dott. Ubaldo Sterlicchio
Quando me
lo dissero, stentavo a crederci.
La bandiera
italiana, il famosissimo tricolore che tanti cuori ha fatto commuovere, al cui
cospetto tante generazioni hanno giurato fedeltà alla Patria e sotto la quale
milioni di italiani hanno combattuto fino all’estremo sacrificio, credendo in
una Nazione, altro non è che un vessillo massonico!
Purtroppo,
pochi sanno che i suoi tre colori sono gli stessi identici colori della
Massoneria e che l’accostamento rosso-bianco-verde, tutt’altro che casuale, fu
concepito con significati ben precisi nelle potenti ed influenti logge
massoniche settecentesche.
Vediamo
quando, come e perché.
Tantissime
sono le cose che, negli ultimi duecento anni, sono state dette e scritte sul
tricolore. Ci hanno raccontato tante belle storielle e fatto credere – qualcuno
lo fa ancora, non so se in buona o mala fede – cose totalmente difformi dalla
verità storica sulla bandiera italiana.
C’è chi ha
sostenuto che la bandiera tricolore sia stata l’unione fra il verde della speranza,
il bianco della purezza ed il rosso del sangue versato dai
patrioti-martiri per la causa dell’unità. Ma questa tesi viene subito confutata
dalla semplice constatazione che la nascita del tricolore precede di un buon
mezzo secolo gli avvenimenti risorgimentali.
Gli
italiani delle generazioni nate durante il XX secolo, sui banchi di scuola,
hanno imparato che il tricolore era formato dal verde delle nostre valli,
dal bianco delle nostre nevi e dal rosso delle fiamme dei nostri
vulcani! Ma anche queste romantiche definizioni, intrise di retorico
lirismo, non reggono alla verifica dei fatti, poiché sono state coniate da
Giosuè Carducci allorquando la bandiera italiana aveva già compiuto cento anni.
In
ultimo, sul quotidiano “L’Avvenire” di qualche anno fa, lo storico Franco
Cardini scrisse che «i tre colori della nostra bandiera sono alla base della
liturgia cattolica: fede, speranza e carità
[rispettivamente identificate con il rosso, con il verde e con il bianco, n.d.r.].
Ammantata di questi tre colori è la Beatrice che compare a Dante alla fine
della Cantica del Purgatorio». Ma il giornalista massone Aldo Chiarle (in un
suo famoso articolo, dal titolo chiaro ed inequivocabile: «Il Tricolore,
bandiera giacobina dell’Unità d’Italia, stendardo simbolo della Carboneria,
della Giovane Italia e della Massoneria. Fu la bandiera della repubblica romana
di Mazzini e Garibaldi»), con coerenza ed onestà intellettuale, si affrettò a
smentire questa versione poetico-religiosa, affermando che quella di Cardini
era «solo una garbata provocazione, perché chi conosce la storia
del nostro Risorgimento sa che l’unità e la libertà d’Italia è stata fatta soprattutto contro il papato e
i suoi alleati».
In
realtà, la bandiera tricolore è “ufficialmente” nata in epoca napoleonica e le
sue prime apparizioni si sono avute a Milano nel novembre del 1796. Fu,
infatti, lo stesso Napoleone Bonaparte a consegnare uno stendardo rosso,
bianco e verde ad un Corpo di volontari lombardi. Alla sommità dell’asta
vi era il “livello” massonico.
Meno
di due mesi dopo, esattamente il 7 gennaio 1797, convennero a Reggio
Emilia i delegati di quattro città (Reggio, Modena, Ferrara e Bologna), intenzionati
a costituire la Repubblica cispadana. La consacrazione del Vessillo avvenne nell’aula
magna di palazzo Bognini alla presenza di 36 delegati di Bologna, 24 di
Ferrara, 22 di Modena e 20 di Reggio.
Ma
la Repubblica cispadana tutto poteva essere tranne che un’espressione di
«italianità»: era una repubblica giacobina fantoccio a perfetta imitazione
di quella francese, dalla quale dipendeva in tutto e per tutto.
Perché
la scelta di Reggio Emilia? Perché a Reggio Emilia (oltre che a Genova) era
stato piantato per la prima volta in Italia il
c.d. «albero della libertà», un grande albero che rappresentava
la natura, adorno di nastri tricolori e sormontato da emblemi rivoluzionari. Da
quel momento, il tricolore sventolò
ufficialmente, sino alla caduta di Napoleone (1814) quando, con la
restaurazione sancita dal Congresso di Vienna, la bandiera dei tre colori
divenne ipso facto il simbolo della sovversione e della cospirazione. Lo
stesso tricolore, frattanto, era stato anche adottato, come proprio
vessillo, dalla loggia massonica di Reggio Emilia.
