Genesi e nascita di un partito che ha disatteso gli ideali di coloro
che avrebbe dovuto rappresentare, ha stravolto l’immagine del fascismo e in 50
anni di vita ha tradito indipendenza e interessi reali della nazione.
Per gentile concessione dell'autore.
Pubblicazione non in commercio - Ottobre 2014
INTRODUZIONE
Tempo
addietro, nel corso di annose ricerche sulla morte di Mussolini, avemmo modo di
collaborare, attraverso email, con un importante ricercatore storico con il
quale entrammo in confidenza. Questi un giorno ci pose una domanda alquanto
intrigante: “ma lei, che afferma il fascismo quale una visione socialista
dell’economia, distante da quella delle destre del dopoguerra, cosiddette
“neofasciste”, che oltretutto ritiene anche complici dello stragismo; il
fascismo potatore di una weltanschauung e di una geopolitica nazionale avversa
all’Occidente, dove trova i riscontri storici a tutto questo, quando i neofascisti hanno sempre fatto tutto il
contrario”?
Domanda
legittima a cui, pur rimarcando la weltanschauung del fascismo non materialista
e basata sulla ineguaglianza degli esseri umani, ci sforzammo di rispondere
facendo risaltare la differenza tra fascismo, destre e neofascismo e, per
attestargli che queste deduzioni non erano solo parole, lo invitammo a visitare
il sito della Fncrsi (ex combattenti della Repubblica Sociale Italiana), dove
avrebbe potuto rendersi conto, anche tangibilmente, che i veri fascisti erano
tutt’altra cosa che il MSI ed avevano espresso tutt’altra politica.
Mesi dopo
avemmo modo di risentirlo e ci disse che fino ad allora non aveva conosciuto la realtà dei fascisti della
Fncrsi di cui era rimasto meravigliato e sorpreso nel costatare che si trattava
di differenze sostanziali e definitive e comunque doveva riconoscere che
avevamo proprio ragione e che il “neofascismo”, dal dopoguerra in avanti, era
stato una contraffazione e un qualcosa di molto diverso dagli ideali, dalle
politiche e dalle posizioni storiche del fascismo repubblicano testimoniato e
attestato da questi ex combattenti.
Da allora
ci siamo convinti che è necessario, anzi indispensabile, denunciare questa
contraffazione, ristabilire la verità storica e mettere a nudo l’essenza e la
pluriennale politica antifascista e anti italiana del MSI.
Con
questo testo, pertanto, intendiamo produrre una testimonianza storica a contestazione
di un certo “immaginario collettivo” che con superficialità e tanta malafede
caratterizza il contesto politico e la credulità popolare, su cosa sia
veramente stato e cosa abbia rappresentato il Movimento Sociale Italiano.
Parliamoci chiaro: a noi non interessa tanto analizzare
che il MSI, oggetto di questa nostra inchiesta storica, come del resto tutti gli
altri partiti politici, abbia avuto delle evoluzioni che ne hanno cambiato
scopi e natura e sia poi divenuto quello che per tanti anni è stato: un partito
conservatore, filoatlantico e reazionario. Cambiamenti e adattamenti che sono
nella natura stessa della politica. Non è questo il punto.
Ci preme,
invece, illustrare e dimostrare il “come” e il “perchè”, in realtà, nacque il
MSI, partito che gli avversari e l’opinione pubblica intesero e definirono per
tutti i suoi non di certo gratificanti quasi 50 anni di vita, come “neofascista”,
quando non lo era affatto e i cui scopi politici erano confacenti ai più gretti
interessi della conservazione, oltre che essere al servizio “dello straniero”,
cioè dei nostri occupanti e colonizzatori. Si dà il caso, infatti, che già in
questa genesi vi era in nuce tutta l’evoluzione che avrebbe poi dovuto
realizzarsi nei termini appena accennati e fare del MSI uno dei tanti partiti
antifascisti che come tale ha agito e si è comportato.
Eccetto i
suoi primissimi anni di vita, dove, nonostante una nascita spuria, la
partecipazione dei reduci della RSI a questo partito era preponderante, ma
purtroppo non decisionale, il MSI divenne sempre più un partito di destra
conservatrice oltre che filo atlantico e persino filosionista, proprio come era
stato progettato ingannando i suoi militanti.
E non si
tratta tanto di “tradimento” a certi ideali, che pur c’è stato, perché in
politica, come accennato, adattamenti ed evoluzioni sono naturali ed
inevitabili, ma nel fatto che il “grande inganno” consiste nell’aver spacciato
per ciò che non era questo partito, sia all’interno, tra i suoi militanti, sia
all’esterno nel quadro politico nazionale, complici gli antifascisti, con
conseguenze storiche gravissime.
A noi,
comunque, preme che si dia definitivamente avvio ad un processo di revisione
storica e chiarezza politica affinché sia a tutti evidente che quel partito, il
MSI, che ad uso e consumo di una base ingenua, sprovveduta, ma anche ideologicamente
inquinata, a cui per un lungo periodo e al fine di spillare voti, si faceva
credere di essere il continuatore degli ideali del fascismo e del pari ai suoi
avversari, gli antifascisti, faceva altrettanto comodo spacciarlo come tale,
visto che la presenza, le idee, le azioni e le politiche missiste si adattavano
perfettamente alla identificazione di un fascismo repellente e da operetta, proprio come disegnato dalla loro propaganda,
sia a tutti evidente, dicevamo, di essere in presenza di un grande inganno, di
una mistificazione storica e politica.
Due parole sul nostro “metodo” di
indagine storiografica.
La nostra ricostruzione storica e il metodo “indagativo”
con la quale l’abbiamo elaborata, non devono essere intesi sotto l’aspetto del
“complottismo”, del “cospirazionismo”, ovvero della riduzione di tutto un certo
processo storico a trame e complotti.
Siamo
perfettamente convinti che la Storia non si può leggere e interpretare solo
sotto l’aspetto “cospirazionista” (anche se il complottare, il mascherare e
l’agire sottotraccia, sono sempre presenti nella natura umana) e in ogni caso, agiscono e interagiscono nella
Storia forze di diversa natura che creano cause e concause, che poi finiscono
per determinare certi avvenimenti. E del pari, siamo altrettanto consci, che
gli uomini, sempre in virtù della loro natura umana, agiscono dietro
motivazioni, impulsi e convinzioni che non si possono sempre ridurre a malafede,
interessi personali o appiattire in un unico senso.
Questo saggio, però, non ha il compito di
spiegare e ricostruire, storiograficamente, tutte le situazioni e tutte le
motivazioni anche personali che hanno prodotto certi fatti e comportamenti e
determinato certe conseguenze. Questa ricostruzione di avvenimenti e personaggi,
infatti, è una semplice “inchiesta
storica” e come tale deve essere intesa.
MAURIZIO BAROZZI
MSI: IL GRANDE INGANNO
“I miei veri figli nasceranno dopo e saranno quelli che vedranno
in me quello che io stesso non ho potuto vedere” B.
Mussolini.
Quella che andremo qui a ricostruire ed illustrare, per sommi
capi, è la genesi di un partito di
destra, conservatore, reazionario e filo americano, ergo manutengolo dei nostri
colonizzatori: il Movimento Sociale
Italiano,[1]
che per sua natura e sottomissione al quadro Atlantico, in tutti i suoi quasi cinquanta
anni di vita ha sempre tradito gli interessi nazionali in barba a quella Patria
di cui si riempiva retoricamente la bocca.
E
non solo per l’accettazione delle basi Nato e la subalternità dei nostri
vertici militari al sistema Atlantico, ma anche per il sabotaggio che le sue
prese di posizione politico - economiche apportavano sistematicamente ad ogni
minima iniziativa geopolitica, consona agli interessi nazionali, ma contraria a
quelli Occidentali (vuoi terzomondista o
vuoi nella ricerca di un spazio energetico che il nostro paese, di tanto in
tanto, riusciva miracolosamente a percorrere).
E
tutto questo è stato perpetrato spacciando questo partito come neofascista
quando invece il suo essere, la sua politica e i suoi stessi dirigenti non lo
erano affatto, anche se può esserci stato qualche esponente missista che,
demenzialmente, si riteneva tale, non rendendosi neppure conto cosa fosse stato
il fascismo repubblicano e come per un fascista, l’impegno primario, avrebbe
dovuto essere la lotta per l’indipendenza nazionale e l’avversione
all’Occidente.
Oggi,
gli epigoni di questo partito, coerenti con le precedenti posizioni politiche, conservatrici,
reazionarie, filo atlantiche, ecc., una volta buttati a mare simboli e orpelli
del passato che oramai non pagavano più in termini elettorali, sono finiti a
Gerusalemme a dichiarare che il fascismo è il “male assoluto”, mostrando
finalmente sincerità e chiarezza. Ci
sarebbe da dire: meno male!
Quella che andremo quindi a ricostruire, nelle pagine sucessive, è
la genesi di questo partito, affinchè sia storicamente a tutti chiaro di che cosa
si è trattato avendo, fino ad oggi, perdurato da troppo tempo un determinato
equivoco, un determinato immaginario collettivo decisamente non veritiero.
Ne ricostruiremmo la storia umana e politica fino ad un certo
punto, perché da quel momento in avanti, a nostro avviso più o meno verso la
fine degli anni ’60, ogni equivoco viene meno, le situazioni sono chiare ed
evidenti a tutti (ma lo erano anche
prima) e solo chi è in malafede può continuare a mestare nel torbido.
Con
gli anni ’60 avviene anche, nell’area umana della base del MSI, già da tempo
inglobata in un vasto schieramento di destra conservatrice, una specie di
mutazione genetica che, unita alle situazioni non indifferenti ed equivoche,
del lungo periodo della strategia della tensione e degli anni di piombo,
porterà all’affermazione, in questa base, di un tipo umano conformato sugli
standard di destra, americaneggianti e pregni di mode e atteggiamenti mutuati
dal mondo moderno e dalla società consumista.
Si ha quindi la percezione, anche fisica, che un ciclo storico si
è concluso, che certi simboli, bandiere e atteggiamenti hanno fatto il loro
tempo e del resto la stessa etnia dell’italiano sta andando inesorabilmente a
morire, in conseguenza della società multietnica e della società consumista per
le quali l’italiano è destinato a sparire nel giro di un paio di secoli.
C’è ora chi parla di “fascisti del terzo millennio”, gruppi,
personaggi, giovani che dimostrano un bagaglio di idee e di progetti,
nettamente difformi dalla destra conservatrice, anche se, in questo senso,
molti equivoci, sembrano permanere.
La scomparsa della ciste tumorale missista è stata
decisamente un evento positivo, ma la
degenerazione, oggi ancor più accentuata di ieri, di tutta la società non
consente di raggiungere molti risultati.
Noi, in questo saggio, comunque, non prendiamo in considerazione
aspetti intellettuali o evoluzioni ideologiche del neofascismo, la nostra è una
semplice inchiesta storica, e se proprio dobbiamo esprimerci sull’oggi, sul
politico, preferiamo condividere e solidarizzare con tutte quelle posizioni, da
qualunque schieramento arrivino, che dimostrano di opporsi al mondialismo e ai
suoi progetti di globalizzazione totale, all’Alta Finanza e al suo potere
planetario, al Sionismo e ai suoi sogni biblici di dominio mondiale. Sono
queste le forze alle quali bisogna opporsi e contrastare, partendo appunto
dalla consapevolezza che un ciclo storico si è oramai concluso e sono costoro,
in pratica l’Occidente, il vero nemico dell’uomo.
[1] La letteratura
sulla genesi e la costituzione del MSI è
alquanto carente, fatta eccezione per alcune opere autobiografiche spesso poco
attendibili o di parte. Ben pochi infine, su questo argomento, si sono dedicati
a lavori di ricerca e documentazione.
Un certo contributo è stato fornito dallo
storico professor Giuseppe Parlato: Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino,
2006; quindi da Giuseppe Murgia,
saggista e narratore con alcune opere di cronaca storica: Ritorneremo, SugarCo 1976, e Il
vento del Nord, SugarCo 1975 e ristampa Ed. Kaos 2004 (pur se inficiate da
faziosità antifascista); Giuliana De Medici: Le origini del MSI, Ed. ISC, 1986;
Mario Tedeschi: Fascisti senza
Mussolini, le organizzazioni fasciste clandestine 1946 – ’47, Ed. Settimo
Sigillo 1996; Nicola Rao: Neofascisti, la destra italiana da Salò a Fiuggi,
Ed. Settimo Sigillo 1999; Daniele
Lembo: Fascisti dopo la liberazione. Storia del fascismo e dei fascisti nel
dopoguerra in Italia, Ed. Grafica Ma.Ro., 2007. E pochi altri testi.
I fascisti della FNCRSI
«Comunque sia,
coloro i quali, a qualsiasi titolo e con qualsiasi ruolo, aderendo alle tesi
della c.d. «guerra non ortodossa», di
chiara matrice statunitense e assumendo
la strage come strumento di lotta politica, si sono posti al servizio di una potenza
straniera e hanno partecipato o invitato altri a partecipare alla strategia
della tensione, tesa ad una maggiore soggezione del popolo italiano ad
interessi stranieri, sono condannabili ai sensi del codice militare di
pace. Privi di ogni qualsivoglia
idealità politica e di dignità morale, essi si sono rivelati affatto alieni da
quelle leggi, che, come notò Pericle, “Senza essere scritte, recano come sanzione
universale il disonore».
[Marzo 2000 – Il Comitato Direttivo della Federazione Nazionale
Combattenti Repubblica Sociale
Italiana]
Se il MSI ha finito per
rappresentare in Italia un partito di destra, conservatore, genericamente
nazionalista e con un altrettanto generico riferimento, non tanto nostalgico,
quanto più che altro coreografico al passato, oltre che divenire un abietto
sostenitore dell’Atlantismo, tutto questo si è potuto realizzare anche perché
era nella natura stessa delle cose che fosse occupato questo spazio politico.
Se
non fosse stato il MSI, sarebbe stata qualche altra entità politica a
rappresentare questa area di destra, il fatto però è che il tutto è nato
utilizzando la massa dei reduci del fascismo repubblicano e di conseguenza, un
certo retaggio, anche simbolico, si è perpetuato negli anni e ha
caratterizzato, sia pure superficialmente, questo partito come neofascista di
fronte all’opinione pubblica, producendo gravissimi danni all’immagine e al
portato storico del fascismo.
Ma anche qui non ci si deve
meravigliare, se l’operazione di utilizzo e quindi di trasformismo del
patrimonio umano e degli ideali del fascismo repubblicano si è potuta verificare.
Evidentemente ne esistevano le condizioni, i personaggi già mentalmente
predisposti in questo senso e di conseguenza poi, le dinamiche politiche,
l’evoluzione dei rapporti politici e sociali del paese, hanno fatto il resto. In
politica, nulla resta fermo, cambiamenti, spesso abiure, sono frequenti e a
volte necessarie.
Non è questo il problema.
Quello
che noi vogliamo illustrare è semplicemente il “grande inganno”, ovvero l’aver
spacciato per anni, per necessità tattiche e diciamolo chiaramente, per
interessi elettorali, il MSI come un partito neofascista quando non lo era
affatto.
Per valutare storicamente il MSI e la
sua funzione essenzialmente antifascista, riteniamo opportuno che si prenda a
comparazione e riferimento storico la Federazione
Nazionale Combattenti della RSI (Fncrsi).
La
Fncrsi (da non confondersi con sigle quasi simili, ma profondamente
antitetiche) costituitasi nel 1947 con decine di migliaia di reduci del
fascismo repubblicano, ha rappresentato non soltanto la testimonianza storica
della RSI , ma anche il punto di riferimento ideale e politico per i fascisti
nel dopoguerra, anche se politicamente non ha potuto far nulla per incidere
nella situazione politica ed oggi della Fncrsi e del suo gruppo giovanile “Controcorrente”
ci resta la sua testimonianza a dimostrazione di una dirittura morale e di una
politica espressamente fascista, come chiunque può verificare nel Sito on line
di questa Federazione, nelle sue
sezioni: Archivio, Periodici, Manifesti e
Volantini e Notiziario: http://fncrsi.altervista.org/.
Il
confronto con la realtà storica, incarnata dalla Fncrsi, consente anche di
prevenire, ogni eventuale obiezione da parte di chi voglia sostenere che, in
fin dei conti, gli ex combattenti della RSI, i reduci del fascismo repubblicano
e i giovani che nel dopoguerra si affacciarono al fascismo, avevano come
riferimento solo il MSI. Benchè non di grande impatto visivo e presenza nelle
cronache politiche, molto importanti sono stati gli impegni di lotta della
Fncrsi contro la Nato, le sue prese di posizione contro l’ “imperialismo”
americano e il sionismo e quindi a sostegno dei popoli arabi e dei palestinesi,
della figura e dell’opera politico militare del Che Guevara e dell’eroico
popolo vietnamita;[1]
la netta e decisa presa di posizione contro il Concordato, che non aveva più
senso in questa Repubblica democratica e anzi costituiva un onere e una logica
avversa agli interessi dello Stato ed infine la rivalutazione e affermazione
delle istanze socializzatrici della RSI contro il capitalismo, il liberismo e
il sistema usuraio dei banksters.
Ma soprattutto, questi ex combattenti
fascisti repubblicani, capita l’antifona e ben valutati uomini e fatti,
sfrondandoli dalle menzogne e dalla propaganda, già dai primi anni ’50
indicarono chiaramente ai camerati di non riconoscere nel MSI una qualsiasi
continuità con il fascismo repubblicano. Di conseguenza la Fncrsi a tutte le
elezioni politiche o locali che seguirono negli anni, diede sempre indicazione
di astenersi o votare scheda bianca.
Una presa di posizione non solo
politica, ma sostanziata da precise motivazioni storiche ed ideologiche, tanto
che accadde, alle elezioni del 1958, che dalle pagine del Secolo d’Italia, il giornale allora
paramissista diretto da Franz Turchi, già Prefetto di La Spezia, suo fondatore
e proprietario, si riportava in prima pagina uno squallido invito di J. Valerio
Borghese di votare alla Camera il figlio candidato del suo amico Franz Turchi,
Luigi. Ricordiamo pertanto questo
episodio perchè è molto importante per valutare la storia e la funzione della
Fncrsi.
Devesi
sapere che la Fncrsi era usa, in rispetto dei valori combattentistici che
rappresentava, di offrire la sua Presidenza onoraria a personalità di rilievo, di un certo
carisma e di un glorioso passato combattentistico, anche se questi personaggi,
non potevano sempre definirsi propriamente fascisti.
Così
era stato per Rodolfo Graziani, così era in quell’anno per Borghese.
Inevitabilmente
Borghese, per aver così platealmente disatteso le indicazioni del Direttorio Fncrsi, venne posto sotto
inchiesta e nel corso del 1959 fu espulso dalla Fncrsi per ignominia tanto che
il Comitato Direttivo FNCRSI, sottolineò per il desso di «essere venuto meno ad un impegno
solennemente assunto con parola d'onore verso la precedente Direzione Nazionale
Fncrsi>>. [2]
Gli ambienti missisti usi a trascinarsi
dietro, a cene o comizi, qualche povero diavolo ex combattente repubblicano
rincoglionito o abbindolato, ma che mai erano riusciti a corrompere la Fncrsi
per utilizzarla come ”vetrinetta” nelle campagne elettorali, su questa storia
della negazione del voto al loro carrozzone, davano di matto, starnazzando e
delirando: “Chi vota scheda bianca, vota
Moranino”, tanto era la paura di perdere qualche seggio.
A marzo 1968
la Federazione Nazionale Combattenti della RSI è impegnata in una massiccia
campagna per la “Scheda bianca” o l’”Astensione” alle prossime elezioni
politiche e viene attaccata da ambienti destristi.
Un comunicato
sul Bollettino Fncrsi di marzo ‘68
riporta:
<<Un certo numero di poveri diavoli, riuniti a
Roma e a Milano, rispettivamente intorno a J. V. Borghese e a Vincenzo Costa - entrambi a suo tempo
espulsi dalla FNCRSI - hanno recentemente stilato e fatto diramare dal
quotidiano antifascista e paragovernativo "Il Secolo d'Italia" una
circolare nella quale accusano di viltà quei camerati che, non riconoscendo per
fascista nessuno dei partiti attuali, voteranno scheda bianca. Votiamo Scheda
Bianca.
Oggi,
niente di più naturale, di più ovvio, di più opportuno, di più pulito. Non è
comprensibile quindi l'infamia di tanto scomposto agitarsi, se non nel voler
rendere un servigio al MSI, movimento che non si vede come possa essere ancora
considerato fascista dal momento che la patente rilasciata dagli antifascisti è
un falso ideologico>>.
Nell’aprile del 1967 la Fncrsi, i cui
dirigenti e militanti affermavano orgogliosamente: “Noi non siamo fascisti, NOI SIAMO
I FASCISTI”, e si stavano
battendo in favore della lotta del popolo arabo aggredito dai sionisti e del
popolo vietnamita aggredito dagli americani, avendo oramai da anni ben
inquadrato il MSI, nella sua Mozione
conclusiva alla VII Assemblea Nazionale di Treviso, espresse su questo
partito una valutazione storico - politica senza equivoci:
«Il MSI, che
nella leadership militare e politica USA rispetto agli Stati Europei trova
l'unica garanzia di fronte ad una aggressione sovietica è poi costretto ad
accettare gli altri due punti dell'occidentalismo: Yalta ed il sistema
democratico. Ogni prospettiva rivoluzionaria viene in tal modo a chiudersi ed
il problema politico di fondo diventa quello dell'inserimento e della
collaborazione con il sistema, magari con la giustificazione di volerlo
modificare. Tutta l'azione politica del MSI è stata una testimonianza di questo
indirizzo riformista e collaborazionista.
La linea di
colloquio al vertice con la DC (culminata con Tambroni e tappezzata di voti
«dati e non richiesti» o addirittura «non graditi» dai vari Zoli e Segni) ne è
la prova maggiore, ma la stessa qualificazione di partito di destra sollecitata
in mille modi e poi provocata mediante l'apparentamento coi monarchici hanno
fatto assumere al MSI addirittura la funzione di scialuppa di salvataggio o di
valvola di scarico del sistema democratico.
È inutile
ripercorrere le tappe di un cammino ignobile che sta ora per terminare, ma non
possono tacersi gli effetti che il sacrificio dell'indirizzo politico
rivoluzionario ha prodotto nella stessa struttura organizzativa del MSI e che
consistono esattamente nella strutturazione di vertice del partito (la cricca
al potere), nell'abbandono della preparazione dei quadri, nella rescissione di
ogni rapporto con una dottrina politica derivante da una concezione del mondo e
nella conseguente adozione di una tematica e di una prassi politica impostata
sulle piccole idee occasionali, più o meno provocate dalle deficienze altrui».
Quattro
anni dopo, nel Bollettino Fncrsi, (N. 1 gennaio
1971) i camerati della Federazione dopo aver commentando il congresso missista
di novembre 1970 a
Roma, un congresso definito “unitario” visto che oramai il MSI, guidato da
Almirante si avviava a realizzare la pattumiera della Destra Nazionale,
rimarcavano:
<<L'equazione
«MSI = RSI» è oggi una bestemmia e forse non è lontano il giorno in cui saranno
puniti i bestemmiatori, i transfughi e i seminatori di discordia – e
concludevano l’articolo osservando senza mezzi termini - Un fatto però è certo: il MSI, dopo il suo ultimo congresso, è un
partito irreversibilmente antifascista>>.
Vincenzo Vinciguerra
In questo saggio, citeremo spesso
Vincenzo Vinciguerra, da decenni recluso nella carceri di Stato. La Federazione
Nazionale Combattenti della RSI, quale associazione di ex combattenti fascisti
repubblicani, espresse un certo apprezzamento per la posizione di Vinciguerra,
riconoscendone anche il camerata, il soldato politico che con il suo sacrificio
nel costituirsi per fare chiarezza, aveva contribuito a svelare le trame
reazionarie di un certo pseudo neofascismo che del resto la stessa Fncrsi da
sempre condannava. A suo tempo ha scritto di lui la Fncrsi:
"Giovane
cresciuto nel peggiore neo-fascismo, Vincenzo Vinciguerra, con la dichiarazione
resa al g. i. della Corte d'Assise di Venezia il 28/4/84, ha saputo assurgere a
livello di autentico fascista: “Mi assumo la responsabilità piena, completa e
totale della ideazione, dell'organizzazione e dell'esecuzione materiale
dell'attentato di Peteano che si inquadra in una logica di rottura con la
strategia che veniva allora seguita da forze che ritenevo rivoluzionarie cosiddette
di destra e che invece seguivano una strategia dettata da centri di potere
nazionali ed internazionali, collocati ai vertici dello Stato (...) decisi
un'azione di rottura che segnalasse a quanti ritenevano inaccettabile il
proseguimento di una lotta politica strumentalizzata, la necessità di dare il
via ad una battaglia politica indipendente contro il regime politico imperante
...” (ivi, pp. XII e XIII).
In
quanto portatori di un'etica che non si arresta al mero giudizio di
approvazione-disapprovazione dei comportamenti riguardo al bene e al male, ma
prosegue il suo iter fino ad inserirsi nell'atto che dà compimento all'azione
concreta, riteniamo che, con tale dichiarazione, egli ha conseguito l'apice
della coerenza etico-morale, addossandosi l'immane fardello di un “ergastolo
per la libertà” di essere niente altro che fascista.
Onorevole
condizione questa, che viene lealmente apprezzata dalla sentenza del 25/7/87 di
quella stessa Corte d'Assise: “Una posizione indubbiamente singolare quella di
Vincenzo Vinciguerra (...) la sua figura di soldato politico non è mai venuta
meno e mantiene intatta la sua potenzialità offensiva nei confronti dello stato
democratico” (ivi, p. XIV).
I
carabinieri uccisi a Peteano costituiscono perciò l'incongruo prezzo dovuto non
tanto alla lucida disperazione del Vinciguerra, quanto alla infame prassi di un
sistema di potere che ha fomentato - avvalendosi di manovalanze ora di destra e
ora di sinistra - e attuato l'insana strategia della tensione, delle stragi di
inermi e della sacrilega divisione del popolo italiano. La FNCRSI confida che
il presente definitivo chiarimento non sia vano"
(Vedesi:
“Foglio di Orientamento Fncrsi” 1/’97,
in Aurora N. 41, 1997).
Il giudizio sugli eventuali “collusi”
Noi non conosciamo caso per caso il giudizio di Vinciguerra
su tutti quei delatori e collusi con i Servizi (e sono tanti) che egli ha avuto
modo di individuare o dedurre attraverso esperienze personali o documentazioni
oggi emerse.
Da
quello che scrive, però, traspare evidente che Vinciguerra fa di tutti questi
“collusi” un solo mazzo e li bolla a fuoco con la patente di traditori
dell’Idea e della Patria e giustamente egli nega che possano, qualunque siano
le ideologie che avevano nei loro cervelli o le simbologie di cui si sono
fregiati, definirsi fascisti.
Tuttavia per lo storico che deve
analizzare e ricostruire certi avvenimenti il discorso è alquanto più complesso
perchè nel particolare, nell’esame delle singole posizioni, a volte, potrebbero
anche trovarsi storie e vicende diverse. La politica infatti è una pratica, talvolta,
inevitabilmente, anche sporca, è fatta di azioni e reazioni, cause e concause, contatti,
iniziative, ecc., ed è anche condizionata dalle situazioni contingenti.
Può
quindi accadere che, per esempio, quando si è giovani e inesperti, si
commettano stupidaggini o leggerezze o ci si lasci trascinare dalle emotività
del momento, specialmente per chi, come era il caso di tanti giovani
neofascisti, viveva quotidianamente sotto il peso delle violenze, della caccia
al fascista, praticata dai “compagni”, forti nel numero, alle quali rispondeva
con altrettanta violenza in una specie
di guerra quotidiana, selvaggia e cruenta.
Per un altro aspetto, invece, e sempre riferendoci
a quella che è la natura umana e l’attività politica (delatori e spie di
professione a parte), può anche accadere che qualche militante, magari in un
momento di demenza mentale, abbia ritenuto utile “per la causa” (anche se
resterebbe da vedere “quale”), instaurare contatti con qualche “Servizio” o apparato di sistema e poi ci si sia trovato coinvolto.
Certo
bisognerebbe conoscere esattamente motivi, accordi e situazioni, cosa
difficilmente possibile, però, almeno in via teorica, non possiamo
generalizzare ed equiparare questi
eventuali “collusi” a tutti gli altri prezzolati.
Il fatto è che
qui stiamo parlando di accuse gravissime, quali “collusioni” come tradimento
verso l’Idea e stragismo. Di fronte a queste accuse, non avendo noi i mezzi e
le conoscenze adeguate per esprimere un parere comprovato, non possiamo che
astenerci dal fare nomi, a meno che non si tratti di rei confessi o documentati
con precisione.
A Vinciguerra
che invece ha sciorinato nomi e cognomi di “traditori”, magari generalizzando e
qualche volta errando, si tende a considerarlo
un visionario, un paranoico. Non è però con queste accuse grossolane che
si ‘può contestare Vinciguerra, ma nel caso si dovrebbe dimostrare dove e come
si sbaglia e perché le sue deduzioni e analisi sono errate.
In ogni modo nel caso ci fossero state “collusioni” e
queste collusioni avessero portato a compiere, non incidentalmente, atti
cruenti che hanno mutilato o ucciso altri italiani, sarebbe stato opportuno e
doveroso da parte di questi soggetti che parlavano di onore, lealtà e fedeltà e
qualcuno si dichiarava anche ammiratore del Bushido,
una volta costatati i danni fatti anche alla immagine del fascismo e il sangue
sparso, tutto a vantaggio del Sistema o degli interessi Atlantici, farsi
saltare le cervella. Ma questo, non è accaduto.
Insomma,
massima severità di giudizio, ma con la dovuta accortezza e distinzione, senza
generalizzare.
Scrive oggi
Vinciguerra:
"Se
nel 1989, potevo scrivere senza essere smentito che avevo conosciuto il
fascismo nei libri e nei cimiteri, oggi posso dire che assisto alla fine
ingloriosa del neofascismo la cui storia potrà essere ricostruita leggendo le
note informative confidenziali redatte dai suoi dirigenti e da tanti, troppi,
dei suoi militanti. Il sipario cala sulla farsa tragica del neofascismo italiano,
senza applausi e lacrime, ma nel silenzio e nel disprezzo che convengono a
quanti hanno attraversato la storia italiana di oltre sessant’anni usando come
uniche armi quelle dell’inganno e del tradimento". [V. Vinciguerra “Aria pulita” giugno 2013 - http://www.archivioguerrapolitica.org/http://www.archivioguerrapolitica.org/].
Come e perché nacque il MSI
Il massimo del servilismo
"Il Movimento Sociale Italiano non può non
tener conto che l'America sta oggi pagando questi errori con il sangue dei propri
figli in difesa dell'Occidente ...".
Arturo
Michelini, segretario del MSI, a un convegno di partito, febbraio 1966.
Negli anni passati di fronte alla evidente trasformazione
del MSI, non solo in qualcosa di profondamente diverso dagli ideali fascisti,
ma addirittura nella loro antitesi, ci si interrogava per comprendere se questo
movimento fosse stato progettato da perfide menti, in particolare: Servizi
americani, lobby massoniche e il Ministero degli Interni del tempo (De
Gasperi e poi Scelba, DC), dietro benedizione vaticana e confindustriale o se
invece, nato da sinceri fascisti avesse degenerato a poco a poco essendo finito
in mano a una cricca di conservatori borghesi e carrieristi.
Chi
aveva preso parte alle primissime riunioni, ai comizi ed ai “giornali parlati” tendeva a respingere
l'ipotesi (ritenendola possibile e verosimile, ma priva di concreta
dimostrabilità) che il MSI fosse sorto per incanalare in un alveo prestabilito
la diaspora dei “repubblichini” sbandati e pericolosi. Ed in effetti, se pur si
potevano avanzare sospetti “cospiratori”, la loro dimostrazione restava tutta
da provare, mentre invece la generosa dedizione di migliaia di fascisti alla
nascita del MSI era un ricordo ancora ben vivo nelle menti di tanti camerati.
Oltre
tutto diventava alquanto problematico e difficile poter stabilire, a
posteriori, se l’agire politico di certi dirigenti, dimostratisi con il tempo
dei veri
furfanti, fosse in malafede in partenza, o lo divenne strada facendo: sarebbe
stato un po’ come stabilire se era nato prima l’uovo o la gallina.
Oggi però che sono emerse molte documentazioni d’epoca, si è
arricchito il contesto delle testimonianze, precisandosi nel tempo anche certe
situazioni, possiamo intuire che la nascita del MSI venne anche manipolata da
certe forze reazionarie e da subito indirizzata verso determinati interessi che
non avevano nulla a che vedere con gli ideali e i programmi che,
apparentemente, si diceva di perseguire.
Le ricerche storiche prescindono dalla “corruzione”
Prima però di andare avanti e ricostruire nei prossimi capitoli come,
perché e per mano di chi, nacque
il MSI e finì poi per diventare cosa ben diversa dalle intenzioni di tanti, dobbiamo premettere una precisazione di
metodo: non è negli intenti del nostro saggio, elevare accuse di corruzione e
malafede per interessi personali a chicchessia (la nostra analisi vuole
attenersi essenzialmente agli aspetti politici), e poco ci interessa sapere se
questo partito, che in qualche modo offriva possibilità di accedere al
Parlamento o negli Enti locali, di accaparrarsi qualche carica ben remunerata
nel partito stesso o nella società e di trafficare in svariate situazioni,
poteva far sì che molti di coloro che ci venivano in contatt0, avrebbero potuto
sporcarsi le mani e la coscienza.
Una
situazione questa, del resto tipica per tutti i partiti dei sistemi
democratici, come per esempio il PCI, divenuto oggi una informe “cosa” liberal,
impregnata di ideologie
neoradicali e invischiato, come tutti gli altri partiti, nella corruzione del
potere: partiti corrotti e corruttori.
Resta
il fatto, però, che nelle valutazioni storiche, queste considerazioni hanno
scarso valore, perchè non rari sono i personaggi che in politica perseguono
fini diametralmente opposti a quelli che per la loro storia e attestazione
ideale dovrebbero praticare e magari lo fanno, con una loro presunzione di
buona fede, in quanto convinti di seguire una via politica utile e necessaria.
Altri
poi, pur militando in una certa area politica, possono avere ideali divergenti
e così via. In questi casi quindi la “malafede”, più che altro, consiste nel
raggiro, rispetto ai veri fini politici da raggiungere, perpetrato verso gli
altri militanti ai quali viene fatto credere di perseguire certi obiettivi quando
invece non è così.
Del resto per una ricostruzione storica non
specifica, né approfondita come la nostra, è del tutto indifferente accertare
se, per esempio, una eventuale collusione con i Servizi, avviene perché il desso è a libro paga e quindi esegue semplicemente
degli ordini, oppure la sua collusione gli torna opportuna per
situazioni o progetti politici o ancora, risponde ad una comunanza di
vedute con coloro cui è colluso, ecc., perché
i risultati e le conseguenze della sua “collusione” non cambiano, anche se
cambia la considerazione del “colluso”: spia e infame nel primo caso; soggetto
che agisce su un piano politico e ideologico diverso dagli altri con cui opera
e a cui magari nasconde le sue relazioni, negli altri casi.
Ma questo aspetto, in questa sede non ci interessa
e potrà semmai essere approfondito con altre ricerche se ovviamente suffragate
da precise documentazioni.
I fini reconditi
Comunque sia oggi, come accennato, a seguito della
desecretazione o disponibilità di svariate documentazioni, ulteriori
testimonianze, tutta una serie di fatti e circostanze riconsiderate e valutando attentamente certi
personaggi che al tempo ne furono i “padri fondatori” o comunque quelli che si
installarono nelle prime cariche direttive, possiamo dire che ci
sono pochi dubbi, e in qualche modo lo dimostreremo nelle pagine a venire, che
il MSI nacque sì, da esigenze naturali e genuine, dalla volontà di sinceri
fascisti desiderosi di riprendere ad incidere politicamente nel paese, ma venne
anche progettato da personaggi legati a interessi estranei agli ideali e
all’area del neofascismo, propensi ad avere una realtà politica attiva,
agitatoria, ma “costituzionale”, che
controllasse e indirizzasse, gradualmente, la massa dei reduci del fascismo repubblicano
su sponde conservatrici e reazionarie, per impiegarla come forza d’urto a
fronteggiare le masse social comuniste, al tempo agguerrite.
In
questi scopi reconditi, inoltre, vi era anche quello di utilizzare l’immagine
“nazionalista” di questo partito per ricomporre lo spirito delle FF.AA.
spezzato dall’8 settembre e la guerra
civile (militari che avevano partecipato alla RSI e quelli rimasti con il
governo del Sud) al fine di cementare i “valori” e lo spirito di corpo
necessari alla vita della neonata
Repubblica democratica antifascista.
E
furono poi proprio questi personaggi che dotati di ampi mezzi, finanziamenti ed
appoggi, si impadronirono dell’anima e della dirigenza del partito, a poco a
poco lo modellarono a loro immagine e somiglianza e su quella strada finirono
per trascinarsi dietro quasi tutti gli altri.
Scrive, il sia
pur anti fascista P. G. Murgia, e in questo caso non fa una piega:
"...
il MSI nasce nel primo dopoguerra con il nulla osta del ministero degli interni
e la benedizione del Vaticano. La Chiesa e la DC vogliono impedire che quella
consistente parte dell’elettorato popolare
fascista, favorevole alla socializzazione vada ad ingrossare le fila
della sinistra... Una forza politica di estrema destra rafforza la centralità
democristiana quale alternativa moderata agli “opposti estremismi”. Le trattative dei capi fascisti con il
ministero degli Interni controllato dalla DC, passano attraverso l’Ufficio
Speciale del “Centro antincendi Ps” e sono curate dall’ex carabiniere Giuseppe
Pièche" (P.G.
Murgia: Il vento del Nord, SugarCo
1975 e ristampa Ed. Kaos 2004).
E il nuovo partito, realizzato nel secondo semestre del
1946, ebbe, non a caso, il “nulla osta”, americano e del ministero degli
interni.
Sangue e sudore di tanti fascisti
Se tutto questo è vero e può oggi
darsi per acquisito, dobbiamo rimarcare che è altrettanto vero che il MSI
nacque anche per l’opera generosa di tanti fascisti, chi dalla macchia perché
ricercato, chi rimasto in piedi in un mondo veramente di rovine, che in qualche
modo volevano riprendere la vita politica e contribuire a creare un punto di
riferimento per tutti gli italiani che erano rimasti fedeli a Mussolini e al
fascismo, soprattutto repubblicano. [3]
A
veder bene, il contributo e l’opera dei sinceri fascisti fu sicuramente
superiore a quello degli altri, anche se poi, una volta creato il “partito”,
preso saldamente in mano da dirigenti propensi a farne quello strumento
reazionario cui abbiamo accennato, oltre che un carrozzone con annessi e connessi
proiettato nell’appetitoso sistema elettorale, l’opera di sottile corruzione
morale e di degenerazione di questo movimento divenne inarrestabile e, se non
tutti, travolse molti.
Il
fatto è che coloro i quali, magari per convinzioni ideologiche personali
(nazionalisti sui generis e conservatori che in definitiva, volenti o nolenti,
divergevano dagli ideali e dalle posizioni, sopratutto sociali e socialiste del
fascismo repubblicano), potendo contare su appoggi, mezzi e protezioni di ogni
genere e natura, indirizzarono la nuova “creatura” politica verso gli ignobili
fini per i quali “chi di dovere” la voleva destinare, mentre i secondi, le
forze generose dei fascisti e di altrettanti giovani che simpatizzavano per
questo partito che mostrava di voler difendere l’italianità e i valori
nazionali delle nostre terre e della nostra gente, furono sempre più relegati
ad una funzione di supporto e retroguardia, a fare da galoppini elettorali, a
difendere le sedi e i comizi tenuti dagli oratori, a fare da guardie del corpo
senza poter incidere nelle decisioni dei suoi quadri dirigenti.
In
ogni caso, considerando la nascita ed i primi anni di vita del MSI, dobbiamo
sempre tenere presente queste due realtà coesistenti nel partito: personaggi in
buona fede, sinceri fascisti (con il tempo sempre meno) e personaggi che,
perseguivano altri fini e altri ideali, fino
a quando una lenta, ma inevitabile trasformazione, anche generazionale,
amalgamò il tutto e ne fece un qualcosa di profondamente diverso, anzi una
antitesi di tutto quello che il fascismo aveva rappresentato.
Ma
siamo andati troppo avanti. Ne parleremo tra poco visto che il nostro
intento è proprio quello di stabilire come, perché e
per mano di quali personaggi nacque il MSI, che scopi doveva perseguire e cosa
ha finito con il tempo per diventare.
In
definitiva la funzione subalterna alla DC e il ruolo di “ascaro” per gli
Atlantici, ha fatto sì che il MSI rappresentasse una minoranza di italiani
ovvero, escluse poche eccezioni, la parte più retriva, bottegaia, borghese e
bigotta della popolazione, ma soprattutto che non potesse mai avere una
politica propria, dei contenuti culturali e ideologici significativi, ma
soltanto degli “stati emotivi”, delle reazioni viscerali, delle prese di
posizione politiche di retroguardia.
Tutta la politica e gli ideali
missisti, infatti, si sono prevalentemente sostanziati per quasi 50 anni, in un
anticomunismo viscerale e per certi aspetti demenziale; in una retorica
nazionalista tra l’altro condizionata dal filo atlantismo e il filo
americanismo che ne erano una evidente contraddizione; in una ipocrita
esaltazione, di stampo nostalgico, del ventennio fascista e della figura del
Duce ad uso e consumo di una base quale serbatoio elettorale; apologia limitata
dalle leggi vigenti e opportunamente e vigliaccamente sfrondata di tutti gli
aspetti rivoluzionari e antiborghesi del fascismo.
E
sorvoliamo sul suo ruolo ultraconservatore nel campo sociale.
E questo per gli antifascisti sarebbe
stato un partito Fascista?
Tutto da ridere quello che si verificò
nei primi anni ’70 quando Almirante adeguò il MSI ad una Destra Nazionale, un
partito d’0rdine, ultra bigotto, forcaiolo,[4]
aperto a tutte le componenti conservatrici della nazione e quindi, come allora
si disse, indossò il “doppio petto” al fine di offrire una immagine
“perbenista” all’esterno e a tutti i “benpensanti”.
Orbene
agli antifascisti, che pur ben ne conoscevano la vera natura, gli faceva comodo
starnazzare che Almirante sotto il doppio petto indossava la camicia nera e
portava il manganello.
I
dirigenti missisti, da parte loro, si dannavano a negarlo, ma all’interno, ad
una parte della base preoccupata di un eccessivo imborghesimento del partito
(come se non lo fosse da tempo!) la si rassicurava dicendo che quello era un
espediente tattico necessario per ottenere consensi. Insomma il gioco delle
parti, la commedia degli equivoci ad uso e consumo di una opinione pubblica da
rimbecillire.
Giusto
il riferimento del giornalista, ex combattente RSI, Lando Dell’Amico, che riporta l’affermazione di Ezio D’Aquanno, figlio di Ernesto
D’Aquanno fucilato a Dongo, a proposito del commento su la pubblica
dichiarazione con cui Gianfranco Fini condannava Mussolini e il fascismo, soprattutto
quello RSI, conseguendo pertanto:
"il
merito di porre termine ad un equivoco che si trascinava da troppi decenni" e cioè che Alleanza Nazionale di Fini e il Msi con Almirante: "fossero i legittimi eredi ideali del fascismo e i custodi della sua
tradizione e della sua ideologia" (L. Dell’Amico: “La leggenda del giornalista spia”, Ed. KOINè, 2013).
