sabato 24 marzo 2012

Lo strano caso di Tyler Kent


Inserisci link Churchill-Roosevelt: Retroscena sull`entrata in guerra degli Usa.

di: Gaetano Marabello

Ognuno comprende che ci son storie che, per carità di patria, è bene non tirar fuori prima del tempo. Così è e così sarà, sempre. Ora, nel novero dei documenti compromettenti meno noti del secondo conflitto mondiale, vanno sicuramente iscritte almeno 1500 note che intercorsero - prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti - tra Franklin Delano Roosevelt e Winston Churchill.
La maggior parte di detti documenti è stata resa nota solo tra il 1950 e il 1975. Altre note (quelle più imbarazzanti del carteggio, evidentemente) attendono ancor oggi di essere de-secretate. Il motivo di ritardi e reticenze è di tutta evidenza anche adesso che la guerra è stata archiviata. Infatti, si tratta di un carteggio più che scottante, capace di sconvolgere persino certe presunte verità storiche. Sta di fatto che queste carte, ove fossero state rese pubbliche all’epoca in cui intercorsero, avrebbero compromesso il presidente americano, svelandone le trame guerrafondaie orchestrate alle spalle dell’opinione pubblica del suo paese. Eppure, ad onta delle precauzioni prese, questa rete di rapporti “top secret” rischiò d’essere compromessa ad opera di un giovane statunitense. I suoi connotati però, per le ragioni che ora vedremo, sono rimasti pressoché sconosciuti ai più. Veniamo ai fatti.
Nel settembre 1939, ambasciatore a Londra era il padre del futuro presidente americano ucciso a Dallas: Joseph Kennedy, detto Joe. Con la intraprendenza tipica dell’americano medio d’oltreoceano, egli era divenuto uno dei maggiori capitalisti americani. Uomo d’affari più che disinvolto, doveva la sua fortuna essenzialmente ad una serie di riuscite speculazioni nel campo degli alcolici e della cinematografia, che aveva effettuato dopo la crisi del ‘29. Avendo appoggiato economicamente per due volte Roosevelt nella corsa presidenziale, ne ebbe tra l’altro in cambio nel ’37 la promozione ad ambasciatore. Si recò quindi a Londra con l’intera famiglia, che annoverava ben nove figli. Come grandissima parte degli statunitensi del tempo, era pienamente favorevole alla neutralità USA nel conflitto scoppiato il 1 settembre del ’39 tra Hitler e l’Inghilterra. E lo diceva apertamente, dal momento che non desiderava far morire i suoi figli “in una guerra che non riguarda(va) l’America”. E’ da qui che prende le mosse una sorta di giallo internazionale, giocato probabilmente sulla pelle di un giovane addetto all’ufficio dei codici cifrati dell’ambasciata.
Tyler Gatewood Kent - queste erano le sue generalità - proveniva da un’ottima famiglia, che vantava come antenato il celebre David Crockett caduto a Forte Alamo. Nato nel 1911, egli aveva frequentato in patria e all’estero gli istituti migliori. Quindi, seguendo nel ’33 le orme paterne, s’era incamminato sulla via della carriera diplomatica. Dalla prima sede di Mosca, nell’ottobre del ’39 era stato trasferito proprio all’ambasciata di Londra. L’FBI lo sospettò sin da allora d’essere una spia sovietica e non smise di sottoporlo a frequenti inchieste anche dopo la fine della guerra durante la “guerra fredda”. Sospetti del tutto infondati, dal momento che Kent era un fervente anticomunista. Fu comunque nella capitale londinese che il suo lavoro lo portò a conoscere le note riservatissime che Churchill, “bypassando” il ministero degli affari esteri inglese, scambiava con Roosevelt. Scoprì così che i due statisti complottavano per la defenestrazione di Chamberlain, in combutta con il “partito della guerra” di Anthony Eden. Tra l’altro, Churchill utilizzava per le comunicazioni il cosiddetto “Codice grigio”, che era segretissimo. Kent era un isolazionista alla pari del suo ambasciatore, che in più era amico proprio di Chamberlain. Sicché, la conoscenza per motivi d’ufficio del contenuto compromettente di quella corrispondenza non poteva che trovare i due diplomatici sulla medesima lunghezza d’onda. Ma è da quel momento che cominciano i misteri.
Secondo il giornalista Seymour Herst, autore de “The dark side of Camelot” (Il lato oscuro di Camelot), l’ambizioso Joseph Kennedy intendeva correre per la futura presidenza americana. Di conseguenza, avrebbe ad un certo punto pensato di servirsi dell’inconsapevole Kent per realizzare i suoi ambiziosi progetti. In sostanza, lo incaricò di copiare tutte le lettere, in modo da disporre al momento opportuno di un’arma di ricatto con cui premere su Roosevelt. Quest’ultimo infatti gli negava il permesso di rientrare in patria, essendo intenzionato a ricandidarsi e avendo probabilmente conosciuto le intenzioni del ricco rivale. Cambiò tuttavia atteggiamento circa il rimpatrio solo quando lo stesso Kennedy gli recapitò alcune copie della corrispondenza segreta, facendogli capire d’essere pronto a divulgarne il contenuto.
Incredibilmente, però, al suo rientro l’ex ambasciatore non solo non si candidò più, ma tornò ad appoggiare per l’ennesima volta Roosevelt. Un cambio di rotta apparentemente inspiegabile e non imputabile certo a un ritorno di fiamma all’antica collaborazione pre-londinese. Cosa era dunque cambiato? Era accaduto che Kent era intanto finito nelle grinfie impietose della giustizia inglese, che gli aveva inflitto ben 7 anni di lavori forzati. Seymour Herst ventila l’ipotesi che Kennedy sia dovuto scendere a più miti pretese, essendo a sua volta “ricattabile”.
