Il gruppo de «L'Orologio»
Questo articolo fa parte del Dossier Il Sessantotto, e dopo?
Introduzione
- Anime diverse all’interno dell’ambiente neofascista - Le ragioni degli
studenti - Bibliografia - Riviste e quotidiani
Introduzione
Nel 1970,
uno fra i più lucidi intellettuali di destra, Adriano Romualdi, tentò di
proporre un’analisi approfondita della contestazione studentesca. Attraverso le
sue riflessioni cercò di chiarire le cause per le quali la rivolta giovanile,
oltre che per motivi contingenti, si era orientata definitivamente a sinistra.
L’intellettuale, innanzitutto, sosteneva che la protesta studentesca, oltre che
essere la risultante dei guasti prodotti dal consumismo e dall’americanismo,
rappresentava la «rivolta dei capelloni – scriveva –, degli zozzoni, dei
bolscevichi da salotto, di una gioventù che, più che bruciata, si potrebbe
definire stravaccata». Attraverso quella provocazione, in realtà, si intendeva
muovere un pesante atto d’accusa, rivolto da destra, al ruolo svolto fino a
quel momento dal MSI. Il movimento studentesco così povero di riferimenti
culturali – a parere di Romualdi – era stato capitalizzato dalla sinistra
perché la destra aveva scelto di praticare un «perbenismo imbecille», fondato
sulla garanzia «sicuramente nazionale, sicuramente cattolica, sicuramente
antimarxista», delegando ad altri la bandiera della protesta e della rivolta
contro l’ordine borghese.
Come mai una
«rivoluzione» – scriveva – così sfacciatamente inautentica è riuscita a imporsi
alla gioventù, e non solo a quella più conformista, ma anche a quella più
energica e fantasiosa? La risposta è semplice: perché dall’altra parte non
esisteva più nulla. Seppellita sotto un cumulo di qualunquismo borghese e
patriottardo […] la destra non aveva più una parola d’ordine da dare alla
gioventù […]. In un’epoca di crescente eccitazione dei giovani, essa diceva
loro «statevi buoni» […]. Fossilizzata nelle trincee di retroguardia del
patriottismo borghese, le organizzazioni giovanili ufficiali vegetavano senza
più contatto alcuno col mondo delle idee, della cultura, della storia. È
bastato un soffio di vento a spazzare questo immobilismo che voleva esser
furbesco, ma era soltanto cretino. Bastarono le prime occupazioni per
comprendere che dall’altra parte – quella della destra – non c’era più nulla
[…]. Quando le bandiere rosse sventolarono in quelle università […] molti
guardarono a destra, attesero un segno. Ma il segno non venne […]. Maturata nei
corridoi di partito, in un clima furbesco e procacciatore, [la] cosiddetta
classe dirigente giovanile [di destra] non aveva assolutamente niente da dire
di fronte alla formidabile offensiva ideologica delle sinistre. Ne era
semplicemente spazzata via[1].
Mentre le
sinistre, con una rete di circoli politici e culturali, avevano agitato «tutta
una serie di temi rivoluzionari», la gioventù di destra era stata «castigata» a
«montar la guardia al “dio-patria-famiglia”».
Al di là
delle elaborazioni di Romualdi, che eppure possono essere utili per riflettere
sul tema scarsamente trattato in sede storiografica del rapporto fra la destra
e la protesta del ’68, all’interno dell’ambiente neofascista, lo scoppio della
contestazione studentesca produsse un momento di disorientamento. Le opinioni
verso il movimento di protesta, infatti, furono differenti. Il MSI venne colto
di sorpresa, trovandosi di fronte ad un fenomeno nuovo: la crisi del modello di
sviluppo e la conseguente entrata in gioco delle questioni sociali. Se da un
lato il partito neofascista era convinto che le inadeguatezze dell’università
italiana fossero tali da renderla solo una mera e vuota «fabbrica del sapere» e
ammetteva l’esistenza della «sclerosi congenita» dell’«organismo», fornendo
piena legittimità alle ribellioni degli studenti, dall’altro, sosteneva che
alla base di quei mali vi era un «malcostume anacronistico e immorale»,
ereditato da un sistema politico in cui non ci si riconosceva[2]. Proprio per
questo motivo, se gli studenti avevano ragione a protestare, i loro metodi
venivano ritenuti dal MSI errati, poiché si rifacevano agli schemi degli «agit
prop» comunisti che come bravi «docenti del tumulto» riuscivano a creare un
clima di «anarchia» e di «terrore»[3]. Il partito neofascista, così, volle
presentarsi, fin dai primi momenti, come il baluardo dell’ordine e della
tradizione, ignorando che le richieste dei giovani contestatori fossero in
qualche modo condivise anche da una parte dei propri militanti. Se da un lato
il MSI, spinto da una estrema ossessione anticomunista, infatti, ribadiva che
quella generazione in rivolta rappresentava semplicemente la prova vivente
della provocazione comunista, dall’altro alcune componenti della giovane destra
italiana, dal proprio «punto di vista», si sentivano parte di quel tutto.
