Federico Dezzani
Ogni fase politica della Repubblica italiana è stata scandita da
un partito “di protesta”, funzionale agli interessi dell’establishment
atlantico: si comincia con L’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini per
terminare col Movimento 5 Stelle di Gianroberto Casaleggio, passando per
il Partito Radicale di Marco Pannella e la Lega Nord di Umberto Bossi.
Fino alla recente svolta nazionalista, filorussa ed anti-euro, il
Carroccio è infatti stato uno dei tanti prodotti di Washington e Londra,
schierato su posizioni “thatcheriane” ed europeiste. Nei primi anni ‘90
la Lega Nord avrebbe dovuto essere lo strumento per attuare un
ambizioso disegno geopolitico: la frantumazione dello Stato unitario e
la nascita di una confederazione di tre “macroregioni”, così da
cancellare l’Italia come attore del Mar Mediterraneo. Il ruolo della
Lega Nord durante Tangentopoli e la figura, determinante, di Gianfranco
Miglio.
Non si muove foglia che Washington non voglia: anche in Padania…
La
democrazia liberale è simile al
mercato dei beni di consumo:
ogni segmento della domanda deve essere coperto, l’offerta deve essere
costantemente rinnovata e nuovi prodotti possono essere lanciati grazie
ad un’adeguata campagna pubblicitaria. Nel caso della politica, i beni
di consumo non sono ovviamente bibite, detersivi o dolciumi,
bensì i partiti. L’abilità di chi tira i fili della democrazia consistente nel rifornire gli scaffali dalla politica di
partiti giusti, al momento giusto:
ad ogni tornata elettorale, i votanti acquisteranno i loro prodotti
preferiti, con grande soddisfazione di chi controlla il grande
supermercato della democrazia.
C’è un segmento del mercato politico particolarmente interessante,
molto ingrossatosi negli ultimi anni di crisi economica e sociale:
i partiti di protesta.
La loro origine non è recente e risale agli albori della Repubblica
Italiana, quando Washington e Londra foggiarono per l’Italia una
singolare democrazia, dove le seconda forza politica del Paese, il PCI,
era esclusa
de iure dal governo.
È per ovviare a questo opprimente immobilismo, che un po’ stona con
le logiche del mercato, che in 70 anni sono state immesse diverse sigle
per intercettare il malcontento dell’elettorato e la domanda di
cambiamento: si comincia, prima delle elezioni del 1948, con
l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini e si termina oggi con il
Movimento 5 Stelle di Davide Casaleggio. Sia Giannini che Casaleggio sono, incidentalmente, inglesi da parte materna. Tra i due estremi, bisogna annoverare anche il
Partito Radicale di Marco Pannella,
che
prestò non pochi servigi all’establishment atlantico: la campagna per
le dimissioni del presidente Giovanni Leone, quella per l’aborto ed il
divorzio, i referendum del 1993 contro “la partitocrazia” e “lo
Stato-Padrone”, etc. etc. C’è, infine, il caso della
Lega Nord, nata e cresciuta nei travagliati primi anni ‘90, nutrendosi dei voti in uscita dal PSI e soprattutto dalla DC.
Ma come? Anche il folkloristico Carroccio, i raduni di Pontida, il dio Po ed il leggendario Alberto da Giussano, sono un
prodotto dell’establishment atlantico?
