di Filippo Giannini
Non era ancora finita la guerra
1939-1945, che l’antifascismo coniò il termine “nazifascismo”. Il motivo è
palese: si vogliono accorpare le responsabilità sulle infamie – reali, presunte
o costruite che siano – del nazionalsocialismo con il fascismo.
Una cosa va
chiarita prima di entrare nell’argomento: Mussolini sin dalla nascita del
movimento hitleriano e fino agli ultimi giorni della sua vita, anche quando
l’aiuto tedesco per la conduzione della guerra ormai compromessa, sino ad
allora, ripeto, differenziò sempre l’ideologia della sua creatura, il Fascismo,
da quella del Nazionalsocialismo.
Agli
osservatori superficiali o interessati, parrebbe evidente che l’uno (il
Nazionalsocialismo) e l’altro (il Fascismo) avessero molte analogie, una fra
tutte: avere gli stessi avversari e cioè il comunismo e il capitalismo.
Tuttavia, sin dai primordi dei due Movimenti – certamente “totalitario” il
primo, “autoritario” il secondo – erano evidenti precise differenze, così
profonde che il confronto fra le due “dittature” può essere trasportato solo a livello
di generica astrazione.
Una delle
massime mussoliniane era: “O lo Stato Fascista è uno Stato Corporativo, o non è
uno Stato Fascista”. Il Corporativismo economico di tipo italiano fu ricusato
da Hitler in quanto contemplava una certa autonomia per ben precise componenti
istituzionali. Il Führer impose il controllo completo del Partito su ogni
organo sociale ed economico dello Stato.
Una delle
più profonde divergenze fra le due ideologie è quella del “razzismo”,
concezione sconosciuta ai fascisti italiani ed estranea agli italiani in
generale. La qual cosa darà adito, proprio a partire dal 1938 (data della
divulgazione in Italia delle “leggi razziali”) a contrasti sempre più stridenti
fra i due Paesi “alleati”.
Ogni
rivoluzione prevede la nascita dell’”uomo nuovo”: quello nazionalsocialista
sarebbe stato un prodotto biologico, quello fascista era orientato sulla
tenacia, sulla tradizione ed i valori della “romanità” e sulla formazione
culturale.
Come sappiamo,
il fascismo salì al potere come Movimento di minoranza che venne scelto dalla
Monarchia come “male minore”, vista la situazione pre-rivoluzionaria esistente
in Italia in quegli anni. Ecco, quindi, un’altra delle differenze fra il
fascismo e il nazionalsocialismo. Quest’ultimo giunse al potere nel 1933 forte
del consenso – democratico – del 40% dei tedeschi.
Altra
differenza sostanziale fra i due regimi è che quello italiano si sviluppa
all’interno di uno Stato fortemente radicato nella Chiesa cattolica, intralcio
che in quello tedesco era inesistente.
Stessa
situazione esisteva per l’istituto monarchico con il quale il fascismo dovette
fare i conti. Ostacolo insussistente in Germania.
Certamente
le differenze più sostanziali fra i due regimi sono forse quelle che riguardano
il rapporto fra Partito e Stato e l’assetto futuro del mondo. Nel fascismo si
esaltavano le funzioni di popolo e comunità, ma l’uno e l’altro debbono operare
nell’interno dello Stato. Nello Stato fascista il Partito stesso è subordinato
allo Stato: “Tutto nello Stato, niente fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”.
E’ fuor di
dubbio che nel programma fascista c’è la volontà di creare uno “Stato
totalitario”, ma “totalitario” nel senso fascista: “totalitario in quanto la
totalità è nello Stato”.
Così, se in
Italia trovano forma i “Codici Rocco”, certamente autoritari e che ancor oggi,
a livello giurisdizionale, sono validi, se vi era un Senato di nomina regia, se
vi era un Parlamento che si svilupperà poi nella “Camera dei Fasci e delle
Corporazioni”, per cui il lavoro parlamentare svolgeva le sue funzioni e il
legislatore poteva manifestare la propria opera in modo organica, tutto questo
nella teoria giuridica nazionalsocialista non esiste. Nella Germania
nazionalsocialista il Partito controlla lo Stato, anzi e più propriamente, lo
Stato è il Partito.
Con maggior
precisione il professor F. Muni, nella conferenza tenuta all’Istituto Storico
di Terranova Bracciolini il 16 settembre 1998, ha precisato. .
Nell’Italia
fascista teorie del genere erano impensabili.
Per
concludere questo certamente incompleto esame delle diversità dottrinarie e di
sostanza fra i due regimi, va evidenziato l’aspetto decisamente di base che
differenziava le due “dittature”: la personalità e il senso del comune vivere
civile dei due “dittatori”, così diversi che condizionerà la storia quando
questa sarà libera di essere scritta senza gli agganci che le sono stati
imposti.
Chiudiamo
ricordando il pensiero di Renzo De Felice, come riportato nell’”Intervista sul
Fascismo”, pag.51: “Nei rapporti con le Grandi Potenze il fascismo si presenta
come un regime pacifico, un regime che, quando Hitler va al potere, non sente
le sirene del Führer, anzi gli si oppone (…). Leggendo i libri scritti da
fascisti, guardando la pubblicistica fascista, i giornali fascisti, ciò che
colpisce è l’ottimismo vitalistico che c’è dentro, un ottimismo vitalistico che
è la gioia, la giovinezza, la vita. Una prospettiva che – sia pure nei termini
che poteva avere un fascista – è progresso. Nel nazismo questo non c’è. Intanto
non c’è l’idea di progresso: semmai c’è l’idea di tradizione, l’idea di razza
(…). Un ottimismo esiste anche nel nazismo, ma non è vitalista come quello fascista,
piuttosto un ottimismo tragico”.
Insomma: tra
fascismo italiano e nazionalsocialismo tedesco ci sono semmai più punti di
divergenza che di somiglianza. Come ha osservato Michael Ledeen.
Se si
volessero trovare similitudini fra le tre grandi rivoluzioni del XX Secolo
(Comunismo, Fascismo e Nazionalsocialismo), queste sono più evidenti fra il
Comunismo e il Nazionalsocialismo che fra quest’ultimo e il Fascismo.
http://usnlombardia.wordpress.com/2012/10/06/nazifascismo-o-nazionalsocialismo-e-fascismo-di-filippo-giannini/
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