venerdì 20 gennaio 2012
QUESTO TABU’ DELLA DEMOCRAZIA
di: Maurizio Barozzi
L'ottimo articolo di Roberto Cozzolino, “Libertà formali e libertà sostanziali” su Rinascita del 18 gennaio, nel quale l’autore evidenzia come nei paesi occidentali, vi sia una sfacciata contraddizione tra presunte libertà formali e inesistenti libertà sostanziali, quindi una falsità manifesta della tanto decantata democrazia, presa oltretutto a metro di giudizio per promuovere o bocciare paesi, che, come il nostro, sono oggetto di colonizzazione, mi induce ad avanzare una provocazione sul concetto stesso di democrazia.
Non intendo qui addentrarmi in premesse ideologiche e filosofiche nelle quali, fin dai tempi dell’antica Grecia, si sono cimentati fior di studiosi, pensatori e filosofi, circa l’essenza, la validità o meno della democrazia in sé, che nel suo termine edulcorato vorrebbe significare “potere del popolo”, un potere che il popolo dovrebbe esercitare direttamente oppure indirettamente attraverso appositi rappresentanti.
E neppure intendo affrontare il discorso sul come, in una società moderna, potrebbe essere superato il sistema democratico, salvaguardando la libertà e gli interessi dei cittadini e l’integrità dello Stato. In questo senso mi limiterò, più avanti, a ricordare alcune intuizioni e innovazioni relative al periodo della Repubblica Sociale Italiana (1943 -’45).
La mia “provocazione” consiste nel denunciare l’uso arbitrario e ingiustificato di questo termine “democrazia” oramai divenuto un vero è proprio tabù e di cui tutti si riempiono la bocca per sostanziare le loro argomentazioni.
Anche nel campo storiografico e della ricerca storica, che sono la sfera dei miei studi e interessi, ci si imbatte spesso nell’abuso di questo termine, con cui molti storici, “politicamente corretti”, per evidente opportunismo, indugiano a giudicare fatti e situazioni storiche attraverso un metro di giudizio, per così dire democratico, preso a paradigma di un modello di Stato e di società quasi perfetti e ideali.
Tutto questo, a mio avviso, è anche il risultato della Seconda guerra mondiale, dove i vincitori sono riusciti ad imporre, tra le altre cose, il tabù del termine Democrazia.
Dovunque ci giriamo si sentono persone di ogni rango, cultura e ceto sociale, che se ne escono con frasi del tipo: “se non mi fai parlare, non sei democratico”. Oppure: “io sono democratico”, “Questo non è democratico” e così via.
In ogni argomento e specialmente quelli di carattere storico o politico spesso si trova, come il prezzemolo, questo richiamo alla presenza o la mancanza di un vero atteggiamento democratico. Ben pochi hanno, non tanto il coraggio, quanto l’accortezza e la riflessione di considerare che la Democrazia non è affatto un sistema politico ideale, né tanto meno un valore sacro di fronte al quale tutto il resto dovrebbe essere giudicato.
Fatta eccezione degli ambiti filosofici, dove il concetto di democrazia viene pur discusso, per il resto questo termine si usa, si abusa e si impone come un tabù.
A questo proposito è doveroso segnalare una eccezione: il pregevole libro scritto dal professor Nicola Cospito, il cui coraggioso titolo è tutto un programma; “Perché non sono democratico”, Edizioni Nuova Impronta, Roma 2010, euro 14,00.
In ogni caso, prima che anche di questo termine ne sia vietato il contestarlo, una ipotesi poi non tanto peregrina visto il genere di assurde proibizioni che stanno instaurandosi nei paesi cosiddetti “democratici” dell’occidente, voglio criticare il concetto stesso di democrazia e denunciarne tutta la sua negatività oltre che irrealizzabilità di quanto questo termine vorrebbe farsi portatore. Proprio il sistema democratico, infatti, che teorizza l’uguaglianza degli esseri umani, di fronte ad una impossibilità di fatto di questa uguaglianza, consente a certi poteri forti e speculativi, come nella fattispecie quelli dell’Alta Finanza, di prendere in mano il potere e fare carne di porco di tutto un popolo.
Personalmente non ho alcuna difficoltà nel riconoscere agli altri il diritto, ma ancor più la indispensabilità, di parlare, di esprimere i propri pareri, di dimostrare il contrario, anche a brutto muso se necessario, insomma l’importanza del confronto, e ancor più il valore immenso che in una Nazione i cittadini possano godere di una vera libertà di pensiero e di espressione, ovviamente nei limiti naturali e doverosi in cui questa libertà non leda altrui diritti o altrui libertà o non metta in gioco gli interessi supremi dello Stato, ma proprio per questo, non sono democratico!
Per prima cosa non lo sono concettualmente perché, a mio avviso, la democrazia non soddisfa alcun criterio di vera rappresentanza popolare e di corretta conduzione dello Stato, ma oltretutto essa è una mostruosità logica, derivata dal falso mito illuminista dell’uguaglianza, che finisce per configurarsi inevitabilmente come il regno dei furbi usi a sfruttare la gran massa degli ingenui.
Questo sul piano umano e sociale, ma se poi andiamo ad analizzare il campo etico e squisitamente politico e geopolitico dello Stato, dove subentrano anche aspetti di natura, oserei dire “spirituale” e di supremo interesse nazionale, allora la Democrazia è una follia totale. Estremizzando il concetto, sarebbe come se, un esercito, dovendo intraprendere una campagna bellica, ne sottoponesse la decisione e la progettazione al voto dei suoi soldati.