La risposta, come vedremo nel proseguo dell’articolo, è affermativa. È
una verità che probabilmente spiazzerà molti leghisti della prima ora,
indispensabile però per capire, ad esempio, perché
Umberto Bossi, padre-padrone della primigenia Lega Nord, contesti la recente
svolta nazionalista, anti-euro e filorussa di
Matteo Salvini, deciso a trasformare (con esiti incerti) il Carroccio nella versione italiana del Front National:
“Lega, Bossi chiede il congresso: La base è stufa di Salvini”, “Bossi: La Lega nazionale morirà, Salvini al Sud crea solo caos”, “Attacco frontale di Bossi al segretario: secessione, il resto sono chiacchiere”. Bruxelles è
sempre stata ed è tuttora il faro di Umberto Bossi, sebbene il suo
obiettivo fosse agganciarsi all’Unione Europea non attraverso l’Italia,
ma tramite la “Padania”, in ossequio a quella
“Europa della macroregioni” tanto cara all’establishment atlantico
. Smembrare gli Stati nazionali
per sostituirli, al vertice, con un governo sovranazionale e, alla
base, con una costellazione di cantoni, regioni e feudi: l’oligarchia
libera di comandare indisturbata
su 500 milioni di persone ed i paesani appagati delle loro effimere autonomie.
La storia della Lega Nord è indissolubilmente legata
al crollo del Pentapartito ed alle manovre, iniziate con la firma del
Trattato di Maastricht,
per traghettare l’Italia verso la nascente Unione Europea a qualsiasi
costo: vergognose privatizzazioni, saccheggi del risparmio privato,
attentati terroristici e giustizialismo spiccio.
Studiare
l’origine della Lega Nord significa quindi completare l’analisi
dell’infamante biennio 1992-1993 che travolse la Prima Repubblica e
forgiò la Seconda, dove Umberto Bossi ha giocato un ruolo di primo
piano.
La Lega Nord nasce ufficialmente nel
febbraio del 1991, come
federazione della Lega Lombarda, della Liga Veneta, del Piemont
Autonomista e dell’Union ligure: esula dalla nostra analisi, ma chi
volesse indagare sul periodo proto-leghista, scoprirebbe quasi
certamente che anche questi movimenti autonomisti nascono nel medesimo
humus massonico-atlantista da cui germoglierà poi il Carroccio. È sufficiente dire che la
Liga Veneta, certamente la lega più radicata ed “antica”, risalendo ai primi anni ‘80, compie i primi passi presso
l’istituto privato linguistico Bertrand Russel di
Padova, dove nel 1978 è istituito un corso di storia, lingua e civiltà
veneta. Chi volesse scavare più indietro ancora, potrebbe riallacciarsi
alla lunga serie
di attentati destabilizzanti, di matrice autonomista e secessionista, che colpiscono tra gli anni ‘50 e ‘60 il Nord-Est dove, è bene ricordarlo, la
concentrazione delle forze armante angloamericane
è più alta che in qualsiasi altra parte dell’Italia continentale (Camp
Ederle ed Aviano). L’idea di superare le leghe su base “etnica” e di
federarle in un’unica Lega allargata all’intero Nord, ribattezzato
all’occorrenza come
“Padania”, è comunque ufficialmente attribuita ad
Umberto Bossi.
È però legittimo chiedersi se il parto del Carroccio sia effettivamente naturale e se
“il Senatur” (titolo che Bossi si conquista nel 1987 entrando in Senato) ne sia effettivamente l’autentico padre, oppure se,
come nel caso del Movimento 5 Stelle, dietro la genesi della Lega Nord non si nasconda una
regia molto più sofisticata ed altolocata. Diversi elementi fanno propendere per la seconda ipotesi, declassando Umberto Bossi al ruolo di
capo carismatico di facciata, di semplice tribuno e di arringatore: la stessa funzione, per intendersi, svolta da
Beppe Grillo nel
M5S. Siamo infatti nel febbraio 1991, il muro di Berlino è crollato da
due anni e l’Unione Sovietica collasserà entro pochi mesi: l’oligarchia
atlantica ha già stilato i suoi piani per il
“Nuovo Ordine Mondiale”
che, calati nella realtà italiana, significano l’abbattimento della
Prima Repubblica, l’archiviazione della DC e del PSI, lo smantellamento
dell’economia mista e, se possibile, anche un nuovo
assetto geopolitico per la penisola. Da attuare attraverso
la Lega Nord e parallele leghe indipendentiste in Meridione e sulle isole.
