di Ignazio Coppola
Quando oggi parliamo di trattativa “Stato- mafia”, non
possiamo non andare indietro nel tempo e riferire questo vituperato ed aborrito
binomio alle origini del nostro Paese, inteso nella sua accezione unitaria. In
parole povere, questo sodale rapporto tra la mafia e lo Stato nasce con l’Unità
d’Italia o, peggio ancora, con la mala unità d’Italia e sin dai tempi
dell’invasione garibaldina che si servì, per le sue discusse e dubbie vittorie,
del contributo determinante della mafia in Sicilia e della camorra a Napoli. In
Sicilia, in quel lontano maggio del 1860, infatti accorsero, con i loro “famosi
picciotti” in soccorso di Garibaldi, i più autorevoli capi-mafia dell’epoca
come Giuseppe Coppola, di Erice, i fratelli Sant’Anna, di Alcamo, i Miceli, di
Monreale, il famigerato Santo Mele così bene descritto da Cesare Abba, Giovanni Corrao, referente
delle consorterie mafiose che operavano a Palermo, nel quartiere del Borgo
vecchio, e che poi, addirittura, diverrà generale garibaldino e che verrà
ucciso tre anni dopo, nell’agosto del 1863, nelle campagne di Brancaccio in un
misterioso ed enigmatico agguato a fosche tinte mafiose.La Camorra e Garibaldi
http://www.youtube.com/watch?v=hv-NpHIfvJ0
http://www.youtube.com/watch?v=L1hKigKF5WU
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Un apporto determinante degli “uomini d’onore” di allora che
farà dire allo storico Giuseppe Carlo Marino, nel suo libro” Storia della mafia”,
che Garibaldi senza l’aiuto determinante dei mafiosi in Sicilia non avrebbe
potuto assolutamente fare molta strada. Come del resto lo stesso Garibaldi
sarebbe incorso in grandi difficoltà logistiche se, quando giunto Napoli, nel
settembre del 1860, non avesse avuto l’aiuto determinante dei camorristi in
divisa e la coccarda tricolore che, schierandosi apertamente al suo fianco, gli
assicurarono il mantenimento dell’ordine pubblico con i loro capi bastone Tore
De Crescenzo, Michele “o chiazziere”, Nicola Jossa, Ferdinando Mele, Nicola
Capuano e tanti altri. Aiuti determinanti e fondamentali che, a ragion veduta,
piaccia o no, a Giorgio Napolitano in testa e ai risorgimentalisti di maniera,
ci autorizzerebbero a dire che la mafia
e la camorra diedero, per loro convenienze, il proprio peculiare e determinante
contributo all’Unità d’Italia. Un vergognoso e riprovevole contributo,
puntualmente e volutamente ignorato, per amor di patria, dai libri di scuola e
dalla storiografia ufficiale.
Che la mafia ebbe convenienza a schierarsi con Garibaldi ce
ne dà significativa ed ampia testimonianza il mafioso italo-americano,
originario di Castellammare del Golfo,
Giuseppe Bonanno, meglio conosciuto in gergo come Joeph Banana, che nel
suo libro autobiografico “ Uomo d’onore”, a cura di Sergio Lalli, a proposito
della storia della sua famiglia, a pagina 35 del libro in questione, così
testualmente descrive l’apporto dato dalla mafia all’impresa garibaldina.” Mi
raccontava mio nonno che quando Garibaldi venne in Sicilia gli uomini della
nostra “tradizione” (= mafia) si schierarono con le camicie rosse perché erano funzionali ai
nostri obbiettivi e ai nostri interessi”. Più esplicito di così, a proposito
dell’aiuto determinante dato dalla mafia a Garibaldi, il vecchio boss non
poteva essere.
Con l’Unità d’Italia e con il determinante contributo dato
all’impresa dei Mille, la mafia esce dall’anonimato e dallo stato embrionale
cui era stata relegata nella Sicilia dell’Italia pre-unitaria, e si legittima a
tutti gli effetti, effettuando un notevole salto di qualità. Da quel momento
diverrà, di fatto, una macchia nera indelebile ed un cancro inestirpabile nella travagliata storia della Sicilia e del
nostro Paese. E di questa metamorfosi della mafia, dall’Italia pre-unitaria a
quella unitaria, ne era profondamente convinto Rocco Chinnici, l’ideatore del
Pool antimafia ed una delle più alte e prestigiose figure della magistratura
siciliana, ucciso il 29 luglio 1983 davanti la sua abitazione, in un sanguinoso
attentato, in via Pipitone Federico a Palermo.