Il primo gennaio 1955, il leader socialista
Pietro Nenni, già amico e poi avversario di Mussolini, aveva messo a nudo una
triste realtà:
"Da
noi la destra esprime soltanto istinti antisociali, di conservazione e di
reazione. Tipico il caso dei fascisti che,. per inserirsi nella politica
reazionaria americana, non hanno esitato a pugnalare ancora una volta il loro
capo e a rinnegare l’unico elemento rispettabile della loro tradizione, vale a
dire l’opposizione al dominio delle cosiddette plutocrazie".
Lo storico Ivan Buttlgione coglie in pieno
l’essenza del MSI, laddove nel suo “Compagno
Duce”, Ed. Hobby & Work 1989, scrive:
"Il [neo]fascismo dei notabili meridionali e della borghesia ministeriale.
Protetto dai gesuiti, con una forte presenza al ministero degli interni, nella
polizia e nell’esercito tiene insieme un vasto gruppo multiforme
(socializzatori, antiborghesi, atlantisti, neutralisti, neopagani,
tradizionalisti esoterici) che gravita attorno al MSI, … riconoscibili per quel
che odia piuttosto che per quel che ama".
Un partito di vecchi.
Ma la “nullità” sostanziale di questo
partito, la sua indefinita attestazione ideologica, la mancanza di una cultura
e di una seria e coerente politica, ha fatto anche sì che, in un certo senso, divenisse il
“partito dei vecchi”.
Era noto, infatti, che il MSI, che pur
aveva le sezioni piene di ragazzi, soprattutto adolescenti o sotto i 21 anni,
per i quali giocano un forte ruolo i sentimenti e gli stati emotivi, sempre e
puntualmente alle tornate elettorali si evidenziava che questi stessi ragazzi,
completati gli studi, laureatisi e/o entrati nel mondo del lavoro, non votavano
affatto per il MSI: si erano in qualche modo distaccati, come dimostravano le proiezioni
dei votanti, sopratutto al Senato dove era richiesta un età un poco più
avanzata.
E nessuno poteva farci niente, perchè
questo andazzo era determinato proprio dalla natura stessa, dalla nullità
sostanziale, politica e culturale, come detto, di questo partito.
Una destra conservatrice e filo atlantica
Tu che passi di lontano,
con la vesta tutta nera,
e con l’aria un poco austera,
mi fai il filo americano,
Ragionando
in termini storico - politici nessuno, con il senno del poi, dovrebbe meravigliarsi
che si sia realizzato, dal dopoguerra in avanti, un partito conservatore e filo
atlantico, perché questa specificità e funzione, rientrava nella natura della politica e in parte nella cultura
stessa della società. C’erano, infatti, svariati ambienti e interessi attestati
su quelle posizioni politiche e persone permeate di quelle inclinazioni
ideologiche, ed è quindi del tutto ovvio che queste forze si fossero
indirizzate verso questa tipologia di destra.
Quello che però noi vogliamo
sottolineare è il fatto che tutto questo è avvenuto attraverso una
mistificazione perpetrata alle spalle dei reduci del fascismo repubblicano e
dei militanti del MSI stesso, perpetuando per decenni l’equivoco di un movimento
spacciato per fascista quando invece ne era la totale antitesi.
Alle
sue origini, infatti, questo movimento, fece credere di essere l’erede ed il
mezzo con cui i reduci del fascismo repubblicano avrebbero potuto riprendere a
fare politica nella Repubblica democratica e antifascista: il grande inganno.
E
subito ci fu un gioco delle parti perché agli antifascisti, che ben sapevano
che il MSI (e soprattutto i suoi dirigenti che contano) non era fascista,
tornava però utile spacciarlo come tale. Con gli anni poi, concretizzandosi,
anche grazie al MSI, il luogo comune che fascismo fosse conservazione, reazione
e servilismo verso gli Usa, dare del fascista a questo partito, aveva appunto
questo significato e il dramma è che l’opinione pubblica ha finito per perdere
il senso e la sostanza del significato dei termini e gli stessi riferimenti
storici.
Prima
di andare avanti, però, dobbiamo fare un altra doverosa premessa: la nostra
disamina, spietata, ma storicamente ineccepibile, andrà a toccare i sentimenti
di tante persone, non solo quei sinceri e generosi fascisti poc’anzi accennati,
che contribuirono a mettere in piedi il MSI, ma anche molti di coloro che
vennero dopo i quali, in tutta buona fede, vi hanno poi militato.
La
mancanza di una concreta alternativa politica, cioè il vuoto che il Sistema
aveva di proposito creato nell’area umana del neofascismo, ha fatto sì che
coloro che si sentivano portati verso questa idea, avessero poco da scegliere,
anche perché, oltretutto, si avvertiva istintivamente che certe organizzazioni alternative,
extra parlamentari, sostanzialmente non erano altro che un MSI fuori dal MSI.
Molti, magari, hanno anche vissuto nel
MSI delle loro zone, esperienze e politiche che presumevano aderenti a certi ideali fascisti, quindi
si sono battuti per il partito e spesso ne hanno anche pagato le conseguenze.
Chiusi
in una loro nicchia non hanno visto o non hanno voluto vedere quella che era la
realtà e la vera sostanza di questo partito. A tutti costoro non possiamo dire
nulla, ci mancherebbe, se non addebitargli una buona dose di santa ingenuità.
La
mutazione genetica
Mi riferisco soprattutto a coloro
che dal dopoguerra agli anni ’60, pur vi
profusero, energie, dedizione, lacrime e sangue.
Per
quelli che vennero dopo e militarono
nel MSI DN il discorso è, in molti casi, diverso perché la reiterata politica
reazionaria e conservatrice di questo partito, il suo ruolo di ascaro degli
atlantici, aveva finito per avvicinargli e assimilargli nuove generazioni tipicamente
di “destra”, una destra americaneggiante, bigotta, borghese, in alcuni casi semi
benestante, dando anche vita alla moda disgustosa dei giovani “neofascisti pariolini”, in ray-ban, kashmir e camperos, che veri
fascisti quali un Alessandro Pavolini segretario del PFR o un Franco Colombo,
comandante della “Muti”, avrebbero preso a calci nel culo;
per
non parlare di ributtanti criminali comuni in galera che, o per moda o per fare
la “faccia feroce” e trasgressiva (un certo immaginario collettivo mutuato da
film, letteratura e persino fumetti, dal dopoguerra in avanti aveva disegnato
un certo tipo di “nazista”, criminale, sadico e perverso), ostentavano
svastiche al collo.
Questo
immaginario, queste “mode” ovviamente non erano generalizzate e più che altro
venivano alimentate anche dagli avversari e dai mass media, ma in un partito
dove il piano culturale, si fa per dire, era prevalentemente un generico
nazionalismo e un insensato iper anticomunismo, facevano la loro parte.
Maurizio Murelli (al tempo neppure
venti anni, del quale traspare la buona fede ed a cui non si può oggi non
riconoscere l’intelligenza e la statura morale) rievocando “S. Babila” a Milano
che, per quanto sia, giustamente, non rinnega, dice:
<<A S. Babila ho conosciuto persone in gamba, persone rette e
bastardi>> (Cfr.: La
fiamma e la celtica, Sperling
& Kupfer, 2006).
Tuttavia, in
quell’ambiente e situazioni, come del resto un po’ dappertutto, che in pochi
anni degenerarono in una escalation di violenze, dove giravano farabutti
intenti a corrompere ed ispirare azioni insensate, tutte utili al sistema, è
doveroso assolvere ragazzi, quali non lo sappiamo, ma di coraggio e figli del
loro tempo, raazzi che poi, spesso, vennero travolti da una feroce ondata
repressiva e criminalizzante, posta in atto, con infamie e menzogne di ogni
genere, da chi aveva interesse ad
alimentare un immaginario collettivo di “eversione nera” e terrorismo fascista..
“Zecche”
e “topi di fogna”
Tutti gli “anni di piombo”, vale a dire gli
anni ’70 e ’80 furono impregnati da un odio, artatamente sobillato, quasi da
“tifo da stadio”: opposti estremismi che facevano gli interessi e le fortune
del sistema. [6]
Il
cliché era sempre lo stesso: i compagni, enormemente più numerosi, e come in
questi casi accade, spesso più vigliacchi, venivano alimentati dai cosiddetti
“valori” della Resistenza ovvero da un
odio feroce verso i fascisti (che poi più che altro erano questi missisti di
destra) se possibile da accoppare senza alcuno scrupolo in quanto definiti “topi di fogna”. E anche tra questi
compagni si ingeneravano le mode, per cui si ostentava l’eskimo, barbe e
capelli lunghi come tanti Cristo di Nazareth.
Per
i missisti, viceversa, i “compagni”, che nei giovani di sezione occupavano
tutti i loro pensieri e definivano le loro azioni, erano le cosiddette
“zecche”, e via di questo passo,
alimentando un odio feroce e contribuendo a formare e generalizzare un
immaginario collettivo di questa specie di “fascisti” che, a parte l’uso di
slogan, simboli e bandiere erano, lo ripetiamo, più che altro dei destristi.
Esauritesi
le “mode”, cambiati i tempi, da qui, alle moderne destre, tenute alla greppia
da Berlusconi e oggi insulsa manifestazione di folclore di abietta politica
bottegaia, il passo è stato breve.
Resta però purtroppo da dire che quei
periodi degli anni di piombo hanno spedito al cimitero, invalidato o in galera,
tanti ragazzi, di destra e di sinistra, spesso adolescenti, coinvolti in una
spirale di odio, che li ha fatti massacrare senza senso e senza alcuna utilità
storico – politica, specialmente se consideriamo la degenerazione totale di
tutta la società e soprattutto l’asservimento totale della Nazione al sistema
Atlantico.
E
a quei ragazzi immolati per attuare strategie immonde, non si può non
aggiungere anche i tanti uomini dell’ordine e per quel che riguarda
specificatamente il MSI, morti, invalidi e in galera, tutti generati per gli
interessi di bottega di un partito parte integrante del Sistema e sua faccia
reazionaria.
Il “Mercenario”
Un'altra tipica infatuazione degli
ambienti di un destrismo degenerato e importata da una certa letteratura e
filmografia di destra, fu quella della figura, più che altro immaginaria, del
“mercenario”, una tipologia umana alla quale, nei primi anni ’60, il “Cabaret”
del Bagaglino, dedicò una canzone.
Torme di giovani
destristi, non solo missisti, sognavano avventure come “mercenari” da qualche
parte dell’Africa.
Quella che, al limite,
poteva essere una aspirazione avventurosa, riservata per pochissime persone e
dettata dalla loro equazione personale ed esistenziale, divenne il classico
“sogno di mezza estate” degli insoddisfatti, in genere i più frustrati e
potenzialmente “borghesi”, ma oltretutto, questa aspirazione venne sostanziata
dai peggiori messaggi politici del destrismo.
Insomma, a parte il fatto
che i “mercenari” della Legione Straniera erano stati i nostri nemici in
guerra, tra questi giovani destristi passava il messaggio che i “mercenari”, in
genere individui con tendenze criminali,
assoldati da multinazionali e governi assassini, fossero una “figura”
positiva, da emulare.
Questo passava l’ambiente
e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Milano 1973 la morte dell’agente Marino
Per avere un idea di questo andazzo,
che ebbe un suo clamoroso sbocco nell’assassinio dei tre giovanissimi missini a
Roma nel 1978, in
Acca Larenzia, un vero massacro che contribuì a far sentire alcuni di questi
ragazzi (abbandonati dal partito ed esposti agli attentati dei rossi e alla
repressione delle forze dell’ordine) a fare la scelta disperata dello
“spontaneismo armato”, si possono considerare i fatti di Milano del 1973 in cui trovò la morte
l’agente di Ps Antonio Marino, ricostruiti da Nicola Rao nel suo La fiamma e la Celtica, Ed. Sperling
& Kupfer 2006.
Prima di riportare questo episodio però
occorre anche accennare ad una ipotesi, ripetuta spesso da Vincenzo
Vinciguerra, che pur non essendo
concretamente provabile, merita di essere presa in considerazione.
Dice
Vinciguerra che la manifestazione a Milano, indetta dal MSI per il 12 aprile
1973 rientrava in una più ampia manovra, di concerto con altri ambienti
reazionari ed eversivi, al fine di forzare, tramite incidenti da attribuire ai “rossi”, la proclamazione di uno
“stato di emergenza” nel paese, tanto da
arrivare poi alla messa al bando delle sinistre.
Una
manovra insomma che, a detta di Vinciguerra, aveva già avuto un precedente
fallito nelle bombe del 12 dicembre 1969
(fallito, a nostro avviso, anche perché chi prometteva la possibilità di uno
“stato di emergenza” o di un Golpe, lo faceva per procacciarsi servizi
criminali, ma in realtà agli Atlantici era sconveniente un Golpe in Italia).
Secondo
Vinciguerra (Cfr. i suoi articoli in proposito, esposti nel sito Archivio Guerra Politica http://www.archivioguerrapolitica.org),
le premesse per i gravi incidenti che dovevano avvenire nella manifestazione di
Milano erano nella bomba che doveva scoppiare sul treno Torino – Roma il 7
aprile ’73, un “botto” realizzato per far incolpare della strage i “rossi”, ma
che invece scoppiò solo l’innesto nelle malaccorte mani di Nico Azzi,
scompaginando tutti questi piani.
Secondo
versioni di giovani che al tempo parteciparono agli incidenti, invece, il MSI
voleva dare una dimostrazione di forza perché, oramai da più di un anno, non
era in grado di tenere comizi, non avendo più una forza giovanile di sostegno.
In quella occasione quindi il partito chiese l’aiuto delle frange giovanili a
lui esterne, in particolare i giovani di Piazza S. Babila, ma non solo e gli
incidenti che poi seguirono, a seguito del divieto della Questura di tenere la
manifestazione, furono casuali.
Ragionando
per ipotesi, visto che il “botto” sul treno era fallito e quindi il Msi avrebbe
dovuto annullare la manifestazione nei giorni precedenti, non all’ultimo
momento, la tesi di Vinciguerra è debole, ma forse non il partito era complice
di questo atto, ma “qualcuno” al suo interno. Quindi le due tesi potrebbero non elidersi a vicenda, anzi potrebbero anche
integrarsi, perché i ragazzi che quel giorno furono chiamati in piazza, non
sapevano quali manovre potevano esserci
dietro. E’ prevedibile, infatti,
che qualcuno nel partito doveva ben sapere che ci sarebbero stati gravi
incidenti, avendo chiamato in piazza questi giovani che non può controllare e
che da tempo vivono in un clima di violenza e di scontri cruenti con le
sinistre.
Comunque
sia all’ultimo momento la questura vieta la manifestazione e i dirigenti
missisti, vuoi secondo l’ipotesi di Vinciguerra, cioè non avendo più i pretesti
che dovevano esserci (la strage sul treno) o vuoi perché ha comunque mobilitato
la “piazza” per un comizio da ternesi a tutti i costi, non sanno più cosa fare. I “sanbabilini”, fin dalla sera prima, spinti
all’azione dagli stessi missisti vogliono marciare in ogni caso, anche se i
vertici del partito, cercano ora di far tornare tutti a casa. Ma oramai è
troppo tardi e si innescano così violenti incidenti con le forze dell’ordine.
Un bomba SRCM lanciata da un giovane, per cause anche fortuite ed eccezionali di
traiettoria, va ad esplodere proprio nel petto dell’agente Marino,
determinandone la morte, quando invece avrebbe dovuto, più che altro, fare un
gran botto.
Non
interessa qui rievocare gli incidenti o indagare su cosa poteva esserci dietro,
visto che resteremmo nel solo campo delle ipotesi e delle deduzioni, ma abbiamo
descritto i fatti per introdurre quello che accadde dopo, un comportamento da
parte del partito che arriva al massimo dello squallore e della viltà, ma non
nuovo in quell’ambiente i cui dirigenti
sono da sempre stati in ottime relazioni con i rappresentanti delle forze
dell’ordine.
Il MSI si trova spiazzato e sotto l’occhio
del ciclone, la sua immagine di partito d’ordine rischia di finire a carte
quarantotto. Cerca così, penosamente, di addossare la colpa a fantomatici
infiltrati comunisti.
Almirante, la sera stessa, arriva a
mettere una taglia da devolvere a chi fornirà elementi utili per catturare gli
“assassini”.
Ma
i dirigenti missisti vengono a conoscerli ben
presto questi nomi, in virtù del consueto giro degli spioni (Servello, a
sua volta informato, disse ad Almirante di conoscere i responsabili e questo
gli disse di denunciarli). La taglia, 5 milioni, come riportarono le cronache
successive, se la intascò addirittura uno dei dirigenti missisti, che la sera
prima, assieme ad altri due dirigenti, aveva contattato i sanbabilini per
richiedere il loro aiuto. Verrà fatto il nome di un paio di ragazzi che
arrestati e saranno poi processati e condannati. Questo era il MSI.
L’opera
nefasta del MSI
Quindi, per tornare al discoro della,
“mutazione genetica” che ha finito per
plasmare il missista post anni ‘60, oggi, dopo tanti anni, non possiamo
neppure più parlare di “neofascisti” che hanno disatteso, se
non tradito, il fascismo, come si poteva dire dei precedenti missisti perché,
tranne poche frange giovanili, che andate per conto loro hanno riscoperto certi valori ideali e sociali
e si sono scrollate di dosso il filo americanismo, forse proprio in virtù del
venir meno del “tumore” missista, questi
moderni destristi (area politica del PDL, della Lega, e miriadi di destre
vedove del MSI) sono la totale antitesi del fascismo, sono una estrazione umana
e ideale di matrice “americana”.
Per avere il senso e la portata della
nefasta opera del MSI, sia nei confronti del fascismo che soprattutto della
Nazione e del popolo italiano, bisogna considerare il suo attestarsi su
posizioni atlantiche e conservatrici, mettendo a disposizione i suoi quadri
dirigenti e i suoi militanti per il fronte della reazione.
Del
tradimento di questo partito nei confronti della Patria, occupata dagli Alleati
e da questi rimodellata a loro immagine e somiglianza, strutturandone
l’economia e la finanza affinché restasse legata al mercato libero e all’usura
bancaria (subordinandola agli interessi atlantici, non solo attraverso il
Diktat di pace, ma anche con accordi segreti e protocolli aggiuntivi, la
colonizzarono stravolgendone anche le tradizioni e la cultura in base alla loro
american way of life), di questo tradimento perpetrato per
tutta la sua esistenza dal MSI, attraverso le sue politiche, il suo schierarsi
con l’Occidente, le sue azioni provocatorie, c’è ben poco da dimostrare tanto è
evidente.
Per
quel che riguarda il tradimento degli ideali fascisti e il servilismo verso la “reazione”
dobbiamo invece aggiungere qualche considerazione.
Mai il
fascismo era stato liberista e di destra
Il fascismo, anche se il ventennio, era
stato un regime sostanzialmente conservatore, ed oltretutto fino alla grande
crisi delle borse del 1929, aveva fatto uso di una prassi economica liberista, resa necessaria per la crescita di un paese
arretrato, non aveva però sposato
idealmente questa linea liberista e mai era stato avverso agli interessi del
popolo. Era stata una prassi di governo liberista che poi con la crisi del
1929, venne spazzata via con l’intervento dello Stato a sostegno delle Aziende (IRI),
regolamentando nel 1936 anche la Banca d’Italia.
Già
dalla sua forma di Stato, dove gli aspetti etici e politici dovevano avere la preminenza
su quelli economici e finanziari (antitesi netta al liberismo), considerando
anche la conduzione dirigistica del governo da parte di Mussolini, è palese che
il fascismo aveva sempre cercato di mediare tra gli interessi padronali, di una
iniziativa privata che si riteneva indispensabile per l’economia nazionale e
gli interessi delle classi lavoratrici, cercando di curarne anche l’elevazione
morale. Tanto è vero che durante quel ventennio, nonostante che gli interessi
padronali spesso finivano per prevalere (limiti del Corporativismo, poi
corretti con la socializzazione)videro la luce molte avanzatissime riforme
sociali e previdenziali e grandi opere pubbliche al servizio del popolo.
La
stessa classe padronale, che pur aveva tratto vantaggio, dalla “pace sociale”
imposta dal regime sui luoghi di lavoro, aveva sì conseguito vantaggi e
guadagni, ma non come avveniva prima e avverrà poi di nuovo dal dopoguerra in
avanti, nei regimi liberisti. Con la RSI
poi il fascismo aveva trovato il modo, attraverso la riforma socialista
dell’economia, pur salvaguardando l’iniziativa privata, di eliminare ogni
sperequazione e sfruttamento da parte del padronato.
Queste parole di Mussolini , pronunciate
a Milano il 22 aprile 1945 non ammettono dubbi:
"I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre
idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di
sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri
programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci
dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il
capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è
vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo
spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza
sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata,
contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella
migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di
farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo
successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso,
in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta,
con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio".
Alessandro
Pavolini il 28 ottobre 1943 afferma: "… le nuove realizzazioni da
raggiungere sul campo del lavoro, le quali più
propriamente che sociali, non abbiamo alcuna peritanza a definirle
socialiste".
Fulvio Balisti, eroe di Bir el-Goby, attacca la proprietà
privata e si richiama alla Carta del Carnaro che non è il dominio della persona
su la cosa, bensì un utile funzione sociale.
Il giornale il Fascio il 26 novembre
1943 aferma: "..in ogni caso il sistema capitalistico deve pur essere
distrutto, dalle fondamenta, essendo la
repubblica fascista anche disposta , se costretta dai lavoratori, ad applicare
lo statismo comunista, ma mai a giungere a compromessi con il
capitalismo!".
Sulla relazione che accompagna il
Decreto Legge sulla Socializzazione, si legge: "…l’esperienza del
Corporativismo ha dimostrato come lo Stato non possa, nell’attuale momento
storico, limitarsi ad un funzione puramente mediatrice fra le classi sociali,
poiché la maggior forza della classe capitalistica vanifica ogni parità
giuridica… e riesce a dominare e a
volgere a proprio vantaggio lo stesso potere dello Stato".
Sono solo alcune dichiarazione, significative, che
attestano il cambiamento epocale del fascismo. D’accordo sono esternazioni estreme, ma risultano inequivocabili.
Non era un caso, oltretutto, che le intenzioni di
Mussolini erano quelle di lasciare in eredità, le conquiste sociali della RSI
ai socialisti.
Ma
ora il fascismo era stato spazzato via con la sconfitta militare e l’Italia era
caduta sotto il tallone Alleato ed era stata messa in mano ai partiti ciellenisti
di eterogenea natura e pur bisognava tenerne conto.
Noi
sappiamo benissimo che la “Resistenza” è stata una invenzione agiografica a
posteriori e che militarmente parlando il fenomeno resistenziale è stato quasi insignificante,
che le cosiddette “insurrezioni” e “liberazioni “ di città sono avvenute solo
dopo l’evacuazione dei fascisti e gli accordi di resa dei tedeschi con gli
Alleati. Si dà poi il caso che il popolo, negli ultimi due tragici anni di
guerra, non ha affatto partecipato alla Resistenza, ma ha sopravvissuto più che
altro nella speranza che la guerra, le morti e le privazioni finissero al più
presto.
Mentre
la Repubblica Sociale Italiana, pur sotto il peso di una inevitabile sconfitta,
aveva avuto una discreta partecipazione di popolo, circa 800 mila italiani,
così come, sebbene fossero una minoranza, i fascisti repubblicani costituirono
una cifra significativa, la Resistenza, compresi i “renitenti alla leva”,
oltretutto scappati in montagna proprio per non fare la guerra, viceversa aveva
avuto una partecipazione popolare quasi nulla, ma come sempre accade nelle
vicende storiche, le file dei cosiddetti partigiani vennero ad infoltirsi notevolmente
solo a partire dal 25 aprile 1945 nella imminenza del crollo dei fascisti. Se
questi potevano chiamarsi “partigiani”...!
Questa
è l’esatta verità storica che nessuna agiografia, memoriale, rievocazione di
parte o altro potrà mai cambiare.
Proiettiamoci
ora nel dopoguerra, dove le condizioni del paese, a seguito della guerra erano
veramente penose, soprattutto per la popolazione meno ambiente.
Il
padronato e le proprietà agrarie soprattutto al Sud, sotto protezione Alleata (Alleati
che avevano persino reinstallato alla grande la Mafia in Sicilia) si
riappropriarono di tutti i loro presunti diritti e facoltà di sfruttamento
selvaggio che la nuova mecca liberista poteva garantirgli.
E
il fronte della conservazione che andava dai monarchici, ai liberali, per
arrivare alla DC e alla Chiesa, si fece paladino di questa restaurazione, con
la scusa del “pericolo rosso” e la difesa del “mondo libero”, opposto alla tetra “oltrecortina”, non
lesinando di impiegare brutalmente la forza pubblica per reprimere ogni
sollevazione.
I
socialcomunisti, che nel frattempo avevano dovuto obbedire alle imposizioni
Alleate di annullare e far decadere tutte le conquiste sociali realizzate
durante la RSI, a partire dalla socializzazione delle imprese,[7]
non avevano alcuna possibilità, né tantomeno l’intenzione di intraprendere una
strada rivoluzionaria per affermare almeno le istanze sociali di cui si dicevano
portatori.
Tutto
quello che i socialcomunisti potettero o vollero fare e oltretutto sempre in
misura minore con il loro “inserirsi” nel Sistema, fu un lavoro sindacale a
difesa delle classi lavoratrici e contadine. Per il resto affidarono ai giochi
elettorali e alle alchimie politiche la possibilità di incidere nella realtà
politica e sociale del paese.
Il
loro anti atlantismo poi restò sempre inficiato da una certa subordinazione a
Mosca per il quale, in virtù di Jalta, l’avversione alla Nato non assumeva mai
la portata di una liberazione nazionale che avrebbe invece dovuto avere.
Per finire, non era poi irrilevante il
fatto che, a causa dell’ideologia marxista, i social comunisti erano ostili e
totalmente assenti dal difendere i valori nazionali e i diritti sulle nostre
terre, arrivando persino a ignorare, se non decantare i massacri delle foibe.
Accecati
dall’antifascismo, i socialcomunisti, non si resero conto che gli ideali della
“Resistenza”, una Resistenza realizzata per mano Alleata e in simbiosi con altri
partiti conservatori, finivano per fare il gioco del Sistema e precludere la
realizzazione di una Repubblica popolare socialista. Gli stessi anglo
americani, emblema del capitalismo mondiale, non potevano definirsi dei
“liberatori” durante la guerra per diventare subito dopo degli imperialisti
aggressori dei popoli liberi.
Al pari delle destre che, da parte
loro, cavalcavano un anticomunismo viscerale a prescindere. Si innescava così
il gioco infausto, criminale e inconcludente degli opposti estremismi: fascismo
– antifascismo; comunismo – anticomunismo.
E in quella situazione storica, per
quel che ci riguarda, i dirigenti missisti, anche se agli inizi ci fu qualche
iniziativa contraria, seguirono la strada dell’intruppamento con la reazione,
con il fronte conservatore, di fatto agendo contro le legittime istanze di
rinnovamento e di giustizia sociale da parte del popolo.
Una
china verso la reazione e la difesa dei più gretti interessi di classe, sempre
più accentuata e sempre con lo stesso leit motiv: “chi sciopera è comunista”, “i
sindacati sono rossi”, “il mostro
comunista vuole impadronirsi del potere”, “il mondo libero è anche la nostra libertà” e via di questo passo con
demenzialità e raggiro degli
sprovveduti.
“Fascisti”
da barzelletta
Premesso che nel MSI, come del
resto in altri partiti, vi furono anche fior di galantuomini (in definitiva i
partiti raccolgono adesioni e militanze per lo più in base ad assimilazioni
culturali ed esistenziali e quindi non tutto può essere ricondotto a “raggiro”
o “bottega”), un ultima osservazione riguardo alle grandi varietà e stranezze
della natura umana: l’esperienza, infatti, ci mostra che ci furono missisti e
non solo, in particolare dirigenti, quali autentici furfanti perchè ben sapevano
di non essere fascisti, ma per svariate ragioni, soprattutto elettorali, stavano
al gioco e si spacciavano come tali, fino a quando, venute meno le necessità di
ingannare l’ambiente e di recitare questa farsa all’esterno, si sono rivelati
per quello che veramente erano: degli antifascisti, né più, né meno di altri. Ma
ce ne sono anche stati tanti altri che pur vivendo e operando nel MSI, quindi di fatto da “antifascisti”, dentro di sé si ritenevano “fascisti”, magari
di un “fascismo” tutto loro conciliando l‘utile di una carriera nel partito con
la pace della coscienza.
In altro ambito anche l’agente Z del Sid, lo “spione” Guido Giannettini
che lavorava, stipendiato, per lo Stato
antifascista, ovvero per un Servizio, di
fatto, interno al sistema atlantico
nostro colonizzatore (tutte specificità che lui, esperto di storia, storia militare
e geopolitica doveva ben conoscere), si definiva “fascista”, anzi
“nazionalsocialista”,, e fascista si è definito persino il massone Licio Gelli.
Un
fascismo tutto loro fatto di Ordine e Gerarchie chissà come immaginate e magari
instaurate da colpi di Stato militari, treni in orario e operai che non
scioperano. Quel fascismo bigotto e borghese, legato a compromessi e necessità
nazionali, poi miseramente naufragato.
Qui,
forse quello che li muove è unicamente l’anti, nel caso specifico l’anticomunismo,
in nome del quale tutto è giustificato. Qualcuno però avrebbero dovuto dirgli
che nei secoli attuali il rapporto tra padrone e lavoratore è squisitamente
sociale, di paga, di profitto, di mercede. E se certi “valori” spirituali il
fascismo li ha presi a riferimento, non per questo ha ignorato quello che ne
consegue dal rapporto - capitale lavoro, ovvero la giustizia sociale e la
supervisione dello Stato, ergo l’antitesi del liberismo. E qualcuno dovrebbe anche dirgli che
Mussolini fu il primo a voler rivedere il sistema delle “cariche dall’alto” per
le gerarchie, perché, pur senza sconfinare nella democrazia, andava rivisto in
quanto nel ventennio non aveva funzionato.
Comunque,
noi qui non vogliamo entrare nel merito di dover definire cosa sia il fascismo,
ma a parte il fatto che tutti questi personaggi ci risultano anni luce lontani
dal fascismo repubblicano, vogliamo solo ricordare che non ci si può definire
fascisti e al contempo essere stipendiati da un Servizio di questo Stato antifascista, subordinato ai comandi Nato,
e a Gelli gli si dovrebbe ricordare che la Massoneria è stata tra i peggiori
nemici del fascismo. Non necessita
altro.
Condizioni contingenti favorevoli
Un
bel lavoro, non c’è che dire
"Sto
lavorando per individuare e far crescere chi dovrà prendere le redini del Msi
dopo di me. Giovane, nato dopo la fine della guerra. Non fascista. Non
nostalgico. Che creda, come ormai credo anch'io, in queste istituzioni, in
questa Costituzione".
(G. Almirante: 1980, Intervista
a microfono spento a Il Lavoro di Genova).
Chi
col dito il cul si netta,
tosto
in bocca se lo metta,
resterà così pulito,
Cerchiamo
adesso di capire come sia potuto avvenire il “grande inganno” che portò alla
creazione del MSI e soprattutto alla sua degenerazione umana e politica sempre
più accentuata negli anni.
La
nostra analisi, come accennato, prescinderà da valutazioni di eventuali atti in
malafede per corruzione e collusioni per interessi personali. La storia non può
seguire questa critica più di tanto e a noi non interessa minimamente dare
patenti di “ladri” e “venduti” a tizio o caio, visto che, oltretutto, nella
natura umana e soprattutto in politica: chi
è senza peccato scagli la prima pietra.
Quindi
anche eventuali collusioni con Servizi, lobby di potere, o con gli stessi
occupanti statunitensi, vogliamo farle rientrare, o facciamo almeno finta di
farle rientrare, in atteggiamenti politici, in atti confacenti a certe inclinazioni,
a una certa forma mentis, in definitiva profondamente difforme, anzi avversa al
fascismo.
[9]
Nella genesi del MSI, per capire cosa questo
partito ha poi finito per rappresentare, per comprendere come è potuto accadere che
fascisti con tanto di coglioni sotto, non hanno spaccato a sante manganellate
le teste dei dirigenti impostori, bisognerà fare una serie di considerazioni,
anche di carattere psicologico, oltre che di carattere storico.
Per prima cosa partiamo dalla
considerazione di quel periodo, laddove anche a distanza di mesi dalla fine
della guerra, in un clima di retorica esaltazione antifascista, perdurava la caccia
al fascista e funzionavano le Corti di Assise Straordinarie (mostruosità giuridiche
con Leggi penali straordinarie e
con effetti retroattivi) pronte a
infliggere condanne a morte o decenni di reclusione.
Era facile che i reduci fascisti,
dovendosi preoccupare della loro sopravvivenza, delle famiglie e di un lavoro, non
potevano stare troppo a fare gli idealisti e i politici, a cercare intese con
chi, in particolare le sinistre, si accanivano nel volerli mettere al muro o in
galera. E purtroppo divenne così inevitabile, che questi fascisti trovassero
interlocutori e amicizie, interessate, essenzialmente tra gli anticomunisti che
andavano dal monarchico al liberale, agli uomini di Chiesa, a ufficiali e
funzionari delle FF.AA. o della Polizia che magari già avevano ricoperto certi
ruoli nel ventennio e che ora, in qualche caso, riciclatisi, occupavano più o
meno gli stessi uffici e le stesse cariche nelle istituzioni democratiche e
antifasciste, avendo costoro, essenzialmente, professionalità e attitudini da
servitori dello Stato.
Secondo poi, occorre considerare che i
fascisti, i reduci del fascismo repubblicano, venivano da un periodo storico
dove il fascismo si era identificato nello Stato e nella Nazione, fatto questo
che aveva prodotto una certa attitudine al rispetto delle gerarchie e al tenere
in considerazione il senso del comando.
A questo si aggiunga il culto che i
fascisti avevano sempre nutrito per i valori eroici e combattentistici. Tutte
attitudini queste sicuramente positive e che caratterizzavano un ambiente umano
sopra le righe.
Ma da un altro punto di vista proprio
queste caratteristiche positive esponevano facilmente i fascisti, sopratutto i
più generosi e magari ingenui, al raggiro, perpetrato in nome di un malinteso
“cameratismo”.
Non era difficile, a volte, a furbastri
di ogni risma imporre certe decisioni dall’alto di qualche carica di partito o
da un retaggio storico per qualche loro impresa, vera o presunta, compiuta in
passato.
La stessa cosa, del resto, era accaduta
durante il regime fascista, in cui non pochi millantavano imprese e gesta
eroiche nella Grande Guerra o nella rivoluzione delle camice nere, spesso mai
avvenute o comunque non in quei termini agiografici (gente che magari aveva
perso una mano in qualche incedente e lo spacciava come un “eroico sacrificio”
durante fantomatici combattimenti).
Ma si sà, queste cose fanno parte della
natura umana, ci sono sempre state e sempre ci saranno, come i millantatori e i
furbastri, solo che in un ambiente in cui il culto di certi valori è
giustamente sopra le righe, bisognerebbe stare molto più attenti a non farsi
raggirare.
Oltretutto,
se è pur vero che le stesse “gesta eroiche”, che caratterizzano uomini di
valore e di coraggio, restano ad eterna memoria e ed esempio di vita, è
altrettanto vero che l’ “eroe”, colui che a suo tempo le ha compiute e che ora
continua la sua vita, non sempre negli anni resta quello per cui tutti hanno il
ricordo, il rispetto e la dovuta considerazione. Non pochi, infatti, sono stati
i casi di fior di combattenti e camerati, che molti anni dopo, in situazioni
diverse, dei loro “valori eroici” non era rimasto più nulla, se non addirittura
erano divenuti dei farabutti che sulle loro passate gesta ci campavano,
speculando, per procacciarsi un bel posticino al parlamento, visto che tutta una
area di seguaci e simpatizzanti continuava a vedere in loro quello che,
purtroppo, non c’era più.
Questo dal punto di visto umano e
psicologico spiega, almeno in parte perché, molti reduci fascisti si trovarono
invischiati nel fronte anticomunista della conservazione, pieno di personaggi
che si spacciavano per “amici”, se non per “camerati” e dove guitti e scaltri
imbonitori, facendo uso di abbondante retorica hanno spesso raggirato tanti
idealisti e tante persone per bene.
Ma,
concretamente, dal punto di vista storico, soprattutto due fattori, hanno creato le condizioni giuste affinché
tutto questo avvenisse, e vanno quindi considerati:
1. il retaggio ambivalente della RSI
che costituì il serbatoio umano a cui, in buona parte, attinse il MSI e,
2. la colonizzazione statunitense del nostro paese che ne controllò la
nascita. Vediamoli separatamente.
[1] Ecco cosa scriveranno i fascisti della
FNCRSI, sul loro Bollettino Fncrsi N.
4 del febbraio 1968, dopo aver fatto un ampia analisi dell’aggressione
americana al Vietnam:"
Così stando le cose, noi combattenti della, “guerra del sangue contro
l'oro” non possiamo che essere vicini a coloro i quali in qualsiasi parte dei
mondo difendono in armi la patria dallo straniero".
[2] Borghese, ovviamente,
non rimase con le mani in mano, ma diede corpo ad un suo progetto, realizzando
un altra Associazione di ex
combattenti della RSI, che funzionò come appoggio propagandistico al MSI e impostò
la sua politica, se così si può chiamare, a cerimonie reducistiche, messe,
pellegrinaggi e pratiche e richieste pensionistiche Una ben triste fine.
[3] La sconfitta militare
e la storiografia falsificata del dopoguerra hanno fatto passare sotto silenzio
che la RSI fu un evento epocale straordinario sia sul piano delle idee
rivoluzionarie, sia per la rottura con un certo passato “borghese” del
ventennio fascista. Un epopea di combattentismo legionario, unica e forse
irripetibile, a vanto del popolo italiano. Julius Evola, di certo non prodigo
nel dare patenti di eroismo, ebbe a scrivere: "Forse per la prima volta in tutta la storia italiana, col secondo
fascismo una massa non indifferente di italiani scelse coscientemente la via
del battersi su posizioni perdute, del sacrificio e dell’impopolarità per
obbedire al principio della fedeltà ad un capo e dell’onore militare" (J.
Evola: Il fascismo visto dalla destra, Ed.
Volpe 1964).
[4] Richieste di pena di morte, leggi
speciali, campagne a favore delle forze di polizia, loro difesa a prescindere,
insomma tutta una serie di esternazioni, a volte insensate, assicuravano al MSI
il favore, ma spesso del tutto superficiale, di qualche benpensante, e dei
tutori dell’ordine, che poi venivano demenzialmente scambiati per “camerati in
divisa”.
[5] Strofette derisorie verso i missisti sul Bollettino Fncrssi nel 1974
quando costoro misero a disposizione il loro apparato per la campagna referendaria
contro il divorzio. I fascisti della Fncrsi che da anni chiedevano l’abolizione
del Concordato, si schierano invece a favore del divorzio. Gli italiani, al
referendum, bastoneranno preti e missisti..
[6] Per
avere una idea della utilità di alimentare gli “opposti estremismi”, giova
ricordare una testimonianza resa nel 1981 dal colonnello Antonio Viezzer, già
in servizio al Sid, Viezzer riferì che nel corso della campagna elettorale
della primavera 1972 (mentre da una parte impazzavano le SAM ben dirette da
“chi di dovere”, n.d.r.) il capitano Antonio La Bruna (carabiniere nel Sid) su
ordine dell’allora capo del Sid Vito Miceli, fece collocare bomba carte presso
alcune sedi del MSI.
[7] Del resto per i
socialcomunisti annullare le conquiste della socializzazione era indispensabile
per la politica marxista della lotta di classe, che altrimenti veniva resa
inutile e priva di significato.
[8] Altra strofetta, apparsa sul Bollettino Fncrsi di fine anni ’60 e
dedicata a quei missisti, imbroglioni e millantatori, che trafficavano e
facevano i democratici fuori e, al contempo, si spacciavano per fascisti
all’interno. Insomma, leva e metti, metti e leva una camicia nera sempre più
sbiadita.
[9] In ogni caso, oggi,
grazie a varie documentazioni o confessioni, sappiamo che già al tempo vi erano personaggi collusi
con l’Oss americano, con lo Stato Maggiore, con i Servizi e il Ministero degli
interni, ecc. Confidenti, spie e attivisti di vario genere, la cui collusione,
in certi casi, si configura come un vero e proprio essere in servizio di “chi
di dovere”. Come inquadrare e giustificare queste
collusioni, non è compito nostro, ma non possiamo non sottolineare che alcuni
di questi “collusi” hanno poi rilasciato
rievocazioni storiche. Si figuri con quale attendibilità!
Il retaggio ambivalente della RSI
“Il Msi si è trasformato,
da quel nucleo iniziale di reduci del fascismo. Ormai fa parte stabilmente
della geografia politica dell'Italia repubblicana. È stato un processo lento e
difficile. Bene: ma lei crede davvero che io possa pensare di chiudere la mia
carriera, la mia vita politica, facendo il becchino di un partito che muore
perché una generazione si spegne per motivi anagrafici e un'altra perché chiusa
in galera? Crede davvero che sia così miserabile da avere questa ambizione da
nostalgico rincoglionito? Le dirò di più: io non voglio morire da fascista.”
(G. Almirante: 1980, Intervista
a microfono spento, Il Lavoro di Genova).
Mussolini,
da grande rivoluzionario, dopo l’8 settembre, non si era lasciato sfuggire la
irripetibile occasione che si presentava in Italia, dove, per la prima volta
nella sua storia, forze da sempre dominanti, erano momentaneamente fuori gioco:
la grande industria, le lobby massoniche (soprattutto nell’Esercito) e il
Vaticano.
Oltre
ovviamente Casa Savoia un tumore maligno incistato per gli interessi
britannici, circa un secolo prima, alla guida della Nazione.
Fu così che Mussolini poté portare a
compimento il processo storico - ideologico del fascismo, arrivando alla RSI e
al manifesto di Verona, realizzando
quel modello di società socialista da lui sempre desiderato.
Egli
completava in tal modo anche il Corporativismo, un altra grande realizzazione
del fascismo, ma che, senza la socializzazione, come ammise Mussolini, poteva
essere piegato dal padronato ai suoi interessi.
Una
rivoluzione socialista
Citiamo alcune conquiste rivoluzionarie
della RSI: la socializzazione delle imprese; la revisione del mercato
azionario; un effettivo controllo sulla Banca d’Italia, di fatto commissariata;
il cooperativismo sociale nei settori
alimentare e del vestiario per i loro prodotti primari e in quello immobiliare
per le case al popolo.
Conquiste
rivoluzionarie, mai raggiunte da nessuno e che conferivano alla guerra in
corso, una vera lotta “del sangue contro
l’oro”.
A Genova, il 15 marzo 1945, all’epilogo di una guerra criminale
imposta all’Europa dalle grandi plutocrazie occidentali, in piazza De Ferraris,
un eccellente e genuino oratore, che era stato socialista, poi tra i fondatori
del comunismo nel 1921 ed aveva conosciuto Lenin anche nelle ore pericolose
della rivoluzione bolscevica, cioè il
romagnolo Nicola Bombacci, classe 1879, un tempo chiamato il Lenin di Romagna, arringò una enorme folla che, più che altro,
fu individuata negli operai delle industrie navali liguri e delle fabbriche
siderurgiche e meccaniche di Sampierdarena, di Cornigliano, di Sestri Ponente,
di Pegli e di Voltri, nonché della Valbisagno e della Valpolcevera:
«Compagni! Guardatemi in
faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore
socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato
un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso!
Io non ho mai rinnegato gli
ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre… - Ed aggiunse: -
Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il
bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto
dell’inganno… Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è
socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo
ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di
voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario…».
Tempo prima Mussolini ebbe a
dire: “Bombacci, che vive giorni di passione, è in prima linea tra coloro
che si battono per una vera rivoluzione sociale”.