L’accoglienza che la grande stampa anglosassone riserva al neonato
Carroccio, simile a quella che il Movimento 5 Stelle riceverà a distanza
di 15 anni, non lascia adito a dubbi circa l’interessamento che Londra e
Washington nutrono per la neonata formazione nordista: il 4 ottobre
1991 il
Wall Street Journal definisce la formazione di Umberto Bossi come
“il più influente agente di cambiamento della scena politica italiana”, nel gennaio 1992 il settimanale statunitense
TIME definisce Bossi come il leader più popolare e temuto della politica italiana, il 28 marzo 1992 il settimanale inglese
The Economist, megafono della City, accomuna la Lega Nord al Partito Repubblicano di Ugo La Malfa, definendolo come
“l’unico fattore di rinnovamento nel decadente panorama politico italiano”. Sono le stesse settimane in cui
Mario Chiesa,
esponente socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio, è
arrestato per aver intascato una bustarella: è il primo atto di
quell’inchiesta giudiziaria,
Mani Pulite, destinata a travolgere il Pentapartito e la Prima Repubblica.
Non c’è dubbio che la Lega Nord debba “completare”, nei piani
angloamericani, l’inchiesta di Tangentopoli: il pool di Mani Pulite è
incaricato di smantellare la DC ed il PSI, mentre il Carroccio ha lo
scopo
di intercettare i voti in fuga dai vecchi partiti prossimi al collasso. Il
trait d’union tra il palazzo di giustizia milanese e la Lega Nord è fisicamente incarnato dal console americano
Peter Semler: il funzionario statunitense che alla fine del 1991, un paio di mesi prima dell’arresto di Mario Chiesa, “’incontra”
Antonio di Pietro
nei suoi uffici per discutere delle imminenti inchieste giudiziarie. Lo
stesso funzionario che, quasi contemporaneamente, “incontra”
i dirigenti della Lega Nord. Ha affermato Semler in un’intervista a La Stampa del 2012:
“Ricordo che un primo gennaio (del 1992, Ndr) ebbi un pranzo con due leader della Lega e quello che mi colpì di più era un ex poliziotto, ex militare. Giocammo al golf club di Milano e mi dissero: “Cambierà tutto”. Ma a Roma Secchia continuava a dirmi: “Basta perdere tempo con queste storie”.
C’è da scommettere che non siano stati i due leader della Lega Nord
ad avvertire il console americano che tutto sarebbe cambiato,
bensì l’opposto. Il Carroccio, infatti, con la sua
corrosiva e talvolta violenta retorica
contro la partitocrazia, la vecchia classe dirigente della Prima
Repubblica, lo Stato clientelare ed assistenzialista (si ricordi il
cappio sventolato nel 1993 a Montecitorio, per “appendere” i politici
corrotti), è parte integrante della manovra angloamericana per
smantellare il PSI e la DC.
Perché, però, l’attacco è sferrato “su base regionale”, attraverso una formazione che inneggia alla
Padania onesta e laboriosa, contro la Roma corrotta e la ladrona, sede di
“un Parlamento infetto”?
Perché la stessa funzione non è assolta da un partito di protesta
“nazionale”, come il Movimento 5 Stelle? Compito della Lega Nord è anche
quello di attuare il piano geopolitico che l’establishment atlantico ha
in serbo per l’Italia in questa drammatica fase della vita nazionale:
passare dall’Italia unita
all’unione, o confederazione, di tre macroregioni. La
Repubblica del Nord (o Padania), una repubblica del Centro ed una del
Sud: è il periodo, infatti, delle “stragi mafiose” e Cosa Nostra ed il
Carroccio sembrano
lavorare all’unisono (d’altronde, la regia a monte è comune) per ritagliarsi ognuno
il proprio feudo, cannibalizzando lo Stato nazionale.