In realtà,
già nel gennaio del 1967, presso l’ateneo di Perugia dove il FUAN,
l’organizzazione universitaria missina, era molto attivo, gli studenti di
destra, appoggiando la protesta degli assistenti e dei professori incaricati
che si accingevano ad attuare uno sciopero della categoria, proclamato su scala
nazionale dai sindacati, avevano avvertito l’urgenza di una repentina riforma
universitaria. In quell’occasione, il presidente del FUAN perugino, Luciano
Laffranco, evidenziò che ormai era tempo di sensibilizzare l’opinione pubblica
affinché essa venisse a conoscenza dei reali problemi presenti nelle università
italiane, in modo da attuare una forma di protesta clamorosa attraverso
l’occupazione simultanea di tutti gli atenei italiani[4]. Alla base delle
affermazioni di Laffranco vi era la consapevolezza che le rivolte giovanili
erano motivate da reali disagi generazionali. Il presidente dell’organizzazione
studentesca, infatti, ha ricordato successivamente che negli anni ’67-’68 si
registrò «l’unione di tutti i giovani nella contestazione contro quella
società, quella scuola, quello Stato, quei principi»[5].
D’altro
canto, la percezione dell’esistenza di un’anima non necessariamente gauchiste
della contestazione giovanile era già emersa all’interno dell’ambiente
culturale di destra. Basti pensare che nel febbraio del 1968, in contemporanea
con quegli eventi, usciva nelle librerie una nuova opera di Julius Evola – uno
degli autori più letti all’interno dell’ambiente neofascista – L’arco e la
clava, in cui appariva un saggio di estrema attualità: La gioventù, i beats e
gli anarchici di destra[6]. Il libro di Evola, che tra l’altro si esaurì nell’arco
di pochi mesi, sembrava segnalare, in un certo senso, che quelle rivolte
giovanili non erano politicamente orientate, ma rispondevano a veri e propri
motivi generazionali.
Anche se non
sono da trascurare altri aspetti, come ad esempio la particolare situazione
politica e sociale dell’Italia di quegli anni e gli influssi di eventi
internazionali, l’elemento generazionale rappresentò un dato “insopprimibile”
che fece da collante alla protesta studentesca del 1968. I giovani che si
apprestarono a divenire protagonisti di quel formidabile movimento di
contestazione erano persone che avevano approssimativamente la stessa «età
storica», che avevano condiviso le stesse ansie, le stesse paure, le stesse
esperienze[7]. Essi intendevano creare ed affermare con forza un nuovo mondo
legato agli stili di vita, ai costumi e alle abitudini[8] ed erano i «figli del
miracolo economico», i figli di una società, che nonostante la prosperità
stentava ancora a mutare; quei giovani, spinti da idee che contemplavano un mondo
civile finalmente pervenuto all’età del benessere, coltivavano la speranza che
esso avrebbe potuto diventare un patrimonio comune dell’umanità, senza
esclusioni e discriminazioni.
In altri
termini, si può affermare che il movimento di contestazione del 1968, proprio
per la sua peculiarità, fu un fenomeno generazionale che, almeno per certi
versi e in alcuni casi, avvicinò – o tentò di farlo – anche giovani di diverso
orientamento politico, i quali, cioè, pur condividendo la stessa ansia
generazionale, agitavano la loro protesta da due schieramenti politici opposti.
Anime
diverse all’interno dell’ambiente neofascista
Come
accennato, nell’universo neofascista si registrò una forte contrapposizione fra
l’anima d’ordine della dirigenza del MSI[9], che vedeva in un tale sommovimento
sociale la premessa di uno stato di emergenza, e lo spirito ribellistico di
gran parte dei militanti delle organizzazioni giovanili che li spingeva,
invece, ad affiancarsi ai portavoce della lotta al sistema. Siffatte divergenze
emersero anche sulla stampa dell’area. In realtà, gran parte dei giornali di
destra criticò aspramente le agitazioni giovanili. Solo una rivista accolse
favorevolmente la protesta studentesca definendola un possibile momento di
unità generazionale. Si trattava del giornale, «L’Orologio», che seguì da
vicino le vicende della contestazione, soprattutto nell’università di Roma, e
che sostenne quei giovani neofascisti che, contravvenendo agli ordini del MSI,
iniziavano cautamente a prendere parte alle assemblee del movimento
studentesco.
Fra i
movimenti della destra neofascista italiana che si svilupparono negli anni
sessanta e settanta, in realtà, il gruppo de L’Orologio occupò una posizione
particolare. Esso, per le tematiche che affrontava e per l’attenzione che
prestava ai problemi sociali, è stato definito spesso, anche all’interno
dell’ambiente neofascista, l’ala sinistra della destra italiana[10]. Gli
elementi di novità e di originalità che contraddistinguevano il movimento de
«L’Orologio» si esplicitarono anche sul piano prettamente culturale. Le idee
che erano alla base dell’impostazione del gruppo, infatti, si rifacevano alle
teorizzazioni del filosofo Ugo Spirito, piuttosto che a quelle del pensatore
Julius Evola, che rappresentava uno dei massimi punti di riferimento ideologici
della destra e dell’estrema destra neofascista italiana.
Fu lo stesso
Luciano Lucci Chiarissi, il leader del movimento, a definire «eretiche» e, per
certi versi, provocatorie le tesi del gruppo e della rivista, le cui
pubblicazioni iniziarono nel giugno del 1963. Anzi, come avrebbe spiegato lo
stesso Lucci Chiarissi, anni dopo, in Esame di coscienza di un fascista[11],
l’intento dei curatori della rivista era quello di consentire agli
«ex-ventenni» e agli «ex-sconfitti» della RSI di «interloquire» sui problemi
della vita quotidiana, lasciandosi alle spalle, però, i rimpianti di un
«rancore eterno». Essi, insomma, ambivano a divenire cittadini di una «nuova»
Italia non sulla base di ciò che erano stati e che avevano rappresentato durante
la guerra civile, ma in virtù di ciò che erano diventati nell’epoca
contemporanea, ossia «fascisti del tempo presente»[12]. Così, le opinioni del
movimento spesso si collocarono in netto contrasto rispetto a quelle dominanti
all’interno dell’universo neofascista di quegli anni. In relazione alla guerra
del Vietnam, ad esempio, il gruppo assunse una posizione emblematica.