Ricordiamo questo per
sottolineare la ricchezza di idee e di programmi, una svolta rivoluzionaria epocale
che coinvolse tanti personaggi di eterogenea provenienza ed entusiasmò i
fascisti repubblicani, consci di una rottura netta e definitiva con il fascismo
del ventennio, tanto che a novembre del 1943, per dare un segnale del
cambiamento, Pavolini voleva costituire squadre di polizia che indossassero,
come uniforme, “la camicia nera, la tuta blu scura dell’operaio”.
In prossimità della sconfitta, al
Direttorio del PFR di Maderno del 3 aprile 1945, presieduto da Pavolini, si discussero
le indicazioni operative per una lotta da proseguire in Italia, nel dopoguerra:
"Io e il Duce - disse Pavolini - siamo
convinti che occorra dar vita a nuclei clandestini di fascisti da infiltrare
nelle principali città dopo l’occupazione".
Alcune correnti di sinistra del
fascismo (vi si riconoscevano Borsani, Pettinato, Spampanato, ecc.) cercarono
anche di ridiscutere il concetto di “autorità” e le posizioni delle istituzioni
repubblicane verso la democrazia. Si determinò quindi una situazione
particolare, con Pavolini e Romualdi, giustamente intenti a respingere queste
deviazioni “ideologiche” in tema di democrazia.
"Il fascismo non è socialismo -
urlò Romualdi – ma è un altra cosa".
Discorso ambiguo per quanto riguardava
il socialismo e giusto per le eventuali “deviazioni” democratiche, ma che
nascondeva, già da allora, tutta la mentalità di Romualdi, uomo di destra. Alla
fine della riunione si ebbe una dichiarazione di compromesso, ma non è questo
il punto.
In
quella occasione, inoltre, mentre Pavolini si dichiarava d’accordo almeno sul
“socialismo fascista”, il futuro missista Pino Romualdi, d’accordo su la
costituzione di strutture clandestine fasciste, una specie di movimento
clandestino dotato di mezzi finanziari e quadri dirigenti, che anzi proprio lui
aveva caldeggiato, non si trovò però d’accordo anche su alcuni presupposti
politico - sociali, forse giudicati troppo “sovversivi”, di quelle indicazioni.
Vennero
comunque abbozzate alcune direttive indicate da Pavolini, Zerbino, Solaro,
Porta ed altri che prospettavano per i fascisti nel dopoguerra, anche in
clandestinità, una lotta contro l’occupante e a difesa delle innovazioni
sociali della RSI contro ogni restaurazione monarchica e liberista. Come
riferì Ermanno Amicucci, al tempo direttore del Corriere della Sera:
"Mussolini
voleva che gli anglo americani e i monarchici trovassero il nord Italia
socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai
decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le
conquiste sociali raggiunte con la RSI".
E al socialista Carlo Silvestri, Mussolini
aveva precisato:
«Vi dico che il più grande dolore che
potrei provare sarebbe quello di rivedere nel territorio della Repubblica Sociale
i carabinieri, la monarchia e la Confindustria.
Sarebbe
l’estrema delle mie umiliazioni. Dovrei considerare definitivamente chiuso il
mio ciclo, finito".
Riportiamo
di proposito questi aneddoti e queste frasi, perché i “neofascisti” o per
meglio dire gli “antifascisti missisti”,
proprio queste realtà antitetiche al patrimonio ideale della RSI ebbero a
perseguire!
Dei
progetti abbozzati da Pavolini per una lotta clandestina da proseguire dopo la
sconfitta e a salvaguardia del patrimonio ideale e sociale anti capitalista e
anti monarchico, nulla rimase e quelli del suo entourage che sopravvissero alla
sconfitta, finalizzarono tutto alla organizzazione di strutture atte ad aiutare
i reduci braccati ed epurati nel lavoro, ad allacciare contatti spuri con tutto il fronte della reazione, e
gli occupanti statunitensi, arrivando poi alla costituzione del MSI.
Non
è quindi un fatto di “nostalgicismo” o di riproposizione di simboli oramai
anacronistici, come cerca di far credere Almirante nell’aforisma riportato ad
inizio di questo Capitolo per giustificare la sua liquidazione del fascismo,
perché si tratta di un bagaglio di idee,
di programmi, di scelte sociali, di lotta per l’indipendenza nazionale che sono
sempre validi, anzi indispensabili e se proprio vogliamo, anche a prescindere dal riferimento storico
del fascismo. Il MSI invece ne è stato l’antitesi.
Salò
nera e
Salò tricolore
Tornando al nostro argomento, si da’ il caso che, al tempo, Mussolini aveva anche un altro
grande ed urgente problema da risolvere: quello di ricreare dal nulla uno Stato
ed un Esercito, dissolti dal tradimento badogliano, oltre a proteggere il paese
da una spaventosa ritorsione da parte dei tedeschi ignobilmente traditi. Senza
uno Stato e senza un Esercito, ebbe a dire Mussolini, tutto era vano.
Di fronte a queste primarie necessità
Mussolini andò disperatamente alla caccia di personalità di un certo spessore e
carisma, tecnici di valore, uomini in grado di dare prestigio alla Nazione o di
risolvergli i tanti gravissimi problemi.
E
dovette anche accontentarsi di non fascisti o fascisti sui generis, che
aderivano alla RSI per “l’onore d’Italia”. E aprì così le porte dello Stato anche a chi
non si considerava fascista, ritenendo sufficiente che si aderisse e si
partecipasse alla RSI per il solo trinomio: Italia,
Repubblica, Socializzazione.
Di
fatto alla “Salò nera” dei fascisti repubblicani, rivoluzionari e
socialisti, di Mussolini, Bombacci, Pavolini, Colombo, Solaro,, dei delegati
fascisti al congresso di Verona, degli artefici rivoluzionari che studiarono e
progettarono la socializzazione, ecc., che avevano determinato la “rottura”
totale con il fascismo del ventennio, si sovrappose la “Salò tricolore” la quale a causa delle contingenze belliche e
delle necessità dello Stato, si pose in primo piano stante la necessità di
tenere in piedi una neonata Repubblica stretta tra il nemico in guerra che
avanzava e i tedeschi che oramai non avevano più tanta considerazione per
l’Italia e tendevano a comportarsi da
occupanti.
E
in buona parte furono poi quelli della “Salò tricolore” i cosiddetti “moderati”
della RSI, assimilabili ad una vasta area di italiani dall’indole borghese, di
cultura cattolica, genericamente nazionalisti e conservatori, che spesso, per
conoscenze personali e trasversali si riciclarono nel MSI, assieme a qualche avvoltoio
dell’ex Partito Nazionale Fascista, liquidato il 25 luglio ’43, riapparso in
circolazione avendo subodorato le possibilità politiche che offriva il nuovo
partito.
Quindi,
in queste analisi storiche, bisogna sempre tenere presente che il MSI quale partito
conservatore e reazionario non nacque per caso o dal nulla, e neppure solo in
virtù di complotti e manovre occulte, ma
si innestò in una realtà umana, politica e culturale già preesistente, dove semmai
complotti e manovre, trovando un terreno adatto e fertile, ebbero la meglio.
Sicuramente,
nella Salò tricolore, c’erano stati
ottimi italiani, militari di valore, professionisti e persone per bene (del
resto non era stato nè semplice, nè “igienico” aderire alla RSI consci, che la
guerra era perduta), ma è indubbio che si era in presenza di persone più che
altro di mentalità e attitudini, per così dire “moderate”, se non “borghesi”,
tutta gente con cui si forma l’ossatura e la professionalità dello Stato, ma
una volta venute meno le tensioni ideali e le gerarchie che li comandano, non
assumono certo posizioni rivoluzionarie.
Uno
per tutti, l’esempio di Filippo Diamanti generale dell’esercito di Graziani,
che il 25 aprile ‘45, di fronte al crollo imminente e ad un Pavolini
giustamente infuriato, non trovò di meglio che consigliare ai militari di
togliersi il “gladio” repubblicano dalle mostrine e rimettersi le “stellette”,
per lui, come se nulla fosse.
E
tanti altri esempi simili li troviamo nella Polizia della RSI, nella GNR, in
svariati Prefetti, a cominciare da quel Renato Celio di Como che, prima ancora
che avvenisse il crollo, era in contatto con uomini della Resistenza per contrattare un trapasso dei
poteri, o meglio una resa vera e propria; e ancora funzionari delle istituzioni
RSI, diplomatici, ecc.
E
molti di questi “saloini tricolore” li
ritrovammo come mosconi attorno a questo neonato partito, magari spacciandosi
per autentici “fascisti”.
Accanto
a questi, giova ripeterlo, tanti borghesi, qualunquisti, tipici conservatori,
quelli che ammiravano il fascismo perchè “i
treni andavano in orario” e non si scioperava, perchè la Chiesa era
rispettata, ecc., tutta quella massa di italiani, insomma, magari anche
perbene, ma che già a luglio del 1943 si erano squagliati come neve al sole e
avevano dimostrato come era facile adeguarsi quando la “pelle” era in pericolo.
Ebbene,
nel dopoguerra, furono prevalentemente costoro che a poco a poco si
assicurarono i posti direttivi del partito e soprattutto, tra questi, quelli
che, meno degli altri, potevano dirsi fascisti, a cominciare da quell’Arturo
Michelini, tra i fondatori del MSI di cui ne divenne, dal 1954, segretario nazionale.
Fu
così che la “rottura” epocale tra il fascismo borghese, retorico, conservatore
per necessità nazionali, del ventennio e la ventata rivoluzionaria del fascismo
repubblicano, fu nei fatti vanificata, dissolta, da questo connubio letale tra
fascisti, qualunquisti e conservatori.
Le figure di
Bombacci e Solaro
Per valutare tutta la involuzione di un certo ambiente e tutta l’infamità che
l’ha determinata, si prendano ad esempio le splendide figure della RSI di
Nicola Bombacci e di Giuseppe Solaro.
Non potendo ignorare queste due magnifiche figure, esse sono state
utilizzate dal missismo unicamente per una vuota agiografia della “bella morte”
a cui seppero andare incontro: Bombacci a Dongo, gridando “viva il socialismo”
e Solaro a Torino immortalato dalla famosa foto che lo ritrae sereno mentre i carnefici partigiani lo
portano a morire.
Ma
delle loro idee di fascisti socialisti, della opera niente, il silenzio più
assoluto, tanto che bisognerà attendere storici e giornalisti storici, non di
parte, che solo dopo molti decenni ci
restituiranno le loro biografe e un minimo di descrizione politica. [1]
Il
MSI viceversa ha sempre steso un velo di silenzio su questi uomini, per non
infastidire i suoi manutengoli della Confindustria, per non sollevare il
coperchio sulle riforme sociali della
RSI di Mussolini. unica possibile realizzazione del socialismo.
Eppure
di Bombacci si sarebbe ammirata la sua coerenza di pensiero e di vita, al pari
dl Mussolini socialista ante 1914, che lo portò a sostenere il fascismo
socialista di Mussolini.
Di
Solaro , questo giovane federale, si sarebbe ammirati i suoi sforzi umani e
politici per la socializzazione, per contrastare industriali e tedeschi uniti
nel sabotarla.
En
passant si sarebbe notato come Solaro, aveva capito tutto, quando già nei primi
tempi della RSI, da Aosta telegrafò a Pavolini
denunciando un possibile doppio gioco di Valerio Borghese.
Ma
stranamente il neofascismo missista
tacque anche su le possibili indagini atte a capire come Solaro venne
catturato a guerra finita. In quelle
vicende vi appaiono sullo sfondo anche tre figure di “fascisti”:
Tullio de Chiffre un giovane entrato nelle Brigate Nere, ma che subito si
macchiò di imprese poco edificanti che costrinsero Solaro, che ne
sospettava anche il doppio gioco con un capo partigiano, a denunciarlo e
redarguirlo più di una volta; quindi il maggiore Dante Massa e il
vice federale Giuseppe Ravetti, uomini vicinissimi a Solaro, ma che le
ricostruzioni sulla cattura di Solaro, mai appurata nelle sue esatte vicende, lasciano
perplessi. Oltretutto il Massa venne poi salvato dalla sicura fucilazione dal
capo del CLN piemontese generale Alessandro Trabucchi (come mai?).
Ebbene
a guerra finita questi De Chiffre, Massa e Ravetti, tutti salvatisi, indovinate
dove finirono? nel Msi !
Bisogna
sempre tenere a mente questi aspetti storici, perché se il MSI potè diventare
l’antitesi del fascismo, se imboccò inesorabilmente la china della reazione,
tutto questo non avvenne solo a causa di manovre occulte, di personaggi che
tramarono per forzare certe posizioni, ma anche per una predisposizione di una
parte della sua area umana che, specialmente se incentivata da una certa
propaganda e dalle situazioni contingenti (gli attacchi dei comunisti) non
poteva che scadere su posizioni conservatrici e di destra.
La colonizzazione statunitense
Il massimo del servilismo
"Siamo
diventati antiamericani? Soltanto gli sciocchi possono dirlo ... In realtà, noi
siamo "antiamericani" quanto lo è il Generale Westmoreland, comandante in capo
del Sud Vietnam, il quale non riesce a far capire ai suoi superiori «politici»
che la guerra si potrebbe vincere. Siamo "antiamericani" quanto lo fu Mac
Arthur allorchè Truman gli impedì di fermare i cinesi alle porte della Corea
lanciando l'atomica... Siamo "antiamericani" quanto lo è Goldwater, il quale
viene considerato da metà del suo Paese un folle guerrafondaio ...".
Da
"il Borghese" di Mario Tedeschi n. 46 – 17,11.1966
E’
indubbio che i veri vincitori della guerra, sul suolo italiano, furono gli
americani, i quali poi, anche in virtù di un certo accordo con il Vaticano,
riuscirono a scalzare gli inglesi da sempre influenti in Italia.
Il
nostro paese venne quindi letteralmente rimodellato sugli standard esistenziali
di vita americani;[2]
la oramai obsoleta e svergognata monarchia sostituita da una Repubblica
democratica; la nostra economia e finanza adeguate al libero capitalismo di mercato
dell’Occidente e all’usura dei banksters, che già a Bretton Woods nel 1944
avevano progettato e varato gli Istituti, il sistema finanziario e l’ordine
monetario internazionale per perpetuare il loro potere.
Naturalmente la Nazione venne subordinata
militarmente alle esigenze americane che poi la inserirono nella Nato in modo
che tutti gli alti comandi delle nostre FF.AA. dipendessero da quelli
Atlantici.
Insomma, da allora, divenimmo una vera
e propria colonia.
Ma
gli americani avevano anche un altro problema: quello di realizzare in
l’Italia, in prospettiva del loro ritiro militare, non solo istituzioni, ma
anche strutture militari e di polizia in grado di garantire la stabilita al
paese così colonizzato.
Il
prevedibile esplodere della guerra fredda rendeva queste necessità ancora più impellenti,
anche perchè in Italia la presenza social-comunista era molto consistente e il
PCI era il più forte e radicato partito comunista d’Europa.
La
portata strategica di Jalta
Ma attenzione:
gli americani non avevano paura, se non come ipotesi teorica, che i comunisti
in Italia avrebbero potuto portare il nostro paese fuori dall’Occidente.
Ben sapevano, infatti, che gli accordi
di Jalta con l’Urss, di livello strategico, garantivano questo inquadramento e pertanto lo stesso PCI, a cui era stata da
Mosca imposta la svolta “democratica” di Salerno nel 1944 (ben gradita ai
dirigenti comunisti), sarebbe di sicuro stato ai patti.
In
40 anni di Jalta, mai nessun paese di uno dei due blocchi passerà nel campo
opposto e infatti gli americani non
mossero un dito quando i sovietici intervennero in Ungheria o in
Cecoslovacchia, così come i sovietici non fecero una piega quando i rivoltosi
comunisti in Grecia (riserva occidentale) vennero spazzati via, o ancora in
Grecia, gli americani imposero nel 1967 il colpo di Stato dei Colonnelli.
Gli
americani però sapevano che le Nazioni hanno dei loro sviluppi geopolitici e
certe dinamiche internazionali possono seguire strade imprevedibili e quindi vi
era anche la necessità di praticare sul
piano tattico una “guerra non convenzionale”, di esercitare pressioni di vario
tipo a difesa della loro ingerenza, laddove, alla lunga la sola corruzione
delle classi dirigenti italiane poteva non bastare.
Un esempio dei pericoli che gli
Americani seriamente paventavano in prospettiva, erano le iniziative politico -
economiche come quella di Enrico Mattei che minacciavano i loro interessi
economici nel delicato settore energetico, o quelle di Aldo Moro con le sue
politiche di equidistanza nel contenzioso mediorientale e aperturiste verso il PCI.
Un
partito comunista che finchè non fosse stato totalmente “occidentalizzato” (lo
divenne negli anni ’80 grazie all’operato di Berlinguer)[3]
e finchè fosse perdurata Jalta, gli americani non gradivano entrasse nei
governi nazionali perché, in un paese in crescita come il nostro poteva essere
un acceleratore di iniziative politiche e sociali, proprio simili a quelle di
Enrico Mattei che avrebbero causato scollamenti nel quadro internazionale dell’Occidente.
Mettere,
pertanto, in piedi un baraccone di opposti estremismi, dividere governi,
partiti, circoli culturali, ecc., in fautori della Nato in opposizione ai
fautori del Patto di Varsavia, in pratica scemi
& più scemi, era per loro quanto mai opportuno e previdente. Jalta, con
la spartizione dell’Europa in due sfere di influenza Est – Ovest che,
tatticamente, si sono fronteggiate in lotte e contrapposizioni tra Servizi,
spesso anche cruente, ma in cui le due super potenze Usa e Urss, erano concordi
nel mantenimento dello status quo e segretamente cooperavano in una ottica di
“coesistenza pacifica”, è stata una grande invenzione epocale, la sola che
poteva consentire e garantire sine die l’ingerenza e il colonialismo sui paesi
europei che risultavano così ingessati nel “mondo libero” o nei paesi
“oltrecortina”, annullando ogni spinta centrifuga che le esigenze geopolitiche
e le evoluzioni internazionali, come storicamente avviene, con il passare del tempo, vrebbero potuto far
uscire questi paesi dalla loro subordinazione.
Gli
americani riciclano ex”fascisti” per Servizi e Polizia
Nell’Italia del dopoguerra, dove la
sola Chiesa non poteva bastare, si imponeva la creazione di strutture, polizie,
partiti ecc., che potessero da una parte contrastare comunque il comunismo e allo stesso tempo con
il gioco della falsa alternativa “mondo libero” o “oltrecortina”, garantissero gli
interessi atlantici.
E
qui entrò in gioco James Jesus Angleton capo
dell’Oss in Italia.[4]
Oggi
sappiamo che le prime strutture di polizia e gli abbozzi dei nostri servizi
segreti, al tempo il Sifar, creati dietro la supervisione di Angleton, in
mancanza di personale efficiente non potevano che fornire una militarmente inesistente ed
inaffidabile Resistenza, furono creati con il vecchio personale del regime
fascista e anche della RSI, dagli americani recuperati ed ovviamente
trasformati in perfetti a-fascisti o antifascisti in pectore. [5]
Di
fatto però per molti agenti e funzionari non si poteva definirli “fascisti” nel
senso ideale e ideologico del termine, perché si trattava di personale dello
Stato che durante il ventennio o anche in RSI, avevano svolto i loro compiti e
servizi, nel regime che era in vigore e tutto al più potevano essersi portati
appresso una certa mentalità adeguata all’ordine, alla disciplina, alla
insofferenza per la “sovversione”, che ora riversavano nelle istituzioni della
Repubblica democratica.
Un altro super servizio, anomalo e
segretissimo, detto l’”Anello”,
conosciuto come il “noto Servizio”,
dedito anche a pratiche a dir poco criminali, le cui basi vennero gettate a
Roma nel 1944 dal generale badogliano Mario Roatta su direttive di un alto
ufficiale Alleato, ebreo polacco, venne messo in piedi anche con alcuni reduci
della RSI a cui altri poi si aggiunsero.
(Vedesi: S. Limiti: L’Anello
della Repubblica, Ed. Chiarelettere 2011, e Aldo Giannuli: Il noto servizio, Marco Tropea Ed.,
2011).
Come
noto gli Alleati ebbero nei confronti dei fascisti vinti e soggetti ai massacri
delle “radiose giornate”,[6]
un duplice comportamento: quando non gli interessavano li lasciavano
allegramente massacrare; quando invece si trattava di ufficiali o
sottoufficiali, specialmente ex appartenenti ai servizi segreti della RSI,
allora spesso li salvavano con l’intento poi di recuperarli per i loro scopi.
Contatti
pregressi con l’Oss americano
Ma c’è di più. Noi oggi sappiamo che
prima ancora della fine della guerra ci furono contatti tra alcuni esponenti
della RSI e l’Oss americano, ed oltretutto gli americani avevano anche messo in
piedi una rete spionistica, la Nemo, che comprendeva oltre a vari prelati,
uomini della Resistenza, ma anche uomini della RSI. Anche la massoneria aveva “confratelli” sia nel campo della
Resistenza che nella RSI, tutti “intrecci” e collusioni che ebbero un loro
ruolo nel dopoguerra.
Lo
stesso Mussolini, in prossimità del crollo finale, aveva lasciato liberi i suoi
uomini di esplorare strade e contatti per affrontare le conseguenze della
sconfitta.
Ergo,
questi contatti, anche con l’Oss americano che, per esempio, come sappiamo
dagli storci Giuseppe Parlato e Frano
Morini, aveva tenuto Romualdi, uno dei vicesegretari del PFR (sembrerebbe
Romualdi era entrato in contatto con l’Oss americano tramite Gianni Nadotti,
agente segreto del SIM infiltrato prima nella segreteria federale di Parma e
poi nella vice segreteria del PFR a Milano, sempre al seguito di Romualdi. Cfr:
G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed,
Il Mulino 2006 e articoli di Morini su Historica Nuova.),[7]
potevano rientrare in compiti di
“ufficio”, ma ci si domanda anche cosa
poi accadde al momento del crollo militare dove a Como entrarono in gioco gli
agenti americani e del SIM Salvatore Guastoni e Giovanni Dessì con i quali
Romualdi trattò la “tregua” della rimanente colonna armata fascista? E ancora
quanti altri “contatti” di questo genere erano in atto durante la RSI e furono,
per così dire, tutti finalizzati alla risoluzione dei gravi problemi contingenti
di un trapasso dei poteri, oppure proseguirono anche dopo, su altri piani e con
altro genere di collusioni?
Domande
inquietanti, a cui bisognerà prima o poi dare risposta.
A Como finì e finì male, il fascismo
Costatiamo, per
esempio, che la colonna armata di circa 4 mila fascisti, giunta al mattino del
26 aprile 1945 a
Como, in poche ore e senza una minaccia militare incombente sul posto, si
squagliò come neve al sole, soprattutto per la dabbenaggine dei comandanti
fascisti che invece di proseguire verso Menaggio dove li attendeva Mussolini,
si fermarono in città, si misero a discutere e poi a dialogare con il fantasma
di un inesistente CLN locale.
Fu
così che mentre Mussolini, che fino all’ultimo aveva rifiutato ogni offerta di
mettersi in salvo all’estero, in particolare nella Confederazione Elvetica, si
stava allontanando dalle zone dove stavano per arrivare gli Alleati,
nell’intento di restare libero e giocarsi le ultime possibilità di trattativa, alcuni
comandanti fascisti, per loro forma mentis, mostravano di non vedere l’ora di
arrendersi agli Alleati e magari con il segreto intento, oltre che salvare la
pelle, di riciclarsi in futuro come anticomunisti.
Andò
a finire che Mussolini, rimasto isolato e senza scorta a Menaggio, circa 31 Km . dopo Como, venne poi
catturato a Dongo da uno sparuto gruppetto di partigiani, mentre questi
comandanti fascisti, firmarono in città una ignominiosa resa, mascherata da
tregua e alcuni di loro furono in qualche modo messi in salvo, mentre altri, per
esempio l’ “estremista” Franco Colombo, vennero fucilati.
Anche quella che, andatosene oramai Pavolini
verso Menaggio a morire con il Duce, poteva
dirsi l’autorità più importante tra i comandanti fascisti rimasti in Como,
ovvero il vicesegretario del partito Romualdi, chiuse a notte alta oramai del
27 aprile ’45, le trattative con il CLN locale e i due rappresentanti americani
Guastoni e Dessì, riusciva a mettersi in salvo. [8]
Tempo dopo Romualdi verrà accusato dai
camerati di essersi «involato da Como con
la cassa del PFR», accusa che, ad onor del vero, non fu dimostrata.
(vedesi: P. G.
Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976),
Gli
storici sono concordi nel ritenere che il fascismo cadde, e cadde male, proprio
a Como all’alba del 27 aprile 1945, una pagina penosa di tipica storia italica,
che in parte riscattarono Pavolini, Mezzasoma, Casalinovo, Porta, Bombacci,
Utimpergher e gli altri che vollero seguire il Duce e morirono dignitosamente,
anzi meravigliosamente a Dongo e Vezzalini fucilato poco tempo dopo.
Con
la sconfitta ci fu poi la caccia al fascista, i criminali massacri di
fascisti o presunti tali nelle “radiose
giornate”, ed entrarono in funzione le famigerate Corti d’Assise Straordinarie a
comminare condanne a morte ed ergastoli.
In
questa situazione, per l’Oss di J. J. Angleton fu uno scherzo mettersi in tasca
vari esponenti e dirigenti neofascisti del primissimo dopoguerra, interessato
com’era ad utilizzarli per un fronte comune contro il comunismo.
Perché
certe “collusioni” divennero inaccettabili
Oggi, con il senno del poi, non
possiamo biasimare se alcuni neofascisti, epurati dal lavoro, braccati,
minacciati, in quelle condizioni del tutto eccezionali, accettarono in buona
fede le offerte di salvezza che gli prospettavano gli ufficiali Alleati e che
gli facevano anche sperare in una rivincita da prendersi sui loro aguzzini.
Quello
che è inaccettabile è che determinati “contatti” non avrebbero mai dovuto
andare più in là di tanto e avrebbero dovuto, in pochissimi anni, se non mesi,
essere troncati, ribaltati, specialmente dopo che risultava evidente la subordinazione
del nostro paese che gli americani avevano colonizzato.
Ed
invece non solo queste collusioni, per la maggior parte continuarono, anzi in
molte occasioni si trasformarono in vero e proprio assoldamento da parte
dell’ex nemico, che nemico in ogni caso restava, ma quando gli statunitensi
misero in atto le loro strategie criminali Stay Behind, il cui falso scopo era
la lotta al comunismo, mentre il vero fine era l’utilizzo anche di civili per
gli interessi politici e militari americani, molti di questi, oramai ex
fascisti, entrarono nelle Gladio. [9]
Ma
questa è un altra sporca pagina di altre sporche storie laddove bisognerebbe
andare anche a considerare la subdola opera dei nostri colonizzatori,
coadiuvati da ufficiali e uomini d’ordine delle nostre istituzioni, che ingannarono le persone che avevano selezionato,
in genere anticomunisti, nazionalisti. uomini pervasi dall’amor di patria,
facendogli credere che entrando nelle Gladio avrebbero difeso l’Italia dal
comunismo e da una invasione straniera di titini o sovietici.
Sempre gli americani: prima e dopo
"Un clamoroso retroscena sulla svolta moderata dell’Msi
all’inizio degli anni Settanta verso una Destra Nazionale più moderna e
post-fascista.
Secondo la testimonianza di Giulio
Caradonna, esponente di spicco dell’MSI, l’intera operazione venne pilotata e
finanziata dagli Stati Uniti, proprio per indebolire una democrazia cristiana
pericolosamente sbilanciata a sinistra. Secondo la testimonianza di Caradonna
fu un imprenditore italo-americano Pier Francesco Talenti, uomo di fiducia di
Nixon, a far da intermediario all’intera operazione.
Il denaro, 600 mila dollari fu
consegnato dall’allora capo dei servizi segreti militari Vito Miceli, nelle
mani di Almirante stesso, senza che i suoi referenti politici ed istituzionali
fossero stati messi al corrente. Una testimonianza, quella di Caradonna,
confermata dalla voce stessa di Giulio Andreotti in una delle sue ultime
interviste concesse a Marco Marra prima di morire".
(Cfr.: Rai La Storia siamo noi – G. Minoli – giugno 2013)
Il neofascismo del dopoguerra
Servi che più servi
non si può
"L’equidistanza di
Moro favorisce gli arabi… il MSI
DN fa osservare che l’ipocrita “neutralità” governativa si risolve in un avallo
delle posizioni antiisraeliane".
Il Secolo d’Italia 18
ottobre 1974
Trallallero, Trallallà
le chiappe a Nixon andiamo a leccà
Trallallero, Trallallà
Nel 1946 la maggioranze delle formazioni
clandestine neofasciste,[11]
un miscuglio di gruppi incredibile ed eterogeneo: Fasci di azione
rivoluzionaria, Squadre
di azione Mussolini, Credere, Onore e Combattimento, Figli d’Italia, Fronti antibolscevismo o monarco-fascisti
(sic!), ecc., alcuni dagli intenti genuini e formati da splendidi e
coraggiosi fascisti, altri un misto di
camerati in buona fede (la maggioranza) e qualche balordo, altri ancora sicuramente
equivoci: erano sotto controllo americano, come recita un rapporto dell’Oss intitolato “Il movimento neofascista - 10 aprile
1946, segreto”:
«I neofascisti intendono stabilire un
contatto con le autorità americane per analizzare congiuntamente la situazione
del paese. La questione politica italiana sarà quindi collocata nelle mani
degli Stati Uniti».
Il fatto che fossero sotto controllo
dell’Oss americano (evidentemente per contatti presi con l’Oss da alcuni
dirigenti o presunti tali), non pregiudica che comunque stiamo parlando di
ottimi camerati che in condizioni particolari e difficilissime cercavano di
riprendere a far politica e a mantenere viva l’Idea.
Trattasi di gruppi
spesso organizzati in una clandestinità sui generis, da alcuni definiti, se
considerati sul piano paramilitare, delle “armate brancaleone”,[12] che a Roma se ne contavano
una mezza dozzina mentre a Milano si muoveva più che altro Domenico Leccisi con
il suo Partito Democratico Fascista. Forse,
proprio Leccisi, con il suo gruppo, compì un gesto decisamente di spessore,
quello del trafugamento della salma del Duce nella notte tra il 22 e il 23
aprile 1946.
In alcuni casi i dirigenti di questi gruppi agivano dietro la supervisione e i finanziamenti
di James Angleton determinando purtroppo conseguenze devastanti per tutta
l’area.
Il
principe J. V Borghese
Anche altre personalità che, pur non fasciste, avevano avuto un ruolo
militare nella RSI, ma anche mantenuto sottili fili con i comandi Marina del
Sud, come per esempio il principe J. Valerio Borghese (un conservatore per tradizione
e convinzioni) appositamente salvato da Angleton, vennero subito utilizzate
dagli americani.
Emblematico il
caso di J. V. Borghese, anche se per questo rampollo di nobile stirpe non
possiamo parlare di un fascista.[13]
Non devesi interpretare quanto
andremo a riassumere, come pavidità o interesse personale dell’uomo, ma come attitudine,
come forma mentis di un personaggio di un certo ceto, conservatore e
reazionario, ossessionato dal comunismo, che non ebbe scrupoli, per affermare
queste sue idee, a schierarsi con gli americani.
Durante la
RSI, come noto, era in contatto con elementi dell’Ammiragliato della Marina del
Sud, quindi nel febbraio del 1945 entrò in contatto con gli Alleati, attraverso
il comandante Marceglia, come raccontò nel 1976 proprio J. J. Angleton.
Quell’Angleton, capo dell’Oss americano in Italia, di cui, anni dopo, Borghese
(foto a lato), si vantò della sua
pluriennale amicizia.
Sciolta la Decima Mas a Milano il 26 aprile 1945,
Borghese, grazie ad accordi precedenti, si mise sotto tutela del tenente della
Polizia partigiana Nino Pulejo rifugiandosi in casa di amici. Il 9 maggio ’45
infine venne prelevato da Angleton
(tra gli
altri testi, vedesi: S. Nesi: Decima
Flottiglia Nostra, Mursia, 1997).
Nel
dopoguerra, di fatto rimase sotto la protezione dei Servizi americani. Dal
settembre 1945 al 1947, in attesa di giudizio, venne trasferito nel carcere di
Procida.[14]
Lo storico
Giuseppe Parlato (Fascisti senza Mussolini, Ed. Il Mulino
2006), rettore della
Libera Università S. Pio V e vicepresidente della Fondazione Ugo Spirito, ha
dato corpo e documentazioni a quanto, del resto, era noto a molti, sia pure a
livello di voci:
"[Parlato]
rovescia la lettura di un partito
meramente nostalgico, lumeggiando i rapporti con gli USA, in funzione
anticomunista. Una estesa trama di contatti – quelli tra neofascisti e
Amministrazione americana – che risale a prima della fine della guerra, grazie
al lavoro di tessitura di alcuni fascisti clandestini al Sud, oltre che di
Borghese e di Romualdi con ambienti dei servizi segreti statunitensi.
“Da lì discendono una serie di legami che consentono di leggere la
nascita del MSI in modo totalmente diverso: non un movimento di reduci, ma una
forza atlantica e nazionale nel quadro della Guerra fredda.
Tra i personaggi chiave della tessitura segreta negli anni della guerra spicca il principe Valerio
Pignatelli della Cerchiara, un irrequieto e romantico personaggio mandato nel
Sud per organizzare i gruppi fascisti. Le carte che ho consultato mostrano i
contatti del nobile calabrese che, di fatto, era il capo del fascismo
clandestino, e soprattutto della sua influente moglie con ambienti dell’Oss che
facevano capo ad Angleton”. (S. Fiori: Una storia taciuta, in La
Repubblica 9.11.2006)" [15]
Uomini della Xa
Mas in Sicilia
Un documento Usa, per esempio, classificato
top secret, del 20 febbraio 1946 e
solo recentemente desecretato, recita:
<<molti
elementi neofascisti provenienti dal nord Italia sono stati inviati in Sicilia>>.
Borghese
era in galera a Procida, ed è facile dedurne, che gli americani avessero il suo
consenso per questi impieghi in Sicilia. E nella Trinacria, guarda caso, usando
l’isola come base strategica e con l’apporto mafioso, gli americani vi stavano
giocando il controllo del mediterraneo e sulla stessa Italia scalzando gli
inglesi.
Non è stato dimostrato con prove incontrovertibili,
ma sembra credibile che prima di quel maledetto 1 maggio del 1947 erano
sbarcati in Sicilia una pattuglia di uomini della ex (ci sarebbe da aggiungere:
veramente ex!) Decima Mas, fatti
addestrare da J. J. Angleton, così come si deduce da altri “rapporti” e alcuni
indizi, però non prove, fanno sospettare che a Portella della Ginestra, agli
uomini di Salvatore Giuliano si sovrapposero anche uomini in possesso di
lanciagranate, bombe-petardo di produzione americana, che lasciarono schegge di
metallo in alcune vittime. Chi erano
costoro? Vogliamo sperare che non erano della Decima. (Cfr: Casarrubea G., Cereghino M., Lupara Nera, Ed. Bompiani, 2009; e
Limiti S. Doppio Livello, Ed.
Chiarelettere, 2013).
A disposizione degli
israeliani
Comunque sia gli uomini di Borghese non
solo agirono, anche se non si sa bene come, pro USA nella Sicilia del 1947, ma è
noto, comprovato ed ammesso dagli stessi, che aiutarono militarmente il nascente stato di Israele,
offrendo agli israeliani supporto, addestramento e sostegno. Fu attraverso la
sionista Ada Sereni che vennero contattati e si resero disponibili per
addestare gli israeliani.
(Cfr: Salerno E., Mossad Base Italia, Ed. Saggiatore 2010
e l’ articolo di Don Curzio Nitoglia; L’Italia,
Israele e il Mossad dal 1945 ad oggi, reperibile on line: http://www.doncurzionitoglia.com/italia_israele_mossad.htm).
Tra le azioni
più clamorose che gli israeliani portarono a termine, grazie agli istruttori ex
Decima Mas, in particolare Fiorenzo Capriotti (aveva partecipato nel luglio
1941 ad una eroica, ma sfortunata impresa contro gli inglesi a Malta), vi fu il
22 ottobre 1948 l’affondamento nel porto di Gaza, tramite barchini esplosivi,
della nave ammiraglia egiziana Emir El Farouk.
Si da il caso
ora, che non tutti questi uomini ex Decima Mas potevano definirsi propriamente
dei fascisti, più che altro erano degli ottimi soldati, ma comunque sia è
indicativo il fatto che non avvertirono
minimamente il disgusto e l’infamia di dover aiutare l’ebraismo, una della
principali forze che avevano voluto la guerra totale di distruzione contro
l’Italia e la Germania.
Ebraismo che
oltretutto stava dando la caccia agli ex esponenti della Germania
nazionalsocialista, braccandoli in tutto il mondo al fine di istruirgli contro
processi simili a quello di Norimberga.
Con
queste premesse, che già indicano il come e il perché, i neofascisti finirono poi
per diventare gli ascari [16]
degli atlantici, si arrivò alla nascita
del MSI.
E
finalmente Pinocchio disse la verità
Si aprano bene le orecchie e
si ascoltino queste parole di Giulio Caradonna, pluri deputato missista e
membro della Direzione del partito, che ci ha lasciato una inequivocabile,
decisiva - e aggiungiamo noi - vergognosa testimonianza:
"Ho scritto tempo fa un articolo
per elogiare James Angleton [sic! N.d.A], capo dei servizi americani in Italia, che nell’immediato dopoguerra
svolse un ruolo decisivo per bloccare l’avanzata del PCI. Fu lui a salvare
dalla fucilazione Romualdi e Junio Valerio Borghese, dopo la sconfitta della
RSI. E poi sicuramente contribuì anche alla nascita del MSI.
Michelini,
leader della fiamma per lunghi anni, mi confidò che i primi finanziamenti ci
erano arrivati dal santuario di Pompei tramite gli americani e un alto prelato,
Roberto Ronca,
Angleton capì che era bene permettere
ai fascisti [per gli interessi americani, ovviamente! N.d.A], di uscire dalla clandestinità in modo che si schierassero a destra, anche
per bloccare l’operazione avviata da Togliatti per arruolare i reduci di Salò:
ad esempio il comunista Guido Fanti, primo presidente dell’Emilia Romagna , era
stato un ufficiale della RSI.
Detto
questo, va aggiunto che la base missina rimase a lungo ferocemente
antiamericana.
Per
fare cambiare orientamento ai giovani, io puntai sulla contrapposizione
dura al PCI, a forza di scontrarsi con i
comunisti nelle piazze, i nostri militanti accantonarono l’antiamericanismo. "
(A. Carioti: Il MSI figlio dell’America imbarazza la destra, in Corriere della
Sera 27.11.2006).
Pur
volendo passar sopra a queste primogenite collusioni, ritenendole figlie del
tempo, ovvero di un periodo in cui i fascisti braccati oggetto di massacri,
obtorto collo furono costretti ad accettare gli “aiuti” che potevano dargli gli
Alleati (ma come abbiamo appena visto dalle parole di Caradonna le cose non
stavano del tutto così, perché ci furono esponenti neofascisti e dirigenti del
neo nato MSI per i quali quegli aiuti avevano una valenza strategica e
addirittura una “comunanza” ideologica), cessato il periodo straordinario di
necessità, colonizzata dagli Alleati l’Italia,
queste collusioni non solo avrebbero dovuto cessare, ma si sarebbero dovute
ribaltare in una lotta contro i nostri colonizzatori. Ed invece le collusioni continuarono, venne
poi nel 1949 l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico e ben presto il MSI si
schierò in toto a favore della Nato.
Con
gli anni ’50 presero corpo le strategie stay behind e si crearono le Gladio (tutti
strumenti ambiguamente mascherati in nome dell’anticomunismo, ma in realtà
strutture di oppressione e controllo, del nostro paese, da parte statunitense),
e così via fino ad arrivare agli infami periodi della “strategia della
tensione” degli anni ’60 e ’70, tutti periodi in cui agli Atlantici necessitò,
al fine di destabilizzare il nostro paese per “stabilizzarlo” ovvero tenerlo
fermamente ancorato al sistema atlantico, di dispiegare una “guerra non
ortodossa” o non convenzionale che tanto sangue italiano ha sparso nel paese, e
oggi ben sappiamo da ampie documentazioni e inchieste giudiziarie e
testimonianze di pentiti e dissociati, che tutta un area neofascista ne venne coinvolta.
Quindi le collusioni tra i neofascisti, che meglio sarebbe definire “neo antifascisti”, partirono da lontano
e continuarono arrivando ben presto ad un coinvolgimento totale.
Testimonianze
significative
La indagatrice e ricercatrice
storica Stefania Limiti, ci descrive un passaggio di queste collusioni,
verificatosi nel 1952 , episodio di per sè pur non eclatante, ma alquanto
significativo.
Trattasi
di una confessione dell’ordinovista Giampaolo Stimamiglio il quale,
intanto riferisce di stretti rapporti
avviati da Pino Rauti con gli organismi
che presidiavano il nostro territorio, cioè i padri di Gladio, già da un paio
di anni prima della scissione di Ordine Nuovo nel congresso missista del 1956.
E quindi racconta:
"Nel 1952 cioè nell’ultimo periodo del Tlt [Territorio Libero di Trieste nato nel 1947 e
cessato nel 1954, N.d.A], un colonnello
inglese che si era qualificato come responsabile dell’Intelligence di tutto il
fronte della guerra fredda nell’Est in Europa, convocò: Pino Rauti, Guida,
Ierra o Jerra [probabilmente Enzo Erra direttore della rivista “Imperium”,
N.d.A.], lo zio materno di Ranieri
Mamalchi, noto esponente della destra italiana, e un quinto che al momento non
ricordo, tutti ex della RSI (…).
Ne vennero chiamati cinque perché erano
persone di indubbia intelligenza ed erano esponenti della destra italiana.
Con Guida intendo riferirmi a colui che
fu anche Prefetto a Milano. Ho ragione di ritenere che sia gli incarichi che i
luoghi di destinazione dei quattro siano stati studiati a tavolino. Ho detto
quattro perché lo zio di Ranieri
Mamalchi si alzò disgustato dalla riunione ricordando proprio al Rauti che
erano seduti davanti ai loro ex nemici".
(S. Limiti: Doppio Livello, Ed.
Chiarelettere, 2013)
Qui
sotto,
anni ’60
volantino della FNCRSI contro Nixon e gli Usa
IL QUADRO STORICO POLITICO
DELL’EPOCA
Per introdurre la genesi del MSI diamo qualche nota di cronaca, circa
il quadro politico dell’epoca, pre e post referendum Istituzionale del 2 giugno
1946.
Bisogna,
intanto, considerare che gli Alleati, in previsione del ritiro delle truppe di
occupazione si preoccuparono affinché nel paese si rendesse stabile un quadro
politico che non ponesse in pericolo la democrazia capitalista e borghese da
loro ripristinata ed ovviamente la subordinazione dell’Italia nella sfera
occidentale per altro anche imposta da Mosca al PCI che l’aveva accettata di
buon grado.
Gli americani in particolare, vinta la
disputa con gli inglesi per il predominio sulla penisola e quindi sciolta
l’opzione istituzionale con la vittoria referendaria della Repubblica, del
resto a loro gradita, si appoggiarono al Vaticano e alla DC partito scelto come
loro referente politico, per governare il paese.
Premunitisi
che l’economia nazionale fosse saldamente nelle mani dei capitalisti, imponendo
la cancellazione immediata di tutte le rivoluzionarie riforme socialiste della
RSI (successivamente nel 1947, attraverso il piano Marshall, praticamente,
porranno una loro ipoteca su tutta l’economia futura del paese) e riorganizzate
le forze di Polizia e i Servizi, attingendo a piene mani da personale del
passato regime fascista e anche con ufficiali recuperati dai reduci fascisti
repubblicani, predisposero le cose al fine di sbaraccare i social comunisti dal
governo di cui facevano parte dal periodo post liberazione, anche in previsione
di un lungo e duro confronto tattico Est – Ovest che si andava chiaramente
delineando nel mondo (precisiamo, confronto tattico, non strategico,
perché Sovietici e americani strategicamente erano totalmente in sintonia sugli
accordi di Jalta).