Un atto, per così dire democratico, può al massimo andar bene, e forse neppure tanto, se si dovesse decidere in un condominio dove piazzare una fontana.
Ma in una Società e soprattutto in uno Stato, dove ci sono problemi etici, politici, sociali, esistenziali, oltre che tecnici di grande complessità e rilevanza, senza contare gli interessi nazionali in gioco, la democrazia partitica è un assurdo che finisce oltretutto per conferire ad una maggioranza, qualunque essa sia e comunque racimolata, di esercitare una specie di dittatura su la minoranza.
Sono considerazioni queste che partono dalla constatazione obiettiva che gli uomini non sono tutti uguali. Non sono uguali come attitudini, carattere, forza di volontà, intelligenza, capacità tecniche, specialistiche e morali, nonché inclinazioni ad essere facilmente o meno raggirati e ingannati. E queste disuguaglianze, lo studio dell’uomo e della vita ce lo dimostrano, non sono solo un prodotto dell’ambiente e della educazione ricevuta.
Sono quindi, al limite, migliorabili, ma non eliminabili in qualche modo, perché rappresentano il patrimonio, stabilito dalla nascita ovvero l’equazione personale, di ogni essere umano. L’esperienza e l’osservazione della vita ci mostrano indiscutibilmente che in ogni gruppo umano, soprattutto in un popolo, è proprio la “maggioranza” quella che presenta ad un grado minimale le qualità e attitudini umane e intellettive precedentemente accennate e quindi, di conseguenza, la “massa” è anche molto più soggetta ad essere emotivamente influenzata e raggirata.
Per seconda cosa, il sistema democratico, comunque lo si voglia architettare, finisce inevitabilmente per consentire a chi ha più possibilità finanziarie e qualità da imbonitore di ottenere la maggioranza dei consensi. Il confronto sui programmi, l’esposizione e la valutazione da parte degli elettori delle piattaforme elettorali, sono tutte parole vuote, sciocchezze, esche per sprovveduti, tanto è vero che i partiti e i candidati alle elezioni investono somme enormi in party, cene, spettacoli, senza contare l’influenza dei mass media, per cercare il consenso.
E mi fermo qui, ma ci sarebbero anche molte altre valutazioni da fare. Si può comunque ben immaginare, stante così le cose, quale possa essere l’esito di una elezione, dove in ogni caso l’entrata in parlamento di attricette, soggetti di spettacolo o di sport, la cui unica dote è quella di essere famosi, transessuali, ciccioline e buffoni vari, non è certo un fatto occasionale. Proprio la “grande” Democrazia americana, infine, ci mostra quale genere di soggetti, se non di pagliacci veri e propri, finiscono per essere eletti alla presidenza, da una fetta di popolazione abilmente influenzata, per essere poi inevitabilmente gestiti da lobby e poteri forti. Un meccanismo questo non casuale o distorto del sistema democratico, ma sua naturale e inevitabile conseguenza.
Quello che invece può esserci di positivo nel sistema democratico, ma se andiamo a ben vedere non è che questo aspetto sia solo appannaggio della democrazia, è il far partecipe ad un processo e fine comune tutto il popolo. Ma proprio la democrazia, invece, non riesce a realizzare questa partecipazione senza passare sotto la dittatura delle masse, del numero, negazione di ogni intelligenza e vera rappresentatività.
Altrettanto valido è poi l’intento di assicurare a tutti i cittadini la libertà di pensiero e di espressione, ma anche qui non è detto che questa intenzione sia prerogativa dei soli sistemi democratici.
E proprio a questo proposito una importante e valida correzione al sistema democratico, fu quella del Corporativismo che si concretizzò nella camera dei Fasci e delle Corporazioni, dove, almeno teoricamente, si poteva determinare una classe di parlamentari competenti ed espressione di tutte le categorie che compongono l’anima e il tessuto vero e concreto di una Nazione. La socializzazione della RSI inoltre corresse quella distorsione di fatto, che si determinava nel sistema socio-economico corporativo, nel quale teoricamente padronato e lavoratori dovevano essere su un piano di parità, ma sostanzialmente, nella realtà, questo non avveniva. Corporativismo e Socializzazione, inscindibili tra loro, sono i due grandi fatti rivoluzionari dell’epoca moderna, laddove la socializzazione previde anche, per le imprese, oltre alla ripartizione degli utili, un consiglio di gestione in cui accanto alla parte padronale sedessero anche i rappresentanti dei lavoratori in quanto interessati e partecipi al processo produttivo.
La RSI inoltre prese anche in esame lo studio di un metodo elettivo “misto” che correggesse la rigidità delle “nomine dall’alto”, un sistema questo, così rigidamente gerarchico che, come si era constatato nel Ventennio, finiva per sopprimere la validità della critica e mummificava il ricambio negli incarichi. Ma la RSI arrivò anche a studiare come avrebbe potuto attuarsi l’elezione, da parte del popolo, del presidente, di questa repubblica, introducendo una vera partecipazione popolare, senza scadere nelle aberrazioni della democrazia e nel settarismo ideologico-partitico. La guerra e la subentrante sconfitta, impedirono alla RSI di darsi la sua Costituente, ma quanto si stava per iniziare a fare in proposito, dimostra che anche qui ci si era incamminati verso ardite e risolutive idee rivoluzionarie. Ma questo, come ho accennato all’inizio, è un altro discorso.
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=12589
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Un libro formidabile sul dogma democratico è "Sulla democrazia" di Alberto Ostidich (edizioni AR).
RispondiEliminaSmonta il "mito" democratico pezzo per pezzo.
Grazie !
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