L’Orologio si schierò, infatti, a favore dei Vietcong, poiché essi erano, a suo
parere, i rappresentanti di un popolo impegnato in una lotta di liberazione e
di conquista della propria autonomia nazionale[13].
Se pur i
componenti del gruppo avessero età anagrafiche diverse, il movimento, come
accennato, proprio nel particolare frangente della contestazione studentesca,
riuscì ad essere il portavoce dei bisogni e delle richieste di una parte della
gioventù di destra. Il gruppo de L’Orologio divenne in qualche modo il
rappresentante delle istanze riconducibili ad un cosiddetto «neofascismo di
lotta» che si contrapponeva ad un «neofascismo di governo», espressione con la
quale la base giovanile missina definiva l’atteggiamento ostile del MSI verso
il movimento studentesco[14]. Insomma, «L’Orologio» ebbe la funzione di dar
voce al contrasto che si instaurò fra i giovani contestatori neofascisti e la
generazione che li precedeva, quella dei «vecchi», quella dei «padri».
Da questo
punto di vista, del resto, la situazione di quei giovani era simile a quella
dei propri coetanei di sinistra. Il movimento studentesco, infatti, colse di
sorpresa anche il PCI, che si dimostrò incapace di comprendere le ansie, le
rivendicazioni e le richieste dei giovani contestatori. Giorgio Amendola, su
«Rinascita», dette sfogo ad un sentimento diffuso all’interno del Partito
comunista sostenendo che il movimento rappresentava un «rigurgito di
infantilismo estremista e di vecchie posizioni anarchiche», di fronte al quale
occorreva valorizzare il «patrimonio ideale che il PCI aveva accumulato in
decenni di dure esperienze» ed auspicare una «battaglia su due fronti», contro
il potere capitalista e contro l’estremismo studentesco[15]. Il segretario del
partito, Luigi Longo, aggiungeva che la rivolta giovanile poneva un problema di
«tattica e di strategia», ossia era necessario «trovare il legame politico e di
azione tra le rivendicazioni studentesche e i problemi del movimento operaio e
popolare anticapitalistico», ma al tempo stesso ammetteva che esso «aveva
scosso la situazione politica ed era stato largamente positivo nell’indebolire
il sistema sociale italiano»[16]. Pier Paolo Pasolini, dopo gli scontri di
Valle Giulia, scrisse un testo che fece molto discutere. La lunga poesia che,
anche dal titolo, Il PCI ai giovani, voleva essere una provocazione, metteva in
luce il mai risolto rapporto tra i giovani e il Partito comunista. Nel testo lo
scrittore friulano espresse pubblicamente la sua disapprovazione per il
comportamento degli studenti, schierandosi dalla parte dei poliziotti.
«L’Orologio»,
come abbiamo detto, ricostruendo soprattutto gli eventi principali legati all’esperienza
dell’occupazione studentesca nell’ateneo romano, cercò di prendere in esame in
special modo gli avvenimenti in cui si verificò una sorta di collaborazione fra
i giovani neofascisti e i propri coetanei di sinistra. Tale unione raggiunse il
suo apice nella cosiddetta “battaglia” di Valle Giulia del 1° marzo 1968 fra la
polizia e gli studenti.
L’episodio
acuì i contrasti che già esistevano nell’universo neofascista. Così, mentre i
vertici dei gruppi universitari e la segreteria del MSI impartivano determinati
ordini, la base giovanile si muoveva autonomamente.
Alla base di
quelle divergenze, comunque già emerse fin dai primi momenti in cui erano
iniziate le agitazioni studentesche, vi era, come accennato, la convinzione del
partito neofascista che l’errore dei giovani contestatori fosse quello di
lasciarsi strumentalizzare da un’esigua minoranza di «agitatori». Ad esempio,
l’organo del MSI, «Il Secolo d’Italia», che ebbe la funzione di incanalare le
accuse rivolte al movimento di contestazione da parte del partito neofascista,
ai primi di febbraio, in concomitanza con le occupazioni delle facoltà di
Architettura, Lettere e Medicina dell’università di Roma, scriveva:
Nelle due
facoltà di Lettere ed Architettura si era cercato di concretare una azione comune
comprendente le varie associazioni studentesche, ma ad un certo punto del
dibattito una sparuta minoranza ha cominciato a divagare. Non si parlava più
rivendicazioni universitarie, ma si urlava a proposito del Vietnam e si
inneggiava al “Che” Guevara ed alla saggezza difficilmente assimilabile di
Mao-Tse-Tung. Ora, la maggioranza degli studenti ha capito il gioco e si è
ritratta dalla reazione. Si è ritirata non perché ritenesse inopportuna
l’“occupazione”, ma soltanto per un ovvio motivo di coerenza. È infatti poco
coerente e in cattiva fede chi, strumentalizzando una effettiva rivendicazione
comune, sostanzialmente propaganda il proprio “credo” politico,
indipendentemente alla bontà di esso. E questo è stato il comportamento degli
universitari di timbro marxista […]. In Architettura bivaccavano qualche decina
di dimostranti; in quella di Lettere al massimo una quindicina. Il loro aspetto
è quello comune a tutti i giovani “leoni” di sinistra. I maschi hanno tutte le
caratteristiche psicosomatiche dei protestatari di professione: barba incolta e
maleodorante, abbigliamento “degagé” ed occhio con espressione adirata. Le
studentesse invece, se non per la femminilità degli atteggiamenti, si
distinguevano per la generosità delle minigonne[17].