· Il governo
Parri, di intonazione resistenziale, cade nel dicembre 1945 ed è sostituito dal
primo governo De Gasperi con le province del Nord Italia ancora sotto le
autorità di occupazione Alleata. Purtuttavia il governo De Gasperi vede la presenza
di ministri socialisti e comunisti, a cominciare dai due leader Pietro Nenni e
Palmiro Togliatti e la DC vi si pone come forza di mediazione tra la destra
liberale e la sinistra socialcomunista. Il governo va avanti tra ambiguità e
doppiezze, mentre il PCI impone al suo interno, dove occorre, anche con mano
pesante, la linea della “via democratica al socialismo”, di fatto
l’accettazione dell’Italia nell’area Occidentale e la rinuncia ad ogni
tentativo sovversivo o rivoluzionario.
· Il 9
maggio 1946 il Re fellone Vittorio
Emanuele III, chiamato ”sciaboletta” in RSI e “mezzo feto” da Ezra Pound, con
un ultimo gesto disperato per salvare la monarchia, accetta di abdicare a favore del figlio
Umberto II di Savoia (chiamato “Stellazza”
in RSI per via delle voci su certe
sue “inclinazioni”) a cui nel 1944 aveva concesso la sola “luogotenenza. Il 13
giugno ‘46, a Referendum concluso e perso, Umberto lascerà l’Italia con casse
di documenti di Stato e abbondanti fondi.
· In questo
periodo, il fatto politico più rilevante, può considerarsi il referendum Istituzionale
del 2 giugno 1946 vinto dalla Repubblica, forse con qualche broglio, ma più che
altro conta .la difficile situazione economia del paese, con fame e carestie
diffuse. Divampano spesso e un pò dappertutto scioperi e agitazioni, mentre al
sud e non solo prende consistenza il movimento di occupazione delle terre da
parte dei braccianti. Le forze padronali, sotto tutela Alleata, diventano sempre
più tracotanti non curandosi della indigenza in cui versa tutto il paese.
· Il 22
giugno 1946, su proposta del Ministro di Grazia e Giustizia Palmiro Togliatti
viene approvato un provvedimento di amnistia, una specie di condono, per vari
reati comuni e politici, compreso il collaborazionismo con il nemico. Sarà poi
Giulio Andreotti, nel febbraio del 1948, con un opportuno decreto a consentire
la definitiva estinzione dei reati di tutte le persone coinvolte.
· Il 1
luglio del 1946 è eletto il Capo dello Stato provvisorio, in Enrico De Nicola.
· Nel
frattempo l’Italia non viene neppure invitata alla conferenza per la pace che
si apre a Parigi, ma Alcide De Gasperi vi si reca ugualmente.
· A Parigi
si firmeranno accordi Italia – Austria che rendono il Trentino Alto Adige una
regione autonoma, lasciandola all’Italia, ma questi accordi sono ambigui e in
parte disattesi e si innescheranno, fino agli anni ’60, molti atti di
terrorismo.
· Dagli Usa
intanto arrivano ingenti scorte di derrate alimentari: farina, scatolette, cioccolate,
ecc., per un Paese in cui ancora vige il razionamento. A gestire la maggior
parte di questi aiuti sarà la Chiesa e la DC attraverso Enti e Ministeri.
· Il 1
ottobre del 1946 si conclude il processo di Norimberga, una farsa incredibile,
un processo dei vincitori ai vinti della Germania nazionalsocialista, senza
garanzie per gli accusati, con leggi retroattive e con l’obbligo di utilizzare
solo le documentazioni scelte dai vincitori. Alcuni dei capi di imputazione
risultano poi assurdi e cervellotici. Il processo si concluderà con diverse
condanne a morte e all’ergastolo e conferirà una certa veste “legale” alla
cosiddetta “propaganda di guerra”. Da notare che l’area neofascista tenne un
vergognoso silenzio, e tranne qualche intervento o articolo, non spese molte
parole per difendere gli ex alleati in guerra, messi sul banco degli imputati. Un
sintomo chiaro di come tutta l’area dei reduci fascisti era condizionata da “forze”
che la dovevano incanalare in ben precisi binari.
· A
novembre del 1946 Togliatti si incontra con Tito, anche per la situazione di
Trieste, e i nazionalisti insinuano che si tratta di un complotto contro
l’Italia.
· Alle
amministrative di novembre 1946, svoltesi nelle grandi città, la DC registra un
forte calo dappertutto. Comunisti e socialisti invece si presentano uniti in un
Fronte popolare. Forse proprio per
questo a dicembre, Pio XII scende in campo direttamente contro il comunismo,
definendo la Russia un “popolo senza Dio” e minacciando scomuniche.
· Sempre a dicembre
1946 il presidente americano Truman invita ufficialmente De Gasperi in America
e fa capire che, in quel viaggio, il vice premier Nenni, socialista, non è
desiderato. Un chiaro segnale dei cambiamenti di governo desiderati dagli
americani.
·
Il 26 dicembre 1946 è costituito ufficialmente il MSI e lo stesso
dicembre Giorgio Almirante tiene uno storico discorso il cui contenuto si
presta a varie ambigue interpretazioni:
<<Il fascismo è stato nella sua ventennale evoluzione tutto il paese e
chi volesse esser ligio a tutti gli aspetti del recente passato, dovrebbe
essere ad un tempo repubblicano e monarchico, conservatore e rivoluzionario,
pragmatista e dogmatico, individualista e collettivista>>.
In pratica, dietro queste ovvietà
teoriche, si nascondeva la liquidazione del portato di “rottura” del fascismo
repubblicano, con tutto il passato del ventennio e con tutte le componenti borghesi, aprendo le
porte a conservatori e buffoni del ventennio che in quel neo partito ci si
ritrovarono alla grande e a loro agio.
· A gennaio
del 1947, mentre De Gasperi è in America, nei socialisti a congresso a Roma a
Palazzo Barberini, l’ala socialdemocratica, di intonazione anticomunista, guidata
da Giuseppe Saragat e che gode segretamente di finanziamenti americani, si scinde
dal partito costituendo il partito socialdemocratico. Al suo ritorno in Italia De Gasperi annuncia
le dimissioni del governo. A febbraio però vara un suo terzo gabinetto ancora
con il PCI e PSI, ma ora con le sinistre emarginate e in difficoltà.
· Le
direttive che ha avuto De Gasperi negli Usa sono precise, ma l’abile politico
agisce con una certa tattica. Non arriva subito alla rottura con le sinistre,
avendo tra l’altro lo scopo di far includere i Patti Lateranensi nella
Costituzione, a cui la Chiesa tiene moltissimo. Il ricatto democristiano è evidente,
i socialisti non lo accettano, ma Togliatti obtorto collo dà il voto favorevole
e i Patti Lateranensi, con il voto decisivo dei comunisti, vengono incorporati
nella Costituzione.
· Nonostante
gli sforzi moderati di Togliatti, i giochi dettati dagli americani sono oramai
decisi. A maggio De Gasperi si dimette di nuovo e a fine mese vara il suo quarto
governo: questa volta senza i socialcomunisti.
· Il 1947 è
anche l’anno in cui a Parigi si concludono le condizioni di pace da imporre
all’Italia, un vero e proprio Diktat, mentre nel frattempo in tutto il paese
prenderà a crescere una ventata nazionalista a difesa delle nostre terre che si
vorrebbero strappare definitivamente alla madrepatria.
· Il 10
febbraio 1947, giorno della firma del Diktat impostoci dai vincitori, con il
quale, tra l’altro, veniva ratificata la
cessione dei nostri territori orientali agli slavi e di Briga e Tenda alla
Francia, Maria Pasquinelli, del 1913, fiorentina di nascita, insegnante alle
elementari, uccide a colpi di pistola, per protesta della cessione “delle terre
più sacre d’Italia” alla Jugoslavia, il Generale inglese W. De Winton, massima
autorità Alleata nella città e comandate della guarnigione Alleata di Trieste.
Un gesto eroico degno del miglior Risorgimento. Sarà condannata a morte, poi
commutata all’ergastolo. Verrà liberata nel 1964.
· Il 1
maggio 1947 a
Portella delle Ginestre in Sicilia, dove gli americani hanno riportato la Mafia
riconnettendola alle centrali americane, uomini della banda di Salvatore
Giuliano, coadiuvati da altri elementi ancora non ben identificati, aprono il
fuoco contro operai e contadini che stanno manifestando, sotto le insegne sindacali
per la festa del Lavoro. Si contano oltre 10 morti e molti feriti. Tutta la
vicenda resta ancora ambigua: si ha la sensazione che al bandito Giuliano sia
stata assegnata la parte del capro espiatorio in vicende che lo trascendono.
· A giugno ’47
George Marshall annuncia il suo piano economico e di investimenti per la
ricostruzione in Europa. Come si disse: lo
Zio Sam, si compra l’Europa.
· Il 31
agosto l’Onu propone la divisione della
Palestina in due Stati con la creazione di uno Stato ebraico che gli ebrei, dopo
violenti raid bellici, proclameranno a
maggio del 1948.
· A
settembre ’47 Trieste e l’Istria diventano “Territorio libero di Trieste”.
· Il 28
dicembre 1947 ad Alessandria d’Egitto dove era esiliato muore Vittorio Emanuele
III.
· Il 1
gennaio del 1948 entra in vigore la Costituzione italiana.
· La
situazione politica (sta delineandosi una specie di “guerra fredda” tra
sovietici e americani, ma sempre di natura tattica, non strategica) torna a
farsi ancor più incandescente e raggiunge il culmine con le elezioni dell’aprile
‘48. La Chiesa e tutte le forze della conservazione, MSI compreso, sono
scatenate nel presentare le elezioni come l’ultima spiaggia per la difesa della
libertà e della cristianità minacciate dal comunismo ateo e dal pericolo
sovietico. I missisti, ovviamente, faranno da truppe cammellate alla reazione, ma
pagheranno in termini di voti questa loro doppiezza perchè sarà la DC a
raccogliere, con grande abbondanza, i frutti di una campagna elettorale
all’insegna del terrore del comunismo.
· Avvenimenti
di rilievo di quel 1948 sono la nomina a Presidente della Repubblica, da parte
di un nuovo parlamento uscito fuori dalle elezioni di aprile, del liberale
Luigi Einaudi, votato dal centro destra, e l’attentato a Togliatti.
· Il 14
luglio ‘48 a Roma, Palmiro Togliatti, segretario del PCI, viene ferito con due
colpi di pistola sparati da un mezzo esaltato, mai ben definito, che
frequentava anche ambienti di destra: un certo Antonio Pallante. L’attentato
scatena le sinistre e provoca, per qualche giorno scioperi e sommosse in tutto
il paese. Soprattutto al Nord, i rivoltosi in molti casi riescono ad avere la
meglio nella piazza e occupano varie fabbriche. L’attentato comunque non
risulterà mortale e la piazza sarà ricondotta alla normalità anche grazie
all’opera moderata e di persuasione dei dirigenti del PCI preoccupati dalle
conseguenze della rivolta.
· In
sostanza il risultato di tutto questo scompiglio sarà la sostituzione di altri
vari Prefetti con personale del vecchio regime fascista e un forte aumento
degli organici di Polizia e Carabinieri.
· A giugno
1948 con la scoperta a Cortemaggiore di giacimenti di metano, inizia in sordina
l’avventura di Enrico Mattei che era stato incaricato dallo Stato di liquidare
una piccola società che si dedicava a ricerche petrolifere.
· A luglio
la componente cattolica della CGIL esce dal sindacato.
· A
novembre ’48 gli USA annunciano una conferenza di 12 paesi tra cui l’Italia per
gettare le basi del futuro Patto Atlantico.
· A marzo
1949, il ministro degli Interni Scelba fa la faccia feroce e si dichiara pronto
a reagire e colpire le manifestazioni sindacali o comuniste. Si preannunciano
ed infatti ci saranno in seguito molti
morti e feriti in tutto il paese.
· Ad aprile
‘49, dopo che a marzo alla Camera ci sono state violente discussioni, il
governo sancisce l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, in pratica la fine
totale di ogni residua speranza futura di indipendenza nazionale. L’accordo di
adesione sarà ratificato dal parlamento a luglio.
· Non ci
sono solo i comunisti a lottare per le terre ai braccianti: il 29 ottobre ‘49 i
contadini di Melissa (Crotone), guidati dal militante MSI Francesco Nigro di 29
anni, e i propri familiari occuparono delle terre incolte prospicienti la
contrada Fragalà. I carabinieri, chiamati dai proprietari del fondo, ingaggiarono
scontri con i manifestanti usando anche le armi da fuoco. Rimasero uccisi il
Nigro e Giovanni Zito, di 19 anni, oltre a 14 feriti tra cui due donne, una
delle quali morirà in seguito.
· Fine anni
’40 e primi anni ’50 saranno quelli delle grandi manifestazioni per
l’italianità delle nostre terre, come Trieste. L’impegno nazionalista
consentirà in parte al MSI di nascondere la vergogna della sua adesione al
Patto Atlantico.
Ma anche
il “fuoco” nazionalista sarà di breve durata e si cercherà di alimentarlo con
quello contro l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956). Grandi manifestazioni
di piazza assieme a tutte le componenti nazionaliste, anticomuniste e
conservatrici del paese, che però venendo da un paese colonizzato dagli atlantici
e senza contemporanee proteste o almeno prese di posizione contro i nostri
colonizzatori occidentali, risultano chiaramente ambigue e devianti.
Ignorando, infatti, lo stato di
sudditanza dei paesi dell’Europa occidentale agli Stati Uniti, tutti gli sforzi
propagandistici missisti saranno concentrati sull’Ungheria, che del resto, gli
Occidentali, in base agli accordi di Jalta, non hanno alcuna intenzione di
aiutare; “aiuti” che in caso sarebbe meglio leggere quale inquinamento e
stravolgimento del popolo ungherese e delle sue tradizioni e culture, che
verrebbero devastate dalla american way of life. Dalla padella nella brace!
[1] Quello che non hanno fatto i “neofascisti”, lo ha fatto la Storia. Due autori, non di parte ci hanno regalato
due splendide biografia di Solaro e Bombacci:
“Giuseppe Solaro il fascista che sfido’ la Fiat e Wall Street”, di
Fabrizio Vincenti, Ed. Ciclostile, euro 13,60;
e - “Nicola Bombacci un comunista a Salò”, di Guglielmo Salotti, Ed.
Mursia. Euro 19,00.
[2]
La cultura americana comunque
era già stata da tempo introdotta nel
nostro paese, basta sfogliare giornali e
riviste del ventennio per rendersene conto. Era il retaggio di un
certo risorgimento massonico, dei
contatti con gli immigrati in America, della filmografia hollywoodiana e dI una
letteratura portata avanti da case editrici come Nerbini, Mondadori e BompianI,
ecc.
[3] I Berlinguer
(capostipite Mario, già massone, posto nel 1944 dal PWB britannico a fare
l’Alto commissario alle epurazioni) latifondisti, in qualche modo attigui ad
altre famigli sarde, a volte tra loro imparentate per via endogamiga: i
Cossiga, i Segni, i Siglienti (IMI), i Manconi (Giuseppe, padre di Luigi
passato in Lotta Continua, che sposerà Bianca Berlinguer), i Pintor (tra i
fondatori del Manifesto), ecc., tutte
famiglie sarde notabili, intellettuali,
spesso plutocrati o facoltosi latifondisti, in una realtà storico geografica
dove operavano da sempre lobby di massoneria britannica.
L’Euro comunismo
berlingueriano, che poteva essere giustificato per lo sganciamento da Mosca,
aveva però dei presupposti politici ed ideali di stampo “occidentale” che
avrebbero facilmente portato, come infatti è poi avvenuto, il PCI nell’orbita
occidentale, aprendo la strada all’inquinamento delle ideologie neoradicali e
facilitando la nascita di un Europa mondialista posta nelle mani dell’Alta
finanza.
[4] Se
Angleton, al tempo non ancora trentenne, è la figura principale della
Intelligence statunitense in Italia, non dobbiamo dimenticare anche altri
personaggi influenti e determinanti, come per esempio il “colonnello” “inglese”
Ralph Merril, alias Renato Mieli
(padre del giornalista Paolo Mieli) del PWB, che gestì varie strutture
clandestine socialcomuniste durante la guerra civile, e senza dimenticare il
futuro Papa G. Battista Montini, al
tempo a capo dei servizi segreti Vaticani. Angleton, che conosceva perfettamente
l’italiano, era figlio di Hugh Angleton, ricco imprenditore e tenente
colonnello dell’Oss, ma anche un potente massone della loggia di “Rito Scozzese
Antico e Accettato”, l’ala filo britannica della massoneria americana.
Collaboratore di Angleton, fin dal 1944, fu quell’Umberto Federico D’Amato
futuro capo del servizio segreto civile AA.RR.
[5] Per avere un idea che
i nostri Servizi non erano “deviati”, ma semplicemente subordinati agli
americani, un esempio tra tanti: un memorandum del
Comando generale di Stato maggiore (Jcs)
del governo USA datato 14 maggio 1952 e rimasto segretissimo fino al 1978,
stabiliva che il capo del Sifar fosse segretamente vincolato a rispettare gli
obiettivi di un piano permanente di offensiva anticomunista (nomato demagnetize) per operazioni politiche, paramilitari, e
psicologiche atte a ridurre l’influenza del PCI in Italia.
[6] Oggi, dopo tanti
balletti delle cifre, che riguardano il numero dei fascisti o presunti tali,
uccisi e talvolta in modo efferato, dalla vendetta partigiana (giravano cifre
assurde: chi sparava oltre cento mila uccisioni, chi come gli antifascisti,
minimizzava a un paio di migliaia), possiamo attestare con ragionevole certezza
circa 40 mila uccisioni, un numero considerevole, con massacri che in alcune
regioni perdurarono per diversi mesi se non qualche anno.
[7] A parere del ricercatore storico F. Morini di Parma, forse non fu proprio attraverso
il Nadotti che Romualdi sarebbe entrato in contatto con l’OSS, in quanto il
Nadotti era interno alla rete spionistica Nemo, facente riferimento
all’Intelligence Service.
[8] E’ evidente che
Romualdi, come del resto altri comandanti fascisti, per esempio Vincenzo Costa,
poterono salvarsi e dileguarsi da Como, grazie agli elementi del CLN locale e
ai due rappresentanti americani Guastoni e Dessì con i quali avevano trattato
la “tregua” all’alba del 27 aprile. Senza mezzi termini, scrive il Murgia:
<<Romualdi era stato scarcerato
grazie all’intervento di un agente del servizio segreto americano, ma lui ha
fatto credere di essere rocambolescamente fuggito>>.
P. G. Murgia: Il vento del Nord, SugarCo 1975 e ristampa Ed. Kaos 2004.
[9] Lo stesso discorso, ovviamente, lo si può fare,
pari, pari, per certe “amicizie” e collusioni che per stato di necessità si
erano instaurate nel primo dopoguerra tra i reduci fascisti e uomini e ambienti
anticomunisti: Chiesa, industriali, militari, carabinieri e poliziotti, magari
ex fascisti riciclati. Finito il pericolo delle “radiose giornate” e loro
strascichi, cessato lo stato di “clandestinità” e ripreso in qualche modo dai
reduci un posto nella società, queste “amicizie”, queste collusioni avrebbero
dovuto essere allontanate come la peste, perché tali ambienti facevano parte
del fronte della conservazione e dell’acquiescenza al colonialismo americano e
quindi costituivano un nemico, esattamente come i socialcomunisti.
[10] Febbraio 1969: per accogliere
Nixon a Roma Il Secolo d’Italia,
aveva imbrattato una pagina con la servile scritta bilingue: "Attenzione Nixon! L’Italia si prepara a
tradire gli impegni atlantici sottoscritti con gli Stati uniti e a portare i
comunisti al potere". Il Bollettino
della Fncrsi riportò la strofetta canzonatoria verso i missisti mandati a
manifestare per Nixon.
[11] Queste
organizzazioni clandestine condussero una lotta che di “rivoluzionario” o
“insurrezionale” aveva ben poco. Progetti tanti, ma in definitiva si limitarono
alla stampa clandestina e ad alcune azioni goliardiche con esposizione di
bandiere o diffusione attraverso altoparlanti di canti fascisti in particolari
luoghi. Alcune si finanziarono con qualche rapina, altre fecero esplodere delle
bombe, ma più che altro petardi dimostrativi. A differenza dei comunisti che
con la loro clandestina “Volante Rossa” e altri gruppi simili, procedettero
alla eliminazione di diversi fascisti o avversari anche oltre due anni dopo la
fine della guerra. Per avere il senso della scarsa attitudine dei fascisti,
clandestini o meno, a compiere drastiche vendette o azioni cruente, basti
considerare che Walter Audisio, alias Colonnello
Valerio, spacciatosi e spacciato dal PCI come uccisore del Duce (non ha
importanza che poi, come oggi sappiamo, il vero uccisore non era lui) e che
oltretutto aveva rilasciato una serie di memoriali mendaci per descrivere un
Duce tremebondo e terrorizzato di fronte alla morte, ebbene questo Audisio, a
parte un paio di progetti, ovviamente
non portati a termine, e vendicare Mussolini, arrivò a morire di morte naturale
(infarto) nel 1973.
[12] Vedesi D. Lembo: Fascisti dopo la liberazione, Ed. Grafica Ma.Ro. 2007.
A ben vedere l’unico gesto “insurrezionale” di rilievo fu
compiuto da una donna, l’insegnante Maria Pasquinelli che il 10 febbraio 1947
uccise il generale Alleato, l’inglese W. De Winton, a protesta della cessione
delle nostre terre alla Jugoslavia.
[13] A proposito di Valerio Borghese,
la FNCRSI, in un suo Foglio di Orientamenti 3/2000 ebbe ad esprimere queste
considerazioni:
<<Sulle capacità di J. V. Borghese in campo navale, nulla quaestio, ma non su altri campi
(non s’improvvisa dall’oggi al domani un comandante di G.U.); nondimeno, egli
ebbe il privilegio di disporre di un eccellente S. M., dei migliori ufficiali
del disciolto R. E. e di un’ottima truppa composta esclusivamente di volontari.
Tuttavia, sin dalla fine del ’43, Borghese divenne preda degli emissari
dell’ammiraglio badogliano De Courten, tanto che il colonnello F. Albonetti (prefetto di palazzo a
Villa Feltrinelli fino alla destituzione di Renato Ricci da Comandante generale
della G.N.R.), dopo averlo più volte catturato, paventò seriamente di doverlo
fucilare, ma Mussolini si limitò a farlo sorvegliare, al fine di valersene come
fonte di notizie riguardanti il Governo del Sud. Comunque, che egli abbia
collaborato con i «servizi» angloamericani durante e dopo la RSI, è un fatto
storicamente certo>>.
[14] Nel dopoguerra Borghese, oltre al
sostegno propagandistico al Msi, eccetto la costituzione del famigerato Fronte Nazionale nel 1968 (che i
fascisti della Fncrsi definirono una lazzaronata) e la mezza pagliacciata del
Golpe del 1970, di cui ancora non si capiscono i veri fini, non si cimentò in
particolari imprese politiche, ma di fatto fu sempre in sintonia con i Servizi
Occidentali risultando, in definitiva, il cosiddetto “mondo libero”,
specialmente se ammantato di “ordine” e anticomunismo, conforme ai suoi
principi.
[15] U. M. Tassinari: Fascisteria, Sperling e Kupfer 2008.
[16] Useremo spesso, come dispregiativo, il termine
“ascari” riferito al servilismo missista, Anche se è ingeneroso verso gli
Ascari che pur si batterono e morirono dignitosamente. I missisti meriterebbero
dispregiativi ben peggiori.
Come valutare e interpretare
ruolo ed essenza del MSI
Oltre
ogni decenza: Messaggio al Presidente americano Nixon –
“Sig.
Presidente, mi è gradita l’occasione della sua venuta a Roma per rinnovarle
l’assicurazione che i lavoratori della Cisnal (ma chi, dove sono?! N.d.A.) apprezzano profondamente i propositi di pace
che sono alla base della sua venuta in Italia e negli altri paesi europei ”.
(1970)
- Dal Segretario Gen. Della Cisnal On.
Gianni Roberti
Prima di entrare, con il prossimo capitolo,
nella analisi delle situazioni e dei personaggi che fondarono il MSI, anche per
cercare di capire come fu possibile che questo movimento fu spinto a recitare
un certo ruolo politico in antitesi ai veri ideali dei reduci del fascismo
repubblicano, vogliamo accennare ad un paio di considerazioni, quasi dei
paradossi, che abbiamo a volte ascoltato da anziani camerati, pur consci delle
malefatte compiute da questo partito, i quali però ne rilevano, nonostante
tutto, una indiretta funzione
positiva.
Costoro
infatti, riconoscendo, almeno fino ad un certo punto (per carità, da certi
ingenui all’eccesso, non pretendiamo troppo!) l’opera nefasta del MSI,
affermano che, purtuttavia questo partito, avendo nel bene e nel male,
rappresentato l’immagine del fascismo, ha fatto sì che fungesse da “centro di
raccolta”, da culla, soprattutto di giovani che scoprivano o si sentivano
fascisti i quali, diversamente, se il MSI non fosse esistito non si sa bene che
fine avrebbero fatto.
Questo
discorso, a veder bene, si regge solo in via teorica, in virtù del fatto che la
politica, essendo soprattutto per un giovane e al primo approccio, più che altro
un fatto emotivo, di entusiasmo e di “ambiente” (solo poi con la crescita
l’uomo procede alle verifiche razionali delle sue idee che vengono anche messe alla
prova delle sue vere inclinazioni esistenziali), ha bisogno di “presenze”, “simboli”
concreti, visibili, a disposizione di tutti per realizzarsi, quindi è necessario
un partito, un gruppo che, nel bene o nel male, vero o falso che sia il suo
attestato ideologico, funga da raccolta e da catalizzatore.
Tutto
in buona parte vero, però storicamente manca la controprova e quindi non
sappiamo, nel caso non fosse esistito il MSI, come si sarebbero ritrovati e
riuniti coloro che si sentivano spinti verso il fascismo. Essendo, in ogni
caso, la presenza dei reduci del fascismo molto vasta, è possibile ipotizzare
che sicuramente una alternativa si sarebbe prima o poi concretizzata.
Quello
che invece sappiamo per certo è che seppur vi sia stata questa indiretta e
casuale funzione positiva nella immagine della Fiamma quale simbolo (ovviamente falso) riferito al fascismo, tale
occasionale ruolo è stato ampiamente
annullato, anzi totalmente superato dalla effettiva e riscontrabile
funzione negativa che questo partito ha assunto nello stravolgimento degli
ideali del fascismo, nell’aver capovolto ogni programma e ogni progetto fascista
nel suo esatto contrario, nell’aver condotto una politica ad esclusivo
interesse dei nemici del fascismo e della Patria. E scusate se è poco!
Per un eventuale aspirante fascista, che si è realizzato grazie
alla presenza del MSI, cento altri si
sono realizzati o trasformati, nell’antitesi del fascista, in squallidi
esemplari del peggior destrismo.
E costoro che venivano spacciati per
fascisti, con il loro partito che aveva quella falsa etichetta, hanno seriamente
macchiato l’immagine storica del fascismo stesso.
Paradosso
di una “presenza” anomala
Un'altra sottile, ma pertinente considerazione l’ha espressa il
quotidiano Rinascita a commento di
una versione ridotta di questo saggio, dal giornale pubblicata in due puntate
il 18 e 19 giugno 2013.
Osservava Rinascita che il MSI “pur strumentale
alle manovre conservatrici del centro destra atlantico e a questo soggetto,
rappresentò comunque un elemento significativo di – diciamo così – “ideale”
distacco dalla omologazione al verbo dei vincitori”.
Ed anche questa è una osservazione
giusta che si configura nel paradosso di un partito, falso nella sua etichetta
ideale e politica, strumentale ai nemici del fascismo e utile ai nostri
colonizzatori atlantici, tutte forze che poi in definitiva contribuirono a crearlo,
ma la cui presenza nell’immaginario collettivo che pur lo vedeva in un certo
modo, cioè come “neofascista”, rappresentava una “diversità”, una anomalia, da
quella omologazione democratica imposta dai vincitori al nostro paese.
Fu questa, a nostro avviso (come per le
vecchie simbologie marxiste e comuniste, anche se appannaggio di un PCI del
tutto occidentalizzato) una delle ragioni per cui, con la Seconda Repubblica,
se ne pretese la totale eliminazione, anche simbolica, dalla politica italiana.
Eliminazione a cui, ovviamente, gli esponenti missisti, nonostante la farsa di
qualche “resistenza” nei loro ultimi congressi, a Fiuggi finirono poi per
eseguire le disposizioni che gli venivano dai loro storici padroni.
Ma
se questo è vero, è altrettanto vero che questi paradossi: del simbolo di un
passato e della anomalia di una certa presenza scomoda, sono a prescindere da
ogni merito e volontà del MSI stesso.
Guardare
solo i fatti
Affrontando adesso la ricostruzione
storica che portò alla nascita del MSI è necessario premettere che il miglior
schema valutativo e interpretativo di uomini e fatti che ci riguardano, è
quello di descrivere senza troppi fronzoli avvenimenti e circostanze e
tratteggiare il profilo di quelli che possono
considerarsi i “padri fondatori” di questo partito. Di conseguenza: chi vuol
capire, capirà.
Chi volesse, invece, decodificare cosa sostanzialmente fosse e che
ruolo ha avuto il MSI nella politica italiana e prendesse come riferimento i
manifesti, gli articoli, gli enunciati, le mozioni, rilasciati a quel tempo da
questo partito o dai suoi dirigenti, ne sarebbe sviato, perché tra le parole,
gli enunciati e i fatti concreti della politica missista, quelli che poi
contano veramente, non c’è corrispondenza.
Questa
discrasia è dovuta al fatto che alcuni dirigenti che tenevano saldamente in
mano il MSI, agendo con scaltrezza, soprattutto nei suoi primi anni di vita, fecero
sfogare tutte le componenti, lasciarono dire e scrivere di tutto, tanto
sapevano bene che certi programmi, certe idee sarebbero rimasti sulla carta
senza l’impegno concreto della direzione del partito e dei suoi organi
dirigenti.
Ci
sono tesi e riassunti storici che riportano ed analizzano le diverse posizioni
politiche e culturali dell’epoca nell’area neofascista. Ma a nostro avviso
hanno tutte scarso valore perché sono le iniziative e i fatti concreti quelli
che contano, mentre tutto il resto è rimasto solo sul piano teorico o delle
buone intenzioni.
Non
vogliamo fare i cultori della malafede, ma in questo partito ne abbiamo viste e
sentite tante, abbiamo visto estendere e restringere come un elastico tesi
ideologiche e posizioni politiche, correnti che vanno e vengono a puntellare manovre
di bottega, per poi vederle, dai loro stessi leader, ribaltate dopo qualche
anno e pur sforzandoci di analizzare il decorso storico su di un piano squisitamente
politico, non possiamo non presupporre che svariati interessi hanno avuto il
loro peso, hanno condizionato tutto il gioco e quindi, come si dice: “le parole
se le porta via il vento”.
Tanto
per fare un esempio uno dei primi atti politici del MSI, appena costituito, fu
l’Appello agli italiani con il quale
si chiamavano a raccolta lavoratori e altri che volessero servire la Patria.
Seguivano dieci punti programmatici a difesa della integrità della nazione,
ecc.
Al punto ottavo si faceva un esplicito
richiamo alla socializzazione, e così via, come le affermazioni per le
tradizioni nazionali e contro il comunismo.
Ma di tutto questo, con il tempo, restarono
solo gli aspetti superficialmente nazionalistici e ovviamente l’anticomunismo.
A poco a poco, con gli anni, tutte le
idee sociali, quelle di indipendenza nazionale ed equidistanza dai blocchi, si
sarebbero annacquate e dissolte, così come certi progetti antitetici al Sistema
o contrari alla politica conservatrice del partito.
D’altro canto, leggendo i primi
manifesti, articoli e mozioni congressuali missiste, si riscontrano spesso principi e punti programmatici validi e
accettabili (seppur inficiati da frasi e altri enunciati ambigui), ma si
sarebbe tratti in inganno da quegli enunciati a cui mai seguirono fatti
concreti, mentre dall’altra parte, per i passaggi che invece già fanno intuire
rinunce, tradimenti agli ideali e svolte contrarie a ciò che il fascismo doveva
rappresentare, nell’evidenziarli si presterebbe il fianco alla obiezione che
certi “annacquamenti”, certi “mascheramenti” erano espedienti tattici, resi
necessari per governare il partito, farlo crescere e presentarlo in un certo modo
all’opinione pubblica.
Sono le stesse false obiezioni che al
tempo i dirigenti missisti avanzavano ai camerati, che contestavano o non si
capacitavano di tante ambiguità e rinunce.
Prendiamo ad esempio il primo congresso del partito quello di Napoli.
Il congresso di Napoli del 1948
Un capolavoro di falsità e ipocrisia si ebbe con quello
che fu definito Il primo congresso del MSI a Napoli (27 giugno - 29 giugno 1948), segretario
uscente, poi confermato Almirante.
Il dibattito precongressuale, con una base che bisognava
turlupinare con accortezza e gradualmente, essendo in maggioranza ancora
su posizioni socialiste e antiamericane (nonostante le massicce
immissioni di qualunquisti), verte su
tre relazioni approvate dal Comitato Centrale: "Politica sociale ed
economica", "politica interna
e costituzionale" e "Politica
estera".
Vi si dice ce il MSI si oppone all’Istituto delle Regioni
previsto dalla Costituzione, quindi si protesta contro lo «strapotere dei
partiti che si sovrappongono all'azione dei pubblici poteri», e che il partito
non vuole «sopprimere la democrazia».
Tutti enunciati che lascano il tempo che trovano
In politica estera, nascosta tra le frasi, già vi è la prima
“perla”: ovviamente si rifiuta il Trattato di Pace, sia per le abiette modalità
della firma e sia per i contenuti, chiedendone la revisione, ma a scanso di
equivoci, si precisa che il Msi opera una precisa scelta di campo, definendosi
«presidio dei valori Occidentali».
Neppure un minimo di dignità per porsi almeno come “terza via”.
La
relazione sulla "Politica sociale
ed economica", capolavoro truffaldino e perfido, dice che si tende al
«processo evolutivo che è stato interrotto dalla guerra» ovvero la
sintesi tra il corporativismo del ventennio
e la socializzazione della RSI.
Vi
si parla di riconoscimento giuridico delle categorie; l'obbligatorietà dei
contratti collettivi; introduzione della magistratura del lavoro e difesa
dell'unità sindacale e più che di una libera concorrenza si propone una
«programmazione nazionale».
E’
questo il contentino, oltretutto
ambiguo, dato alla corrente detta di “sinistra”, che poi di lì a un paio di
anni sarà smentito e ribaltato con la scelta liberista.
Sarà
poi proprio l’esponente “liberista” Augusto De Marsanich, a concludere il
Congresso mediando una sintesi tra
socializzatori e corporativisti, spolverando i temi del ventennio conservatore
e proponendo «la dottrina dello Stato
nazionale del lavoro: nazionale e non nazionalista, sociale e non socialista»,
che di fatto pone le premesse per liquidare la socializzazione.
E
sempre De Marsanich, rispetto al fascismo, troverà l’escamotage del motto: “non rinnegare e non restaurare” per
accontentare un po’ tutti.
Ma
di questi enunciati, niente sarà tradotta in pratica nei luoghi di lavoro,
nelle fabbriche, come battaglie parlamentari o negli Enti locali. Solo
l’enunciato della posizione filo Occidentale, avrà seguito nei fatti, manifestando la penosa presenza di un partito
che dicesi “nazionale” e che come tale avrebbe dovuto assaltare ogni giorno i
consolati americani e manifestare contro la Nato e invece, con la scusa
dell’anticomunismo, tradisce gli interessi e le aspirazioni della nazione.
Altrettanto
scarsa importanza assumono purtroppo vari episodi, valide azioni e iniziative di militanti del
partito che di certo non possono essere considerate di natura reazionaria, anzi
tutt’altro. Ma anche qui, tutto rimase sempre relegato a fatto locale, ad
iniziative di singoli, perchè la Direzione del MSI andava e si poneva su un
diverso piano: quello della destra conservatrice, con annessi e connessi.
Insomma il MSI venne a trovarsi in una
situazione falsa e ingannevole di certo peggiore
di quella in cui, in parte, si trovavano i veri comunisti nel PCI.
Il
PCI, infatti, per anni ha mantenuto, sia pure teoricamente, alcuni capisaldi
del marxismo leninismo, che avrebbero dovuto attestare la sua natura
rivoluzionaria in alternativa al riformismo socialista.
Capisaldi che venivano insegnati anche alle scuole di partito. Nei
fatti però il PCI aveva da tempo rinunciato alla scelta rivoluzionaria e
smantellato ogni struttura interna in questo senso.
Quindi la stessa “lotta di classe”, per questo partito, era più
che altro, finalizzata a rivendicazioni sindacali, al confronto con il
padronato, a pressioni politiche, non certo per arrivare, attraverso l’atto rivoluzionario, alla dittatura del
proletariato.
Per
il MSI le cose stavano ancora peggio, non si poteva neppure parlare di
“necessità tattiche” o di “adeguamenti ai tempi” come potevano giustificare al
PCI, perchè, a parte i richiami del tutto teorici per un “edulcorato”
corporativismo, quei pochi cenni sulla socializzazione (prima di sparire del
tutto), restavano sulla carta e neppure erano utilizzati per almeno avanzare
rivendicazioni, richieste di autogestione nelle Aziende. Niente di tutto
questo: di fronte al padronato, agli industriali, il MSI ha sempre avuto, nei
fatti, una posizione esclusivamente liberista,
motivo di più per giudicarlo solo nei suoi atti concreti, nelle sue politiche
quotidiane e non su ingannevoli frasi di propaganda.
Intattendibilità
di rievocazioni e ricordi
Un ultimo aspetto,
riguardante il metodo con cui procedere nelle ricerche e rievocazioni sul
neofascismo, un metodo assolutamente inconsistente oltre che inattendibile, è
quello usato da certi autori, in genere giornalisti più che storici, che hanno
pubblicato testi in merito corredati da spezzoni di interviste e ricordi di
molti militanti di quest’area. Tomi di oltre 400 pagine a dir poco sprecate.
Esclusi
alcuni pareri, in genere di giovani militanti che hanno vissuto certi
avvenimenti, per il resto, a nostro avviso, è tutto materiale da buttare.
Per
quel che riguarda pareri e ricordi di vecchi esponenti del MSI, personaggi che vi hanno fatto carriera e che
in quel partito ne hanno combinate di tutti i colori, tutti questi personaggi,
insomma, cosa volete che possano oggi attestare?
Quanta
attendibilità possono avere i loro ricordi e rievocazioni di fatti e
situazioni?
A
nostro avviso nessuna, perché sono tutti ricordi, oggi edulcorati e
“aggiustati” che possono ingannare chi al tempo non c’era, non chi li ha
veramente vissuti.
Questi
testi in giro, di centinaia di pagine, che pretendono di ricostruire la storia
del neofascismo dal 1945 ad oggi e nel farlo chiedono a questo o quell’ex esponente
di tali gruppi o del MSI di rievocare quei tempi, di ricostruire certe
situazioni - ci si dia retta - è meglio lasciarli perdere.
Noi tagliamo la testa al toro,
sorvoliamo su tutto questo, non ci facciamo prendere in giro a distanza di
mezzo secolo e andiamo diritti al nocciolo della questione, osservando e
analizzando uomini e fatti e fidandoci solo di rievocazioni e ricordi di
persone degne di stima.
Afascisti
e conservatori furono preponderanti e decisivi
Per venire ad un altro aspetto che viene osservato alla nascita del MSI,
ovvero la partecipazione di personaggi
eterogenei non propriamente fascisti, si
potrebbe obiettare che per la costituzione di un partito politico, nazionale,
era naturale che vi partecipassero personaggi di varia estrazione politica,
molti dei quali non propriamente fascisti.
Si
da il caso però che questa obiezione,
pur essendo realista, non giustifica il fatto che certi personaggi risultavano
tutti del campo conservatore o in evidente collusione con gli statunitensi, con
la massoneria, con il ministero degli Interni, con lobby reazionarie, ecc., in
pratica, con i peggiori nemici del fascismo e se poi andiamo a ben vedere,
furono proprio questi personaggi, che risultarono decisivi e influenti nella
nascita del MSI.
Altri,
tranne quelli che se la batterono disgustati e a gambe levate da quel partito,
finirono anche loro prima o poi per storcersi,
per adeguarsi all’andazzo conformista e alle sue posizioni di destra
bottegaia.
Come
dire: chi va con lo zoppo...
E
la controprova che contano i fatti e non le parole, la si ha nel fatto che il
MSI, proprio quella politica ad uso e consumo di questi ambienti reazionari e
antifascisti andò a perseguire.
Il “Senato”
Proprio
di Destra doc questi “padri fondatori”
“In un
ambiente ideologicamente instabile, demagogico, fortemente populista… c’erano
soltanto due persone autenticamente di destra: Ernesto Di Marzio e soprattutto
Pino Romualdi, dice Domenico Mennitti [giornalista, deputato MSI DN, poi in Forza Italia]”.
N. Rao, La fiamma e
la celtica, Sperling & Kupfer 2006
Tutte le rievocazioni storiche sono concordi
nell’individuare in una certa struttura, definita il “Senato” (più che altro punto di
incontro e relazioni, una
specie di organismo “consultivo” per i reduci che prese ad attivarsi verso la primavera del 1946) le
premesse per le basi programmatiche e organizzative che portarono alla nascita
del MSI. Il Senato, che veniva presieduto
da Romualdi (foto a lato), venne messo in piedi a
Roma da Puccio Pucci, amico di Romualdi,
con l’ausilio di Olo Nunzi (ex sindacalista, già Capo di gabinetto nella
segreteria politica di Pavolini),[1]
ma di questa “struttura” sempre
poco si è saputo eccezion fatta da qualche rievocazione autobiografica e alcune
ricostruzioni degli eventi recuperate dallo storico Giuseppe Parlato (vedesi:
G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed.
il Mulino 2006).
Di
una certa importanza anche un pregevole articolo critico del ricercatore
storico Franco Morini: “Nome: MSI -
Paternità: SIM”
(“Aurora",
n. 44, 1997, reperibile anche telematicamente in http://www.movitaliasociale.it/aquila-oggi/47.htm).
Secondo Cesco Giulio
Baghino, ex ufficiale in RSI, giornalista, al tempo su posizioni sociali e
propenso al lavoro politico in clandestinità, il compito di questa struttura
clandestina era quello di vigilare sulla nuova classe dirigente che i fascisti
si stavano dando. Come vedremo invece, vigilò in un senso solo, quello di
indirizzarla verso Destra.
Profili
storici e politici
Diamo quindi un breve accenno ai
profili dei personaggi che fecero parte o furono comunque attigui al Senato, accenno che poi estenderemo,
parlando delle riunioni costitutive del MSI, anche agli altri cosiddetti “padri
fondatori” di questo partito, perchè più della considerazione di atti, mozioni
e proclami, è necessario rendersi conto da quali mani nacque il MSI, anche se
rimarranno fuori altri personaggi, che pur avendo dato un certo contributo, restarono
alquanto defilati.
- Pino
Romualdi, di cui parleremo diffusamente più avanti, chiamato il “dottore”, assunto
lo pseudonimo di Giuseppe Versari, dalla sua latitanza (era ricercato e sul suo
capo pendeva il pericolo di una condanna a morte, ma godeva di protezioni e teneva
vari contatti).