Tuttavia,
a prescindere da queste documentate notizie storiche, una versione “ufficiosa”
vuole che il simbolo nazionale italiano esistesse già qualche anno prima della
Rivoluzione francese e che facesse bella mostra nella loggia degli Illuminati
di Baviera; ciò per volere di Giuseppe Balsamo, il famigerato sedicente conte
di Cagliostro. «Il
caso vuole che gli stessi tre colori fossero quelli utilizzati da Cagliostro
nei suoi cerimoniali massonici di Rito Egizio...», afferma Aldo Alessandro Mola
(storico ufficiale della massoneria) in un articolo dall’eloquente titolo «Il
ciarlatano che inventò il Tricolore», pubblicato qualche anno fa sulla Rivista
“Storia in Rete”.
Una
ulteriore conferma che il tricolore sia stato un’invenzione dei massoni, ci è
stata data poi da alcuni storici i quali, parlando in particolare del colore verde, lo hanno definito «sacro ed iniziatico
colore della Massoneria»; il che è vero, e non solo perché la bandiera donata da Napoleone ai volontari
lombardi aveva sull’asta il livello massonico, ma
perché il tricolore fu la
bandiera sacra
delle vendite carbonare, poi della Giovine Italia e da sempre quella delle officine massoniche. Marziano Brignoli, direttore delle
Raccolte Storiche del comune di Milano (Museo del Risorgimento e Museo di
Storia Contemporanea), non sospetto di simpatie «reazionarie», ha affermato che
«è chiaro che la nostra bandiera è nata ad imitazione di quella francese». Per
Brignoli «i nostri tre colori provengono dall'insegna di una setta massonica».
Sarà forse un caso, ma è certo che il rosso, il bianco e il verde erano anche i
colori della setta di affiliazione massonica del romagnolo Giuseppe Compagnoni,
segretario della Repubblica cispadana, che a Reggio Emilia propose di adottare
il tricolore come bandiera del nuovo Stato.
In quell’epoca, le sue bande erano
disposte talvolta verticalmente con quella verde vicino all'asta, talvolta
orizzontalmente con quella rossa in alto. A partire dal 1° maggio 1798, esse
furono disposte soltanto verticalmente, con l’asta tricolorata a spirale e
terminante con la punta bianca. Nella metà del 1802 la forma divenne quadrata,
con tre quadrati degli stessi colori racchiusi l'uno nell'altro.
Durante gli
anni dell’occupazione francese, questa bandiera passò dalla Repubblica cispadana
alla Repubblica cisalpina, poi alla Repubblica italiana (1802-1805) ed, infine,
al Regno italico (1805-1814). Tuttavia, nel periodo napoleonico, la bandiera fu
italiana solo di nome; la sua effimera gloria, conquistata di qua e di là delle
Alpi, fu sempre al servizio di interessi stranieri, ovvero francesi. Infatti,
alla caduta della dittatura bonapartista, nel 1814, il tricolore non solo
scomparve ovunque, ma fu generalmente considerato con disprezzo come emblema
dei collaborazionisti degli invasori francesi.
Alcune versioni del tricolore settecentesco giacobino-massonico
Si dovranno
attendere i «moti risorgimentali» per veder risuscitare il vessillo
tricolorato, grazie anche alla complicità delle stesse dinastie anti-bonapartiste
(come quella dei Savoia), che cominciavano ad «adeguarsi ai tempi» – in
particolare con il «Re Travicello» (Carlo Alberto), grande protettore di sette
e di logge – rivestendosi con i colori cispadani. Ripreso, nella
sua forma rettangolare, dai patrioti del 1821 e del 1831, Mazzini lo scelse
come “vessillo di partito” per la Giovine Italia, mentre le truppe garibaldine
lo adottarono come bandiera di guerra.
Giunse quindi l'ora dei «fratelli
d'Italia». «Fratello» massone era l’aristocratico mazziniano genovese Goffredo
Mameli (al quale fu addirittura intitolata una loggia), autore di una
composizione in versi scritta nell’autunno del 1847, dal titolo “Fratelli
d’Italia”, che dopo oltre un secolo, con l’avvento della Repubblica italiana,
verrà adottata come inno nazionale italiano “provvisorio”. Il Mameli, nato il 5
settembre 1827, morì il 6 luglio 1849, all’età di ventidue anni, per
un’infezione sopraggiunta a seguito di una grave ferita riportata mentre
combatteva in difesa della cosiddetta “Repubblica romana”, formazione politica
illegittima, costituita dalla fazione “liberale” dopo l’assassinio del primo
ministro pontificio Pellegrino Rossi e la fuga del papa Pio IX da Roma. Come
lui, massoni di rango furono tutti i vari «artefici» del «risorgimento» (voluto
da un Piemonte in cui si parlava più il francese che l’italiano): da Garibaldi
(nominato nel 1862 Gran Maestro e Primo Massone d'Italia) a Nino Bixio, da
Camillo Benso conte di Cavour a Costantino Nigra, da Bettino Ricasoli a
Ludovico Frapolli, e via dicendo. Fece eccezione il solo Massimo D’Azeglio.