Nel corso
del mese di febbraio, tuttavia, all’interno del partito vi era ancora
incertezza riguardo all’atteggiamento da assumere nei confronti della
contestazione. Questi dubbi crescevano nel momento in cui i quadri dirigenti
del MSI verificavano che, talvolta, fra i promotori e i partecipanti alle
occupazioni e alle manifestazioni studentesche vi erano anche giovani di
destra. In quel frangente, intervenne Mantovani, il presidente del FUAN, per
puntualizzare la posizione della dirigenza dell’organizzazione studentesca.
L’intento di Mantovani era quello di situarsi in una posizione mediana,
considerando che era il leader di un’associazione missina – quindi legata al
partito neofascista – e, nello stesso tempo, si trovava a capo di
un’organizzazione universitaria che non poteva sentirsi estranea a quelle che
erano le richieste e le esigenze degli studenti. Così, sul quotidiano del
partito neofascista comparve un suo articolo con il quale tentava di chiarire
la situazione. Innanzitutto, Mantovani effettuò un’analisi dei motivi che erano
alla base della rivolta, evidenziando che le cause immediate della
contestazione dovevano essere ricercate nella «lentezza» dello Stato nel
risolvere i «gravi problemi strutturali e ricettivi dell’istruzione
universitaria» e nell’«incertezza», anzi nell’«autentica pavidità» delle
«autorità accademiche»[18]. Il presidente del FUAN, nello stesso tempo,
riconosceva anche che la contestazione giovanile era «spontanea e
generalizzata» e che era determinata sia dall’insofferenza degli universitari
per un «“sistema” palesemente iniquo» che dalla loro aspirazione ad
un’«università moderna ed efficiente». La «lotta studentesca per un’università
migliore» avrebbe dovuto rappresentare la «lotta per una società migliore».
Queste erano le “concessioni” che Mantovani faceva alla contestazione
studentesca, poiché, alla fine dell’articolo, egli precisava che il FUAN era
stato «parte viva e stimolante» dell’insurrezione universitaria, nel
«promuoverla» e nell’«indirizzarla», ma, nello stesso tempo, ne aveva anche
denunciato gli «errori» e gli «eccessi»[19].
Quella di
Mantovani voleva essere una direttiva vincolante, all’interno di una struttura,
quella del FUAN, in cui le sedi periferiche e la base non erano direttamente
dipendenti alle decisioni del presidente. In realtà, il FUAN non era
un’organizzazione nazionale, ma una federazione di gruppi di ateneo, in cui i
vari dirigenti locali erano eletti da tutti gli iscritti, mentre il vertice era
nominato direttamente dal partito. In questo tipo di struttura, se il
presidente del FUAN dipendeva dai vertici del MSI, la base e i dirigenti
periferici godevano invece di una discreta autonomia. Questi ultimi, inoltre,
spesso si riconoscevano più nelle sigle locali che in quella nazionale. Ad
esempio, questo era il caso del GUF (Gruppo Universitario Fiamma) di Napoli e
della Caravella di Roma. Così, se la presidenza nazionale del FUAN avesse
accettato le direttive del partito riguardo al movimento di contestazione,
spettava ai vari dirigenti locali appoggiare o meno questa disposizione, sulla
base di quello che era l’orientamento prevalente nel gruppo universitario di
cui avevano la reggenza. In questo contesto, le varie ramificazioni del FUAN
presenti nelle numerose università italiane potevano assumere – come fu in
realtà – atteggiamenti diversi nei confronti della rivolta studentesca. Ad
esempio, all’università di Milano – in cui le occupazioni erano iniziate già
dal novembre del 1967 – si arrivò quasi subito alla contrapposizione frontale:
gruppi di giovani neofascisti aggredirono in più occasioni gli studenti
contestatori. Alla Sapienza di Roma invece la situazione fu diversa.
Fin dai
primi incidenti e dalle prime occupazioni nell’ateneo romano, vi fu fra gli
iscritti al FUAN-Caravella una divergenza di opinioni. Accanto a coloro che
intendevano «fornire» un’«adeguata» risposta alla «sovversione comunista» e
«buttar fuori i rossi dall’università» vi era chi rifiutava questa opzione e
guardava al movimento come ad un fenomeno spontaneo di «rivolta contro il sistema»,
in cui era necessario «inserirsi» per indirizzarla verso «binari non
marxisti»[20]. Nella Caravella, diretta da Sergio Coltellacci e da Cesare
Perri, lentamente sarebbe prevalso quest’ultimo orientamento. Comunque, nel
frattempo, vi era anche chi manteneva una collocazione ambigua. Questo era il
caso del presidente della Caravella di Architettura, Sandro Tribuzi, al quale
venne affidata, come rappresentante del FUAN, la redazione sul «Secolo» delle
cronache dall’università[21]. Dunque, se fra i dirigenti del FUAN-Caravella,
almeno per i primi due mesi del 1968, non erano ancora emersi un indirizzo
unitario e un’opinione omogenea sull’atteggiamento da tenere nei confronti del
movimento, il partito neofascista, in seguito ai nuovi incidenti verificatisi
tra studenti e forze dell’ordine fra il 23 e il 24 febbraio, nell’università di
Roma, abbandonò qualsiasi forma di tatticismo e di tolleranza. Ormai il MSI,
schierandosi apertamente contro le rivolte studentesche, indicava senza mezze
misure e con chiarezza chi era il “nemico”: la «teppaglia comunista». In un
articolo del “Secolo” era infatti scritto:
La
situazione dell’Università è ormai giunta al limite del tollerabile. La
teppaglia di sinistra si è servita di alcuni motivi (forse giustificabili) di
scontento per provocare l’occupazione delle sedi universitarie. E la “protesta”
espressa attraverso l’occupazione ha ben presto mostrato il suo vero volto:
aule lordate, suppellettili sfasciate, sporcizia dappertutto. Alle finestre dei
locali occupati o dietro i cancelli le espressioni ebeti di straccioni ed
invertiti colmi di capelli, lerciume e pidocchi. E, per meglio chiarire la
situazione nel suo significato sostanziale, questa plebaglia che ha saputo
soltanto compiere vandalismi e porcherie di ogni genere, ha ricevuto l’appoggio
entusiastico di tutta la stampa di sinistra. In breve, la cosiddetta “protesta”
studentesca […] si è svelata per una manovra demagogica delle sinistre tendente
a portare il caos (più di quanto non ve ne sia già) anche nelle Università[22].