Churchill, infatti, informato da Roosevelt che c’erano in giro copie delle note top secret, avrebbe fatto mettere sotto controllo il telefono della delegazione americana prima della partenza di Kennedy. Avrebbe così procurato al suo referente della Casa Bianca le prove dell’infedeltà dell’ambasciatore e dell’aiutante. Non essendo disponibili ancor oggi le trascrizioni delle telefonate, è evidente che Herst è costretto a fermare le sue argomentazioni al livello di congetture. In ogni caso, è la dinamica dei fatti, oltre che la logica, a portare a conclusione che Kennedy abbia preferito bruciare Kent, per non bruciarsi a sua volta. Mettere sulla graticola l’ingenuo collaboratore non era del resto difficile. Il giovane aveva avuto la pessima idea di bazzicare il capitano inglese Archibald Henry Maule Ramsey, parlamentare tory, che sapeva schierato su posizioni favorevoli ad un compromesso onorevole con la Germania e che aveva fondato all’uopo il Right Club con circa duecento aderenti altolocati. Probabilmente Kent puntava su una sua interpellanza che, scoperchiando gli altarini, vanificasse di riflesso le intenzioni del presidente americano di trascinare l’America nel conflitto. Pare, invece, che Ramsey abbia fatto pervenire le carte all’addetto militare italiano Francesco Marigliano, per mezzo del quale sarebbero poi giunte a Roma nelle mani di Hans Mackensen. Venutane a conoscenza, il 18 maggio del ’40 Scotland Yard informava della cosa Kennedy e organizzava una visita in casa di Kent.
Stranamente, per la perquisizione non venne richiesta alcuna autorizzazione all’autorità competente.
Sta di fatto che l’ispezione consentì di rinvenire (o fece sì che fossero rinvenute) alcune copie delle note compromettenti.
Ce n’era a sufficienza perché Kennedy, forse per non esser compromesso personalmente nel pasticcio, togliesse subito l’immunità al suo aiutante. Ciò ne consentiva l’arresto due giorni dopo davanti al cancello della sua villetta. Stando all’Enciclopedia della spionaggio nella seconda guerra mondiale di Gianni Ferraro (Edizione Sandro Teti, 2010), l’arresto sarebbe stato tenuto segreto per undici giorni, onde bloccare il codice segreto violato. In punto di diritto, comunque, dato che gli USA non erano in guerra, la copiatura della corrispondenza non integrava tradimento e andava trattato al limite come un fatto disciplinare interno all’ambasciata. L’arresto non sarebbe stato comunque di competenza britannica.
Ma, poiché c’era il serio rischio che Kent rivelasse ulteriormente ciò che sapeva, bisognava trovare il modo di neutralizzarlo. Si ricorse allora ad un escamotage di natura legale. Esisteva dal 1911 un Official Secrets Act inglese, che consentiva di colpire chi otteneva documenti o informazioni “idonei ad essere utili al nemico”. E, come s’è detto, la corrispondenza di Churchill era più che “idonea” ad essere utilizzata dalla propaganda nazista. Il processo si svolse abbastanza in fretta e nel più assoluto riserbo. Kent provò a spiegare che intendeva presentare i documenti “al Congresso in tempo per impedire che gli Stati Uniti fossero coinvolti in un conflitto fomentato dallo stesso presidente”.
Ineluttabilmente, però, il 7 novembre seguì la sua condanna. Sicché, quando lo sventurato giovane fu deportato nell’isola di Wight, il più pericoloso testimone della trama tra Churchill e Roosevelt poteva dirsi neutralizzato. Se si prescinde da sua madre, che invano si rivolse a Roosevelt, di lui nessuno seppe nulla in America fino al novembre del ’44 quando la faccenda cominciò a trapelare. Ma si dovette attendere l’8 giugno del 1945, quando ormai la guerra in Europa era finita, perché il deputato Clare E. Hoffman osasse denunciare l’episodio innanzi al Congresso americano. Va aggiunto che, oltre a Kent, anche il capitano Ramsey finì per pagarla cara.
Venne infatti sottoposto per quattro anni ad una detenzione cautelare senza processo, per evitare che divulgasse l’intrigo.
Va infine ricordato che il magistrato che giudicò Kent condannò ad una pena di 10 anni anche la cittadina britannica Anna Wolkoff, figlia di un ex ammiraglio zarista. Ella ospitava nella sua casa da thé il Right Club, l’organizzazione sopra detta con qualche simpatia di troppo per la Germania. Grazie ad una spia infiltrata, la donna venne accusata d’aver passato le copie fatte da Kent all’ambasciata italiana, perché facesse da tramite con Berlino. Comunque, alla fine della guerra Keyler ce la farà a tornare in patria, dove intenterà invano causa contro il Dipartimento di Stato che l’aveva licenziato. La Wolkoff, dopo esser stata privata della cittadinanza, sarà più sfortunata di lui. Scarcerata nel giugno del ’46, morirà tragicamente dopo esser tornata in libertà. E’ indubbio che sapeva troppe verità scomode. E forse per questa ragione finì vittima di uno di quegli strani incidenti stradali, che ricorrono tanto spesso nelle vicende inglesi.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=13936

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