Dedica massonica presso il
monumento a Garibaldi sul Gianicolo a Roma
Nel 1848,
il tricolore massonico (nel cui centro bianco fu collocato lo stemma
araldico-dinastico di Casa Savoia: uno scudo con croce bianca su sfondo rosso,
orlato d’azzurro) fu
adottato come bandiera nazionale del Regno sardo-piemontese.
A seguito
dell’unificazione della Penisola, nel 1861, la stessa bandiera tricolore
recante le armi savoiarde fu estesa al neonato Regno d’Italia ed imposta,
con la prepotenza e l’arroganza del conquistatore, a tutti gli italiani. Questa
estensione fu, tra l’altro, la chiara ed inequivocabile dimostrazione che non
si trattò di una unificazione del Paese condivisa e concordemente accettata da
tutti, bensì di un mero ampliamento territoriale dello Stato sabaudo che,
ideologicamente, era stato voluto solo dalla sparuta minoranza liberale,
costituita da appena l’1% dell’intera popolazione italiana.
La
bandiera tricolore mantenne tale foggia fino al referendum istituzionale del 2
giugno 1946, quando l'Italia divenne Repubblica. Con la caduta della dinastia
sabauda, infatti, lo scudo crociato dei Savoia fu eliminato.
La bandiera nazionale del
Regno sardo-piemontese
Premesso
che, nella bandiera italiana, il Verde sostituì l’Azzurro della Massoneria
Antica, colore quest’ultimo presente nelle bandiere (tricolori!) francese,
inglese ed americana, l’autentico significato di ciascuno dei tre colori è
esclusivamente massonico.
In
particolare, il Rosso rappresenta il Gran Maestro (grado più
elevato della gerarchia massonica), collocato «all’estremo flottante del
vessillo, per posizionare la Suprema Ragione fuori dal confine del Nuovo Ordine
Italiano»; il «Bianco centro» identifica il Massone, chiamato
anche Libero Muratore o Compagno (grado intermedio); mentre il Verde
immedesima l’Iniziato (grado più basso), cioè colui che è da poco tempo
entrato a far parte della confraternita massonica, definito in maniera più
puntuale «combattente e verde Operaio fermo alla picca della guerra».
Chi non
credesse a quanto è stato appena detto, può visionare l’antico e prezioso
documento, qui di seguito riprodotto, dal quale sono state attinte le
informazioni appena enunciate.
Il tricolore è, pertanto, un simbolo
sacro per i “fratelli” massoni.
In ogni riunione massonica, all’apertura dei lavori, questo vessillo viene
«portato all’Oriente» e collocato a fianco del Maestro Venerabile.
Interno di una loggia massonica, laddove si possono osservare:
sulla sinistra, la bandiera tricolore ed, al centro, la stella a cinque
punte.
Nel mezzo della sala è anche leggibile il trinomio rivoluzionario:
«libertà-uguaglianza-fratellanza»
Se poi, oltre a quanto
appena riferito, teniamo presente che la stella esoterica massonica (il
pentalfa) è presente nell’emblema della Repubblica italiana, come lo era in
quello del Regno d’Italia (le stellette a cinque punte compaiono, peraltro, sul bavero delle uniformi
militari italiane) e che l’inno nazionale principia con la parola “fratelli” (appellativo questo con il quale i frammassoni si
chiamano fra loro), il quadro è più che completo!
Stemma del Regno d’Italia Stemma della Repubblica italiana
Per l’insieme di tutti
questi motivi, quantunque inizialmente io abbia stentato a crederci, alla fine
ho dovuto – mio malgrado – farmene una ragione; e mi sono soprattutto reso
conto che il simbolismo massonico non riguarda solo aspetti puramente
formali e fine a se stessi. Esso sottende, al
contrario, motivazioni storiche, culturali, ideologiche, politiche,
economico-finanziarie, religiose, morali, – in una sola parola: esistenziali –
ben più profonde, le quali conducono ad una concezione della stessa vita
dell’uomo totalmente diversa da quella cattolica. Per queste ragioni, sussiste
un’assoluta incompatibilità tra il cattolicesimo (bimillenaria fede religiosa
del popolo italiano) e la libera muratoria; tanto è vero che, in base ad una specifica
norma di Diritto Canonico (il canone 1374 del Codex Iuris Canonici del
1983), i cattolici affiliati alle associazioni massoniche versano in stato di
peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione.
Ma purtroppo, ad opera
della stessa massoneria, in circa tre secoli (dal 1717 ai giorni nostri), nel
mondo moderno è stato anche realizzato un lento ma inesorabile processo di
scristianizzazione, per cui le tradizionali e “naturali” radici cristiane
dell’Italia (non disgiunte da quelle dell’Europa) sono state artatamente
soppiantate dalle moderniste ed “artificiali” radici ateo-massoniche.
Che delusione!
Telese Terme, ottobre 2012.
dott. Ubaldo Sterlicchio
tratto da: http://associazione-legittimista-italica.blogspot.it/2012/10/il-tricolore-simbolo-massonico.html
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