Veniamo così ad una figura chiave della Lega Nord delle origini, il personaggio politico che avrebbe dovuto essere
“la mente” del processo di secessione della Repubblica dal Nord:
Gianfranco Miglio (1918-2001).
Allievo del filosofo liberale Alessandro Passerin d’Entrèves (a lungo
docente all’Università di Oxford e quella di Yale) e del giurista
Giorgio Balladore Pallieri (primo giudice italiano alla Corte europea
dei diritti dell’uomo), professore all’Università Cattolica di Milano,
teorizzatore del decisionismo, studioso del federalismo ed ascoltato
consulente in materia di riforme costituzionali, “
giacobino di destra”,
Gianfranco Miglio è un intellettuale molto gettonato dai politici e
dagli alti manager della Prima Repubblica in cerca di consigli: comincia
coll’assistere
Eugenio Cefis ( presidente dell’ENI dal 1967 al 1971 e della Montedison dal 1971 al 1977), per poi diventare consulentedel premier
Bettino Craxi.
Nei tumultuosi anni che seguono la caduta del muro di Berlino, il professor Miglio compie una
spettacolare e singolare metamorfosi:
nel giugno del 1989, constata la precarietà delle finanze pubbliche e
del panorama politico italiani, suggerisce nientemeno che
“sospendere
le prove elettorali per un certo periodo, dar vita a un lungo
Parlamento, bloccare il ricambio parlamentare, che so, per 8-10 anni.”, affidando quindi poteri speciali al Pentapartito per fronteggiare le emergenze. Dopo nemmeno due anni, Miglio è invece diventato
“l’ideologo” della costituenda Lega Nord ed
il più severo e spietato censore della
partitocrazia, dello Stato parassitario e della deriva mafiosa del
Meridione: è difficile spiegare questo repentino cambiamento ed il suo
“affiancamento” a Umberto Bossi, se non come
un’operazione studiata a tavolino, concepita da quegli “ambienti liberali ed anglofoni” che Miglio frequenta sin dalla gioventù.
Gianfranco Miglio è l’architetto di quelle riforme costituzionali che
dovrebbero scardinare l’assetto geopolitico dell’Italia, servendosi
della Lega Nord e di Umberto Bossi come semplici grimaldelli.
Esisterebbero, secondo il professore, due Italie:
una europea, da agganciare alla nascente Unione Europea,
ed una mediterranea,
da abbandonare alla deriva verso il Levante ed il Nord Africa. Lo Stato
unitario ha fatto il suo tempo e sulle sue macerie bisogna edificare
uno Stato federale, o meglio ancora confederale,
costruito da tre entità separate:
una Repubblica del Nord, una del Centro ed una Sud. Al governo centrale
della neo-costituita Unione Italiana, spetterebbero soltanto più la
difesa esterna e
parte della politica estera (
“perché una certa autonomia in questo campo dovrà spettare ai singoli membri della federazione”).
Il disegno sottostante alle ricette di Miglio è chiaro: sfruttare
l’inchiesta di Tangentopoli che sta sconquassando la politica, il crollo
del Pentapartito, la strategia della tensione e l’emergenza
finanziaria, per cancellare l’Italia unitaria
come soggetto geopolitico.
Un’Italia che, con Enrico Mattei, Aldo Moro e le politiche filo-arabe
di Bettino Craxi e Giulio Andreotti, ha dimostrato di poter infastidire
gli angloamericani
nello strategico bacino mediterraneo.
Le elezioni politiche del
5 aprile 1992 vedono la Lega Nord
raccogliere una discreta percentuale dei voti in uscita dalla DC e dal
PSI: in Lombardia il Carroccio raccoglie il 23% delle preferenze, ad un
solo punto dai democristiani, ma si ferma
all’8,65% a scala nazionale e le varie leghe del Sud non decollano.
“Non è andata così bene, dovevamo essere determinanti” commenta Bossi: già, perché la secessione della Repubblica del Nord dal resto dell’Italia, implica
una forza elettorale che la Lega Nord, all’atto pratico,
dimostra di non avere.