Si parlò di un
occhio benevolo da parte dell’Oss americano e
di un importante esponente democristiano (vedesi: G. Murgia, Il vento del Nord, Ed. SugarCo 1975 ed
Ed. Kaos 2004). Quello che viene spontaneo chiedersi, se veramente
ci fu questo “occhio benevolo”, è come mai, colui che, in un certo senso,
appariva come il pesce più grosso tra i “criminali fascisti” ricercati, godeva
di questa protezione? A chi e cosa
serviva l’opera di Romualdi?
- Puccio Pucci ex capo di Stato Maggiore delle
Brigate Nere, collaboratore di Pavolini ed ex presidente del Coni. Era stato
incaricato da Pavolini stesso di costituire cellule clandestine per continuare
la lotta nel dopo guerra, assieme ad Aniceto Del Massa, saggista, poeta,
filosofo e cultore di scienze tradizionali ed esoteriche, (il famoso PDM dalle
loro iniziali). Interessanti, a questo
proposito, alcuni ricordi del Del Massa che negli ultimi giorni della guerra,
rimase perplesso da certi “contatti” che si prendevano con ambienti non ben
definibili.
Progetto PDM che nel dopoguerra si dissolse del tutto e valutando le
situazioni che portarono alla costituzione del MSI, lascia a pensare che, di
fatto, il Pucci, un personaggio così importante, non venne disturbato dagli
Alleati, ma ancor più fa riflettere la carriera successiva di questo ex stretto
collaboratore di Pavolini: un appunto del Sifar (Servizio Informazioni Forze Armate) del 1955 dice che il ministro
dell'Interno democristiano Ferdinando Tambroni:
“ha
recentemente provveduto alla ricostituzione dell'apparato anticomunista noto
sotto il nome di Ufficio Affari Speciali del Viminale, costituito nel 1954
dall'allora presidente del Consiglio on. Scelba per intensificare l'azione
anticomunista.
Tambroni
avrebbe preso tale decisione di fronte alle pressioni dell'ambasciatore
americano a Roma signora Luce.
Il nuovo organismo si chiamerà Ufficio
Studi e Documentazione e sarà diretto dal dott. Puccio Pucci, già in servizio
presso la segreteria dell'on. Scelba e attualmente addetto al Gabinetto del
ministro Tambroni”.
Cosicchè
quello che avrebbe dovuto essere uno dei dirigenti clandestini per la lotta
fascista contro l’occupante, finirà per collaborare invece con il ministero
degli Interni (inquadrato quale ufficiale di PS), nella riorganizzazione di
quello che poi, anni dopo, divenne il famigerato AA.RR. di Umberto Federico
D’Amato, già uomo di J. J. Angleton.
- Nino Buttazzoni, uomo
di Borghese, amico dell’Ammiraglio Agostino Calosi della Marina del Sud,
valente militare che poi si mise anche a disposizione degli israeliani. Fu
l’ammiraglio Calosi, a sua volta attraverso la sionista Ada Sereni, a indurre
Buttazzoni e Fiorenzo Capriotti ad operare militarmente per gli israeliani; Un
rapporto del 10 aprile 1946 dei Servizi americani, segnalò che questo ex capo
degli NP (nuotatori paracadutsti) era diventato un confidente di J. J.
Angleton.
- Biagio Pace docente di Archeologia che aveva ricoperto
negli ultimi anni del ventennio la carica di consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Di Pace si diceva che era stato un
confidente dei carabinieri passati con i partigiani e come tale era stato
scoperto dal principe Valerio Pignatelli che ne chiese l’espulsione dal
partito. Ma Almirante e altri rifiutarono e sembra che fu per questo che
Pignatelli fu lui a dimettersi. Che
dire? Nulla.
- Domenico Pellegrini Giampiero ex
ministro delle Finanze della RSI, una delle più belle ed efficienti figure tra
i ministri di Mussolini (in
pochi mesi di governo repubblicano aveva mostrato al mondo come si sarebbe
dovuto procedere per sottrarre le finanze della Nazione dall’usura bancaria.
Pellegrini commissariò di fatto la Banca d’Italia e compì il miracolo di
lasciare il Bilancio dello Stato in attivo). Successivamente lasciò questo
partito.
- Valerio Pignatelli della Cerchiara, già esponente, stimato da Mussolini, della resistenza clandestina
dei fascisti al sud durante l’occupazione Alleata,[2] ma che una volta catturato dagli
americani, si legge in un loro documento segreto:
“…la sua cattura si rivela un colpo grosso per
le informazioni che egli fornisce e per l’autorevolezza del personaggio… In
qualità di militare e di proprietario terriero, il soggetto è fortemente
allarmato dall’espansione del comunismo” (Vedesi: Casarrubea G.,
Cereghino M., Lupara Nera, op. cit.);
- Bruno Puccioni, avvocato fiorentino del
1903, era stato Consigliere Nazionale della camera dei Fasci e Corporazioni e
ufficiale in Africa decorato da Rommel. Sfollato, dopo la caduta di Firenze, sull’Alto
Lago di Como, crocevia delle ultime tragiche ore di Mussolini, venne ospitato a
Villa Camilla a Domaso, dagli amici conti Sebregondi. Vale la pena dare particolari informazioni su
questo avvocato perchè lascia sgomenti la sua partecipazione alla nascita di un
partito neofascista.
Iniziamo con il dire che, per gli ultimi tempi
della guerra, il suo esser stato un fascista moderato, aver aiutato gli ebrei, il
porsi ora in una posizione defilata, l’amicizia con i tedeschi e
contemporaneamente con i partigiani del luogo e agganci vari sia nella
Resistenza che tra le autorità della RSI, fecero di lui l’elemento ideale a cui
un po’ tutte le componenti politiche e militari potessero fare affidamento per
i più disparati motivi e intercessioni. Connubi questi non infrequenti in quei
tempi.
Caduto in disgrazia, venne momentaneamente arrestato
dai fascisti, ma al contempo era anche sospettato dai partigiani di collusioni
con questi ed i tedeschi. I comunisti lo definirono, nel dopoguerra, “una nota spia fascista di Firenze, a cui era
stato concesso, dopo la Liberazione, un attestato
di innocenza”.
In quei primi tragici mesi del 1945, la sua
residenza a Villa Camilla, alle spalle della montagna, via vai di clandestini
fu, udite, udite, un appoggio e un centro strategico per i partigiani della 52a
Brigata Garibaldi, proprio lo sparuto gruppetto che ebbe la ventura di
catturare il Duce e che il Puccioni in qualche modo controllava e gli faceva da
consigliori.
A lui, in quelle ore drammatiche, fecero un primo
riferimento i partigiani Pier Bellini delle Stelle “Pedro”, Urbano Lazzaro “Bill”, il brigadiere della Guardia di
Finanza Antonio Scappin “Carlo” e lo
svizzero Alois Hoffman, detto “mister
sterlina”. Tra costoro vi era anche
il comunista Michele Moretti, di sicuro presente alla uccisione del Duce, che
pur diffidava del Puccioni.
Il tutto
avveniva sotto l’egida degli Alleati, soprattutto americani, a cui tornava utile questo ponte tra
“fascisti” e partigiani. (Vedesi: A. Zanella,
L’ora di Dongo, Rusconi 1993);
Comunque sia,
ancora oggi non è perfettamente chiaro il vero ruolo giocato da questo Puccioni
nelle ultime ore di Mussolini, le sue relazioni in più campi, i suoi consigli e
pareri forniti ai partigiani della 52a Garibaldi, anche circa il
sequestro dei preziosi documenti alla “colonna Mussolini”, ecc. Lui in seguito
cercò di far passare la versione che, in quei momenti, stava cercando di poter
salvare il Duce, oramai catturato, ma i fatti che si svolsero tra il 26 e il 28
aprile 1945 sull’Alto Lago di Como, dicono tutt’altra cosa, è evidente la sua
presenza nella ricerca di documenti segreti di Mussolini da passare agli americani..
Puccioni
resta una figura emblematica e significativa per illustrare i personaggi che
ebbero un ruolo determinante nelle discussioni e nelle riunioni che portarono
alla nascita di un MSI già ambiguo e bacato in partenza. Come indica R.
Festorazzi, nel suo “Mistero Churchill”
Ed. Maccione: “(fondato il MSI) curò i rapporti con gli americani. Riuscì a far giungere
fondi USA al partito, attraverso i
collettori dei finanziamenti
all’Italia, in chiave anticomunista e filo atlantica: il cardinale di New
York F. Spellmann e J. Angleton capo dell’OSS”.
- Giorgio Pini (foto
a lato da anziano), giornalista durane il ventennio per vari quotidiani
compreso il Popolo d’Italia,
direttore durante la RSI di Il resto del
Carlino. Era stato uno dei migliori collaboratori di Mussolini che negli
ultimi mesi lo aveva fatto sottosegretario al Ministero degli Interni. Con
qualche altro camerata, Pini rappresentava la corrente di sinistra del
fascismo.
Al congresso del MSI dell’Aquila del 1952, Giorgio
Pini, disse queste sacrosante parole, che il futuro confermerà in pieno:
“Il MSI deve scegliere tra la sua naturale
funzione dinamica, rivoluzionaria, riservata ad una minoranza ardita e
oppositrice e l’errore immenso di lasciarsi trascinare nella funzione di
satellite e di braccio secolare delle forze statiche e conservatrici”.
Uscì in seguito dal MSI avendo capito che
razza di partito conservatore fosse e come non vi fosse alcuna possibilità di
cambiamento. Partecipò al periodico Pensiero
Nazionale di Stanis Ruinas (Giovanni Antonio De Rosas) considerato al tempo
un “nazionalcomunista”.
Un
giorno Giorgio Pini con poche parole
ebbe a sottolineare il dramma della sua , e purtroppo lo sarà anche
della nostra, generazione:
“Mi nego sistematicamente, apertamente a destra (e perciò non
trovo lavoro), ma non posso abbracciare la sinistra attuale, perché marxista,
perché sanguinaria e assassina, perché totalitaria nei suoi fini, perché
sostanzialmente anti-nazionale non meno della destra. Combatto il nostalgismo e
perciò sono all’indice, ma non posso sentire offendere Mussolini.(…) Sono convinto
che l’ex fascismo deve dividersi nei suoi residuati di destra (non fascisti) e
nei suoi germogli di una sinistra nazionale. Questo aggettivo ci separerà
sempre dai comunisti”.
Negli anni ’70, mentre il MSI era oramai
la cloaca Destra Nazionale, Pini assunse la carica di presidente della FNCRSI.
- Alberto Giovannini, nel
1946 fondatore della rivista Rosso e Nero
(intendeva conciliare il fascismo con il socialismo, ma successivamente
finì a scrivere nell’ambito di vari giornali e riviste liberali o di destra);
- Giovanni Tonelli di Rivolta
Ideale (giornale che successivamente e per un certo tempo divenne una
specie di organo del MSI). Nel mese di settembre ‘46 il Tonelli cercò di
anticipare i tempi nel varo del partito, costituendo una specie di Fronte (dell’) Italiano. Il giornale Rivolta Ideale, una volta costituito il
MSI proclamerà: “è avvenuta la fusione
dei più importanti movimenti politici e sociali nel nome della patria".
Anni
dopo, nel 1949 il periodico di Tonelli nel contestare la politica del “repubblicano”
Almirante si farà promotore di una campagna per l’apertura politica verso gli
altri settori della destra nazionale e dei monarchici. Accoglierà tra i suoi
collaboratori il mutilato Carlo Delcroix che, sotto lo pseudonimo “croce di guerra”, scriverà articoli in
favore della monarchia e della “voce divina” della Chiesa. Contatterà anche i
venticiqueluglisti Bottai e De Marsico.
- Augusto
Turati ex,
ma veramente ex, segretario del PNF (Partito
Nazionale Fascista) che nel ventennio, dietro accuse scandalistiche finì
anche al confino, il quale neppure aveva aderito alla RSI.
Nonostante fosse stato
contrario alla guerra ed ovviamente alla RSI, Turati era stato processato e
condannato, nel post liberazione e poi amnistiato come tutti nel 1946. Fatto
sta che ora, seppur invecchiato, era di nuovo attivo nel variegato mondo dei
fascisti semi clandestini e non si saprà mai come, perchè e chi, lo spinse a
questa attività politica.
- Di Arturo Michelini, e Giorgio
Almirante, il primo che di fatto non aveva aderito alla RSI restando a Roma
anche dopo l’occupazione Alleata e il secondo ex capo Gabinetto al Ministero
della Cultura Popolare di Ferdinando Mezzasoma, parleremo meglio più avanti.
L’operato
di Romualdi
A quanto pare Romualdi, che evidentemente
aveva maturato convinzioni tutte sue
rispetto a indirizzarsi per una lotta contro l’occupante e a difesa delle
innovazioni sociali della RSI contro ogni restaurazione monarchica e liberista,
si muove ora, sia pure in clandestinità su di un altro piano.
In un suo diario, scritto tra
la fine del 1945 e gli inizi del 1946 confesserà che il problema per lui e per
altri era la creazione di un vero e proprio partito o movimento anche
clandestino, fornito di quadri, di ampi mezzi finanziari, atto ad una lotta politica
in caso di totale invasione del territorio nazionale, in modo da consentire al
fascismo di sopravvivere in futuro.
La
distinzione tra le due “intenzioni” sembra minima, e del resto anche la scelta
di formare un partito politico potrebbe essere, tutto sommato, condivisibile,
ma sono gli scopi di fondo, che, come sarà chiaro in seguito, cambiano
profondamente.
Comunque sia, nei primi mesi
del 1946, Romualdi radunò personalità del vecchio regime e qualche giornalista,
ma ad ispirare la nascita di un partito costituzionale, ad adoperarsi in
diversi modi, ci furono anche altri reduci fascisti, alcuni importanti e alla
macchia e molti con intenti genuini e sinceri. Qualcuno, tra quelli veramente attivi e importanti,
ne ha contati circa 19.
Romualdi
prendeva contatti con tutti i partiti ad esclusione delle sinistre estreme
(qualche contatto con il PCI lo tentarono Giorgio Pini e Concetto Pettinato) e
ovviamente sia con monarchici e repubblicani e a tutti prometteva che poteva
tenere a bada i fascisti, millantando una forza che poi era anche esagerata,
facendo capire (cambiando i termini a seconda dell’interlocutore) che comunque
fosse andato il referendum Monarchia –
Repubblica del 2 giugno ‘46 e le conseguenze di ordine pubblico che
potevano esserci, i fascisti avrebbero potuto rimanere estranei o
intervenire a fronteggiare chi non ne
accettava l’esito e naturalmente i “rossi”.
Tra l’altro gli stessi monarchici
avevano contattato diversi reduci anche rinchiusi nelle carceri, ma avevano
constatato che la maggioranza era fedele alla RSI.
La DC e gli americani alle sue spalle,
sia pure con prudenza sembravano essere per la repubblica mentre gli inglesi
per la monarchia.
La
situazione era quindi complicata e Romualdi non poteva troppo sbilanciarsi; in
cambio dell’appoggio, chiedeva una
specie di “amnistia” per tutti i reduci fascisti in quei tempi braccati,
incriminati, epurati ed esposti a varie persecuzioni. Era ovvio che sia per quanto riguardava una
eventuale amnistia, che successivamente per le premesse costitutive di un nuovo
partito, vi parteciparono i personaggi e gli ambienti più eterogenei e non si
poteva pretendere che si operasse solo con fascisti di pura fede. Ma il fatto è
che dietro la pur lodevole e opportuna richiesta in favore dei reduci, queste
offerte di Romualdi, prive di una vera valenza strategica, nascondevano
progetti ambigui e sicuramente reazionari, senza contare il “ponte”, tra
l’altro già gettato da tempo, che veniva a consolidarsi con quella Monarchia,
infame e traditrice della nazione, che i fascisti Repubblicani avrebbero dovuto
considerare come la peste.
E’
pur vero che il “trafficare” di Romualdi, dopo il referendum diede dei “frutti
politici”, facendo uscire i neofascisti dall’isolamento, ma li instradò
decisamente verso i sentieri della conservazione.
Agli
incontri partecipavano, anche per conto di Romualdi, Arturo Michelini, un amico
di questi, Sistro Favre ben introdotto negli ambienti della Curia romana,
Puccio Pucci, Olo Nunzi, il generale Muratori, Concetto Pettinato, Biagio Pace,
Bruno Puccioni e Vincenzo Tecchio.
Al tempo, DC esclusa ed ambigua, buona parte del fronte
della conservazione era schierato per Casa Savoia e una miriade di partitini,
nati dopo l’8 settembre 1943, di
ispirazione monarchica, erano presenti nella vita politica italiana.
Repubblicana la massa dei reduci della
RSI, non pochi, però, erano, gli elementi neofascisti che, dietro le loro sigle
clandestine, fungevano da attivisti di questi partitini monarchici tra i quali,
in particolare, il Partito Democratico
Italiano sorto a Roma il 6 giugno del ’44, con l’occupazione Alleata della
capitale e che aveva anche un quotidiano “Italia
Nuova”.
Anche
un ex gerarca del PNF del ventennio e console della Milizia, Felice Mentastri,
funge da segretario particolare del generale Bencivenga capo del Blocco Nazionale della Libertà che
raccoglie i vari movimenti monarchici.
Questo
per dire, che le contingenze del tempo, fecero perdere a molti neofascisti il
senso della misura e dell’orientamento
politico, anche per il fatto che quelli che dovevano essere i suoi rappresentanti
erano su posizioni contraddittorie.
[3]
Per colmo dell’ironia e a beffa di una politica che barattava
l’amnistia anche con un certo flirt con i monarchici, questa amnistia venne concessa,
dopo il referendum del 2 giugno ‘46, per iniziativa del segretario del PCI e
Ministro della Giustizia, Togliatti, cosicché circa trentamila fascisti
uscirono dalle carceri e tanti altri furono sollevati da procedimenti
inquisitori (nel frattempo, agli inizi del 1946, i prigionieri rinchiusi nei
campi angloamericani erano quasi tutti stati liberati, mentre un certo numero
di reduci erano anche riparati all’estero, Sud America soprattutto).
L’atto di ”clemenza e
pacificazione”, era pronto da aprile, ma si decretò dopo il Referendum e con
esso il guardasigilli Togliatti si era prefisso vari risultati: guadagnare alla
causa della repubblica i non pochi fascisti repubblicani, normalizzare il più
possibile la situazione del paese e al contempo risolvere non poche situazioni
di comunisti e altri pseudo partigiani implicati in gravi reati che non
potevano essere spacciati come ”atti di guerra”.
Attorno
a quel giugno del 1946 Romualdi, che aveva preso accordi un po’ con tutti, ma
forse gli impegni più consistenti con la DC e il Vaticano (il referendum poi
vide la vittoria della Repubblica), comincia a prospettare ai neofascisti l’uscita dei gruppi dalla
clandestinità, usando però una certa accortezza tattica.
Su “Rivoluzione”,
il primo giornale romano clandestino dei FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria), abbozza un programma il cui
obiettivo finale vorrebbe essere una “Seconda Repubblica Sociale”, attraverso
lo sfaldamento del fronte antifascista.
Si
preconizzavano futuri scontri di piazza, asserendo, in sintesi, che tutti
gli schieramenti anticomunisti, vigliacchi per natura, si sarebbero trovati in difficoltà ed allora,
secondo lui, i fascisti potevano sfruttare l’occasione, perché ci sarebbe stato
bisogno di chi è capace di fronteggiare validamente il comunismo.
Un programma subdolo, che in teoria
definisce il fascismo al di sopra di tutti gli schieramenti,[4] ma
in pratica lo rende subalterno alle componenti reazionarie del paese, a cui si
offriva il potenziale umano costituito dai fascisti, alimentando al contempo
l’oltranzismo anticomunista.
Per
reggersi in piedi, tutto il programma, tracciato da Romualdi, ruota
praticamente sulle opzioni tattiche.
A
questo proposito il ricercatore storico Franco Morini, nel suo articolo citato,
farà giustamente rivelare come la strategia dei FAR, dettata principalmente da Romualdi (a nostro
avviso sottilmente disegnata per confondere gli stessi seguaci) appare
veramente antesignana di quella che sarà in seguito l'essenza del MSI.
Eccone, dice Morini, alcune perle, estratte dalle documentazioni
d’epoca:
“Nel secondo periodo che va dal 25 aprile '45 al 2 giugno '46, e che è
dominato dal problema istituzionale, il Fascismo ha assunto per motivi
puramente tattici, un indirizzo prevalentemente monarchico”.
E poi conclude con questa lungimirante iniziativa da “grande destra”: «...abbiamo ridotto di metà i nostri nemici, non solo, ma contro l'altra
metà non siamo solo noi a combattere, perché ci possiamo valere di quel 46 per
cento che è rimasto deluso dal referendum".
Turati, Romualdi e Leccisi
Ancora di estremo
interesse anche la ricostruzione fatta sempre dal ricercatore storico Franco
Morini, nel suo già citato “Nome MSI –
paternità SIM”, dove si ricorda che prima ancora dell'esito del referendum
istituzionale, Turati e Romualdi avevano incontrato a Roma il maggior
esponente del neofascismo clandestino milanese, Domenico Leccisi, con cui
intavolarono fin da allora un inquietante discorso. Questo incontro - scontro è
così riportato da Leccisi:
“A Roma si facevano molte
chiacchiere da parte di Romualdi e dei suoi amici. Per la vicinanza con i
centri di potere e la fitta rete di contatti stabilita con molti ex-fascisti -
che avevano tempestivamente cambiato casacca e continuavano ad operare
all'interno dei partiti – il gruppo degli ex-gerarchi che facevano capo ad
Arturo Michelini, nello studio del quale in Viale Regina Elena s'incontravano,
aveva potuto intavolare trattative sia con esponenti repubblicani, sia con
ambienti monarchici. Per questo avevo deciso di raggiungere la capitale e
rendermi conto di persona della situazione. (...). La situazione mi si rivelò
in tutti i suoi aspetti soltanto quando, condotto da Michelini e Romualdi, mi
trovai faccia a faccia con il redivivo ex-segretario del PNF, Augusto Turati”.
Precisa Morini che secondo
l'impressione ricevuta da Leccisi, in quel periodo era proprio Turati che “... menava la danza e che sia Michelini che
Romualdi pendevano dalle sue labbra”. Ciò dovette apparirgli piuttosto
strano, dal momento che Turati, a parte i precedenti e il confino, si era
rifiutato di aderire alla RSI ed aveva perfino espresso giudizi denigratori
contro Mussolini.
Avendo dunque presenti questi precedenti dell'ex-segretario del
PNF, prosegue Morini, il Leccisi si dispose ad ascoltarlo con le riserve del
caso ed infatti i suoi argomenti si dimostrarono subito sospetti. Quale
preambolo Turati pose il problema politico dell'inserimento nella legalità, per
consentire:
“... la nostra
partecipazione, di pieno diritto, alla vita democratica del Paese... e, a quel
punto, la rinuncia dell'aggettivo "fascista" sarebbe stata una scelta
obbligata e consequenziale”.
Turati, continuando nella sua
esposizione precisò che l'orientamento a consentire la costituzione di un
movimento politico che raccogliesse gli ex-fascisti e coloro che ne avevano
accettato il programma, beninteso restando nell'alveo democratico, si stava facendo luce presso alcuni uomini
politici come De Gasperi e i notabili democristiani, con l'appoggio dei
liberali, qualunquisti e monarchici.
Anzi con questi ultimi il dialogo era in fase avanzata essendo
disposto il Re a offrire determinate garanzie non solo riguardanti il
provvedimento di amnistia, in cambio di un appoggio, se del caso anche armato,
dei gruppi fascisti alle forze monarchiche impegnate in uno scontro durissimo
contro le sinistre. Turati poi concluse che:
“... per rendere fattibile
il compromesso con il governo (e si trattava del governo del CLN ! -
N.d.R.) e facilitare l'intesa con il Re
era necessario smobilitare i gruppi clandestini armati, apprestandoci a far
affluire gli ex-fascisti in un movimento politico in grado di svolgere la
propria attività alla luce del sole nella legalità democratica”.
Nutrendo qualche perplessità in merito, continua Morini, Leccisi
provò a ribattere che prima di smobilitare dalla clandestinità pretendeva
garanzie che non si trattasse dell'ennesima fregatura:
“L'imprevidenza - disse
a gran voce all'ex-segretario del PNF - c'era costata sangue e sofferenze
inenarrabili. Ricadere nell'ingenuità di credere nella buonafede degli
avversari potrebbe avere conseguenze ancora una volta gravissime per il
movimento e per quanti ci seguono”.
Turati reagì vivacemente a
queste obiezioni e con tono autoritario gli notificò che da quel momento egli
rispondeva delle sue azioni direttamente a lui e a un non ben precisato gruppo
dirigente istallatosi a Roma. Leccisi prese cappello e se ne andò insalutato
ospite. (Cfr. D. Leccisi, "Con
Mussolini prima e dopo piazzale Loreto", Ed. Settimo Sigillo, Roma
1991, e P. G. Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976).
Ci siamo soffermati su questi ricordi di Leccisi, perchè
condividiamo appieno le conclusioni che ne trae Franco Morini su Augusto
Turati:
“A nostro parere quanto esposto da Leccisi fotografa un istante
particolare di tutte le varie acrobazie politiche effettuate da Turati nel
dopoguerra; che si possono così riassumere:
inizia cercando di avvicinarsi, inutilmente, ai partiti del CLN.
Dopo di che, prende posizioni di sinistra all'interno dei FAR e,
contemporaneamente si collega al Movimento Tricolore per spingere i suoi
aderenti a mettersi al servizio dei circoli dinastici e dei generali
badogliani. Dopo l'uscita di Romualdi dai FAR, non avendo ottenuto un posto
adeguato nel MSI, Turati si pone alla testa del gruppo dissidente dei FAR. (Cfr. P. G.
Murgia, "Ritorneremo!",
SugarCo, 1976).
Concluderà la
sua carriera negli anni '50 al servizio di Gedda e dei suoi Comitati Civici». (Cfr. R. Comini
- G. Rabaglietti, "Le leggi
dell'Italia libera", Bologna, 1945).
Traffici
con preti e conservatori
Come si vede, anche dalla
semplice rievocazioni di questi fatti, risulta una evidente collusione e quindi
ingerenza di ambienti antifascisti e soprattutto conservatori nella nascita del
MSI. Una collusione che non sarà mai più possibile recidere.
Noti, infatti, diverranno anche i
traffici che imbastirà successivamente Almirante,
assurto alla carica di segretario, in un primo momento più che altro
burocratica, del partito, con ambienti democristiani e clericali.
Una compromettente lettera di Almirante
venne ritrovata nelle tasche di Franco De Agazio, direttore del Meridiano d’Italia, assassinato dai
comunisti della Volante rossa nel
marzo 1947, probabilmente perché stava scoperchiando compromettenti aspetti
sulle vicende dell’oro di Dongo e sulla identità del famigerato “colonnello Valerio”, spacciato falsamente come il fucilatore del
Duce. Gli scriveva Almirante:
“Caro
De Agazio, a nome del Movimento ti prego di una missione urgente e
importantissima. Abbiamo avuto notizia sicura che il cardinale Fossati di Torino ha convocato parecchie persone e
personalità allo scopo di addivenire alla fondazione in Piemonte di squadre di
resistenza anticomunista.
Tu capirai cosa significa e cosa può
significare ciò. Affidiamo quindi a te la missione di andare a Torino,
possibilmente con altra persona di tua fiducia, di farti ad ogni costo ricevere
dal Fossati e di prospettargli la possibilità che il Msi collabori con lui. Gli puoi dire – perché è vero – che i
gesuiti di qua ci conoscono, ci approvano e ci appoggiano”.
En passant sottolineiamo che questo De Agazio, ex giornalista della Stampa, venne poi spacciato, da missisti
e avversari, per neofascista (era stato messo in galera per
“collaborazionismo”), quando non lo era affatto, se non in senso superficiale
ed anzi durante la RSI aveva anche avuto seri problemi con i fascisti
repubblicani.
Insomma, era sullo stesso piano di quel Franco
Servello (che gli era nipote), già caporedattore e successivo direttore del “Meridiano”, altro elemento che, come
vedremo, godeva di grande fiducia presso gli Alleati).
Accennato
a tutti questi personaggi, come visto un mixer di ex fascisti, fascisti sui generis,
personaggi ambigui e sinceri fascisti repubblicani, rievochiamo i passi
successivi che potarono a costituire il partito.
Le riunioni pre costitutive del MSI
Il massimo del servilismo
“…secondo De Gaulle, l'Europa dovrebbe rafforzarsi
per “far fronte alla potenza economica degli Stati Uniti”, come se gli Stati
Uniti fossero i nostri nemici...”.
"Il Tempo",
quotidiano di destra, 28 novembre 1967
La riunione decisiva, ma i “giochi” erano già fatti, per la
costituzione del MSI, un partito reazionario mascherato da neofascismo, da
utilizzare come bassa manovalanza anticomunista, si tenne a Roma il 26 dicembre 1946 nello studio del padre
di Arturo Michelini,
un avvocato già iscritto al partito liberale.
Le riunioni, che da ottobre 1946 si
erano intensificate, e tutta la genesi che aveva portato a questi risultati non
era stata semplice anche se, parallelamente ai gruppi clandestini come i FAR, prendeva corpo una
volontà “legalitaria” per la costituzione di un Movimento politico.
Purtuttavia una linea comune era ostacolata non solo dalla
eterogeneità del pensiero politico che aveva sempre contraddistinto l’area del
fascismo (la politica spesso spregiudicata e pragmatica di Mussolini, aveva
sempre coagulato attorno al fascismo ambienti e componenti eterogenei e
personaggi che solo il grande carisma del Duce poteva controllare e far
lavorare a vantaggio della Nazione), ma soprattutto da troppe diffidenze e
ricorrenti personalismi e anche dal fatto che il mondo dei reduci del fascismo repubblicano,
eccetto la Salò tricolore, in prevalenza
era tutto meno che reazionario ed anzi molti erano su posizioni decisamente
rivoluzionarie.
Bisognava quindi agire con circospezione, gradualità ed inganno
nel distillare le gocce di veleno che dovevano fare di questo partito la
guardia bianca degli americani e dei peggiori e più gretti interessi borghesi.
Ma
i furbastri erano però agevolati dal fatto che politicamente potevano
convincere la gente che in quel momento si necessitava di una certa duttilità e
bisognava anche aprirsi a componenti eterogenee come del resto era spesso
avvenuto nel passato. Ragionamenti politicamente anche logici e plausibili, se
non fossero stati in malafede.
In politica, infatti, ci può anche stare
che si accantonino posizioni estremiste e magari si apra ad altre componenti;
oltretutto, viste le leggi vigenti, non era possibile una ricostituzione del
partito fascista.
Ma qui il nascosto progetto del MSI, gli
ideali che avrebbe dovuto perseguire e le sue aperture politiche, furono tutte
in un senso solo, anche se in un primo momento mascherato: quello reazionario e
conservatore estraneo al fascismo repubblicano, di cui ne costituivano una
netta antitesi, essendo invece strategicamente utili ai nostri colonizzatori
statunitensi, così come era negli scopi di chi lo stava creando con l’inganno.
Per le cronache, considerando alcuni
raggruppamenti politici già formatisi, tralasciando i gruppi clandestini come i
FAR, possiamo accennare, più che altro, che parteciparono alla nascita del MSI:
Il Fronte del Lavoro, il Movimento italiano unità sociale, il Movimento
de La Rivolta Ideale ed il Gruppo reduci indipendenti.
Pochi giorni prima, il 3
dicembre 1946 a Roma nello studio di Michelini, era stato
redatto quello che può considerarsi il documento costitutivo del partito, laddove si
auspicava la nascita di un “organismo
politico nazionale” con la denominazione di Movimento Sociale Italiano (MO.S.IT).
Ecco il verbale sottoscritto alla fine della riunione:
“Convinti della necessità di coordinare tutte le iniziative già
esistenti allo scopo di creare un fronte unico della gioventù italiana, dei
combattenti, dei reduci, degli ex prigionieri, e di tutti gli italiani che credono nella rinascita della Patria e nei
valori spirituali della vita, i dirigenti del Fronte dell’Italiano, del Partito
Nazionale Italiano, dell’Olda, dei Gruppi nazionalisti Lombardi, del Png, dei
reduci indipendenti, e degli altri gruppi affini a tale scopo oggi riuniti,
ritengono indispensabile dar vita ad un unico organismo politico nazionale che
con oggi è creato sotto la denominazione di Movimento Sociale Italiano (Mosit).
I dirigenti dei giornali Fracassa, Rataplan, Rivolta Ideale, Rosso
e Nero, della rivista Lettere, si impegnano ad affiancare con adeguata opera di
propaganda il movimento politico unificato: pur mantenendo ogni giornale la
propria intera indipendenza, concordano di seguire gli indirizzi della
direzione politica del nuovo movimento. I firmatari decidono di lanciare un
manifesto che li chiami a raccolta nella lotta per i supremi interessi del paese
dimenticati o traditi da quanti nelle sue rovine si valgono per interesse di
fazione”.
Il
documento venne sottoscritto da:
Arturo Michelini, Pino Romualdi, Giorgio Pini,
Biagio Pace, Nino Buttazzoni, Giorgio Bacchi, Valerio Pignatelli, Ezio Maria
Gray, Emilio Profeta Trigone, Italo
Carbone, Giulio Cesco Baghino, Giovanni Tonelli, Ernesto De Marzio, Costantino
Patrizi, Giacinto Trevisonno.
In
extremis aveva anche aderito il piccolo Movimento
Italiano di Unità Sociale (Mius) fondato da Mario Cassiano, Giulio Baghino,
Giorgio Bacchì e Giorgio Almirante.
Il 26
dicembre 1946 la costituzione del
partito verrà quindi formalizzata nella accennata riunione
decisiva, presieduta da Biagio Pace, con la partecipazione di Jacques Guiglia capo dell’Ufficio
stampa della Confindustria e del generale
Ennio Muratori, aggiungendosi
altri sottoscrittori:
Bruno Puccioni, Roberto Mieville, Francesco Galanti,
Gianluigi Gatti, Nicola Foschini.
Lo stesso
giorno venne formata una Giunta Esecutiva
composta da Giacinto Trevisonno, Raffaele Di Lauro, Alfonso Mario Cassiano,
Giovanni Tonelli e Carlo Guidoboni. Trevisonno
nominato segretario di questa Giunta, potrebbe considerarsi, ma non era proprio
così, come il primo segretario del partito. Tra tutti questi
personaggi: Guiglia, Michelini,
Romualdi, Puccioni, Buttazzoni, Pignatelli e Muratori avevano avuto contatti
con ambienti legati ai servizi segreti americani e guarda caso erano fortemente
impegnati ad imprimere al nascente MSI una linea decisamente, ma meglio sarebbe
dire, esclusivamente, anticomunista.
(Vedesi
anche: G. Parlato, Fascisti senza
Mussolini, Ed. Il Mulino, 2006).
Anche se non li ritroviamo tra i
“firmatari” e a parte Almirante, che del resto era nel partecipante Mius (Movimento Italiano di Unità Sociale) con
Baghino e Bacchi, occorre aggiungere l’apporto dato alla costituzione del
partito di tanti altri camerati, che rimasero in secondo piano o poi lasciarono
il partito.
In particolare vogliamo aggiungere e ricordare
il professor Manlio Sargenti, capo
gabinetto al ministero dell’Economia Corporativa e
tra gli estensori del manifesto di Verona, uno dei padri della Socializzazione.
Anni dopo Sargenti, abbandonò il MSI e successivamente gli chiesero come
considerò il momento in cui il MSI condivise l’adesione alla Nato, dopo accese
discussioni interne e dopo che a marzo del 1949 c’erano state veementi
opposizioni in Parlamento, e questi rispose che in quel momento si perse lo
“spirito” del partito.
Varie anime e correnti del fascismo, ma
non solo del fascismo, si ritrovano così in questo nuovo movimento, dove almeno
per il momento i traditori venticinqueluglisti sono banditi e anche verso i
monarchici si stabilisce di non avere rapporti. Ma sono tutti specchietti per
le allodole perché già alcuni di coloro che hanno partecipato alla fondazione
del partito hanno rapporti con i monarchici e amicizie tra i venticinqueluglisti,
tanto che anni dopo ci sarà anche un ravvicinamento addirittura con Giuseppe
Bottai.
Il nuovo partito stabilirà la sua prima
sede in Corso Vittorio Emanuele, al numero 24 in un appartamento di
cinque locali affittato dalla marchesa Vittoria Serafini a Michelini,
inaugurando, fin da subito, il penoso e disgustoso andazzo di contesse e altri
nobili svolazzanti attorno a questo partito che evidentemente sentono affine al
loro ceto sociale e di un Michelini controllore della borsa del partito.
Altri padri fondatori del MSI
[Cesco Giulio] “Baghino
- senza ovviamente specificare di quale idea si trattasse - ha scritto che: “nel
grande salone congressuale aleggia gigante l'Idea ...”.
L'idea ce la
spiega poi Almirante: “Noi siamo la destra nazionale». «Noi siamo l'idea
corporativa». «Noi siamo l'alternativa al sistema”.
Proposizioni che, evidentemente, si elidono a
vicenda, poiché chi si pone a destra ed accetta un ruolo destra non può non
precludersi qualsivoglia soluzione corporativa; soluzione che nasce da una
concezione unitaria dello Stato non suscettibile di essere contrabbandata come
fatto di destra” . Bollettino Fncrsi
N. 1,1.1971
Completiamo l’album di famiglia, sia pure sommario, di questi “padri fondatori”
(di alcuni: Pignatelli, Buttazzoni, Puccioni,
Pace, Tonelli, Pini, ecc,, abbiamo già dato un accenno) lasciando per
ultimi quelli che poi saranno i più importanti dirigenti del partito (i pesci grossi: Romualdi, Michelini, Almirante, De Marsanich, ecc.).
Come
detto, dai profili di tutti costoro e dagli sviluppi futuri delle loro
politiche e comportamenti, i lettori potranno farsi un idea da che mani era
nato il MSI, tenendo oltretutto conto che anche alcuni, tra costoro, che in
partenza erano sinceri e animati da buone intenzioni, finirono poi per
adeguarsi all’andazzo generale.
- Ezio Maria Gray
un nazionalista che aveva ricoperto vari incarichi nel ventennio. Dopo
il 25 luglio aveva però mandato un telegramma di congratulazioni a Badoglio, ma
comunque aderì poi alla RSI, ricoprendo ruoli di giornalista e presidente
dell’Eiar (l’ente predecessore della Rai). Alla costituzione del MSI, Gray trovò
quelle prime premesse programmatiche (anche se erano uno specchietto per le
allodole) troppo sbilanciate a sinistra (figurarsi!) e quindi lui, nazionalista
e conservatore, entrò nel partito (ci mancherebbe altro!), solo successivamente.
Poi
ovviamente in questo partito, oramai a suo specchio e somiglianza, ci stette
magnificamente, divenendo deputato, poi senatore e anche vice segretario nazionale
del partito. Nell'ottobre
1949 fondò il settimanale Il Nazionale, "giornale indipendente di politica e cultura".
- Costantino Patrizi,
tra i promotori della riunione del 26 dicembre, era legato alla Democrazia
Cristiana e amministratore del periodico “Rataplan”
che finanziava e sul quale scriveva anche Nino Tripodi come caporedattore (apparentemente
sinistroso) e Augusto De Marsanich.
- il generale Ennio Muratori che era impegnato in una specie di fronte anticomunista pregno di ex
badogliani e collaboratore di Nino Buttazzoni nella costituzione di gruppi filo
monarchici.
-
Cesco
Giulio Baghino giornalista, che a novembre del 1946 era tra i costituenti
di un piccolo partito, il MIUS, Movimento
italiano di unità sociale, tra i cui esponenti c’erano Giorgio Almirante e
Giorgio Bacchi.[5]
Baghino
in un primo momento aderisce al progetto di costituire il MSI, ma resta con la
convinzione di mantenere anche le strutture clandestine. Racconterà poi Baghino
che precedentemente:
“Romualdi un giorno mi
disse: “basta con il clandestinismo si esce tutti allo scoperto”. Io, Lucci
Chiarissi e altri giovani camerati, tra i quali l’ultimo segretario del Gruppo
Universitario Fascista di Roma, gli diciamo di no (…) Noi non ci faremo
contaminare dalla politica di Palazzo”.
Con il tempo tante buone intenzioni si volatilizzeranno
e il Baghino farà la sua brava carriera politica e sociale nel MSI. Valente
giornalista fu per un breve periodo direttore del Secolo d’Italia, e dagli
anni ’70 in avanti deputato al Parlamento per 5 legislature: degli ideali del
fascismo repubblicano nel suo MSI DN non ne resterà più alcuna traccia.
- Roberto
Mieville (1919), carismatica figura di giovane fascista. Ex ufficiale
carrista, fattosi onore in Nord Africa, era reduce, quale “non cooperatore”,
dal campo di prigionia militare americano
di Hereford nel Texas.
Fu tra i fondatori dei FAR, giornalista e coraggioso oratore, rappresentò il
volto rivoluzionario del partito di cui guidò il Fronte giovanile. Fu
uno tra i primi sei deputati eletti alle elezioni politiche del 18 aprile 1948. Nei primi anni
del MSI cercò di battersi contro la svolta conservatrice e reazionaria, e filo
atlantica, ma non avendo lui partecipato alla RSI, perché prigioniero degli
americani, non poteva vantare qualifiche nel partito fascista repubblicano per
opporsi ad altri dirigenti che invece avevano avuto cariche in repubblica.
Venne rieletto alla Camera anche nel 1953. Camerati coevi raccontano che a poco a poco, a
dimostrazione dell’essenza demoniaca di questo partito, anche lui si adeguò
all’andazzo missista e alla fine si fece in parte complice delle politiche dei
dirigenti del partito, da sempre impegnati a rintuzzare e opporsi proprio a
quelle istanze che lo stesso Mieville aveva difeso. All'età di 35 anni, morì in
un incidente stradale (ad alcuni apparso “strano”) nell’
aprile del 1955.
Viene da pensare che pur nel dramma della sua morte e nel dolore di amici e
famigliari, gli Dei vollero risparmiare a questa splendida figura di
combattente fascista la sorte di tanti altri dirigenti che finirono per
rinnegare tutto e di più.
- Giorgio
Bacchi, volontario in varie campagne militari, pluri
decorato al valor militare; ufficiale superiore di complemento dell'Esercito, aderì
alla RSI. All’atto della costituzione del partito faceva parte della componente
di “sinistra”, come Giorgio Pini. Solo che il Bacchi, a differenza del Pini,
rimase nel partito e ne attraversò, dalla fondazione fino alla sua morte (1974),
tutta la sua involuzione, evidentemente immemore delle sue idee e di quello che
avevano rappresentato. Nel giugno 1969 fu nominato vice segretario nazionale
del MSI. Lui, ex fascista di sinistra, fu eletto Senatore della Repubblica nel
maggio 1972 nel MSI DN la massima espressione della conservazione nel panorama politico
italiano. Una magnifica coerenza!
- Giacinto
Trevisonno ex collaboratore editoriale di Roberto Farinacci, membro dei “Reduci indipendenti”, risulta una figura
marginale che poi Romualdi volle subito come segretario della costituita giunta
esecutiva del partito, in quanto poco esposto con il fascismo. Sintomatico, per
avere il senso di questi avvenimenti è il fatto che il Trevisonno dopo cinque
mesi si dimise, anche perché contrario ad accettare nel partito i deputati alla Costituente
dissidenti dell'Uomo Qualunque [6] e gli ex fascisti che non avevano
aderito alla RSI. Non si sa bene se fu proprio questa la vera motivazione di
Trevisonno per le sue dimissioni, ma di certo il movimento dell’Uomo Qualunque,
oltre che di impronta fortemente borghese era costituito prevalentemente da
italiani ex pseudo fascisti del ventennio, e al suo interno si era usi definire
Mussolini “il buffone di Predappio”.