Le ragioni
degli studenti
Chi erano in
realtà quegli studenti neofascisti che, come abbiamo accennato, ebbero come
punto di riferimento la rivista «L’Orologio» e che contrariamente alle
direttive del MSI presero parte alle rivolte universitarie? Essi erano
semplicemente studenti che, trovandosi in linea con alcune posizioni del
movimento studentesco cercarono di collocare su di un piano inferiore la
polemica fascismo-antifascismo.
I giovani
che protestano sono studenti, – è scritto su «L’Orologio» – sono cioè della
gente che vive ancora la pur breve ma affascinante stagione del non trovarsi
inseriti e integrati (ma perché non dire senz’altro imprigionati?) nel sistema
sociale che inesorabilmente attende con i suoi ingranaggi; i giovani che protestano
sono studenti, cioè gente alle prese con quei fatti della cultura e
dell’intelletto che, specialmente nella fase dell’apprendimento, sono, tra i
fatti umani, i più liberi dall’immediata strumentalizzazione degli interessi
materiali; i giovani che protestano sono giovani, cioè gente che ancora conosce
la spinta della pressione biologica ad aggredire con calore la vita e la
società[23].
Quei giovani
neofascisti consideravano il sistema universitario obsoleto. In un articolo de
«L’Orologio», dal titolo eloquente – Università e tromboni – era scritto che la
crisi dell’università era reale, perché la società italiana di «ieri» non
poteva essere in grado di affrontare i problemi del «domani».
[La crisi
dell’università] è una crisi di tutta una Nazione, di un suo sistema, di un suo
modo di vita che si scontra con le esigenze poste da una nuova realtà […]. È
troppo comodo limitarsi a spiegare la crisi dell’Università con il
sovraffollamento, la mancanza di attrezzature, la insufficienza dei fondi,
l’inadeguata preparazione dei docenti e così via. Le radici della crisi,
infatti, stanno proprio nell’università in se stessa[24].
Il sistema
universitario rispondeva «perfettamente» ai principi della società liberale;
era ritenuto, cioè, un mero strumento atto al mantenimento del potere nelle
mani di pochi. Spesso accadeva che le cattedre – come veniva denunciato anche
dallo stesso movimento studentesco – fossero usate per trovare una
«sistemazione» ai ministri.
Il regime si
è posto – continuava l’articolo – sin dai suoi inizi l’obiettivo della «scuola
democratica» quale strumento per educare le nuove generazioni; dopo venti anni
si trova con un’Università strutturata come quella dell’anteguerra, che
scricchiola di fronte alle nuove esigenze. Tutto quello che ha saputo fare è di
averla trasformata in deposito per i propri tromboni![25]
Le tematiche
– proprie anche del fascismo –, come ad esempio rivoluzione e contestazione al
sistema e, per certi versi, anche opposizione all’ordine borghese, attraverso
le quali i giovani studenti di destra si sentivano accomunati ai propri
coetanei di sinistra, erano proprie della cultura politica del neofascismo
italiano, e non solo, fin dalla nascita della Repubblica. Continuarono ad
esserlo per quasi tutto il dopoguerra: l’opposizione al sistema partitocratrico
fu sempre un cavallo di battaglia non solo del MSI ma anche delle
organizzazioni extraparlamentari a latere di esso. Invece, ad avere in questo
contesto particolare interesse è il significato che assunse per i giovani contestatori
neofascisti tale opposizione ad un sistema, in cui già si riconoscevano come
«proscritti», come, per dirla con Marco Tarchi, «esuli in patria». In una
testimonianza riportata nel libro, A Valle Giulia, scritto, anni dopo, in forma
volutamente anonima da alcuni studentineofascisti che parteciparono agli
scontri di Valle Giulia, è riportato:
Era una
generazione in rivolta, la nostra stessa, in fondo […] Non si vuol fare della
rievocazione, solo uno spaccato di un momento vissuto intensamente a vent’anni.
Però è bene precisare: rivolta generazionale sì, confusione di idee, peggio, di
identità, no […]. Loro avevano da uccidere il padre, per dirla con Freud, e lo
chiamavano “la resistenza tradita”; noi avevamo alzato altari e roghi nella
notte a memoria di un padre avvolto in bandiera rosso-nera e la divisa con due
gladi. Però, il padre che loro leggevano a tutto tondo grigio e ormai in
pantofole era lo stesso che aveva sparato alle spalle al nostro. Allora, dar
loro una mano non ci appariva correità, ma atto di giustizia[26].