I 55 deputati e 25 senatori sono comunque un prezioso patrimonio, utile
per portare a compimento la demolizione della Prima Repubblica ed il
rapido smantellamento dell’economia mista, come auspicato
dai croceristi del Britannia.
Non c’è una singola mossa del Carroccio, infatti, che si
discosti dall’agenda che l’establishment atlantico ha in serbo per
l’Italia: la Lega è decisiva per bloccare l’elezione di
Giulio Andreotti al Quirinale, si schiera contro l’ipotesi di una presidenza del Consiglio affidata a
Bettino Craxi, è favorevole ad un aggressivo
piano di privatizzazioni (
“Gli economisti di Bossi credono nella Thatcher” titola la Repubblica, riportando che la Lega vuole
“privatizzare
tutte le imprese di Stato dall’ Iri all’ Eni all’ Efim. Senza
risparmiare le banche pubbliche come Bnl, Comit, Credito italiano, San
Paolo di Torino. Largo ai privati anche per le Ferrovie, l’ Enel e le
Poste”), è fautrice di un
liberismo spinto contrapposto allo Stato-padrone, definito ovviamente come
“parassitario, bizantino, romano-centrico, corrotto, ladrone, etc. etc. Non solo, il Carroccio
gioca di sponda con
“le menti raffinatissime” che stanno attuando
una spietata strategia di destabilizzazione per meglio saccheggiare i risparmi degli italiani e l’industria pubblica: mentre i
servizi segreti “deviati” piazzano bombe in tutt’Italia e gli squali dell’alta finanza si accaniscono sui Btp, la Lega Nord getta
altra benzina sul fuoco,
incitando allo sciopero fiscale, sconsigliando di comprare i titoli di
Stato, evocando la separazione del Sud mafioso dal resto dell’Italia,
gridando all’imminente secessione della Padania.
“
Ma se la casa crolla, il Nord deve andarsene…” è un sintomatico titolo di la Repubblica del 31 dicembre 1992.
Nell’articolo il professor Miglio dipinge un futuro a tinte fosche per
l’Italia e pronostica un prossimo drammatico peggioramento della
situazione economica, anticamera della secessione della Repubblica del
Nord:
“Se si arrivasse a non riuscire a controllare più niente, se non si riuscisse più ad avere i servizi, se la sicurezza e le garanzie crollassero è evidente che ciascuno penserebbe a se stesso. Probabilmente anche il Sud se ne andrebbe per conto suo”.
Le parole dell’ideologo del Carroccio sono musica per chi, a Washington
e Londra, lavora per tenere l’Italia in costante fibrillazione.
Siamo ora nel 1993 e l’inchiesta di
Mani Pulite ha sortito gli
effetti sperati: la DC ed il PSI, i vincitori morali della Guerra
Fredda, sono stato spazzati via dal pool di Milano. L’unico grande
partito risparmiato dalle inchieste giudiziarie è stato
il PCI, riverniciato ora come PDS, cui gli angloamericani contano di affidare il governo facendo affidamento
sulla sua ricattabilità (nella
Russia allo sfascio si comprano gli archivi del KGB a prezzo di saldo).
Se dalle prossime elezioni uscisse un Nord saldamente in mano al
Carroccio ed un Centro-Sud in mano alla sinistra, si concretizzerebbe lo
scenario di una secessione
de-facto della Padania dal resto dell’Italia.
Per la Lega Nord non che resta, a questo punto, che ricevere la
benedizione “ufficiale” da parte dell’establishment atlantico, dopo
lunghi rapporti reconditi ed opachi:
il 18 ottobre 1993 una delegazione del Carroccio si reca in visita al
Quartiere generale della NATO a Bruxelles ed il 23 ottobre è la volta degli Stati Uniti, con una prima tappa a New York per incontrare il
milieu dell’alta finanza e di Wall Street ed una seconda tappa a Washington, dove sono in programma pranzi di lavoro con
deputati e senatori repubblicani ed esponenti della
National Italian American Foundation (sic!).