- Ernesto De Marzio, pugliese, ex
componente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, un ex “fascista” sui
generis, a suo agio nel periodo badogliano, schierato su decise posizioni di
destra, lo ritroviamo ora attivo nell’opera di costituzione del MSI. In quel
momento rappresenta più che altro il giornaletto “Fracassa”, un foglio che attaccava la DC pretendendo di rappresentare
il vero cattolicesimo, ma al pari di
Gray, risulterà utile per contrapporlo alle correnti di “Sinistra”. Sarà sempre
fedele alla strategia micheliniana dell’inserimento ed ovviamente del
dissolvimento, del patrimonio, soprattutto sociale del fascismo. Nel 1976 uscì
dal MSI aderendo al gruppetto scissionista di parlamentari della Democrazia Nazionale. Tanto per le
cronache il fratello Giulio, fu tra i dirigenti della struttura “atlantica”,
“Pace e libertà”, nei primi anni
Cinquanta.
- Jacques Guiglia il cui pedigree è tutto dire: capo
dell’Ufficio stampa della Confindustria. Non c’è altro da aggiungere.
- Francesco Galanti, sindacalista durante
la RSI ed esponente della componente di sinistra del costituente partito
assieme a Pini e Bacchi.
- Gianluigi Gatti, già
segretario del GUF di Milano ed anche lui esponente di sinistra nel costituente partito.
- Nicola Foschini, al tempo
leader dei fascisti napoletani, di cui c’è poco da dire se non che nel 1958
uscì dal partito, di cui aveva partecipato alla fondazione, per creare il Movimento Nazionale Italiano che si
presentò alle elezioni politiche assieme al Partito
Monarchico Popolare di Achille Lauro. Poi aderì al Partito Democratico Italiano, guidato da Achille Lauro e Alfredo
Covelli che raggruppava alcuni movimenti monarchici. Rientrò nel MSI alla fine
degli anni ’80 parteggiando per un suo vecchio sodale: Pino Rauti.
- Emilio Profeta Trigone, di una specie di Partito
Nazionale Italiano, costituito nell’agosto del 1946, che cercava di raggruppare
neofascisti e Qualunquisti indipendenti.
- Italo Carbone che
rappresentava l’OLDA.
I Pesci
grossi tra i padri fondatori
Consideriamo
ora meglio i più importanti, almeno per le cariche di partito che poi andranno
ad assumere, tra quelli che furono definiti i “padri fondatori”.
Così
come per alcuni dei precedenti nominativi, qui non ci interessa e neppure si
pone il quesito se costoro agirono in malafede per interessi personali, se in
malafede ci finirono successivamente o se una visione ed una attitudine di
destra e conservatrice era loro implicita, naturale e connaturata.
Ancora una volta, rimarchiamo che ogni
valutazione non può che essere squisitamente politica e quindi diamo al termine
“malafede” una valenza altrettanto politica ovvero di aver celato all’esterno e
soprattutto ai militanti del neocostituito MSI le loro vere intenzioni
politiche e i loro veri ideali.
Qui
va considerata solo la loro nefasta opera da cui partorì quel movimento, di
fatto, potenzialmente “antifascista” e di come poi ebbero a guidarlo; il resto
lo lasciamo agli storici e alla coscienza, se c’è l’hanno mai avuta, delle
persone.
Nel
frattempo però possiamo già produrre una prima importante osservazione: la
maggioranza dei profili politici fin qui tracciati e gli altri che andremo ora
a riportare, attestano personaggi chiaramente di destra (conservatori,
liberali, nazionalisti, monarchici, ecc.) e quindi cosa si pretendeva da
costoro?
Come abbiamo visto ci furono anche
validi e bravi camerati in buona fede, personaggi anche importanti che
dedicarono tutto sè stessi alla nascita di questo partito, ma qui li omettiamo,
perché purtroppo le regole del gioco, gli appoggi trasversali di cui godevano i
malversatori del fascismo, erano tanti e tali che non ci fu niente da fare e il
MSI seguì la strada che per lui avevano tracciato americani, lobby massoniche e
circoli industriali, dietro benedizione vaticana.
Una
strada il cui fine principale era, sul piano ideale, quello di spostare a
destra i reduci del fascismo repubblicano e sul piano operativo quello di
fornire una massa di manovra in funzione anticomunista.
- Arturo Michelini (1909
- 1969), un ragioniere che si definiva ex Federale di Roma, ma che di fatto non aveva aderito alla RSI perchè
rimase nella Roma occupata dagli Alleati continuando tranquillamente le sue
attività professionali, fu il vero burattinaio di tutta l’operazione (mentre
Romualdi, dietro le quinte della clandestinità ne fu l’artefice politico) anche
perché, la sua figura di afascista, faceva da garante a quei potentati e finanziatori
per la nascita del partito, vale a dire, a parte l’Oss americano: ambienti
confindustriali, Vaticano, lobby massoniche e la stessa Democrazia Cristiana.
Ed infatti buona parte dei
finanziamenti al partito passavano per le sue mani.
Negli anni successivi Michelini assunse praticamente una posizione
dittatoriale nel MSI (a gennaio 1954 ne divenne il segretario nazionale) anche grazie
al controllo della “borsa” del partito, a cui impresse un linea sostanzialmente
liberale, una posizione politica che fallì dopo il crollo del breve ed effimero
governo Tambroni (1960) e la nascita del centro sinistra, quando fu evidente
che la DC preferiva, a destra e come controparte, il minuscolo PLI e non il MSI,
che teneva relegato al perenne ruolo di ruota di scorta nei momenti di
necessità “numeriche” in parlamento.
- Di Pino
Romualdi (1913 - 1988), dei suoi contatti pregressi con l’Oss
(di qualunque natura fossero non ha importanza) si è già detto. E’ noto poi che
mentre i vari Pavolini, Colombo, ecc., erano considerati fanatici e
irriducibili estremisti, una nota interna del
Sim-Nord Italia (S.I.M.N.I.), degli ultimi mesi di guerra, attestava che Pino
Romualdi fosse degnissimo sotto tutti gli aspetti morali.
Sappiamo
poi che, nel 1946/’47, elementi terroristici ebraici ebbero, proprio da Romualdi,
attraverso
i FAR, la disponibilità di esplosivo da loro utilizzato in attentati a Roma. Lo
attestò la figlia di Romualdi, Marina, ma anche Carlo Dinale all’epoca giovane collaboratore di Romualdi e infine
il senatore Alfredo Mantica, già suo stretto collaboratore. Romualdi stesso, uomo
mentalmente di destra (chissà, forse per ”ricordare” agli ebrei certi “favori), finì per confidare la faccenda (vedesi:
G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed.
Il Mulino, 2006, ed E. Salerno, Mossad
base Italia, Il Saggiatore, 2010).
Quel
che viene
subito in mente, considerando queste collusioni, è che se gli ebrei si fidavano di lui e ci intrattenevano
certi delicati contatti, mentre oltretutto gli pendeva una condanna a morte ed era ricercato, non solo
doveva godere di valide protezioni, ma era anche evidente che gli ebrei stessi non
lo dovevano considerare un fascista irriducibile, né tanto meno un nemico.
Fu
Romualdi che in vista della nascita del MSI ne tracciò le prime linee direttive
tipicamente reazionarie, come per esempio quella di prepararsi per una
insurrezione anticomunista; di restare in un primo momento equidistanti dal
contenzioso monarchia – repubblica, in attesa di definire a chi “prestarsi”,
anche se nel frattempo, di fatto, si appoggiavano i monarchici.
Finì
ovviamente per rappresentare fino alla sua morte, all’interno del MSI, l’ala di
destra del partito e almeno in questo fu coerente con la sua mentalità e
convinzioni (fatta forse eccezione, secondo i ricordi di un camerata di Parma,
di quando, nel 1944, sulla Gazzetta di
Parma, alcuni suoi articoli, ferocemente antiborghesi, inneggiavano alle
riforme rivoluzionarie e socialiste della RSI).
Romualdi
oltretutto, precedentemente alla nascita del MSI, dalla sua latitanza, aveva
avuto modo di incontrare, sondare e conoscere molti ex presunti fascisti del
ventennio, che non avevano aderito alla RSI o comunque non erano venuti al Nord
con Mussolini, ma ora si trovavano ugualmente nei guai per il loro passato nel
clima post liberazione. Trattavasi, in genere di anticomunisti, conservatori, persone
anche qualificate, che tornarono poi utili quando si dovettero formare i quadri
dirigenti del MSI. [7]
- Giorgio
Almirante (1914 - 1988), all’epoca trentaduenne, partecipò alla
costituzione del MSI e successivamente, il 15 giugno 1947, eletto a Roma da un
nuovo Comitato Centrale,
successe a Trevisonno e fu il secondo
segretario (in realtà Trevisonno, designato da una specie di giunta esecutiva,
solo superficialmente si può considerare come il primo segretario e anche lo
stesso Almirante seguì come segretario, ma in un primo momento, più che altro
“burocratico”).
La figura di
Almirante tornava utile, dopo la costituzione del MSI, per tranquillizzare i
fascisti che temevano una svolta troppo moderata del neonato partito, ma
ovviamente Almirante non era temuto dagli ambienti e dalle forze che avevano
contribuito a fondare e finanziare il MSI per scopi reazionari, le quali ben
sapevano che costui non era un rivoluzionario, nè un velleitario. Scrive di lui G. Murgia:
“agli uni si presenta come l’integralista più
acceso, il sacerdote della insurrezione purificatrice, con gli altri ha trattato
mostrandosi duttile e attento al realismo politico”.
(P. G. Murgia, Il vento del Nord, SugarCo 1975,
ristampa Ed Kaos 2004).
Questo figlio di attori, che si rivelò in
seguito un vero guitto politico rivestendo,
da abile saltimbanco, all’interno del partito, spazi di destra, oppure
facendosi pseudo assertore di posizioni socializzatrici (tenacemente
contrastate da Romualdi) che poi immancabilmente ad ogni congresso
disattendeva, era anche un abile oratore e in quei primi anni del neo nato
partito si impegnò instancabilmente nell’arte oratoria. In repubblica aveva
ricoperto la carica di capo gabinetto del ministro Fernando Mezzasoma al
Minculpop. [8]
Il 25 aprile ‘45 Almirante saluta Mezzasoma che gli dice “vado a morire con il Duce” e quindi con preveggente saggezza lui si
invola dall’altra parte. Conscio della discrasia in questi due comportamenti
dirà poi che fu il ministro a vietargli di seguire la “colonna Mussolini”
(mah!).
Raccontò che si era rifugiato in casa di
un israelita a Milano, dicesi un certo Levi che lui, durante la guerra, ma
guarda un po’, aveva a sua volta nascosto al ministero (gesto umanitario a
parte, essendone all’oscuro il Ministro, fu una specie di tradimento). Successivamente,
mantenendosi clandestino, se ne andò a Torino.
Sia come sia non si capisce, o forse si
capisce fin troppo bene, come Almirante,
sia pure un funzionario di ministero, ma nel ventennio già Capo redattore al Tevere
di Telesio Interlandi e poi
segretario di redazione alla Difesa della
Razza, dal gennaio 1945 tenente della Brigata Nera autonoma ministeriale,
che pur aveva anche ricoperto qualche piccolo ruolo, anche se non militarmente
attivo, nelle azioni antipartigiane e un bando di avvertimento, con sua firma,
verso i renitenti alla leva, era stato trasmesso alla prefettura di Grosseto, in
quei mesi del primo dopoguerra, non fosse incriminato e ricercato per
“collaborazionismo” (vera mosca bianca, visto che si può dire che venivano
incriminante persino semplici ausiliarie della RSI), potendo così operare
indisturbato alla nascita del MSI.
Lui no, non ebbe persecuzioni inquisitorie
da parte delle nuove istituzioni, imposte dagli Alleati e nate dalla
Resistenza, ma soltanto poi, dal 1947 in avanti eventualmente subì qualche
incriminazione e procedimenti per le sue affermazioni pseudo apologetiche o
ritenute eversive nel nuovo partito. [9]
Succedendo a Trevisonno,
Almirante, almeno privatamente, si spacciava per un
sostenitore del “sociale”, contrastato da Romualdi che lo accusava anche di
gestire il partito onde ...farne un feudo
per le sue ambizioni”. (P. G. Murgia, "Ritorneremo!", SugarCo, 1976).
Le divergenti posizioni
all’interno del neonato MSI non ebbero però modo di esplicitarsi subito in vere
e proprie posizioni politiche anche perchè il 17 marzo 1948, Romualdi venne
arrestato:
“Subito, negli ambienti del rinascente partito, si sparge la voce che a
fare la spiata alla polizia sia stato lo stesso Almirante, e la voce non si
spegne tanto facilmente. Ad alimentarla ancor più vengono le indiscrezioni
sussurrate a mezza voce dall'Ufficio politico della Questura: il Romualdi,
malvisto dagli stessi fascisti, è cascato nella rete dietro una denuncia degli stessi
suoi camerati”. (P. G. Murgia, "Ritorneremo!",
SugarCo, 1976).
Sia come sia, questa
supposizione lasciava a pensare, visto che precedentemente la polizia poco e
niente aveva fatto per ricercare Romualdi.
Di Almirante resta infine da dire che concluse la sua
esistenza politica, raggiunta la carica di Segretario del MSI a giugno 1968,
dopo la morte di Michelini, in sintonia con i suoi veri “ideali” (o meglio con
la sua vera “indole”, perchè è difficile attestare a questo soggetto un
qualsivoglia ideale), cioè quegli ideali genericamente di “destra” che precedentemente
aveva sempre occultato fino ad arrivare a farsi paladino, al congresso missista
di Pescara del 1965, della corrente sociale di “Rinnovamento” che poi, a quel congresso, immancabilmente tradì,
accordandosi con Michelini e scatenando violenze e rimostranze di un ampia base
così turlupinata che era giunta a Pescara piena di speranze di cambiamento.
Per
colmo dell’ironia a quel congresso del 1965 anche la corrente di destra
di Romualdi, spiazzato dall’accordo Almirante – Michelini, venne relegata
momentaneamente all’opposizione.
Vale la pena spendere qualche parola in
più per riassumere le varie posizioni politiche assunte negli anni da questo
vero e proprio “saltimbanco” della politica.
Prima di
“Rinnovamento” e di questo suo “ritorno” a “sinistra”, vergognosamente tradito
poi al congresso di Pescara del 1965, Almirante si era schierato, ma mai
integralmente, con la sinistra del partito ai congressi di Napoli e Roma del
1948 e 1949; quindi nel 1950, estromesso dalla segreteria del partito da De Marsanich,
collaborò con questi per far accettare, sia pure con discrezione, dalla base del partito, il Patto Atlantico e
l’alleanza con gli USA e sul piano interno per far digerire l’alleanza con i
Monarchici in vista delle elezioni amministrative (praticamente, volente o no,
si prestò al gioco centrista).
A luglio del 1952 al congresso dell’Aquila,
Almirante si avvicinò con prudenza all’ala moderata del partito che voleva
collaborare con le forze politiche di Centro. Al quarto congresso missista del 1954 a Viareggio, lasciò
perdere la prudenza e si allineò decisamente con le correnti moderate e
vincenti di “destra liberale” di De Marsanich e Michelini.
Ne fu ripagato
entrando nella Direzione e nell’Esecutivo Nazionale. Fu la svolta definitiva,
oramai da tempo in atto, per lo spostamento definitivo a destra del partito.
Al quinto
congresso, Milano novembre 1956, Almirante ricambia posizione e
precongressualmente si schiera, questa volta, contro Michelini e De Marsanich
riavvicinandosi alle correnti di sinistra, nelle quali molti esponenti se ne
erano oramai andati dal partito o stavano per andarsene. Almirante cercò di
trattenerli facendosi paladino di una battaglia da condurre “dentro” il MSI.
Durante il congresso però si sposta “al centro”, premessa per “trattare”. La
sinistra verrà battuta di misura ed Ernesto Massi lo accuserà di “doppio
gioco”.
Di
“Rinnovamento”, negli anni ’60 abbiamo detto.
Ebbene con l’avvento degli anni ’70 in
avanti, finalmente, Almirante trasformò, o meglio adeguò, perché di fatto lo
era sempre stato, il MSI in Destra
Nazionale (1972), inglobando, anche nelle alte cariche del partito, gli ex
monarchici, liberali e democristiani di destra falliti, tromboni trombati dei
Servizi, generali delle FF.AA., industriali anelanti allo stato forte e, perché
no, vecchi ordinovisti in cerca di un “ombrello”.
Un transitorio momento elettoralmente
favorevole, alle elezioni Comunali e Regionali del 1971, gli consentì di
ottenere il consenso dei militanti del partito ingolositi dalle possibilità che
si spalancavano per accedere alle cariche elettive. Alle elezioni politiche del
1972, con questo carrozzone di Destra
Nazionale, ultra borghese e forcaiolo (in un periodo che aveva visto un
forte aumento della criminalità comune e
in piena “strategia della tensione” la retorica richiesta d’ordine e pena di morte
faceva un certo effetto) il MSI raggiunse tra l’8 e il 9 percento dei voti, suo
massimo storico. Voti che ben presto, ovviamente, la DC riuscì a riprendersi
determinando anche, per un utilizzo immediato di quei voti, una scissione nel
partito (nascita di Democrazia Nazionale).
Inguaribili
ingenui ritengono che fu Gianfranco Fini, oltretutto una “creatura” proprio di
Almirante, il primo “rinnegato” a ripudiare il fascismo, ma dimenticano che nel
1971, determinando reazioni e proteste nel MSI, fu Almirante che si recò a
rendere omaggio a Porta S. Paolo a Roma, piazza simbolo della Resistenza ed
espresse il desiderio di recarsi in Sinagoga e l’anno successivo, nell’aprile
del 1972, giunse “ad esaltare
i valori della Resistenza in
quanto valori di
libertà”. (Vedesi: Bollettino
Fncrsi N. 17 Novembre 1971; e De Grazia V., Luzzatto S.: Dizionario del Fascismo, voce Almirante, Einaudi 2002).
Quello
“strappo”, così pubblico di Almirante alle tradizioni del partito, sia pure
false e retoriche che i missisti avevano sempre sbandierato, produsse
lacerazioni e forti proteste nella base missista e persino Julius
Evola ebbe una reazione di fronte al “non
simpatico cedimento”.
Starnazzamenti
che poi, di fronte all’effimero e transitorio successo elettorale che per un
paio di anni si sarebbe offerto al MSI, vennero ben presto riassorbiti.
Fatto sta che,
sul momento, arrivarono alla FNCRSI, da molti camerati ritenuta depositaria di
una certa ortodossia e rettitudine di comportamento, lettere di protesta, contro
Almirante, che qualcuno avrebbe persino voluto ammazzare.
Ecco come il Bollettino Fncrsi N. 17,
novembre 1971 commentò quelle lettere “indignate”:
“Ci avete inviato indignatissime lettere per il
fatto che Almirante ha risposto all'appuntamento antifascista dell'8 settembre.
Tradimento, infamia, tralignamento, ecc.! Taluno, addirittura, non
disdegnerebbe di assistere al funerale del Segretario del MSI. Ammazzare
Almirante? Ma nemmeno per sogno. A chi gioverebbe? E poi, francamente, non si
possono mica far fuori tutti gli antifascisti (...).
Almirante
ha dimostrato in mille maniere di non essere fascista.
Dunque
che pretendete ancora da lui? Non vi ricordate quando si vantò di aver aiutato
non so quale ebreo durante la RSI e di esserne stato ripagato abbondantemente a
guerra finita? Non vi ricordate quando sostenne che, se Mussolini fosse vivo,
difficilmente gli avrebbe affidato la presidenza onoraria del suo partito? Del
resto voi stessi, nelle vostre lettere parlate di successi di destra, di forze
sane, di destra giovane e di altre corbellerie che non potranno mai riguardare
i fascisti. I fatti parlano chiaro, Almirante antifascista raccatta voti da
tutte le parti.
Ma
veniamo alla storia che, non per nulla, può essere maestra di vita. Quale è
stato e quale è ancora lo scopo perseguito dal MSI, oltre a quello di obbedire
ciecamente alla DC?
Crearsi
uno spazio politico a destra del sistema antifascista con i voti dei fascisti
che di destra non sono. Ora che lo spazio (non troppo, non illudetevi, solo quanto
ne consente chi indirizza e sovvenziona) si è cominciato ad intravedere ed è
tale che può essere mantenuto e consolidato anche a prescindere dai voti
fascisti, perchè mai, vi domandiamo, il segretario del MSI, dovrebbe mettersi a
fare il fascista? Le federazioni missiste non solo hanno ricevuto la nota
circolare con la quale si aboliscono i saluti romani, si gettano nella
pattumiera i gagliardetti e si vieta l'antica liturgia - già abbondantemente
scaduta nel grottesco per la risaputa cialtroneria dell'ambiente- ma vengono
costantemente orientate verso una sempre più netta sterzata a destra che non
può, ovviamente, non comportare il rigetto di ogni principio fascista.
Voi ben sapete
come il contenuto fascista nelle mozioni e nei discorsi dei responsabili
missisti si sono via via rarefatti tanto da dar luogo ad affermazioni
chiaramente antifasciste. Questo fenomeno, pur evidentissimo sotto il povero
Michelini, si sta ora accentuando per l'azione determinante svolta dall'ultimo
cospicuo gruppo di massoni, approdati al MSI, non certamente per fare la
rivoluzione fascista. Per noi tutto ciò era scontato...”.
Con
questa Destra Nazionale “almirantiana”,
il MSI assunse, anche esternamente, il suo vero aspetto reazionario, bottegaio,
forcaiolo e ultra atlantico che neppure con il “liberale” Michelini aveva
avuto.
Da questo momento le nuove generazioni
che si identificavano o si avvicinavano al MSI, potevano definirsi un
“qualcosa” di informe, genericamente di destra, ma decisamente antifascista,
nonostante il perdurare, ma ora di nascosto e più che altro nella base del
partito, di certa simbologia atta a
carpire voti agli ingenui.
-
Augusto De Marsanich (1893 - 1973), fu
un esponente di rilievo del MSI e ne rappresentò l’anima “corporativa” del
partito in opposizione a quella socializzatrice.
Si noti bene: attestare una corrente, definita
“corporativa”, oltretutto in via teorica, sulla carta, significava, dietro un
generico richiamo al ventennio, ostentare una concezione economica non troppo
ostile al liberismo e soprattutto, voleva dire liquidare in toto ogni intento
di riforma socializzatrice.
Parlare di
Corporativismo, oltretutto in uno Stato democratico e liberista, era pura
demagogia, ma serviva per tranquillizzare gli ambienti industriali e raggirare
i nostalgici.
De
Marsanich, la cui sorella Teresa Iginia, sposata con l’israelita Carlo
Pincherle, era la madre di Alberto Moravia,
era un uomo alquanto indicato, per garantire gli ambienti industriali, avendo a suo tempo ricoperto la carica di presidente
del Banco di Roma e quella di presidente dell'Alfa Romeo.
Assieme a Michelini e Nino Tripodi (che pur era stato “di sinistra”) fu il
massimo interprete della operazione di
inserimento del MSI nello schieramento parlamentare di destra, facendosi anche
fautore di una linea “moderata” che mirava a fare del MSI l’interlocutore della
Democrazia Cristiana.
Fu
il furbo De Marsanich, al primo congresso missista di Napoli del giugno 1948 (venne
confermato Almirante segretario, con due vice: Michelini e Roberti),[10]
a coniare l’ambiguo slogan “non rinnegare e non restaurare”,
utile a fregare la base ancora di sentimenti fascisti, rassicurandola con quel
“non rinnegare” (quando invece sostanzialmente si era rinnegato di tutto e di
più) e mettendo le mani avanti con
il “non restaurare” per giustificare la mancanza di iniziative e prese di
posizione che il MSI, se veramente si fosse, almeno idealmente, rifatto al
fascismo repubblicano, avrebbe dovuto prospettare.
Fu ancora principalmente De Marsanich (che
ricoprì la carica quale terzo segretario nazionale dal 15 gennaio 1950, quando Almirante decadde da analoga
carica, fino al 1954) ad aver pilotato
gradualmente e con grande destrezza, piegando le tante resistenze, la sporca
operazione che portò il MSI ad appoggiare ed avallare senza riserve l’Alleanza
Atlantica per il nostro paese.
E
sempre sotto il suo “interregno” si perfezionò la tendenza a porre, sul piano sociale, il MSI
come propugnatore di un Corporativismo senza capo né coda (ovviamente mettendo
nel dimenticatoio la Socializzazione) in modo da fare del partito uno strumento
liberista e filo capitalista.
Di
socializzazione, infatti, nelle sedi missiste, non se ne parlò più fino a
quando, nella prima metà degli anni ’60 non venne demagogicamente e
transitoriamente rispolverata dalla corrente di base “Rinnovamento” guidata da Almirante per giochi interni di potere.
La trasformazione borghese impressa da De
Marsanich al partito, fu evidente e decisiva, aprendo poi le porte alla
successiva e naturale svolta altrettanto liberista
di Michelini.
Già il precedente passaggio di consegne del gennaio
1950 tra la segreteria Almirante e quella di De Marsanich, fu indicativo di una
certa liquidazione, dal vertice massimo della segreteria del partito, di uomini
troppo caratterizzati dall’esperienza della RSI.
Almirante era
pur stato al gioco e i suoi precedenti atteggiamenti “estremisti” o
socializzanti erano stati più che altri apparenza, ma ora “chi di dovere”
richiedeva espressamente uomini meno compromessi con il fascismo e di esplicita
tendenza liberista. Saranno De Marsanich prima e Michelini poi, ad assumere la
segreteria missista con la quale traghettarono, definitivamente, il partito
nella sfera atlantica e nella destra conservatrice Il nuovo segretario De
Marsanich e al contempo Michelini segretario amministrativo del partito, ebbe
subito buon gioco
nell’imprimere una certa svolta al partito ancor più marcatamente a destra, facendo leva
sul fatto che il programma da “Stato del Lavoro” che aveva caratterizzato il
MSI alle elezioni del 1948 non aveva pagato, dando appena un 2 percento di
suffragi. Ancor meno però pagò poi la svolta “liberista” dove, eccetto per le
elezioni, del tutto particolari del 1953, in cui il MSI ebbe un certo successo, il
partito si assestò su percentuali del tutto minoritarie.
Si completa la trasformazione reazionaria
Con De Marsanich e Michelini si completò così in pieno una definitiva e
irreversibile trasformazione moderata, “liberale” e borghese del partito, che
precedentemente pur essendo in bozzolo era rimasta mascherata, dove gli ideali
del fascismo, edulcorati da ogni aspetto rivoluzionario, furono relegati in una
configurazione del tutto nostalgica, superficialmente nazionalista.
Dentro e attorno al MSI si avviarono i
contatti con ex gerarchi del ventennio, per esempio Giuseppe Bottai o Alfredo De
Marsico, emblemi del venticiqueluglismo e si accentuarono le proposte di una
alleanza con i monarchici, con i liberali e con ambienti cattolici, scaricando
le posizioni repubblicane e socialiste. L’alleanza con i monarchici, annunciata
da De Marsanich ad agosto ’50, viene ratificata dal Comitato Centrale il 23 dicembre dello stesso
anno.
Ovviamente
non mancarono le reazioni, anche veementi, soprattutto dalla sinistra del
partito, varie dimissioni e persino il “Meridiano
d’Italia” di Servello, dove però vi scrivono anche penne eterogenee e di
sinistra, eleva proteste, ma soprattutto un altro foglio di battaglia, l’Asso di Bastoni” di Pietro Caporilli
sferra violenti attacchi alla Direzione del MSI: Michelini viene definito:
“un sudicio letamaio che
appesta un movimento di prodi” - e Romualdi un -“mussolinetto entrato in galera antipapalino e uscitone vestito da
gesuita - . accusandolo anche di essersi definito “figlio di Mussolini” e
di essersi squagliato da Como, a fine aprile ’45, con la cassa del partito dopo aver abbandonato Mussolini –“.
Ma tutte queste reazioni passeranno sopra
la nuova dirigenza, con il tempo si stempereranno, molti oppositori
abbandoneranno il partito, mentre altri, come per esempio Almirante,
cambieranno più volte posizione e politica.
Questa nuova veste, esplicitamente di
destra del partito gli, consentì alle
elezioni amministrative del 1952 di prendere sei sindaci monarco-missisti, in
sei città del Sud Italia e un conteggio sul MSI da solo indicava che il partito
era arrivato, sempre nel Mezzogiorno, al’11,8 percento dei voti.
Alle politiche del 1953, il MSI conquistò
il 5,85%, dei voti grazie al favore del ceto medio, moderato, sopratutto al
sud. Fu, in quell’epoca, la sua percentuale massima di voti nelle elezioni
politiche, ovviamente poi subito perduta alle elezioni successive del 1958 e
bisognerà attendere gli anni ’70 per ripetere questo effimero boom elettorale,
quando Almirante rimodellò il partito quale Destra Nazionale e riuscì sempre
con i voti del ceto medio borghese a superare l’8 percento, ma sempre in modo
effimero e transitorio, essendo il MSI la ruota di scorta della DC che subito,
quando gli occorreva, ne svuotava il contenitore elettorale.[11]
Il governo Tambroni
La funzione da “ruota di scorta” della DC, e
la politica “entrista” di Michelini ebbero il loro momento migliore, del tutto
effimero, nella primavera del 1960 quando venne varato il governo di centro
destra di Fernando Tambroni con i voti determinanti di monarchici e missisti,
dando l’impressione di una mezza
assunzione del MSI nel governo.
Filippo Anfuso, l’ex (anche questo
veramente ex) ambasciatore della RSI a Berlino, non stava nella pelle e già
preannunciava che al prossimo congresso missista, che si sarebbe tenuto a
luglio a Genova, il partito avrebbe rotto definitivamente con il passato e
forse avrebbe anche cambiato nome.
Da quello che si è potuto poi appurare, in
realtà quel governo di centro destra, transitorio, nelle strategie dei
democristiani che contano, doveva essere un sottile tentativo destinato al
fallimento proprio per rendere poi inevitabile
la successiva apertura a sinistra, da tempo progettata.
Andò a finire che il PCI, con la scusa
del congresso missita nella “città medaglia d’oro della resistenza”, scatenò la
piazza creando gravi incidenti a Genova, dove il MSI non potè finire il
congresso e i missisti dovettero scappare a gambe levate e altri scontri si
accesero a Roma a Porta S. Paolo,
cosicchè il governo Tambroni, da cui tutti presero le distanze, naufragò penosamente.
Probabilmente se così non fosse stato,
per la gola di una possibile partecipazione governativa, avremmo visto il varo
di una specie di Alleanza Nazionale ante litteram.
Qui sotto, volantino della FNCRSI ANNI
‘60
[1] Pucci, Nunzi e la moglie, avevano
avviato un ufficio di rappresentanza in Via Veneto a Roma *che divenne un punto
di incontro e di sostegno per i reduci.
[2] Personaggio
di coraggio, idealista e spirito avventuroso, Pignatelli era nato a Chieti nel
1886 e morì nel 1965. Comandante degli Arditi nella grande guerra; distintosi
poi in Etiopia e in Spagna. Lo troviamo anche in Russia dove parteggiò per i "Bianchi"
di Wrangel e durante la rivoluzione comunista di Bela Kun in Ungheria, addetto
militare a Budapest (fu l’unico diplomatico straniero a occuparsi degli
interessi dei paesi europei). Nel 1920 lo
troviamo in Messico dove tra una “rivoluzione” e l’altra fu acclamato Imperatore in una provincia del
Sud, per dieci giorni. Ma in quel periodo perdette la sua prima moglie e
dovette riparare negli Stati Uniti. Qui sposò la figlia del miliardario editore
Hearts, ma ne divorziò dissentendo con il loro stile di vita.
Tornato in Italia, sposò poi la
principessa Maria De Seta figlia di un ufficiale di Marina che conosceva da
anni e che sarà una indimenticabile compagna di avventure.
Pignatelli aveva aderito al fascismo, ma spesso si dimetteva per
contrasti, in particolare con Farinacci. Sembra che dopo il 25 luglio 1943
assieme a Ettore Muti e Barracu
intendeva liberare Mussolini. Tornò invece in Calabria. Mano a mano che gli Alleati risalivano la
penisola, Pignatelli cercò di organizzare una resistenza e una rete clandestina
di fascisti al Sud assieme alla moglie.
Processato e condannato a guerra
finita beneficiò dell’amnistia.
Se gli americani riuscirono ad ottenere
da lui una collaborazione fu probabilmente in virtù dell’appartenenza del suo
ceto sociale ai proprietari terrieri e aristocratici spaventati dal comunismo. In
ogni caso una figura eccezionale che non può essere giudicata con i normali
parametri politici e di cui ne resta tutto il suo valore.
[3] Per esempio, il
prof. Ernesto Massi, uno dei massimi esponenti della corrente di sinistra del fascismo, cattolico, era però
attestato su posizioni filo monarchiche Difficile dire come poi votarono i
fascisti al referendum, visto i segnali contraddittori che venivano da vari
personaggi. Lo stesso Romualdi non è ben chiaro se all’ultimo diede indicazioni
per votare repubblica come desiderato dalla maggioranza dei reduci, oppure no.
[4] Come loro postulato
i FAR intendevano riferirsi alla autentica natura del fascismo, antiborghese
con nemici sia di destra che di sinistra e nella considerazione che tutto
quello che non è prettamente ed esclusivamente fascista è automaticamente
antifascista.
[5]
Tra i fondatori del
MIUS vi è Mario Cassiano, avvocato e giornalista che fonderà anche un giornale
per le Forze Armate grazie a certi finanziamenti del Sim (Vedesi G. Murgia: il vento del Nord, SugarCo 1975 e
ristampa Kaos 2004). Con Almirante
inaugureranno le riunioni interne al MSI con i militanti chiamate
“giornale parlato”.
[6] L’Uomo Qualunque era stato un
movimento “antipartito”, fondato da Guglielmo Giannini di Pozzuoli (NA),
bizzarro giornalista pungente,
commediografo satirico e canzonettista. Nacque attorno all’omonimo giornale
fondato da Giannini nella Roma da poco occupata
dagli Alleati. Da quello che era una
specie di “fronte” di opinione, divenne partito, interpretando le
insofferenze borghesi e le proteste della gente. Era incline a posizioni filo
capitaliste e i suoi militanti si confondevano spesso con i monarchici. Già con
il governo Parri (giugno 1945) Giannini chiese la fine dei consigli di
Gestione, lo sblocco dei licenziamenti e la massima libertà imprenditoriale per
il padronato. Questo schieramento, senza riferimenti ciellenisti, offri alle
masse dei reduci fascisti, una prima possibilità di riprendere a praticare la
politica in Italia, ma l’accomunamento con una base qualunquista e reazionaria
ebbe anche gravi conseguenze nella base dei reduci e nel loro portato ideale e storico della RSI,
diametralmente opposto al qualunquismo borghese e che avrebbe dovuto essere il
patrimonio ideale principale in questa area.
[7] Su Romualdi girava
anche una diceria, con buona pace per la onorabilità della madre: che fosse un
figlio illegittimo di Mussolini. Come possa essere uscita fuori una idiozia del
genere non si sà, forse una larvata somiglianza in certe foto, forse la comune
origine romagnola. C‘è anche chi sostiene che fu lo stesso Romualdi ad avere
interesse a diffonderla. (vedesi: G.
Murgia, Il vento del Nord, Ed. Kaos
2004). Altri, tra cui Daniele Lembo, nel suo Fascisti dopo la liberazione, Ed. Grafica Ma.Ro., si limita a dire
che “la diceria non fu da Romualdi mai
decisamente smentita”.
[8] Nel Bollettino
Fncrsi, (N. 2, aprile 1970) i
fascisti della Federazione, con l’articolo “Almirante”, resero
magnificamente le doti da guitto politico di questo soggetto:
“Almirante
- Come combattenti avvertiamo una profonda repulsione per tutte le frasi
altisonanti e per il frenetico agitarsi oratorio fatto di espressioni vacue
inutilmente nostalgiche o patriottarde. Vi si nasconde dietro sempre la bassa
ricerca del facile applauso. Nel caso del povero Almirante - guitto per
vocazione e per tradizione - vi si nascondono anche il falso e l'inganno.
Quando infatti parlando al recente Consiglio Nazionale del suo partito ha detto
che, mentre gli altri prendono gli ordini da Mosca o da Washington, lui (che in
realtà li riceve dal Ministro dell'interno) li prenderebbe dall'Oltretomba, tutti
pensando al Duce, lo hanno a lungo applaudito L'attore non pensava a Mussolini,
ma a Michelini del quale non manca occasione di osannare non comuni (e sappiamo
quali sono!) pregi, tanto più che ha potuto assumere la segreteria del m.s.i.
solo assicurando al già citato ministro il mantenimento della linea
micheliniana”.
[9] Non solo proprio Almirante non ha mai fatto cenno ad eventuali
incriminazioni da lui subite nel primissimo dopoguerra, ma alla udienza del 25
gennaio 1972, nel processo di Roma per “falso e diffamazione”, circa il famoso
bando del 1944 firmato da Almirante con la pena di morte per i renitenti alla
leva, Almirante stesso ci tenne a precisare: “Faccio presente che sono deputato in Parlamento dal 18 aprile del 1948.
Allora, oltre le regole costituzionali, vi erano norme eccezionali che
vietavano di entrare in Parlamento a coloro i quali avessero assunto cariche o
ricoperto determinate responsabilità nella Rsi. Personalmente non ho mai subito
alcun procedimento penale né fruito di amnistie».
[10] Ai congressi del MSI
di Napoli (1948) e Roma (1949), si contrapposero le due anime del partito: la
sinistra socializzatrice con Giorgio Pini, Manlio Sargenti, Giorgio Bacchi,
Concetto Pettinato e Bruno Spampanato; e i nazional corporativi con Ezio Maria
Gray, Augusto De Marsanich, Arturo Michelini, Nino Tripodi e Pino Romualdi.
Almirante in quell’epoca si pose tra i primi che gli garantirono il successo
alla Segreteria, ma l’organigramma della Direzione fu poi una specie di
compromesso tra le due correnti. Il congresso di Roma, invece, fu dominato
dalla questione “Atlantica”: l’Italia il 4 aprile ‘49 aveva aderito alla Nato, e
fu contraddistinto da forti lacerazioni tra i “possibilisti”, che poi in realtà
erano intimamente favorevolissimi e i decisi negatori dell’Alleanza che, tra
l’altro, sostenevano giustamente che non si poteva essere “alleati e vinti allo stesso tempo”.
[11] I voti, anche sottobanco, del MSI,
vennero spesso offerti e spesso richiesti in particolare dalla DC, utili per
far passare o bocciare certe Leggi. Anche per i governi ci furono molti
“intruppamenti”: dal governo
democristiano di Giuseppe Pella nel 1953 /’54, con la scusa di un certo
appoggio per Trieste, poi quello di Adone Zoli nel 1957 /’58 anche con la scusa
della restituzione della salma del Duce, e quello di Antonio Segni 1959 /’60.
Tra questi vi fu anche la beffa di un governo Fanfani che rifiutò i voti
offerti dal MSI. Analogamente i voti missisti furono spesso disponibili nelle
elezioni per il Presidente della Repubblica. Negli anni successivi questa
pratica continuò imperterrita.
Servello
e il “Meridiano d’Italia”
Ma guarda un po’…
"Quando mi accorsi che i carabinieri tentarono di infiltrarsi tra di noi
– ricorda [Servello] - chiesi dei chiarimenti al servizio
investigativo dell'Arma. Li sollecitai a smetterla con quel doppio gioco che
facevano. Ero talmente esasperato che mandai una lettera di protesta al
comandante generale della Lombardia".
2010 Repubblica.it: Intervista a Franco Servello di A. Custodero
Abbiamo così tratteggiato le figure di vari storici “padri
fondatori”, ma non indifferente è anche spendere qualche parola per l’opera di Franco Maria Servello, americano di
nascita (Cambridge) del 1921, filo americano doc, anche se in quei primi anni
del dopoguerra tendeva a non mostrarlo troppo, ma tanto filo americano che
negli anni ’60, dopo una sua pubblica
presa di posizione in favore della Nato, i fascisti della Fncrsi, ne
riportarono le sue frasi attribuendole ad un certo “Servello, di nome e di fatto”.
Questo
Servello, che ha attraversato tutta la storia del Msi, per poi finire
coerentemente in Alleanza Nazionale,[1]
nei mesi precedenti la fine della guerra, mentre i fascisti combattevano e morivano per
difendere l’Italia invasa dagli Alleati o sotto le revolverate alla schiena dei
GAP, scriveva su un giornale al sud occupato dagli americani e dietro loro
autorizzazione.
Ergo
è facile suppore che il Servello, tutto poteva essere, meno che un fascista e
di certo in quel tempo al Sud non stava scrivendo contro gli Alleati occupanti
Colpisce,
ma come abbiamo visto per tanti altri casi, non stupisce, che poi, come se
nulla fosse, questo giornalista lo si ritrovi allegramente e con importanti
ruoli, nelle fila del neofascismo e in pubblicazioni a questa area riferibili,
contandosi successivamente a Milano tra gli organizzatori del MSI.
Servello,
nel 1947, da caporedattore, dopo l’assassinio di De Agazio, prese in mano la
direzione del Meridiano d’Italia e
poi del Meridiano Illustrato, un rotocalco
con belle illustrazioni e qualche buon articolo, ma finalizzato più che altro a
rivalutare sul piano nostalgico il regime fascista, Mussolini e i meri aspetti
nazionalistici della guerra, guardandosi però bene dall’illustrare
adeguatamente la parte socialista e rivoluzionaria del fascismo.
Almeno fino alle importanti elezioni del
18 aprile 1948, Il Meridiano, pur
riportando una cernita eterogenea di firme, molte anche valide e di fascisti e
simpatizzando per il MSI, tirava anche la volata al Movimento Nazionale per la Democrazia Sociale dell’ex deputato
qualunquista Emilio Patrissi. Successivamente, riportata la direzione a Milano,
divenne fiancheggiatore del Msi.
Raccolti,
infatti, dal MSI nel 1948, circa il 2 percento dei voti, e ottenuti 6 deputati
e 1 senatore, il Servello con una lettera al delegato missista per l’Alta
Italia, Achille Cruciani, dichiarava di voler contribuire ad unificare attorno
al MSI le “forze nazionali” (anticomuniste, ovviamente!).
Di Servello e del Meridiano ne riparleremo più avanti, quando accenneremo alle
manovre che portarono il MSI a schierarsi per la Nato.
Qui sotto, volantino FNCRSI anni ‘60
La collocazione a destra
Il destrista: più chiaro di così…
Giorgio Almirante
Il fascista:
Benito Mussolini
L’ovvia e perfidamente
studiata sistemazione di questo partito fu quindi alla destra dell’aula parlamentare e chi si ribellò, e furono tanti, a
questa scellerata decisione, gli venne fatto presente che “a sinistra c’erano i comunisti assassini”, come se a destra ci
fossero gli amici. Ma quella scelta
era funzionale e preveggente verso il varo di un vero partito di destra
reazionario e conservatore il cui penoso e ripugnante cammino finalmente si
concluse nel 1995, anche se purtroppo gli escrementi umani che ha lasciato
ancora sguazzano nell’agone politico alla ricerca di qualche posticino
elettivo.
Avendo comunque scelto il MSI di
partecipare al sistema parlamentare era evidente che da qualche parte delle
aule di Camera e Senato gli eventuali eletti si sarebbero dovuti collocare. Ma
era altrettanto evidente, per quello che aveva rappresentato il fascismo
repubblicano, per il portato ideale e programmatico delle sue rivoluzionarie
leggi socialiste, i parlamentari di questo partito si dovevano mettere e
pretendere di mettersi, a sinistra, volenti o nolenti i
comunisti.