Quella
“generazione in rivolta” fece propria un’altra parola d’ordine del movimento
studentesco: l’antiautoritarismo. Il concetto di gerarchia[27], che giocava
nell’area di destra un ruolo fondamentale, iniziò a vacillare in nome di una
profonda critica all’autorità costituita; quell’autorità in primis era
rappresentata, come abbiamo visto, dai propri padri politici[28]. Quei giovani
neofascisti infatti avevano sì scelto di militare a destra, ma lo avevano fatto
in un modo differente rispetto ai propri predecessori, poiché la maggior parte
di essi era nata dopo la guerra e del fascismo non avevano vissuto pressoché
nulla.
Se il
movimento di contestazione studentesca di sinistra esplicitò in primo luogo
un’estrema ed irriverente opposizione verso le istituzioni, le strutture
sociali, il potere precostituito, da destra, si riconosceva piena legittimità
solo all’autorità scientifica.
L’Unica
Autorità che vige nell’Università e l’unica che possa esistere all’interno di
una vera Università – è scritto in un documento prodotto durante le occupazioni
studentesche da un gruppo universitario neofascista – l’Autorità Scientifica.
Per Autorità Scientifica si intende l’autorità che emana dalla scienza o, più
generalmente del sapere e che si individua o si localizza necessariamente in
coloro che, per il loro alto grado di sapere e di eticità, si impongono e
dirigono l’attività degli altri. È evidente che una simile autorità si attiene
esclusivamente a quella che è l’attività di studio e la predisposizione delle
modalità che tale attività permettono e rendono più spedita e libera[29].
Il rifiuto
dell’autorità non si esplicitò solo nei confronti delle autorità accademiche,
ma anche verso altre forme di potere costituito. Ecco come «L’Orologio»,
attraverso la testimonianza di due anonimi giovani universitari neofascisti,
commentò i fatti del 1° marzo a Valle Giulia, nel momento in cui gli scontri
fra gli studenti e le forze dell’ordine si erano fatti più duri:
“Una scena
indescrivibile – aggiunge A. P. P., di Medicina, […] – a ripensarci mi viene da
ridere. Ci facevamo sotto insieme ai comunisti, ma loro gridavano: polizia
fascista! Noi cantavamo All’armi!” […]. “Poi hanno preso fuoco i mezzi della
Polizia – dice T.C., uno studente di biologia […]. – Non si è potuto scoprire
chi sia stato […]. In mezzo a quella sarabanda le fiamme facevano un effetto
terribile. Veniva voglia di arrampicarsi sul tetto di Architettura e godersi la
scena suonando la lira come Nerone… Poi le guardie hanno alzato le mani. Non
volevamo credere ai nostri occhi, ma era proprio così, stavano tutti con le
mani in alto! ”[30]
Comunque,
quell’avvicinamento iniziale fra giovani di opposte tendenze politiche, tanto
decantato da «L’Orologio» come uno «scacco» contro il conformismo borghese, era
destinato, di lì a poco, a non avere conseguenze significative; e le parole
dell’allora presidente della Caravella, Perri, con le quali egli descriveva la
situazione del movimento studentesco a Roma immediatamente dopo i fatti di
Valle Giulia, non avrebbero avuto seguito.
Innanzitutto
le agitazioni – disse Perri – hanno chiaramente dimostrato che la gioventù è
pronta a recepire i discorsi antisistema e questo si è visto a Valle Giulia
[…]. È un’intera generazione che si ribella contro il sistema […]. Risultati
particolarmente importanti li abbiamo […] conseguiti nel nostro ambiente. Nel
giro di pochi giorni siamo riusciti a distruggere una mentalità passiva, avendo
molto coraggio, anche in piazza. Ma questa battaglia deve essere continuata.
Valle Giulia finirebbe per diventare un fatto negativo, se non gli diamo un
seguito. Noi continueremo la nostra battaglia nel campo universitario[31].
Tuttavia,
dopo i ripetuti richiami all’ordine lanciati dalla segreteria del MSI, come aut
aut in nome della fedeltà al partito, e diretti ai quei giovani militanti
neofascisti che ancora continuavano a partecipare alle assemblee del movimento
studentesco, i vertici del MSI decisero di porre fine a quella che ritenevano essere
la «marcia rossa» all’università. La mattina del 16 marzo del 1968, così, con
la cosiddetta «spedizione punitiva» all’università di Roma, guidata da due
leader del MSI, Caradonna e Almirante, chiamata a cacciare gli «stracci rossi»
dall’ateneo e i giovani eretici di destra, venne ripristinato l’ordine.
Quell’evento, oltre che determinare la rottura definitiva fra le due
generazioni, produsse un’effettiva frantumazione delle organizzazioni giovanili
di destra e, come ha sostenuto anni più tardi un esponente del partito
neofascista, Giuseppe Niccolai, una vera e propria diaspora all’interno del
mondo giovanile di destra.
Comunque,
quell’esperimento, appena abbozzato di partecipazione alla contestazione
giovanile, provocò nelle fila neofasciste un reale corto circuito dal punto di
vista culturale, oltre che organizzativo. Il '68 rappresentò una sorta di
trauma poiché spinse in qualche modo i giovani neofascisti a «ripensare» se
stessi e a «rispondere» sullo stesso piano e con gli stessi mezzi dei propri coetanei
di sinistra a quella che essi, per primi, percepivano come una rivolta
generazionale[32].
Si potrebbe
ipotizzare che la successiva nascita di gruppi come Organizzazione Lotta di
Popolo a Roma o Avanguardia di Popolo[33] a Napoli dipese anche da quello
scombussolamento ideologico e, per certi versi, antropologico, come se quella
sorta di confusione riuscì in qualche modo a prendere forma.