Rocco Chinnici, oltre che valente magistrato, in qualità di
capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo ed ideatore, come
anzidetto, del Pool antimafia di cui allora fecero parte tra gli altri giovani
magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, fu
anche un profondo studioso e conoscitore del fenomeno mafioso e delle sue
criminali dinamiche storiche.
Da studioso, fu relatore e partecipò a numerosi convegni
organizzati in materia di mafia. In uno di questi, promosso a Grottaferrata il
3 luglio 1978 dal Consiglio Superiore della Magistratura, così, a proposito
dell’evolversi della mafia in Sicilia, ebbe testualmente a pronunciarsi:
“Riprendendo le fila del nostro discorso prima di occuparci della mafia del
periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale
e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente premettere
che essa come associazione e con tale
denominazione, non era mai esistita in Sicilia”.
“La mafia nasce e si sviluppa in Sicilia – affermò Chinnici
in quella occasione a conforto da quanto da noi sostenuto - non prima ma subito
dopo l’unificazione del Regno d’Italia”. Ed ancora in una successiva intervista
rilasciata ad alcuni organi di stampa, a proposito della mafia legittimatasi
con la venuta e con l’aiuto determinante dato a Garibaldi e successivamente con
l’Unità d’Italia, Rocco Chinnici ebbe a dire:” La mafia è stata sempre
reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione di risorse con la sua
tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. La mafia stessa è un
modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una
complicità, un riscontro, un alleanza con la politica pura, cioè praticamente
con il potere”.
Ed è questo “patto scellerato” tra mafia, potere politico e
istituzioni, tenuto a battesimo prima dall’impresa garibaldina e poi, come
sosteneva Rocco Chinnici, dall’Unità d’Italia che dura, tra trattative,
connivenze e papelli di ogni genere, senza soluzione di continuità sino ai
nostri giorni. Una lunga sequela di tragici avvenimenti che, sin dagli albori
dell’Unità d’Italia, hanno insanguinato la nostra terra per iniziare con la stessa uccisione del generale Giovanni
Corrao a Brancaccio, poi i tragici e misteriosi avvenimenti dei pugnalatori di
Palermo, il delitto Notarbartolo e il caso Palazzolo, la sanguinosa repressione
dei Fasci Siciliani, in cui la mafia recitò il proprio ruolo, la strage di
Portella della Ginestra, le stragi di Ciaculli e di Via Lazio, le uccisioni di
Carlo Alberto Dalla Chiesa e di tanti servitori dello Stato e di tanti
magistrati che della lotta alla mafia ne hanno fatto una ragione di vita e,
purtroppo, anche di estremo sacrificio sino alla morte. Per arrivare alle
stragi di Capaci e di Via D’Amelio, dove persero la vita Giovanni Falcone e
Paolo Borsellino. Quello stesso Paolo Borsellino che, da quanto in questi
ultimi tempi e alla luce di nuove risultanze processuali che hanno fatto
giustizia di ignobili e criminali depistaggi, ci è stato dato da apprendere si
era opposto con tutte le sue forze ad ogni ipotesi di trattativa tra “Stato e
mafia” e, per questo e per le connivenze tra mafia e servizi segreti deviati,
ha pagato con la vita il suo atto di coraggio
Una lunga scia di sangue e di turpitudini che ha visto da
sempre protagonisti un mix di soggetti: Stato, mafia, banditismo ( nel caso di
Salvatore Giuliano), potere politico, servizi segreti deviati, massoneria e
quant’altro che hanno ammorbato e continuano ad ammorbare, da 153 anni a questa
parte, la vita dei siciliani onesti. Quando ce ne potremo liberare? Con l’aria
che tira sarà difficile.
Aggiunto da SOCIALE.
Quando la mafia fu sconfitta.
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Quando la mafia fu sconfitta.
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