Una
collocazione a sinistra che non avrebbe
avuto niente di ideologico, tanto più che proprio il fascismo aveva superato le
categorie hegeliane “destra – sinistra”, ma non potendo i parlamentari del MSI
sedersi sui lampadari, questa era l’unica scelta meno “inquinante” e più
consona ad una certa politica, considerando oltretutto che a destra vi erano i
partiti conservatori e reazionari e soprattutto i monarchici, quintessenza del
tradimento. A sinistra, questi
parlamentari, si sarebbero potuti battere contro gli occupanti occidentali,
opporsi al futuro Patto Atlantico, difendere l’indipendenza del paese,
sostenere riforme e iniziative socialiste nell’economia e tanti altri programmi
ancora.
A
destra invece... fate voi, ma di certo sarebbe stato impossibile portare avanti
tutte le rivendicazioni per attuare le leggi sulla Socializzazione, con tanto
di gestione delle imprese in cui viene elevato e inserito il mondo del lavoro
nell’impresa, e così via.
Falsa anche la collocazione a destra con
la scusa di difendere gli interessi nazionalisti della nazione in opposizione
all’internazionalismo delle sinistre. Intanto il nazionalismo non si poteva di
certo conciliare, nonostante tutti gli artifici e panegirici tattici, con
l’Atlantismo ed infatti, come osserva giustamente Vinciguerra, se questi
missisti fossero stati veramente dei nazionalisti, avrebbero dovuto assaltare
giorno dopo giorno le ambasciate americane, britanniche e israeliane, cioè le
sedi di quegli Stati Occidentali nostri colonizzatori che ci avevano privato e
tuttora ci privano di indipendenza e sovranità.
Come accennato, Giorgio Pini e gli altri di “sinistra”,
compresi altri validi camerati di eterogeneo pensiero, purtroppo furono tutti
ben presto piegati dalle manovre e dai mezzi in possesso di chi doveva far
nascere e crescere la creatura missista in un certo modo. Molti, successivamente,
se ne andranno schifati dal MSI.
Forse l’ultimo e più concreto tentativo
di trovare una alternativa alla collocazione a destra anche per l’area che
rappresentava il retaggio del fascismo lo compì, quando però era oramai troppo
tardi, Stanis Ruinas, il cosiddetto “fascista rosso” attraverso il suo giornale il “Pensiero
Nazionale” cercando di creare in Italia anche un fronte anti-imperialista:
“Nel
’56 venne effettuato il tentativo più consistente di costituire un Movimento di
Sinistra Nazionale, area di aggregazione per uno schieramento antagonista (…..)
Sul
piano ideologico e politico la elaborazione di Stanis Ruinas e dei suoi
collaboratori, che provenivano in massima parte dalla RSI, li collocò fuori
dall’orbita del parlamentarismo (…..)
Ruinas
e i suoi diedero vita ad una linea fatta di ideali repubblicani e socialisti,
di populismo nazionalistico ed anticapitalistico, di inequivocabile ostilità
verso la NATO, gli USA, le “democrazie plutocratiche” occidentali che avevano
colonizzato l’Italia dopo il ’45. (…..)
I
“fascisti rossi” (…) condannavano la resistenza borghese (….) Alla
contrapposizione tra fascismo ed antifascismo, il “Pensiero Nazionale” propose,
dunque, di sostituire quella composta tra una sinistra composta dalle forze antiborghesi,
anticapitalistiche, antiamericane e una destra “plutocratica”, clericale, filo atlantica”.
(Vedesi: F. Ronchi, Stanis è vivo e lotta insieme a noi,
in “Aurora”, marzo 1998).
Ma
la forzatura a destra del MSI ebbe anche qualcosa di abietto, di infame.
Confesso in più occasioni Giulio Caradonna, pluri parlamentare missista, che per convincere ed anzi spostare ancor più
a destra i reduci del fascismo repubblicano, che di destra non erano, tornavano
utili gli scontri con i rossi: “Più questi attivisti si picchiavano con i
social comunisti – disse - e più ci si spostava a destra”.
(testimonianza reperibile anche sul periodico
“Italia Tricolore per la terza Repubblica”
edito a Ravenna). Con buona pace di tanto sangue e violenze
che questa scelta comportò.
Una
volta collocatosi a destra, con il passare del tempo e la lenta, ma inevitabile
assimilazione, da parte della base del MSI, delle tematiche di destra, propagandate
e diffuse a viva forza dai dirigenti del partito, non ci fu più nulla da fare:
il MSI era oramai diventato un partito di destra a tutti gli effetti.[2]
Per
reazione ci fu chi rinunciò a fare politica e si ritrasse nel privato, chi
trovò più consona collocazione in qualche altro schieramento politico (non
escluso il PCI), chi fondò gruppi, piccoli partiti e altro, ma sostanzialmente,
anche a causa della complessità politica e sociale della nazione, dei mezzi e
delle forze a disposizione del Sistema, ecc., non ci fu spazio per la
costituzione di un vero partito alternativo, in quest’area umana, che si
facesse interprete delle istanze del fascismo repubblicano e di una lotta di
liberazione dal colonialismo americano.
La valutazione del
MSI non è un fatto di “correnti”
Riconsiderando
personaggi fatti e avvenimenti del passato, con tutti i retroscena che gli sono
inerenti, se andiamo a soppesare il tutto, possiamo anche dire che, a
determinare il ruolo del MSI non si trattò neppure di un fatto di correnti di
destra o di sinistra, che in politica sono diversificazioni normali e
comprensibili e del resto al fascismo avevano sempre aderito correnti politiche
e di pensiero eterogenee,[3] perchè
qui siamo in presenza della costituzione di un partito da mettere al servizio
di innominabili poteri, tra cui la subordinazione agli americani costituiva, in
ogni senso, un vero e proprio tradimento degli interessi nazionali.
Queste “premesse”, queste
operazioni, evidenti, seppur non esplicite, condizionarono poi tutte le
componenti del partito ed ovviamente, tanto più quelle predisposte su posizioni
tendenzialmente di destra.
Ci furono vere e proprie trame, che
spiazzarono, raggirarono tanti bravi camerati, molti dei quali ben presto,
capita l’antifona , uscirono disgustati da quella latrina nella quale si
infilavano strati qualunquisti del disciolto Uomo Qualunque, persino ex monarchici ed ex venticiqueluglisti
e arrivisti di ogni genere.
Molti di coloro, pur fascisti e in buona
fede, che restarono nel partito, con il tempo, grazie alle tante sirene che il
“gioco democratico” offriva, subirono una lenta, ma inevitabile corruzione,
prima di tutto dell’animo e poi, un poco alla volta di tutti i loro ideali che
una attitudine e una politica sostanzialmente antifascista, seppur mascherata, non
poteva non determinare.
Ma a dimostrazione della grande varietà
del genere umano, non mancarono neppure inguaribili sentimentali che, in mancanza
di una vera alternativa politica (la politica vive di concrete “presenze”, non
di strutture ideali e sulla carta), vollero restare nel MSI fino alla loro
morte, ben sapendo, o non volendo sapere, in che letamaio si trovavano. Ma tant’è, sono oramai tutti ricordi e
discorsi inutili, fatti con il senno del poi e che appartengono al passato.
Il
30 maggio del 1949, come citano le cronologie (Cfr. l’eccellente Cronologia
storica della Fondazione Luigi
Cipriani) Beltrami Nemesio, sulla rivista "Il pensiero nazionale", dedica un articolo al congresso
nazionale del Msi previsto per il 28 giugno a Roma, rilevando che:
“Almirante, Michelini, Russo Perez hanno
in mano le chiavi del movimento, le chiavi anche della cassa, nominano
dall’alto fiduciari e federali e sono appoggiati e manovrati dai sottosegretari
DC Marazza e Andreotti”.
Due parole allora anche su questo citato Russo Perez che ci danno il polso di
cosa stava diventando il MSI. Russo Perez, palermitano, nel dopoguerra era
stato eletto nel Fronte dell’Uomo
Qualunque, quale deputato alla Costituente. Aderì poi alla Unione
Nazionale, ma alle elezioni politiche del 1948 si presentò e venne eletto nelle
fila del MSI (deputato su 6 deputati, si pensi un pò a chi andavano quei pochi
primi posti al parlamento!). Filo
atlantico troppo prematuramente scopertosi come tale, nel 1950 fu sospeso dal
partito e persino schiaffeggiato da giovani dirigenti giovanili. Finì nella
Democrazia Cristiana: se avesse ben celato le sue predisposizioni politiche
attendendo ancora pochi anni, il MSI si sarebbe conformato proprio come lui
desiderava e ci si sarebbe trovato a suo agio.
18 Aprile 1948: elezioni all’ultimo sangue
“Chi vota Dc vota bene, chi vota Msi vota
meglio”
Passa parola, in famiglie missiste, alle elezioni del 18 aprile
1948
A proposito delle elezioni
politiche del 1948, le prime “politiche” per il MSI, il partito, affiancato al Fronte anticomunista (molti paventavano
la vittoria elettorale delle sinistre) ebbe un comportamento ambiguo a causa
della necessità di non danneggiare la DC e farla risultare come il partito di
maggioranza relativa.
Come
ricorda Vincenzo Vinciguerra nel suo articolo “Una diversione strategica: il Msi”, alle decisive elezioni del 18
aprile 1948 (lo testimoniò il missista Gianni Roberti), in varie famiglie dei militanti
venne data l’indicazione di spartire i voti tra il proprio partito e la Dc,
ritenuta una congrua “diga al comunismo”, veicolando lo slogan: “Chi vota Dc vota bene, chi vota Msi vota
meglio” e fornendo anche squadre di attivisti per consentire ai
democristiani di affiggere manifesti e fare propaganda sostenendo gli scontri
con i comunisti.
Al
tempo, il pericolo che il PCI, alleato con i socialisti, potesse scavalcare la
DC, pur non molto probabile, almeno teoricamente, c’era. Due anni prima, ma ora
le cose erano un pò cambiate, alle elezioni per la Costituente del 2 giugno
1946, la sola DC con oltre 8 milioni di voti aveva raggiunto il 32,2 percento e
i comunisti il 18,9 percento. Sommati però quei voti comunisti a quelli dei socialisti (20,7 percento) si erano superati
i 9 milioni. Nelle ultimi amministrative del 1947 poi, i democristiani erano
sensibilmente calati nei grandi comuni.
In
vista di quelle decisive elezioni politiche, a febbraio del 1948 il presidente
dell’Azione Cattolica Luigi Gedda, con l’appoggio del Vaticano e con
finanziamenti di ogni genere, vara i famigerati “Comitati Civici” a sostegno
della DC.
La
campagna elettorale è condotta all’insegna della paura.
Film
di provenienza hollywoodiana invadono le sale per raccontare le gesta di
religiosi e uomini di pace, insinuare, dietro qualche film di fantascienza, che
alieni e “marziani” che vogliono soggiogare il mondo, sono come i comunisti
(tematica questa che andrà avanti per qualche anno anche a uso interno agli
Stati Uniti) o decantare la potenza statunitense dotata di benedette atomiche a
difesa del mondo libero; la DC passa la voce che la farina, pane che mangiamo, viene
dall’America e se dovessero vincere quelli del Fronte democratico popolare, i socialcomunisti, gli aiuti americani
cesserebbero. Tutta una pubblicistica e un bisbigliare nei confessionali, si
cimenta nel descrivere orrori e sevizie che i comunisti stanno commettendo in
tutto il mondo, in particolare in Russia o in Grecia dove è in corso
l’insurrezione comunista che poi, abbandonata dai sovietici, in rispetto degli
accordi di Jalta, sarà repressa.
Miracoli, apparizioni di Madonne,
processioni impazzano in tutto il paese.
Gli
americani da parte loro fanno affluire ingenti finanziamenti, ma al contempo
all’ertano le loro forze militari che si tengano pronte ad intervenire nel caso
di una vittoria dei comunisti che determini una loro presa del potere.
Anche
un mezzo squilibrato come il “mostro di Nerola”, alcuni organi di stampa
cercarono di far passare per comunista.
Ancora
oggi molti furbastri che intendono difendere le male azioni missiste del tempo,
ripetono a pappagallo il ritornello: “era una necessità sconfiggere il Fronte
comunista, altrimenti gli Americani ci avrebbero fatto morire di fame e saremmo
finiti sotto i russi”.
Sono
scuse penose, in quanto dei fascisti repubblicani avrebbero dovuto battersi, a
prescindere, per la riscossa sociale della nazione, rigettata di nuovo, dagli
angloamericani, nelle braccia dello sfruttamento capitalistico. Per fare un
paragone con la Cuba di Castro, sappiamo bene come dopo la vittoria
rivoluzionaria di Castro e Guevara, il nuovo governo, libero di Cuba, prese ad
emanare le prime importanti leggi in favore del popolo cubano, che però
danneggiavano, seriamente gli interessi americani nell’Isola. Come noto gli
americani decretarono sanzioni, fino ad arrivare all’embargo totale che cacciò
Cuba in una gravissima crisi, sull’orlo della bancarotta. Eppure Castro riuscì ad andare avanti
ugualmente, a portare a termine le sue riforme. Dovette si, stringere rapporti
commerciali e politici con i Sovietici ed altri paesi comunisti, ma mantenne
sempre una sua dignitosa indipendenza.
In
ogni caso, il pericolo che l’Italia
sarebbe passata con i sovietici, era inesistente, perché a differenza di Cuba,
che avrebbe anche potuto entrare a far parte del blocco Sovietico, i rapporti
internazionali per l’Europa erano regolati da Jalta, e l’Italia, non poteva
passare nel blocco dell’Est, tanto che neppure i Sovietici si sarebbero
azzardati ad accoglierla. Quello che veramente temevano gli americani, come
hanno sempre poi temuto, era il fatto che una vittoria delle sinistre avrebbe
permesso all’Italia di recuperare una certa autonomia e quindi avrebbe potuto
indirizzarci verso posizioni autonomiste, prima ancora di essere inseriti nel Patto
Atlantico già previsto e che sarebbe
entrato in vigore l’anno successivo.
E’ ovvio quindi che parteggiare per il
fronte conservatore e filo occidentale era andare contro gli interessi
nazionali.
Se
oggi il nostro paese, dopo 70 anni, è
ancora colonizzato, anzi ha perduto ogni minimo residuo di sovranità
nazionale, ed ha ben 113 basi Nato, sotto controllo straniero , nel suo
territorio, le cause, le origini e le responsabilità di tutto questo, risalgono
proprio a quegli avvenimenti e il MSI ne porta una pesante e infamante responsabilità.
Come si poteva prevedere quelle elezioni
del ‘48, oltre ogni più ottimistica previsione, diedero alla DC, con complessivi 12 milioni e 700 mila voti, il 48,5
percento quindi, la maggioranza relativa
dei voti e quella assoluta dei seggi (le sinistre del Fronte democratico popolare, sotto l’effige di Garibaldi, presero
il 31 percento dei suffragi) e al contempo al MSI, che alle elezioni è comunque
andato da solo, per la camera, diedero 526.670 voti, ovvero il 2 percento, e 6
deputati: Almirante e Michelini per il collegio unico nazionale e 4 deputati per
il Centro Sud: Mieville, Roberti, Filosa, Russo Perez.
Al Senato, con l’1,1 percento dei voti, il
MSI ottenne un solo senatore: Enea Franza.
L’analisi del voto, oltretutto, dimostrava
che il MSI aveva raccolto voti solo nel Centro Sud mentre al Nord era stato un
fiasco completo.
Oltretutto il MSI, oltre alla riserva che
abbiamo accennato circa un suo appoggio sottobanco alla DC, era andato a queste elezioni con un programma
decisamente sociale, ma evidentemente non era stato reso credibile, tanto più
per il fatto che non pochi dirigenti di questo movimento esprimevano
atteggiamenti e politiche decisamente conservatrici. Come abbiamo visto, lo
scarso successo elettorale del MSI consentì successivamente alle correnti
interne di destra di liquidare, in breve tempo, ogni apertura del partito verso
programmi socialisteggianti e del pari anche l’annacquamento e poi la
liquidazione delle posizioni, in politica estera, terzaforziste ed europeiste o
comunque di una certa equidistanza sia dall’Urss che dagli Usa. I grandi
burattinai di queste operazioni saranno De Marsanich e Michelini, ma possiamo
dire che molti altri dirigenti ne furono artefici o comunque complici, del
resto tutti azzannavano l’osso nel partito e ben pochi intendevano staccare le
mascelle per combattere battaglie ideali fino alle estreme conseguenze.
Tanto
per gradire il clima cannibalesco che già aveva improntato questi novelli
“neofascisti”, è bene ricordare che Luigi Palmieri, primo dei non eletti
missisti in Calabria, denunciò Luigi Filosa per attività clandestina e
sovversiva nel 1944.
La Camera dei deputati, accogliendo il
ricorso dichiarò decaduto il Filosa ed elesse al suo posto il Palmieri. Il MSI,
non potendo passar sopra lo squallido episodio, espulse il Palmieri e rimase
con un deputato in meno.
Il Patto Atlantico
Il
massimo del servilismo:
“Bisogna contribuire a riannodare i legami
della solidarietà europea, concependo l'Europa occidentale come legata per
necessità di vita al grande continente americano”.
Documento
politico della Direzione Nazionale MSI 8 luglio 1966.
Le accennate vicende di
Servello e del Meridiano d’Italia, ci
consentono anche di considerare un altra sporca pagina della storia del MSI,
quella della sua accettazione della Nato, il Patto Atlantico.
Si badi bene, il Patto Atlantico non fu
solo una “alleanza militare” per fronteggiare un ipotetico e oltretutto, stante
Jalta, inesistente pericolo sovietico. Questo “Patto” scellerato era invece un
“sistema” attraverso il quale gli statunitensi avrebbero potuto creare
strutture politiche e militari che ingessassero e subordinassero nell’Alleanza
Atlantica e quindi agli Stati Uniti, le singole nazioni europee e i rispettivi
Stati Maggiori, perpetuando il loro
colonialismo in Europa. Nazioni che erano state già conformate, inglobate e
subordinate nei meccanismi economici finanziari dell’Occidente ipercapitalista
e dell’usura bancaria.
Tradimento della
Patria
Il teatrino dei
“Possibilisti”
Come abbiamo visto, dopo le elezioni del 1948, Servello e il suo “Meridiano” decisero di puntare sul MSI.
La scelta tornerà anche opportuna, per partecipare, da dentro, all’infuocato
dibattito che dagli ultimi mesi del 1948 spaccava il MSI tra “Possibilisti”, favorevoli al Patto
Atlantico, e “Terzaforzisti”,
decisamente contrari.
Il
governo italiano ad aprile 1949, nonostante infuocate polemiche in parlamento,
firmò a Washington questo patto scellerato che poi, tra lacerazioni, altre proteste
e polemiche, il parlamento ratificò a luglio.
Alquanto
sfumata o viceversa contraddittoria risulterà la linea politica del Meridiano su questo argomento, visto che
ci scriveva anche Concetto Pettinato, tutt’altro che fascista intransigente, ma
contrario all’Italia nell’Alleanza,
mentre il Servello, evidentemente conscio che anche la base missista al tempo
era prevalentemente contraria, tenne una posizione più che ambigua, scaltra.
Al
congresso missista di Roma dell’estate del 1949, terminato il 1 luglio, infatti, pur “ritenendo” negativa (ma guarda
un pò!) l’adesione al Patto Atlantico, Servello chiedeva di:
«conferire ai vertici del partito il potere
di valutare e orientare definitivamente questo mandato, nella eventualità che
intervengano fatti nuovi di enorme importanza».
Almirante e De Marsanich, si dichiararono
favorevoli. E voilà, il gioco era fatto
a nome dell’unità.
Per salvare la faccia i parlamentari
missisti si astennero a luglio nella votazione di ratifica del Patto Atlantico,
ma le premesse per far passare al più presto, tra i militanti del MSI,
l’accettazione di questa alleanza, erano oramai gettate.
Nel
frattempo Pio XII, di fatto favorevole al Patto Atlantico, il 1 luglio 1949 emanò
la scomunica verso i fedeli che professano la dottrina del comunismo,
soprattutto chi lo difende e ne fa propaganda.
Come era negli intenti di molti, il nuovo
Segretario Nazionale, De Marsanich dal gennaio 1950, dopo che in Direzione
Nazionale, con 25 voti contro 19, aveva scalzato Almirante [4]
(sembra che ambienti democristiani, per
mantenere un certo “dialogo”, avevano preteso un segretario, il meno implicato
possibile con un passato fascista), riuscì poi a completare l’accettazione
della adesione del Msi alla Nato. Anzi con il tempo questo partito ne divenne
un fanatico difensore.
A
novembre del 1951 entrò ufficialmente nel MSI J. Valerio Borghese, che il mese successivo
venne fatto presidente onorario. Borghese, il buon amico di Angleton, dall’alto
del suo prestigio, si dichiarò subito favorevole all’Alleanza Atlantica.
Dal
canto suo De Marsanich, il 27 novembre 1951, alla vigilia del primo Consiglio
Atlantico proprio a Roma, in una conferenza, senza provare alcuna vergogna, ebbe lo
spudorato coraggio di affermare che:
Ma
in spudoratezza e mancanza di vergogna, forse lo superò Filippo Anfuso, già
ambasciatore e poi sottosegretario agli
esteri in RSI, che era rientrato in Italia nel 1950 dopo essersi rifugiato in
Francia e poi in Spagna, ed aveva aderito al MSI, il quale, da buon filo
atlantico, se ne esce con una trovata, a dir poco idiota, affermando che non
sono stati i fascisti a spostarsi su posizioni Atlantiche, ma al contrario gli
Alleati Occidentali, avendo questi cambiato il vecchio motto del Duce: “O Roma o Mosca” in “O
Washington o Mosca”.
Il “nazionalista” Ezio Maria Gray, che
si era messo da un certo tempo in “quarantena”, rientrò nel partito, ora a suo
perfetto agio, e lo stesso Almirante, ondivago come sempre, scrisse su “La Patria degli italiani”, di cui era
direttore, queste altre ignobili indicazioni:
<"Bisogna convincere i padri di
famiglia che, se si combatterà, lo si farà per le mogli e per i figli.
Convincere i giovani figli che ripetere, come molti, come troppi fanno, lo
slogan che fu di Moranino e di Moscatelli – andremo in montagna – è nelle
circostanze attuali, la più colossale, la più vile delle diserzioni".
Insomma Almirante, esperto nell’arte della retorica parolaia,
usando i richiami alle dolorose vicende della guerra civile, si dava da fare
per spingere tutti all’arruolamento nella Nato, specialmente se dovessero
accadere eventi bellici.
Queste
tristi vicende che segnarono una svolta definitiva nel MSI, collocandolo
inequivocabilmente tra i partiti filo americani e filo atlantici influenzandone
per sempre tutta la sua politica interna ed internazionale, sono segnate dalle commoventi parole dell’ex ufficiale della
Marina Militare RSI, Ferruccio Ferrini, ispettore nazionale della Federazione Nazionale
Combattenti RSI, il quale bollò, nel febbraio del 1952, le iniziative
filo-atlantiche di Junio Valerio Borghese:
"Sono
stato Sottosegretario alla Marina della RSI – diceva questo ufficiale - e ho
sempre creduto che la nostra adesione alla RSI volesse dire rottura definitiva
con le caste monarchiche, vaticanesche e capitaliste (….) ho sempre creduto che
la nostra adesione alla RSI volesse dire affermazione del principio storico per
l’Italia di combattere contro le plutocrazie occidentali, cioè contro
l’Inghilterra, la Francia e l’America.
In nome di tale principio
storico, noi abbiamo continuato la guerra nella quale sono caduti, in
combattimento o nelle imboscate, centinaia di migliaia di italiani degli
opposti schieramenti.
Quando
ho letto le dichiarazioni atlantiche di Borghese, dal profondo della mia
coscienza di soldato è venuto questo interrogativo: ma come?
E
la nostra guerra del sangue contro l’oro, dei poveri contro i ricchi?
Era
necessario, per arrivare a vestirsi da inglesi e da americani, prolungare di
venti mesi la guerra sacrificando centinaia di migliaia di italiani, facendo
processi clamorosi, condannando a morte i membri del Gran Consiglio, il re, i
monarchici, i clericali (….)? Perché
oggi Borghese, Presidente Onorario del MSI si dichiara apertamente per
l’esercito integrato d’Europa, cioè per il patto angloamericano?
Era
necessario, per giungere a questa conclusione, votare al macello centinaia di
migliaia di italiani?".
(Le dichiarazioni di Ferrini comparirono
anche ne “Il Pensiero Nazionale”, 16-29
febbraio 1952).
Il “Meridiano”
proseguì le pubblicazioni con una linea contraddittoria, vista la penna di
Pettinato e altri che divergevano anche da quelle tendenze missiste che
appoggiavano l’intervento americano in Corea: la china era oramai divenuta
inarrestabile e ben presto il partito divenne più filo americano degli stessi
americani.
Per
valutare l’ignominia e il suicidio politico del MSI è sufficiente leggere le
parole espresse da Daniele Lembo, scrittore pur non avverso ad ambienti di
destra e nazionalisti e che non può certo definirsi un “estremista”. Scriveva
Lembo:
"L’adesione all’Atlantismo fu una scelta ideologica disastrosa. Significava
sancire la colonizzazione americana e con questa l’assimilazione culturale
ideologica agli Stati Uniti. Il MSI avrebbe potuto svolgere nella politica
italiana il ruolo di custode dei valori nazionali e tradizionali: scelse
invece, in nome dell’anticomunismo di aggiogarsi al carro del vincitore".
(D. Lembo: Fascisti dopo la liberazione, Ed. Grafica Ma.Ro., 2004).
Ci sarebbe
però da far osservare che il MSI non “scelse”, quella linea, ma nei fini di alcuni
di quelli che lo avevano creato, era proprio nato per perseguire gli interessi
statunitensi in Italia. E in pochi anni quei fini furono raggiunti in pieno.
Se nelle
intenzioni e nell’operato di alcuni di coloro che avevano contribuito a farlo
nascere, Il MSI era destinato a rendersi disponibile per servire gli interessi
americani in Italia, è con il suo totale allineamento all’atlantismo che questo
partito viene anche ad essere permeato dalla cultura americana di destra, a
dover giocoforza optare per tutte quelle posizioni internazionali filo
americane e quindi ad essere destinato a recitare un ruolo essenzialmente contrario
agli interessi nazionali, perché c’è poco da fare: in campo internazionale,
alleanze tattiche possono anche essere necessarie, ma gli interessi geopolitici
dell’Italia erano sempre stati e ancor più lo erano ora in una Europa occupata,
divergenti da una collocazione Euro Atlantica.
Oggi che ci
ritroviamo un paese che ha perso ogni minimo residuo di indipendenza nazionale,
costretto a impegnarsi in sporche guerre per gli interessi Occidentali e che è
stato occupato da ben 113 basi Nato, anche nucleari, tutte sotto controllo
Atlantico, collocazione che ci espone a rischi incredibili in caso di
conflitti,[6] la
responsabilità ricade anche sulla servile politica del MSI tenuta per quasi 50
anni!
E a proposito dei giorni nostri un altra
precisazione si rende necessaria.
In questo testo abbiamo spesso utilizzato il
termine “Atlantismo”, strategie
atlantiche. In realtà questo
termine andava bene per le vicende storiche perdurate fino al Watergate in
America (1974), un evento di cambiamenti epocali che si concretizzarono
soprattutto a partire dalla caduta del muro (1989) e la fine di Jalta. Da quel
momento in poi gli scenari geopolitici internazionali cambiano e le strategie
mondiali e di riflesso anche quelle dispiegate in Italia dagli occidentali,
uscirono dalle situazioni contingenti, dal confronto con l’Unione Sovietica ed
assunsero la loro vera dimensione “mondialista”.
Abbiamo tuttavia
continuato a definire gli scenari che ci riguardano come conseguenza di “strategie
atlantiche”, in quanto la Nato, pur ristrutturata e con altri scopi, perdura quale braccio armato dell’Occidente e
del mondialismo appunto. Resta comunque il fatto che l’analisi geopolitica
complessiva, meriterebbe, altre valutazioni e definizioni, da farsi magari in
altra sede.
Il gioco delle parti: le richieste di “scioglimento”
Quando si dice “portare le mutande in faccia”
"Mai avrei creduto, quarant'anni fa (…),
che un giorno avrei sollevato le grida di una tale moltitudine di giovani. E
tutto ciò senza intaccare la purezza della nostra Idea, senza accettare
compromessi da nessuno e, soprattutto, senza rinunciare al nostro
passato".
(Almirante
in comizio a Mestre, giugno 1987)
Sono stati quelli, fine anni ’40, primi anni ’50, momenti cruciali per l’assestamento
a destra del MSI e la sua definitiva trasformazione reazionaria a seguito della
quale non potevano che accentuarsi, proprio come si voleva, gli scontri con i
“rossi”.
In
particolare dopo una serie di gravi scontri con i comunisti, sopratutto a Roma,
accadde che il democristiano ministro degli interni Scelba nel 1950 proibì di
tenere il terzo congresso missista a Bari.
Successivamente Scelba arrivò a presentare
un disegno di legge, approvato a giugno del 1952, la cui formulazione avrebbe
potuto anche consentire di chiedere lo scioglimento del MSI, per tentata
ricostituzione del Partito fascista, punire l’apologia del fascismo, ecc., cosa
che era tutta da ridere.
Probabilmente
ci fu un gioco delle parti visto che alla Democrazia Cristiana faceva comodo
“demonizzare” questo partito e carpirgli qualche voto tra i moderati e i benpensanti, mentre la dirigenza missista,
liberale e moderata, come era nei desiderata degli ambienti democratico-conservatori,
poteva azzittire ogni opposizione interna nascondendosi dietro lo “stato di
necessità” e il pericolo di scioglimento (come dire: non tutto il male, gli
veniva per nuocere).
Anche
a tutti gli altri avversari, comunisti compresi, che ben sapevano che il MSI
era tutto meno che fascista, tornava utile, in nome dell’antifascismo,
dipingerlo come tale e chiederne la messa al bando, che però non conveniva a
nessuno.
Queste
richieste di “scioglimento” si ripeteranno altre volte, in particolare negli
anni ’70, con richieste anche da parte della magistratura, visti i tanti
coinvolgimenti del MSI in vari episodi di violenza nel periodo della strategia
della tensione e sempre possiamo inquadrarli in una specie di “gioco delle
parti” con gli scopi sopra accennati.
A parte, infatti, qualche richiesta di
“scioglimento” avanzata da settori della magistratura politicizzati, in base ad
un loro pronunciarsi più che altro, “per ufficio”, a seguito di fatti ed
episodi che potevano riguardare la Legge Scelba, nell’agone politico nazionale
o tra tutti gli altri partiti, “compagni di merende” dei missisti, nessuna
persona seria, informata e intelligente, poteva veramente credere che questo partito volesse riproporre o
addirittura restaurare il fascismo.
Un gioco delle parti, quindi, atto anche
a ricatti e alchimie politiche che, negli anni successivi, si ripeté altre
volte, ma guardandosi bene dal portarlo a compimento.
Spesso e senza vergogna alcuna, i
dirigenti missisti, accusati da qualche militante di aver svenduto tutto il
patrimonio fascista, avevano anche il vile e barbaro coraggio, di negare
quest’opera infame, replicando che, anzi, proprio le richieste di scioglimento
per presunta ricostituzione del partito fascista, dimostravano il contrario.
Come
stavano le cose, rispetto alla volontà dei missisti di rifarsi al fascismo e
volerlo restaurare, lo aveva da tempo capito anche Guglielmo Giannini
(giornalista, drammaturgo, fondatore dell’Uomo
Qualunque) che ben conosceva i suoi polli, il quale il 9 aprile del 1948 in un articolo
intitolato: "Ah! Ah! Ah! Questo
branco di fessi!", già apparso su "Il Buonsenso", scrisse che il Msi rappresenta uno:
"squadrismo
di seconda mano a disposizione della Democrazia cristiana"; - privi di
alcuna possibilità di restaurare il fascismo per mancanza di capi, difatti, che
valore possono avere, si chiedeva Giannini - «poveracci del tipo di Giovanni Tonelli, di
Giorgio Almirante e d’altri fregnoni che non sono mai stati niente e che non
potranno mai essere niente?
E’
dunque pazzesco, oltreché ridicolo, credere che il fascismo si possa restaurare
con simili melensi cercatori di posticini».
Come
già abbiamo accennato in altra parte, questa farsa delle richieste di
scioglimento per tentata ricostituzione del partito fascista, presentano due
aspetti da considerare e che oltretutto variano anche nel tempo.
In questi primi anni di vita, le
richieste di scioglimento del MSI erano del tutto pretestuose perché i partiti
antifascisti sapevano bene che i dirigenti del Msi tutto potevano volere meno
che la ricostituzione di un partito fascista e gli unici riferimenti al passato
erano solo in una certa retorica da comizi, mentre per quanto riguarda gli atti
e i contenuti dei programmi missisti, già da allora, divergevano nettamente da
quello che era stato il fascismo repubblicano.
Negli
anni successivi, stante il perdurare della pretestuosità di queste richieste, a
causa del conformarsi evidente e totale del Msi quale un partito conservatore e
reazionario, tipicamente di destra, quello di cui si andava a chiedere lo
scioglimento non poteva di certo dirsi che si trattava del fascismo, anche se
oramai l’imaginario collettivo e i luoghi comuni ad arte creati dagli
antifascisti, dai missisti e dai benpensanti imbecilli, tendevano a definire
per fascismo proprio questa balorda accozzaglia di ideali di destra.
Un vero e proprio inganno e dramma
storico.
Per
la cronaca, in quei primi anni ‘50 e nelle nuove situazioni determinatesi dopo
la sua segreteria, Almirante, questo
saltimbanco, da una posizione politica nel partito all’altra, smise di fare
l’intransigente e collaborò con il nuovo segretario De Marsanich il quale, cogliendo al volo
l’occasione, rivolse un appello a monarchici e liberali, onde stipulare un “patto di unità d’azione” tra tutte le
destre.
A dicembre del 1951, infatti, il Comitato
Centrale del MSI deliberò a maggioranza l’apparentamento con i monarchici del Partito Nazionale Monarchico per le
elezioni amministrative del 1951 – ’52: il
25 luglio e Badoglio erano oramai un lontano ricordo!
Anche il “Meridiano” finirà per gettare la maschera facendosi portavoce di
quella corrente che interpretava il connubio con i monarchici e gli ex badogliani, come una necessità tattica.
Qui
sotto, volantino dei fascisti ella FNCRSI contro Nixon e la Nato.
La scissione “ordinovista”
Pancia in dentro, petto in
fuori, Ne consegue e ciascuno
stima,
noi marciam tutti
inquadrati, come in effetti
è già successo
nel partito siam tornati, niente facevamo prima
Noi marciam in fitta
schiera,
con
il passo e il far dell’oca,
ma la nostra forza è poca,
non
potremo far carriera.
En
passant accenniamo anche al 1956 quando, al congresso missista di Milano, che
riconfermò Arturo Michelini segretario, [8]
si determinò la fuoriuscita dal MSI di un gruppo di militanti che diedero vita
al Centro Studi Ordine Nuovo, un
gruppo le cui premesse ed un abbozzo di struttura erano nate alcuni anni prima.
Molti
anni dopo, nell’autunno del 1969, con grandi lacerazioni interne, il Centro Studi Ordine Nuovo, capeggiato da
Pino Rauti (foto a lato), rientrò nel MSI con Almirante neo segretario, mentre
una parte consistente, non accettò questa decisione e diede vita al Movimento Politico Ordine Nuovo, poi
sciolto per Legge.
Le cronache storiche e varie
documentazioni ci dicono che ON entrò in quasi tutte le inchieste sulla strategia della tensione risultando una
sua dipendenza dallo Stato Maggiore e collusioni di vario tipo con le
Intelligence Usa, in particolare nell’aerea del Triveneto.
La
desecretazione di tanti documenti, le
inchieste giudiziarie, i processi, testimonianze di pentiti e di ex autorità
dei nostri Servizi Segreti, hanno potuto svelare molte ambigue storie che in
questo caso, purtroppo, sarebbero state spesso giocate alle spalle dei tanti camerati
che, in tutta buona fede, avevano creduto e militato in quel movimento.
Su O.N., scrive Vincenzo Vinciguerra,
mai adeguatamente smentito:
"Buona parte di coloro che formavano i quadri
e i nuclei militanti dell’organizzazione erano in diretto contatto con
funzionari di Polizia e ufficiali dei Servizi Segreti e, alcuni di essi, erano
addirittura stabilmente inseriti nelle “strutture parallele” tipo Gladio".
(Vinciguerra: La strategia del depistaggio, Ed. Il
Fenicottero Sasso Marconi 1993).
Dalla
analisi di queste vicende e per avere il senso della situazione, si evince che
Ordine Nuovo esternamente si esprimeva per posizioni antiamericane quando
invece era occultamente a disposizione delle strutture Atlantiche.
Già una certa
acritica infatuazione per la Oas francese, chiaramente strumentalizzata dalla
Cia in opposizione a De Gaulle, le simpatie per regimi dittatoriali come quello
di Franco in Spagna e di Salazar in Portogallo, oltre al golpe dei Colonnelli
greci, made CIA (tutti risolutamente filo Atlantici, fin quando gli americani
non li scaricarono) e vari connubi con organizzazioni di destra europee, avevano
mostrato il carattere spurio di Ordine Nuovo, ma fu a gennaio 1967 che venne
gettata la maschera, quando su "Noi
Europa" ", foglio di O.N. ci si chiese: "Nasceranno
i centurioni americani dalla guerra nel Vietnam?", dove si cercava di
dare una valenza positiva a quella sporca guerra americana nel Vietnam.
Purtroppo per
l’articolista, non molto tempo dopo, gli “eroici
centurioni”, dovranno fuggire dal
Vietnam, umiliati e sconfitti, anche aggrappati agli elicotteri.[9]
Come sempre accade nelle vicende del neofascismo,
se dovessimo decifrare gli avvenimenti, attraverso interviste a posteriori e
ricordi di vecchi esponenti, oltre a non avere alcun accenno, come è ovvio che
sia, a certe “collusioni” e fini reconditi, non ne ricaveremmo nulla. Ad
esempio Pino Rauti, ebbe a sostenere:
<<ON, nacque dalla fusione di istanze intellettuali e di istanze
attivistiche. Fu il frutto di un accordo fatto a Roma tra me, Lello Graziani e
Sergio Baldassini. Sentivamo l’esigenza di incidere maggiormente sulla linea
del partito>> (Cfr.: N. Rao, La
fiamma e la Celtica, Ed. Sperling & Kupfer, 2006),
Una versione questa solo parzialmente e
superficialmente vera.
Da
ricordi di camerati coevi, alla genesi di Ordine Nuovo (lasciando da parte eventuali interessi reconditi dello Stato Maggiore,
in linea con le strategie stay behind), non fu estraneo anche un segreto
interesse dello stesso segretario nazionale Michelini, che probabilmente
appoggiò sotto banco la corrente scissionista e di opposizione di Pino Rauti,
quella che poi risultò preponderante nel nuovo organismo ordinovista. Anche se
opposta alla corrente “liberista” di Michelini, paradossalmente, per il
segretario missista, questa corrente culturale “tradizionalista” di Rauti era
meno fastidiosa delle altre opposizioni interne.
Evola e il Tradizionalismo: infatuazione e
alibi
Vale la pena di spendere due parole per
accennare alla corrente di Ordine Nuovo che si caratterizzò
per una impostazione culturale
”Tradizionalista” del fascismo, rifacendosi al pensiero di J. Evola.
A
prescindere dai temi propriamente iniziatici e di studi esoterici, Julius Evola ha avuto due grandi meriti: quello di
dimostrare e rendere palese che certi riti e simbologie erano preesistenti al
Cristianesimo ed alla stessa Massoneria e quello di qualificare il fascismo anche su di un piano “metastorico” integrandone e precisandone meglio i valori
eroici e spirituali che
lo caratterizzavano,
attestandolo in tal modo in una dimensione che
trascendeva i
soli aspetti reducistici
e sociali.
Si
può senz’altro dire che molti aspetti della “sapienza antica” evidenziati e
rielaborati da Evola, danno alla dottrina del fascismo dei punti di riferimento
importantissimi.
E’
qui che però si pone un grosso problema, perché la visione di Evola, mutuata da
una antica conoscenza sapienziale, doveva costituire, più che altro, una “indicazione di riferimento” a cui, in un
certo senso, lo stesso fascismo si era rifatto, potendo dirsi che il fenomeno
fascista rientrava in quelle affermazioni storiche della Tradizione.
Ma
il fascismo, era anche una affermazione del XX secolo, il secolo delle masse, e
quindi certi prìncipi li aveva adattati ai nostri tempi attingendo anche,
seppur superandole, a quelle trasformazioni storiche come la Rivoluzione
francese e il Risorgimento, che sono state manifestazioni sovversive rispetto
al “mondo della Tradizione”.
I
tempi di certe “Aristocrazie” erano oramai finiti: ora i “nobili” sperperavano
nei Casinò e nelle stazioni termali e le nuove aristocrazie potevano
riconoscersi solo nella rivoluzione e nelle trincee. [10]
Si
dà il fatto, invece, che il pensiero di Evola, sconfinando
sul piano politico, non solo era chiaramente reazionario, ma come molti avevano fatto
notare, era rimasto a Donoso Cortes e
Metternich. Evola, che oltretutto non aveva aderito alla RSI, ritenendone
il suo portato repubblicano e socialista, contrario
alle sue idee, praticamente, aveva come riferimento ideale i tempi delle caste.
Egli asseriva che se il Re
aveva sbagliato e tradito, andava semmai sostituito, ma senza abbattere il principio monarchico. Ma
proprio qui stava il problema, perché, anche a prescindere dalla indegna
dinastia dei Savoia, proprio quel principio monarchico, la storia, i fatti, la
realtà avevano dimostrato che non poteva più
assolvere quelle funzioni sacrali e spirituali che lo legittimavano. E
stessa cosa si poteva dire per il sociale: se nei tempi moderni il rapporto
padrone – lavoro era regolato dalla paga, dove era il problema se il fascismo
cercava di regolarlo anche secondo giustizia e oltretutto senza rinnegare la
funzione imprenditoriale, poneva anche la forza lavoro ai vertici dell’azienda?
Ma
l’aspetto peggiore di questa visione reazionaria lo si riscontra nelle sue
conseguenze. Nonostante che dottrinalmente Evola avesse ben inquadrato gli
aspetti negativi e nefasti sia del bolscevismo che dell’americanismo, politicamente finì per elaborare una specie di graduazione del “male minore” che finiva per indurre a parteggiare per il cosiddetto “mondo libero” onde contrastare il comunismo.
A parte il
fatto che questo
“mondo libero” tutto era meno che preferibile
ad alcunché,
si creava anche un alibi per
giustificare connubi
e collusioni con
l’Occidente che
invece era
proprio il principale ”nemico dell’uomo” e del fascismo,
distruttore della dimensione spirituale dell’esistenza, essendo il comunismo,
nella sua attuazione pratica, una utopia irrealizzabile nella condizione umana
e quindi una “nomenklatura” per quanto criminale, del tutto fittizia e
transitoria.
Fatto
sta che gli “Orientamenti” di Evola,
presi alla lettera e trasposti in politica, furono anche funzionali alla
reazione e un alibi per chi operava, sotto dettatura Atlantica, di fatto in
senso antinazionale.
Ma c’è ancora un altro aspetto nell’ “evolismo”,
che presenta inquietanti aspetti: gli studi e le prospettive esoteriche che non
dovrebbero essere per tutti, ma solo per chi ha determinate qualifiche per
percorrerle. Così come, non per tutti, è anche il Cavalcare la Tigre. Diversamente possono anche potare qualche
esaltato a infatuazioni da “figli del sole” e pericolose devianze. Infatuazioni che vanno anche al di là del
pensiero di Evola e che unite ad un esasperato anticomunismo viscerale, possono
arrivare a prospettare “l’uomo indifferenziato”, al di sopra dei comuni civili, considerati, come sostiene il giudice Guido Salvini, semplici bipedi che possono essere sacrificati
per realizzare il “Nuovo Ordine europeo”.