Ad esempio,
Organizzazione Lotta di Popolo, fondata nel 1969, con il preciso scopo di
cercare e creare uno spazio che permettesse a tutti gli studenti non comunisti
di continuare – dopo le conseguenze degli episodi del 16 marzo – ad
organizzarsi all’interno delle università, era caratterizzata da un’estrema
originalità. L’atipicità del gruppo risiedeva nel suo eclettismo ideologico,
ossia nell’intento di coniugare riferimenti dottrinali tradizionalmente
appartenenti all’armamentario della destra con altri provenienti dalla cultura
di sinistra. Il movimento, ad esempio, nella volontà di abbattere gli steccati
e di cancellare divisioni e incomprensioni fra destra e sinistra, si sforzava
di coniugare l’opera di Nietzsche e di Céline con quella di Malcom X e con gli
scritti di Mao.
Sarebbe
interessante chiarire se effettivamente il movimento di contestazione e
soprattutto l’intento esplicitato da alcuni giovani neofascisti di partecipare
alla protesta come reali protagonisti in nome di una possibile unità
generazionale produsse degli effetti visibili negli anni successivi.
Quell’esperimento appena accennato probabilmente condusse alla definizione di
tematiche comunque già presenti nel panorama della destra neofascista,
estremizzandone però i contenuti. Basti pensare all’opposizione al sistema
borghese, che negli anni settanta divenne uno dei principali cavalli di
battaglia di numerosi gruppi i quali teorizzarono – anche sotto l’influenza di
nuovi riferimenti culturali – un attacco frontale allo Stato, in quanto piena
espressione della società borghese.
Bibliografia
A Valle
Giulia, Roma, edizioni Publicondor, 1990
AA.VV.,
Adriano Romualdi. L’Uomo, L’Azione, Il Testimone, Roma, Associazione Culturale
Raido, 2003
Abrams
Philip, Sociologia storica, Bologna, Il Mulino, 1993
Baldoni
Adalberto, Noi rivoluzionari. La destra e il caso italiano: appunti per una
storia 1960-1986, Roma, Settimo Sigillo, 1986
Baldoni
Adalberto, Sessantotto. L’utopia della realtà, Roma, Istituto Luce, 2006
Baldoni
Adalberto, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo della libertà,
Firenze, Vallecchi, 2009
Cofrancesco
Dino, La destra radicale dinanzi al fascismo, in: AA.VV., Nuova destra e
cultura reazionaria negli anni ottanta, Atti del convegno di Cuneo, novembre
1982, «Notiziario dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo e provincia»,
n. 23, 1982
Crainz
Guido, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni ottanta, Roma,
Donzelli, 2003
De Turris
Gianfranco (ed.), I non-conformisti degli anni settanta. La cultura di destra
di fronte alla «contestazione», Milano, Ares, 2003
Documento
prodotto da Caravella durante le occupazioni di Farmacologia e Giurisprudenza a
Roma, in: A Valle Giulia, A Valle Giulia, Roma, edizioni Publicondor, 1990
Evola
Julius, La dottrina aria di lotta e vittoria, Padova, edizioni AR, 1986
Evola
Julius, La gioventù, i beats e gli anarchici di destra, in: Id., L’arco e la
clava, Milano, edizioni All’Insegna del Pesce d’Oro (Scheiwiller), 1968
Evola
Julius, La gioventù, i beats e gli anarchici di Destra, in: Id., L’arco e la
clava, Roma, Edizioni Mediterranee, 1995
Evola
Julius, Lo stato (1934-1943), Roma, Fondazione Julius Evola, 1995
Ferrara
Orazio, Il mito negato: da Giovane Europa ad Avanguardia di Popolo. La destra
eretica degli anni Settanta, Sarno, Centro Studi I Dioscuri, 1995
Ferraresi
Franco (ed.), La destra radicale, Milano, Feltrinelli, 1984
Ferraresi
Franco, Minacce alla democrazia, Milano, Feltrinelli, 1995
Freda
Franco, La disintegrazione del sistema, Padova, Edizioni di AR, Padova 2000
Gasparetti
Alessandro, La destra e il '68, Roma, Settimo Sigillo, 2006
Germinario
Francesco, Estranei alla democrazia. Negazionismo e antisemitismo nella destra
radicale italiana, Pisa, BSF, 2001
Giachetti
Diego, Un sessantotto e tre conflitti. Generazione, genere, classe, Pisa, BFS
edizioni, 2008
Guénon René,
Autorità spirituale e potere temporale, Milano, Luni, 1995
Guénon René,
Forme tradizionali e cicli cosmici, Roma, edizioni Mediterranee, 1987
Guénon René,
J. Evola, Gerarchia e democrazia, Padova, edizioni AR, 1987
Ignazi
Piero, Il polo escluso. Profilo del Movimento Sociale Italiano, Bologna, Il Mulino,
1989
Ignazi
Piero, Postfascisti?, Dal Movimento Sociale Italiano ad Alleanza Nazionale,
Bologna, Il Mulino, 1994
Lucci
Chiarissi Luciano, Esame di coscienza di un fascista, Roma, IRSE, 1978
Michelini
Arturo, La verità sull’ateneo romano, s.d.