In
questo quadro, “la discesa in campo” di Silvio Berlusconi annunciata
nell’autunno del 1993 è un evento non previsto dall’establishment
atlantico: la neonata Forza Italia si impone alle
elezioni politiche del 27-28 marzo 1994, drenando buona parte dei voti
in uscita dal PSI e dalla DC ed imponendosi come
primo partito del Nord Italia. La Lega Nord, ferma all’8% delle preferenze su scala nazionale, dimostra ancora
di non avere una forza sufficiente
per strappare la secessione della Padania ed attuare gli ambiziosi
cambiamenti costituzionali sognati da Gianfranco Miglio. Forte di 122
deputati e 59 senatori, la Lega Nord dispone però di manipolo di
parlamentari sufficienti per staccare la spina
al primo governo Berlusconi,
di cui è entrata a far parte nella cornice del Popolo della
Libertà. Riemerge quindi la natura della Lega Nord come strumento
politico
nelle mani di Londra e Washington: quando Berlusconi,
durante la conferenza mondiale dell’ONU contro la criminalità
organizzata, riceve un invito a comparire dal pool di Milano, Umberto
Bossi completa l’operazione per disarcionare il Cavaliere, togliendogli
la fiducia ed avvallando “il ribaltone” che insedia l’ex-Bankitalia
Lamberto Dini a Palazzo Chigi.
Si marcia così rapidamente verso nuove elezioni ed ancora una volta
il Carroccio agisce in perfetta sintonia con l’establishment atlantico:
scegliendo di correre da solo e di non rinnovare l’alleanza col Popolo
della Libertà, spiana la strada ai governi di
Romano Prodi e Massimo D’Alema: seguirà
“il Contributo straordinario per l’Europa”, la scandalosa privatizzazione della Telecom,
“la marchant bank”
di Palazzo Chigi, la liquidazione finale dell’IRI, il vergognoso cambio
di 2.000 lire per ogni nuovo euro, l’avvallo alle operazioni militari
della NATO contro la Serbia. E così, mentre quel rimane dell’economia
mista è smantellato a prezzi di saldo ed i risparmi degli italiani sono
immolati sull’altare della moneta unica, Umberto Bossi continua a
blaterare di secessione, di camice verdi, di milizie armate del Nord, di
rivolta fiscale, etc. etc.:
utile idiota manovrato dall’oligarchia atlantica. La Lega Nord tornerà al governo solo dopo le elezioni politiche del 2001, quando
i giochi “europei” sono ormai fatti.
Le vicende della Lega Nord, di Gianfranco Miglio e di Umberto Bossi
sono legate a doppio filo alla nascita Seconda Repubblica, alla perdita
di qualsiasi sovranità nazionale ed all’avvento della moneta unica. Il
Senatur ne è in fondo perfettamente cosciente e, intervistato dal
Corriere della Sera, ha recentemente affermato:
“Se venisse giù l’euro, verrebbe giù tutto, una situazione che nessuno saprebbe gestire.
Tra l’altro, pagheremmo di più le materie prime, cosa che per un Paese
di trasformazione come l’Italia sarebbe un disastro. Berlusconi parla di
doppia moneta, il che è una presa per il culo. Ma non è che Berlusconi
non sia in grado di capire le cose…”
Sono le ultime battute dell’ennesima
“stampella del potere”.
VIDEO - Gianfranco Miglio parla di Secessione ospite di Gad Lerner
https://www.youtube.com/watch?time_continue=346&v=kz3ZIVI3Dug&feature=emb_logo
Bibliografia
Il vento della Padania, Guido Passalacqua, Mondadori, 2009
Dalla Liga alla Lega, Francesco Jori, Marsilio, 2009
Come cambiare, Gianfranco Miglio, Mondadori, 1992