello che Mussolini si vergognò di fare, la politicizzazione della giustizia,
l’hanno fatta i partiti democratici e fin qui nulla di straordinario, li
conosciamo.
Lo
straordinario è che l’abbiano fatto con l’operante consenso dei Magistrati”.
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