Niccolai
Giuseppe, Prefazione a Baldoni Adalberto, Noi rivoluzionari, Roma, Settimo
Sigillo, 1986
Ortoleva
Peppino, Saggio sui movimenti del ’68 in Europa e in America, Roma, Editori
Riuniti, 1988
Pennacchi
Antonio, Il fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi, Milano,
Mondadori, 2003
Raisi Enzo,
Storia e idee della nuova destra italiana, Roma, Settimo Sigillo, 1990
Rao Nicola,
La fiamma e la celtica, Milano, Sperlig & Kupfer, 2006
Rao Nicola,
Neofascisti! La destra italiana da Salò a Fiuggi nel ricordo dei protagonisti,
Roma, Settimo Sigillo, 1999
Revelli
Marco, La Nuova Destra, in: Franco Ferraresi (ed.), La destra radicale, Milano,
Feltrinelli, 1984
Revelli
Marco, Le due destre, Torino, Bollati Boringhieri, 1996
Romualdi
Adriano, Julius Evola: l’uomo e l’opera, Roma, Volpe, 1979
Romualdi
Adriano, Perché non esiste una cultura di destra, in: Id., Una cultura per
l’Europa, Roma, Settimo Sigillo, 1986
Rossi Gianni
Scipione, Alternativa e doppiopetto. Il MSI dalla contestazione alla destra nazionale
(1968-73), Roma, Istituto di Studi Corporativi, 1992
Tarchi
Marco, Cinquant’anni di nostalgia. La destra italiana dopo il fascismo, Milano,
Rizzoli, 1995
Tarchi
Marco, Esuli in patria. I fascisti nell’Italia repubblicana, Parma, Guanda,
1995
Tassani
Giovanni, Il Movimento Sociale Italiano da Almirante a Fini, in: Catanzaro
Raimondo, Nanetti R. Y. (ed.), Politica in Italia, Bologna, Il Mulino, 1989
Tassani
Giovanni, Vista da sinistra. Ricognizioni sulla Nuova Destra, Arnaud, Firenze,
1986
Zucchinali
Monica, A destra in Italia oggi, Milano, SurgaCo, 1986
Riviste e
quotidiani
Agli
“sgoccioli” la farsa comunista, «Il Secolo d’Italia», n. 37, 14 febbraio 1968,
4
Ajello
Nello, Vi odio cari ragazzi,«L’Espresso», n. 24, 16 giugno 1968, 12-13
Amendola
Giorgio, Necessità della lotta su due fronti, «Rinascita», n. 23, 7 giugno
1968, 3-4
Anarchia
all’università, «Il Secolo d’Italia», n. 28, 3 febbraio 1968, 4
Castellacci
Mario, Quarant’anni, «L’Orologio», n. 1, giugno 1963, 23
Chiarini
Roberto, Il problema storico di una destra illegittima, «Democrazia e Diritto»,
n. 1, 1994
Gli studenti
nazionali insorgono contro il totale caos per tutelare la libertà di studio e
l’ordine negli atenei. Fuori la teppa dall’università!, «Il Secolo d’Italia»,
n. 47, 25 febbraio 1968
Guerrieri
Loredana, Le strategie di destabilizzazione viste nella pubblicistica
dell’estrema destra. La rivoluzione si sa è come il vento… non la si può
fermare, le si può solo far perdere tempo, in Dondi Mirco (ed.), I Rossi e i
Neri, Terrorismo, violenza e informazione negli anni Settanta, Nardò (Lecce),
Edizioni Controluce, 2008
I docenti
del tumulto, «Il Secolo d’Italia»,n. 52, 2 marzo 1968, 1 e 8
Ignazi
Piero, La cultura politica del Movimento Sociale Italiano, «Rivista italiana di
Scienza Politica», n. 3 1989
Il
Saggiatore, Le ali dei giovani, «L’Orologio», 31 marzo 1968, 4
Interlandi
Cesare, L’università e la realtà pratica un distacco dovuto al malcostume, «Il
Secolo d’Italia», 17 maggio 1968, n. 115, 3
Longo Luigi,
Il movimento studentesco nella lotta anticapitalista, «Rinascita», n. 18, 3
maggio 1968, supplemento a Il contemporaneo, 15
Lucci
Chiarissi Luciano, Editoriale, «L’Orologio», n. 1, giugno 1963, 1-2
Lucci
Chiarissi Luciano, Per una nuova iniziativa politica. Un inedito del 1974,
«Rivista di Studi Corporativi», n. 1-3, gennaio-giugno 1990, 25-40
Mantovani
Cesare, Università in rivolta, «Il Secolo d’Italia», n. 36, 13 febbraio 1968, 1
e 8
Neri Romano,
Dagli atenei la rivolta al sistema, «L’Orologio», n. 5, 15 marzo 1968, 8-10
Pasolini
Pier Paolo, Il PCI ai giovani, «L’Espresso», n. 24, 16 giugno 1968, 13
Revelli
Marco, I «nuovi proscritti»: appunti su alcuni temi culturali della «nuova
destra», «Rivista di storia contemporanea», n. 1, 1983
Romualdi
Adriano, Contestazione controluce, «Ordine Nuovo», n. 1, marzo-aprile 1970,
22-24
Tarchi
Marco, L’impossibile identità. Il neofascismo italiano tra destra e sinistra,
«Trasgressioni», n. 2, 1989
Tassani
Giovanni, La nuova destra, «Democrazia e Diritto», n. 1, 1994
Una carnevalata
che è durata anche troppo, «Il Secolo d’Italia», n. 47, 25 febbraio 1968, 1 e
5.
Vulpitta
Romano, Università e tromboni, «L’Orologio», n. 4, 29 febbraio 1968, 5-6.
Questo
articolo si cita: L. Guerrieri, La giovane destra neofascista italiana e il '68.
Il gruppo de «L'Orologio», «Storicamente», 5 (2009),
http://www.storicamente.org/07_dossier/sessantotto-guerrieri.htm
Nessun commento:
Posta un commento