Di Ordine Nuovo, forse il gruppo più impregnato di “evolismo”, scrive
appunto il giudice Salvini: "Ordine Nuovo ha compiuto molti attentati
prima e dopo il 12 dicembre (Pz. Fontana)".
Se
questo risponde al vero noi non possiamo saperlo con certezza (è doveroso non
fidarsi mai di questa magistratura) e comunque riteniamo che Ordine Nuovo ha
anche avuto tantissimi militanti di valore e in assoluta buona fede, ma a detta di vari magistrati numerosi sono i
responsabili di attentati inchiodati da prove o reo confessi, risultati quali
militanti di Ordine Nuovo e molti, in qualche modo attigui, se non in forza con
i Servizi, tanto da avere a volte anche un criptonimo di riconoscimento
interno.
Per un fenomeno del genere che,
praticamente, avrebbe anche partorito “mostri”, una ragione pur dovrà esserci e
non può essere solo quella della dipendenza dai Servizi e dalle strategie Stay.behind.
Lungi
da noi l’intento di criminalizzare il pensiero Tradizionale, al quale in molti
aspetti ci riconosciamo, ma non è un mistero che certa “sapienza” era sempre
stata celata con un linguaggio allegorico e ermetico, per iniziati appunto e
appartenenti a regolari scuole iniziatiche. Ora tutto questo, nel mondo
moderno, non c’è più e la stessa Sapienza aveva avvertito dei pericoli,
soprattutto di “corto circuito mentale” e di “contro iniziazione” a diffondere
intellettualmente e a tutti una certa “conoscenza” (qualcuno ha anche affermato
che il fenomeno delle Sette Sataniche è il meno che possa accadere).
Risultanze inquietanti
Ecco quanto emerse dalle inchieste
del giudice Guido Salvini, rese
nel corso di una intervista video, in seguito
rivista dallo stesso giudice, il
27 novembre 2000 prima di pubblicarla:
"Nelle
ultime indagini si è messo a fuoco il ruolo delle basi americane in Veneto
della NATO, che sono coinvolte
nei fatti più importanti della strategia della tensione, in particolare
addirittura che elementi di Ordine
Nuovo entravano e uscivano dalle basi, svolgendo con una doppia veste
attività di informazione, mentre si stavano preparando gli attentati.
Recentemente l’ordinovista Carlo
Digilio ha parlato di rapporti diretti fra suo padre, anch’egli agente
americano e il capo dell’OSS in Italia, James
Angleton".
Ma ancora più inquietanti
sono le testimonianze rilasciate dal generale Gian Adelio Maletti, Nro 2 del
Sid, in una intervista rilasciata in Sud Africa in cui, dopo aver confermato le
collusioni di O. N. con il Sid, ha espresso il convincimento che l’esplosivo,
utilizzato per Piazza Fontana, arrivò in Italia da basi Nato in Germania e
venne consegnato a Mestre a elementi non precisati di Ordine Nuovo. [11]
Ci sarebbe altro da dire, ma ci fermiamo qui.
Per
quanto riguarda la genesi di Ordine Nuovo, altri ricordi di camerati coevi, di
cui purtroppo si sono perse le documentazioni, attestano che:
"Il
primissimo Ordine Nuovo ebbe origine da un piccolo gruppo di ex-militanti del
MSI, raccolto intorno a P. F. Altomonte (ex-comandante di un Battaglione di BB.
NN., già responsabile culturale del MSI e futuro presidente della Fncrsi), con
l'intento di delegittimare la dirigenza missista.
Il
massone Michelini, valutatane la pericolosità, ma anche l'assoluta povertà di
mezzi - al fine di procurarsi un mezzo di vigilanza e di condizionamento dei
giovani fascisti più volitivi e più culturalmente preparati - affidò a Rauti,
giovane tanto intelligente quanto ambizioso, l'incarico e gli fornì i mezzi per
fondare un altro Ordine Nuovo che neutralizzasse quello esistente. Questa
operazione si saldò con quella più generale di controllo e di
strumentalizzazione nell' ”ambiente”" (Vedesi:
Direttivo Fncrsi, Foglio di orientamento n° 1 /1997).
Ma
questi giochi politici, in un certo senso, sono una consuetudine della
politica, quello che invece è poi emerso è il fatto che, dietro a tutto, ci dovette
anche essere stata una manovra del nostro Stato Maggiore, il quale dentro al
contesto occidentale, che a quei tempi stava mettendo in atto le strategie stay behind e le successive “Gladio”,
ispirate dalle centrali atlantiche, creava in pratica un “diversivo strategico”
per arrivare al controllo e alla disponibilità di strutture politiche che
potessero mettere a disposizione, fuori dagli ambiti militari, ma a questi in
qualche modo riferibili, personale civile, per utilizzarlo in compiti di
propaganda, ma all’occorrenza anche paramilitari.
Di Pino Rauti, invece, scrive Ugo Maria
Tassinari, osservatore del fenomeno neofascista:
"Il viscerale disprezzo per la democrazia
definita “sifilide dello spirito” e la mai rinnegata venerazione per le eroiche
SS, non hanno impedito a Rauti di essere in busta paga di apparati della
Repubblica nata per la Resistenza e, secondo acquisizioni istruttorie, da lui
sdegnosamente smentite, anche direttamente dalla Cia. (…)
Secondo
l’ex colonello Oscar Lee Winter, Rauti sarebbe stato un agente della Cia, con
uno stipendio mensile di 4.000 dollari".
(U. M. Tassinari: Fascisteria,
Ed. Sperling & Kupfer 2008).
Ma in questa nostra
ricostruzione storica, tali aspetti di possibile, chiamiamola, “corruzione” a
noi non interessano, sarà compito delle future generazioni, in base ad
ulteriori documentazioni accertarle, a noi interessa solo il fatto che Rauti,
come del resto Ordine Nuovo, erano in “sintonia” con le politiche dello Stato Maggiore degli
anni ’50 e ’60 e quindi, volenti o nolenti, erano funzionali alle strategie atlantiche.
Non è il caso qui di approfondire
questi aspetti, ma un ampia letteratura, suffragata da molte documentazioni, è
a disposizione di chiunque voglia approfondirne l’argomento (Vedesi:
V. Vinciguerra:
http://www.archivioguerrapolitica.org/;
S. Limiti: Doppio
Livello, Ed. Chiarelettere 2013; F.
Imposimato: La Repubblica delle stragi
impunite, Ed. New Company 2013; A.
Seresini, N. Palma, M. Scandaliato: Gianadelio
Maletti: P. Fontana - Noi sapevamo,
Ed. Aliberti 2010).
La Massoneria
"Anche a Piazza del Gesù, come in tutte le Massonerie del mondo,
esisteva una loggia coperta destinata a riunire i fratelli più in vista. Si
chiamava Giustizia e Libertà e in passato aveva visto una comparsa (rapida)
dell’ex presidente del Senato Cesare Merzagora, dei generali Giuseppe Aloja e
Giovanni De Lorenzo, persino il caporione fascista Giulio Caradonna era entrato
e uscito diverse volte"-
(R. Fabiani: I massoni in Italia, Editoriale
L’Espresso 1978).
Sebbene molti se ne possano
sorprendere, non ci sono però dubbi che
la Massoneria, onnipresente e influente in tutti i settori sociali e politici
della Nazione ha sempre avuto un ruolo decisivo nelle vicende storiche del
nostro paese.
Storicamente sappiamo che venne messa al
bando per legge dal regime fascista, ma di certo non venne smantellata e
massoni continuarono ad essere anche molti gerarchi fascisti.
Andata in “sonno” nel ventennio, venne
richiamata all’azione dalla Grande Massoneria d’oltreoceano per sabotare la
guerra e abbattere il fascismo. Compito
che eseguì magnificamente, anche a costo della pelle dei nostri soldati e si
può dire che le vicende del 25 luglio 1943 si svolsero dietro fitte trame
massoniche tra Casa Savoia, alcuni gerarchi fascisti e generali dell’Esercito
(alcune testimonianze attestano addirittura che il 25 luglio venne pianificato
alla Banca Commerciale, da quel nucleo “massonico-finanziario-affarista”, erede
di Giuseppe Toeplitz).
La Resistenza, ma purtroppo
anche la Repubblica Sociale Italiana ebbero nelle loro fila elementi massonici
che facevano il doppio gioco. Per la verità il discorso andrebbe anche esteso
agli ambienti e personaggi ecclesiastici, del Vaticano, Impero di immenso
potere con intereressi in tutto il mondo, al tempo sotto le direttive di quel
G. Battista Montini, futuro Papa, ritenuto oltretutto in sintonia con la
massoneria finanziaria americana. Anche questi ambienti contavano presenze in
un campo politico e nell’altro, ma prove e documentazioni, come quelle di
secoli di storia, sono tombate in inaccessibili archivi vaticani, gestiti da personale
scelto da generazioni e che forse mai vedranno la luce
Ricostruire ora le
collusioni dei missisti con la massoneria, con un concreto grado di
affidabilità, non è possibile farlo, per
la natura stessa della segretezza di queste lobby e non avendo a disposizione
le tessere da massone, tranne quelle uscite fuori con lo scandalo P2. Resta,
quindi, anche difficile dare la patente di massone a questo o quell’esponente
del MSI, ma la manipolazione massonica del MSI comunque è evidente e si evince
da tanti particolari, fin dall’epoca della sua nascita, una nascita che non è
germogliata per caso, ma ha avuto il suo bravo “aiutino” per vedere la luce e
per indirizzarsi poi in un ben prestabilito cammino.
Stante così le cose,
però, sono tutti elementi che oramai lasciano il tempo che trovano, così come la
decisione di Almirante di togliere l’ostracismo verso i massoni o le inchieste
che vennero aperte per appurare di certi finanziamenti richiesti da Almirante a
Licio Gelli e di cui aveva parlato anche il missista Caradonna.
Ci sono molti testi che
cercano di descrivere ruolo, struttura e funzione della massoneria in Italia,
la cui forte presenza, in funzione anglo francese, si riscontra già agli albori
del Risorgimento e poi nella nascita della nostra moderna economia e finanza. A
nostro parere però sono tutti testi da prendere con una certa cautela, mentre
invece è molto più istruttivo e importante leggere alcuni lavori che descrivono
fatti e avvenimenti inerenti al potere
massonico.
Tra questi rimandiamo a
due testi in particolare: Ferruccio Pinotti, Fratelli d’Italia, Ed. Bur, 2007, e Fabio Zanello, Italia La massoneria al potere, Ed.
Castelvecchi, 2013.
Noi qui, accenniamo solo
ad alcune cronache a integrazione di quanto abbiamo precedentemente esposto.
Arrivato in Italia nel 1944, al seguito
delle truppe Alleate, J. J. Angleton (figlio di Hugh Angleton, facoltoso
benestante, pezzo grosso dell’Oss americano e potente massone della loggia di
“Rito Scozzese Antico e Accettato”, l’ala filo britannica della massoneria
statunitense), si avvalse di un ampia rete massonica per organizzare le
strutture dell’Oss nel nostro paese e si assicurò l’apporto della Massoneria,
della Mafia e di elementi neofascisti, per mettere in piedi strutture in grado
di garantire il colonialismo americano anche dopo il ritiro delle truppe
americane dall’Italia.
Tra il 1946 e ’47,
Angleton, che parlava perfettamente l’italiano, arrivò anche a creare strutture
paramilitari clandestine, tra le quali l’AIL,
Armata Italiana della Liberta, e l’EVIS in Sicilia, un fantomatico gruppo
separatista che, a quanto sembra, eliminò alcuni esponenti del PCI e del
sindacato con azioni simili ad una “strategia della tensione” ante litteram.
Riferisce Umberto
Federico D’Amato, futuro dirigente degli AA.RR. del Viminale, che nel 1946
quando era ancora un giovane commissario di Polizia, Angleton lo invitò a cena
e dopo aver tergiversato, arrivò al dunque: fino a quel momento si erano
occupati di fascisti, ma adesso il fascismo era finito, sconfitto, mentre il vero
pericolo era il comunismo. Occorreva cambiare obiettivo.
Tra i primi elementi che
Angleton pensò di utilizzare, oltre alla Mafia siciliana, vi furono gli ex
Decima Mas, alcune migliaia di uomini, che riteneva efficienti e ancora con un
certo morale e soprattutto fedeli a Valerio Borghese che Angleton, dopo aver
salvato nel maggio del 1945, procurò poi
di mettere al sicuro nel carcere militare di Forte Boccea. Trasferito poi da
Procida, Borghese viene processato nel 1947 da un Tribunale Speciale della Corti
di Assise di Roma e condannato a dieci anni. In due sbrigative revisioni
successive ne ottiene nove di condono quindi viene liberato ed immediatamente
impiegato in operazioni di controspionaggio per conto di Angleton e dell’Oss.
Negli Archivi della Intelligence statunitense è abbondante la documentazione su
queste operazioni (Cfr.:
F. Zanello, Italia La Massoneria al
potere, Ed. Castelvecchi 2013).
Fatto sta che Angleton, al tempo operante per una strategia
anticomunista e per giunta filo israeliano, con la collaborazione di Frank
Gigliotti, una specie di reverendo evangelico consigliere capo dell’Oss e massone,
mise in piedi una rete di Intelligence e di manovalanza anche con ex fascisti,
partigiani bianchi anticomunisti e altro, creando poi il primo nucleo del
costituendo Sifar.
Negli anni successivi
Gigliotti, che aveva anche ricomposto l’unità massonica in Italia, aprì diverse
Logge massoniche nel nostro paese, in particolare nelle basi Nato. Sono tutte
situazioni queste, a latere della nascita del MSI quale partito filo atlantico,
ma di certo non ininfluenti nella storia successiva di questo movimento e di
tutta l’area neofascista.
Angleton
aveva trovato in Italia una massoneria sparpagliata, dopo la scissione non
ricomposta tra Palazzo Giustiniani e la sua “obbedienza” al Grande Oriente di
Francia e Piazza del Gesù fedele alla “obbedienza“ alla Gran Loggia di Londra.
Soprattutto
su questa loggia di Londra fece affidamento il capo dell’Oss, ma in definitiva
bisogna sempre considerare che nonostante dissidi, rivalità anche feroci e
difformità ideologiche, i massoni nei momenti cruciali, come fu il caso della
guerra, sono sempre stati richiamati all’ “obbedienza” dalla “Massoneria
Universale”.
Non
ci sono, sostanzialmente, massonerie deviate, come si è cercato di far passare
la P2 di Gelli, ma soltanto
massonerie che, di volta in volta, nei periodi storici, assumono determinate
vesti e atteggiamenti, perseguono determinati programmi, confacenti all’epoca,
agli uomini e alle situazioni geopolitiche del momento, anche se poi, quando
non più necessarie, vengono smantellate anche con dolorosi e traumatici
interventi e scandali. [12]
Da considerare anche che la Massoneria, a
parte i riferimenti alle diverse obbedienze, per sua natura cambia spesso pelle
e comunque opera in tutti i settori, i circoli e i partiti, anche di sinistra,
della nazione, come si confà ad una grande lobby di vasto e storico potere.
Anche nella nostra storia recente e nelle
vicende che imposero la Seconda
Repubblica, la massoneria, soprattutto quella espressione di importanti
lobby finanziarie, ha avuto un ruolo decisivo nella manipolazione degli eventi
e nella strumentalizzazione e snaturazione del vecchio PCI totalmente “de-marxistizzato”
dalle ideologie neoradicali, tanto da farlo divenire una “cosa liberal”.
A dimostrazione di una
certa “continuità”, è interessante notare come il famigerato progetto pidduista
di “rinascita
democratica”, portato come esempio di una specie di golpe silenzioso
contro le sinistre, in realtà, uscito di scena Gelli, liquidata e
criminalizzata la P2, realizzata la Seconda
Repubblica, e sfrondato da ogni coloritura “anticomunista” oramai
anacronistica, di fatto, si è silenziosamente attuato nella nostra società dove
si può constatare l’accentramento di vari poteri, stampa compresa, e il
dispiegarsi di politiche al di fuori dei partiti (governi o immissioni di
“tecnici”) in mani ben individuabili nell’Alta finanza. Vale a dire che dietro
una strategia anticomunista prima o pseudo antireazionaria dopo, quelli che
contano sono sempre i progetti che i massoni in silenzio riescono a realizzare.
Sul potere della massoneria e sulla sua
ingerenza nella vita politica dell’Italia, ci sarebbe da scrivere un intero
testo, ma preferiamo aver dato questi brevi accenni, rimandando i lettori ai
due testi da noi sopra segnalati.
A cosa e a chi serviva il MSI
Il
rammarico del rifiutato
"Ero favorevole ad avere rapporti con la
DC, [non ne dubitiamo! N.d.A.] ma quando erano graditi. Se invece non li
volevano, perché dovevamo imporre loro il nostro appoggio?"
Ernesto
De Marzio
Quanto fin qui esposto ci consente ora di dare più esauriente
risposta a una domanda che abbiamo sempre fatto aleggiare: a cosa e a chi
poteva servire un partito come il MSI a prescindere dai desideri e dalle
necessità politiche dell’area neofascista del primo dopoguerra.
Sostanzialmente
la nascita di un partito, quale il MSI, in quei primi tempi difficili e
turbolenti del dopoguerra, tornava utile a vari interessi, tutti di carattere
reazionario e a esigenze esterne antinazionali.
Considerando,
infatti, la presenza di una larga base di reduci e militari della RSI e anche
di Italiani, che gli antifascisti definivano “nostalgici” (a dicembre del 1944,
con la guerra che oramai aveva imboccato la tragica fase finale e con tutte le
sofferenze e privazioni della popolazione, Mussolini al Lirico di Milano e poi
per le strade cittadine ottenne ancora un enorme successo di folla entusiasta),
la nascita di un partito che controllasse e rappresentasse queste masse, conveniva
a tanti.
A
cominciare dagli statunitensi, già interessati
ad ufficiali, sotto ufficiali, funzionari e gente specializzata del passato
regime e della RSI, a cui affidare compiti e incarichi che gli consentissero di
mettere in piedi strutture di una certa affidabilità per le loro politiche
future in Italia e di cui abbiamo già parlato.
C’era
poi da tenere in considerazione il mondo industriale
e la borghesia in genere, non
poco spaventata nel post liberazione dalla forte presenza social-comunista nel
paese e dal sindacato CGIL nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro.[13]
Anche
se questi social-comunisti, avevano meravigliosamente obbedito, alle
disposizioni Alleate, del resto sollecitate dagli industriali, per la immediata abolizione delle Leggi fasciste sulla socializzazione
delle imprese, la presenza dei “rossi” e dei sindacalisti sui posti di
lavoro, con le loro rivendicazioni, spesso sacrosante (basti pensare a come
venivano fatti lavorare gli operai edili, con orari assurdi, senza alcuna
protezione e senza adeguate attrezzature e indumenti, o le condizioni dei
lavoratori dell’agricoltura in molte zone riserva esclusiva di latifondisti
egoisti e privi di scrupoli), davano fastidio ed incutevano timore agli
industriali e alla borghesia.
Stessa
cosa poteva dirsi del Vaticano che,
attraverso l’accordo con gli americani, aveva puntato tutto sulla DC per la
gestione del potere in Italia, ma a cui non dispiaceva la presenza di frange di
destra, anche attivisti, a difesa dei valori (e degli interessi) della Chiesa.
Ultima, ma non ultima, si rendeva
necessaria la ricomposizione, tra i
militari che avevano aderito alla RSI e quelli che erano rimasti con il governo
del Sud. In pratica un opera di “pacificazione”,
dove però e con il tempo la componente ex RSI sarebbe stata dissolta, relegata
a funzioni meramente reducistiche, più che altro attraverso elargizioni di
qualche riconoscimento morale, economico e pensionistico, perché era implicito
in partenza che le istituzioni, partorite dalla Resistenza, grazie alle truppe
Alleate, sarebbero state democratiche e antifasciste.
I
militari ex RSI che in seguito vennero ammessi nell’esercito ebbero la carriera
limitata in quanto oltre un certo grado non potevano accedere.
Una ruota
di scorta
In un secondo momento, constatato che
il nascente MSI, presentatosi su basi di destra, nazionaliste e qualunquiste,
si stava assestando verso una percentuale interessante, anche se decisamente
minoritaria di voti, la sua funzione divenne oltremodo utile per avere un
serbatoio di riserva, una ruota di scorta per la Democrazia Cristiana, come risorsa in momenti di crisi, alchimie
politiche, per esercitare pressioni verso i suoi alleati di governo o per
fronteggiare gli avversari, in località problematiche. Una ruota di scorta, elettoralmente non
pericolosa per i democristiani, data la natura di destra estrema del MSI.
Insomma, per il MSI era stato
ritagliato un ruolo politico subalterno a quei poteri e quelle forze
conservatrici che avevano contribuito a crearlo. E questo ruolo lo mantenne per
tutti i suoi circa 50 anni di vita.
Questo
andazzo lo si percepì subito, quando nel novembre 1947, i primi tre eletti
missisti alle amministrative per il
Comune di Roma (a quella prima sua uscita elettorale il MSI prese 24.600 voti),
misero i loro voti a disposizione per la elezione del sindaco democristiano
Rebecchini e della sua giunta di centro destra.
I
democristiani si giustificarono dicendo che avevano
dovuto accettarli stante lo stato di necessità.
In futuro, queste ”necessità” si ripresenteranno molte volte.
Volendo oggi
dare una valutazione di quella prima uscita elettorale del MSI, che alcuni ritengono
positiva, possiamo
dire che pur tenendo conto delle difficoltà oggettive e organizzative del tempo, incontrate dal MSI nell’esercitare un
ruolo politico pubblico, la sua essenza e funzione di ibrida “destra” dovette
essere percepita e non gradita dall’elettorato, laddove a Roma quei 24.600 voti
(3,94 percento), furono ben poca cosa e oltretutto non portarono al partito
neppure i voti dell’oramai in via di disfacimento Uomo Qualunque (questi prese
il 10,51 percento), che la DC tendeva a dissolvere.
Ai
democristiani, infatti, tornava molto più utile a destra un partito estremista,
falsamente fascista, disponibile a fungere da “riserva voti” nei momenti di
emergenza, che non il partito Qualunquista che alle elezioni amministrative del
1946, in
molte zone del centro sud aveva
insidiato l’egemonia democristiana addirittura superando in voti la DC
proprio a Roma
In quello stesso novembre del 1948, Lando Dell’Amico, un giornalista addentro
a vari segreti dei partiti e della Repubblica, scrive su "La Repubblica d’Italia" una nota
sulla sua espulsione dal Msi, definendone i dirigenti:
«Due dozzine di gerarchi ottusi, alleati
con la Democrazia cristiana, con la monarchia e con gli americani [che] non
vanno confusi con una massa di giovani onesti, disinteressati, leali e
repubblicani».
Truppe cammellate
Come
abbiamo visto alle elezioni politiche del 1948 il MSI mostrò tutta la sua
subalternità alla DC cooperando al fine di fargliele vincere.
A proposito di quelle elezioni, come
riporteranno le cronologie, il 18 aprile 1948:
«a Sedegliano (Udine), elementi
dell’organizzazione ‘O’ fra i quali Turco Franco Florindo, reduce della Rsi e
iscritto al Msi, piazzano le mitragliatrici nelle case poste di fronte ai seggi
elettorali, in collaborazione con i carabinieri locali».
E non era questo un caso isolato, perchè
analoghe situazioni si verificavano un pò dappertutto.
Lo storico Giuseppe Parlato, attraverso
varie testimonianze, ha ricostruito molte delle circostanze per le quali, se la
situazione dell’ordine pubblico, a seguito di una vittoria delle sinistre o investito
da qualche reazione socialcomunista fosse degenerato, la Democrazia Cristiana,
il ministero degli Interni e i Carabinieri, facevano conto sul MSI e i suoi
attivisti per difendere le istituzioni, pensando addirittura di utilizzare i
fascisti detenuti per la bisogna.
In Toscana, in provincia di Lucca, il
maresciallo dei Carabinieri, disse ai dirigenti del MSI che se le elezioni del
18 aprile 1948 avessero preso una brutta piega si sarebbe dovuto intervenire
militarmente e a questo proposito consegnò al locale dirigente missista le
chiavi dell’armeria (vedesi
G. Parlato, Fascisti senza Mussolini, Ed.
Il Mulino 2006).
E’ quindi indubbio che c’era una certa
intenzione di utilizzare, se le cose si mettevano male, i missisti come ascari.
Ernesto Massi ricorda i depositi di armi nascosti prima delle elezioni del 18
aprile ’48 e che potevano ora essere utili. Attraverso il suo vecchio amico Fanfani,
conosciuto ai tempi della Cattolica, egli entrò in contatto con un generale
dell’Esercito. Il Massi quindi si mise anche in contatto con ufficiali del neo
costituito Servizio informazioni militari e scoprì che era pronto un piano in
caso di vittoria dei comunisti o di una invasione sovietica, ovviamente dietro
il placet dei diplomatici di paesi Occidentali a Roma. Nel MSI, dice Massi,
tutti ne erano al corrente di questi progetti che si configuravano come una
specie di Golpe.
Qualcuno potrebbe obiettare che, in
definitiva, anche la rivoluzione fascista degli anni ’20 fu fatta attraverso
diversi connubi con l’esercito e le forze dell’ordine e che del resto se i
comunisti, nel 1948, avessero prevalso, i fascisti sarebbero stati i primi a
vedersela brutta.
Ma queste scusanti non sono del tutto
valide. Intanto negli anni ’20 il fascismo e i fascisti erano proiettati alla
conquista del potere e non alla difesa da ”guardie bianche” delle istituzioni
oltretutto antifasciste e poi lo ripetiamo ancora una volta: si trattava di un
periodo storico dove il nostro paese era una Nazione indipendente, uscita
vittoriosa dalla Grande Guerra e non colonizzata come nel secondo dopoguerra,
per cui adesso, difendendo le istituzioni, si difendeva e si perpetuava questo
colonialismo.
Per il secondo aspetto, quello della
difesa della vita degli stessi fascisti, non era detto che dovesse per forza avvenire
accettando di essere usati come carne da cannone per la difesa di istituzioni
antifasciste e di personaggi del potere, democristiani e conservatori, di
sicura fede antifascista. Usati e poi ovviamente scaricati da tutti costoro una
volta passato il pericolo.
Comunque sia, il ruolo da truppe cammellate era iniziato ben
presto e del resto come, giustamente, nota il ricercatore storico Franco Morini,
nel suo citato articolo
“Nome Msi - paternità SIM”:
"Sono peraltro noti i
rapporti diretti fra il Viminale e gli organizzatori del MSI tramite il
generale dei carabinieri Giuseppe Pièche, ex-capo della 3ª sezione del SIM e, nel dopoguerra, incaricato da Scelba di
riorganizzare i servizi segreti italiani. Per copertura, il generale Pièche era stato
messo a capo della Protezione civile e dei servizi antincendio del ministero
dell'Interno (F. G. Murgia: "Il Vento
del Nord", Sugarco 1975 e ristampa Ed. Kaos 2004; dello stesso autore:
"Ritorneremo!", 1976. Si
veda inoltre: C. De Lutiis "Il lato
oscuro del potere", Editori Riuniti 1996).
Quanti inzupparono il pane
E
tutte queste componenti reazionarie e conservatrici, attraverso la nascita del
MSI, colsero in pieno gli obiettivi che si erano prefissi vediamoli:
Gli americani,
oltre ad un serbatoio di manovalanza varia, ben “filtrata” e garantita, per le
loro future “Gladio” (come abbiamo accennato, ulteriore selezione venne
successivamente realizzata attraverso la creazione di Ordine Nuovo), si
assicurarono anche uno strato di popolazione, deviata, distorta, rincoglionita
dai dirigenti missisti, che si facesse paladina del loro cosiddetto “mondo
libero” e del Patto Atlantico, spacciando una vera e propria colonizzazione del
paese, come un baluardo atto a impedire che “i cavalli dei cosacchi venissero ad abbeverarsi in Piazza S. Pietro”.
Gli interessi industriali e la borghesia trovarono i loro difensori
in questo partito che, messi in sordina gli ideali rivoluzionari di Mussolini
sulla socializzazione e altri aspetti sociali “sconvenienti”, ridisegnò una sua
politica economica e sociale, oltretutto solo sulla carta, di carattere
meramente “corporativo” e, di fatto, sostanzialmente conservatrice.
Le cronologie storiche riportano, l’11
febbraio 1948:
«Roma, una nota al ministero degli Interni
registra alcune informazioni circa i finanziamenti al Msi e alla sua attività
paramilitare: "un importante accordo concluso tra il Msi e alcuni
industriali dell’Alta Italia, già sovvenzionatori del fascismo… per l’apporto
di fondi per un maggiore incremento dell’organizzazione del movimento";
nonché la creazione "a Roma di una brigata composta di ex combattenti ed
elementi fascisti per la difesa esterna della capitale contro gli attacchi
comunisti", affidata al comando di un ex console della Milizia)».
Passato
il dopoguerra e cessato del tutto il pericolo “rosso” per gli industriali, la
funzione di “guardia bianca” degli interessi capitalisti, da parte dei
missisti, non era più necessaria, anzi era sconveniente, perché la grande
Industria mirava ad una sua razionalizzazione ed espansione anche sui mercati
esteri e quindi si cercava di instaurare rapporti e contatti anche con i
sindacati di sinistra, del resto oramai “democraticizzati”. Cosicché il MSI
questo scomodo e ripugnante partito, l’Industria che conta, proprio non se lo
filerà più e dovette accontentarsi di essere al servizio della piccola e media
borghesia in buona parte quella dei cosiddetti “cavalieri del lavoro”, lavoro
altrui ovviamente, e spesso in nero. E qualcuno ha forse dimenticato
l’avversione del MSI verso la nazionalizzazione dell’energia elettrica, andando
contro gli stessi dettami sociali del fascismo?
Il Vaticano,
a cui in genere poco andava di sporcarsi le mani con i missisti, non disdegnava
comunque la loro presenza e la loro funzione, piccolo borghese con tutta la retorica “Dio, Patria e famiglia” e simili, per
non parlare della difesa ad oltranza che il MSI portava avanti del Concordato.
Patti Lateranensi che oramai non avevano più alcun motivo di perpetuarsi visti,
oltre ai presupposti politici che li avevano partoriti oramai inesistenti, gli
onerosi costi per la Nazione e il venir meno della controparte quale un vero
Stato Nazionale come poteva esserci nel ventennio (ma del resto il MSI era uso
disattendere gli interessi dello Stato a vantaggio di entità straniere a lui
consone e anche il Vaticano ne beneficiava).
Alla
vigilia di Natale del 1949 papa Pio XII nel suo messaggio natalizio prende
posizione contro i massacri di cui sono stati vittime i fascisti al nord dopo
il 25 aprile. Una apertura notevole che non poteva nascondere amorosi contatti
e intenti comuni tra la Chiesa e il MSI.
Significativo
che il 21 gennaio del 1950 il giornale "Lotta politica", organo del MSI,
informerà che Pio XII aveva ricevuto in udienza una delegazione del Movimento
femminile italiano, benedicendone l’attività.
DC e Pacificazione dei militari.
Dei vantaggi assicuratisi, con la nascita del MSI, dalla Democrazia Cristiana,
abbiamo detto, così come per l’opera di ricostruzione delle FF.AA., pacificando
gli ex nemici, “repubblichini” e militari del Sud (fenomenale fu un manovra,
anche a proprio vantaggio elettorale, di Giulio Andreotti recatosi nel 1952 ad
Arcinazzo Romano dove venne abbracciato da uno sprovveduto Rodolfo Graziani)
Che cultura per i giovani!
Anderson capo dei giovani
missisti
Massimo Anderson: nel 1954 Segretario generale della Giovane
Italia. Nel 1960 consigliere comunale di
Roma MSI. Nel 1967 Segretario
nazionale Giovanile. Nel 1972 è tra i cofondatori del Fronte della Gioventù ed
entra nella Segr. Naz. del MSI. Nel 1975 è eletto alla Regione Lazio. Nel 1977
getta la maschera del “neofascismo” e aderisce a Democrazia Nazionale - Costituente
di Destra. Nel 2010 è presidente di Federproprietà,
90 associazioni di proprietà edilizia organizzate su base provinciale.
Lineamenti di una politica per la
gioventù
Quale cultura lascia ai giovani del partito lo rileviamo da un suo opuscolo
per il Fronte della Gioventù – Lineamenti
di una politica per la gioventù - del 7.9.1972 dove descrive la politica e la cultura
italiana negli ultimi anni di quell’epoca, le degenerazioni della contestazione
giovanile, il solito anticomunismo, ecc., il tutto sotto l’ottica di una
cultura di destra nazional borghese e cattolica,: Fede, Dottrina (quale?), Etica
(quale?), fede in Dio e così via; la solita retorica di una cultura che aveva
oramai fatto il suo tempo, naufragando nell’ipocrisia delle vecchie
generazioni.
Ma è alle analisi internazionali che si
arriva alla farsa: come esprimere, come indicare ai giovani, una linea anti
Jalta e filo europea e conciliarla, allo stesso tempo, con il filo atlantismo,
se proprio Jalta è un accordo voluto dagli Usa? Il modo c’è, da ridere, ma c’è:
"La sfida mondiale del comunismo esige che
l’Europa occupi un posto di avanguardia in quella che è nei suoi tratti più
generali, e anche per noi, soprattutto per noi, lotta di civiltà. E’ in questo
ampio quadro che va giudicato il più importante strumento politico militare di resistenza al comunismo nato dalla
solidarietà delle Nazioni Occidentali, l’Alleanza Atlantica. Affinché sia atta a garantire la sicurezza europea e a
segnare un margine insuperabile
all’espansionismo Sovietico, l’Alleanza va però caratterizzata da una
maggiore accentuazione nazionale ed europea. Questa accentuazione segnerebbe Il
primo passo di una politica intesa a scalzare, a beneficio dell’Europa, il
rigido ordine di Jalta e le sue nefaste conseguenze di ordine morale, politico,
territoriale".
Si afferma l’ “uomo d’ordine” borghese
Tutto
viene da lontano
"E’ stato Pino Romualdi l’ispiratore di
quel fiume carsico missino che ora ricompare con il nuovo Fini ".
Il
Foglio.It, 10 maggio 2009, Dove va e da
dove viene Fini,
Non resta che sottolineare come, dopo un paio di decenni di
missimso, ogni componente rivoluzionaria dell’area fascista venne dissolta e al
suo posto subentrò decisamente la componente “nazionalista”, borghese, la ex Salò tricolore ancor più
“cloroformizzata” e annacquata, in sintonia totale con ambienti delle FF. AA., dimenticandosi che esse erano nate
dal tradimento badogliano e che ora erano inquadrate e subordinate nel sistema
Nato nostro colonizzatore.
Anche tutto questo non avveniva a caso o solo per opera
di abili mestieranti, perchè c’era un terreno fertile su cui germogliare: la
storia e le tradizioni del fascismo, il suo essersi identificato con lo Stato
per un intero ventennio. Una tradizione storica che aveva finito per conformare
una certa mentalità che spesso stabiliva una spontanea intesa tra il “camerata”
e la “divisa”, per il culto dell’ordine, in nome di una comunanza di vedute
contro i “rossi“, i sovversivi.
Cosicchè
le “simpatie” che si istaurarono tra i militari, i rappresentanti dell’Ordine,
ufficiali e funzionari dello Stato e i missisti, trovando il punto di intesa
nella comune avversione al comunismo e nella stessa attitudine di vita borghese
e conformista e retoricamente nazionalista, non ebbero più alcun freno.
Degli
apparati di polizia e dei Servizi ricostruiti sotto la supervisione americana,
abbiamo già detto, ma c‘è anche da rilevare che se nel maggio 1945 vennero
messi a riposo 52 tra Questori e vice questori, e 18 commissari capi di
Polizia, ritenuti troppo compromessi con il fascismo, dopo poco tempo vennero quasi
tutti riammessi in servizio. Vecchie conoscenze o amicizie, tra costoro e i dirigenti
del MSI, ebbero occasione di incontrarsi, ma questi “contatti”, non agirono
mai, a vantaggio dell’Idea, ma come era ovvio, a parte i “soliti favori”, sempre
e solo a vantaggio delle istituzioni antifasciste e delle componenti
reazionarie del paese.
E anche questa “sintonia”, questa
affinità di intenti e mentalità che portava il missista a simpatizzare
spontaneamente con la ”divisa” e l’“uomo d’ordine”, in nome dell’anticomunismo (e specifichiamo in un clima e in un ambito
del tutto diversi da quello dei fascisti del 1919, che agivano con presupposti
rivoluzionari in una nazione sufficientemente indipendente e non sotto totale
controllo straniero), ritornava poi opportuna quando lo Stato Maggiore,
come diversivo strategico e attraverso i suoi Servizi, aveva necessità di
“arruolare” i neofascisti per compiti reazionari, se non “illegali”, simili a
truppe cammellate a difesa delle istituzioni antifasciste e della Nato. [14]
Laddove
possano esserci stati “neofascisti” delatori, collusi con i Servizi, con i
Commissariati o i Carabinieri, questi nascono, oltre che per corruzione,
proprio da questa affinità “ideale” con l’”ufficiale”, con l’”uomo d’ordine”,
da un malinteso spirito nazionalista e borghese.
In
politica ci sta che molti possono anche essersi trovati a coltivare “amicizie”
e “intese” con ufficiali degli apparati dello Stato senza per questo essersi
“venduti”, ma di certo non hanno considerato che questo Stato nasce e si
perpetua antifascista e questo sarebbe il meno, ma soprattutto è uno Stato
subordinato al sistema Nato e quindi, di fatto, magari indirettamente, si
diventa complici dei nostri colonizzatori.
Comunque
sia tutto questo doppiogiochismo del partito è anche sottolineato dalla scelta
fatta dai missisti di eleggere a nome e simbolo del nuovo partito la fiamma
tricolore che, come ricorda ancora Vinciguerra, era il simbolo del Movimento Sociale Francese, MSF,[15] movimento
conservatore che raggruppava principalmente ex combattenti, ed in cui,
ovviamente, quel “Sociale”, nella
denominazione di questi partiti reazionari, era solo uno specchietto per le
allodole.
Se
qualcuno pensa che stiamo esagerando, che le cose non stanno propriamente così
e che magari ci sono anche stati momenti e serie iniziative missiste di genere
diverso e in sintonia con il retaggio sociale della RSI, se lo tolga dalla
mente.
Un ruolo
solo: sempre reazionario
Per avere la certezza del ruolo
reazionario del MSI, esclusa qualche iniziativa e qualche intervento del tutto
sporadico se non retorico o subdolo, basta andare a leggere la collezione del Secolo d’Italia e, se possibile, andare
a recuperare le mozioni, gli atti e gli interventi parlamentari che riguardano
mezzo secolo di storia del MSI, ma soprattutto verificare “come” votarono in
tante delicate questioni vitali per la Nazione i parlamentari missisti. Si avrà così la certezza che questo partito
ha SEMPRE operato in senso antinazionale in conseguenza della sua
subordinazione agli Stati Uniti, e in senso anti socialista (intendendo per
socialismo quel patrimonio di Leggi, di ideali e di programmi del fascismo
repubblicano) in ossequio alla sua acquiescenza e complicità con la borghesia e
il mondo industriale.
E’ veramente raro che ci sia stata
qualche iniziativa geopolitica nell’interesse dell’Italia, qualche necessità di
praticare una via “terzo mondista” per allentare un poco il cappio Atlantico
che, contro i nostri interessi nazionali, era stretto al collo del Paese, che
non abbia visto il MSI o suoi esponenti mettersi di traverso, ovviamente con la
solita scusa che altrimenti si “apriva” ai comunisti o agli amici dei
sovietici.
Niente
da fare: il partito perseguiva prevalentemente scelte politiche, sociali ed
economiche di stampo borghese e conservatore e
tutte le posizioni di politica internazionale di subalternità al quadro
atlantico.
Così
come quando nel 1985 il presidente del Consiglio Craxi (che pur precedentemente
aveva operato in senso filo americano rispetto alla faccenda dei missili da
installare nella nuova base di Comiso in Sicilia) ebbe un alzata di orgoglio,
che forse in seguito gli costò l’esilio e la morte, e si oppose alla prepotenza
e ingerenza sul nostro suolo degli americani a Sigonella (un evento quello che,
se subìto, avrebbe anche messo in pericolo la credibilità del governo Craxi
verso i paesi arabi): Craxi ovviamente si trovò di traverso, nel suo governo,
il “confratello” Spadolini e fu
investito da attacchi del parlamentare missista Mirko Tremaglia, mentre il MSI,
preso dalla volontà di sostenere gli americani e il suo ipocrita
“nazionalismo”, si lacerava tra sconcerto e polemiche.
Ed
era tutta da ridere, se non ci fosse da piangere, assistere negli anni a come
questi esponenti missisti, spavaldi Rambo
(a parole), spesso delusi dagli americani (usi a perseguire gli interessi
USA anche tramite accordi segreti con i sovietici, nello spirito di Jalta), si
strappavano le vesti, pretendendo di insegnare loro, agli americani, come ci si
doveva comportare con i “rossi”.
Oggi,
molti storici e politologici hanno giustamente valutato che se proprio vogliamo
avere un termine di paragone con la politica del fascismo e al suo senso dello
Stato, ritroviamo più “fascismo”, in alcuni sprazzi di politica, confacenti
agli interessi geopolitici nazionali, in uomini di governo come Enrico Mattei,
Amintore Fanfani, Aldo Moro o Bettino Craxi e forse persino Andreotti ed alcuni
esponenti comunisti, tanto per citarne alcuni, che fascisti non erano, anzi
erano decisamente antifascisti, che non in Michelini o Almirante e soci. Il ché
è tutto dire!
Penoso è stato anche l’accennato “mutamento
genetico” determinatosi nella base di questo partito, nel suo elettorato, mano
a mano abbandonato dai reduci fascisti repubblicani e schifato dagli italiani sensibili
e intelligenti che non si facevano
ingannare dalle esternazioni forcaiole di Almirante.
Si
iniziò cercando adesioni nel disciolto movimento conservatore dell’Uomo Qualunque e frange reazionarie
del Paese, si proseguì con quella fiamma
tricolore che di giorno in giorno, estirpava dal suo mondo, come i petali
da una margherita, gli ideali del fascismo, che obbligava i suoi aderenti a
parteggiare in ogni campo per gli americani, magari per quelli più conservatori
e di destra (famosa nei primi anni ’60 la simpatia missista per il miliardario
candidato americano repubblicano ed ebreo Barry Goldwater, o i manifesti
affissi dai missisti per accogliere nel 1969 Nixon a Roma), a sostenere la
Nato, ad opporsi a qualunque seria rivendicazione sociale, con la scusa
dell’anticomunismo, fino ad arrivare a mettere nelle sezioni le bandiere dei
Colonnelli greci e della macelleria cilena di Pinochet e a far accettare come
Presidenti del partito il monarchico Alfredo Covelli e l’ex badogliano,
Ammiraglio Nato, Gino Birindelli.
A
tutto questo si aggiunga il disgustoso esempio mostrato durante ogni elezione,
dove candidati missisti spendevano a piene mani per le loro campagne elettorali
“all’americana”, ovviamente personalizzate (ci tenevano, perbacco, al posticino
Parlamentare o Comunale!) e si cimentavano in squallide e cannibalesche lotte
intestine.
Ridicola,
penosa e ancor più squallida fu la megalitica campagna elettorale di fine anni
’50 di tal Ernesto Brivio, autodefinitosi l’ultima
raffica di Salò, che poi dovette scappare e rifugiarsi in Libano per truffe
reiterate e fallimento.[16]
Questo era il MSI ed è facile capire
come, negli anni, possa essere cresciuta e deformatasi la sua base e che genere
di soggetti si vennero poi a iscrivere e a simpatizzare con questo partito. Le
leggi della natura prevedono che il simile si avvicina sempre al simile.
Qualcuno avrebbe pur dovuto ricordargli le parole della Dottrina del Fascismo:
"La
vita quale la concepisce il fascista è seria, austera, religiosa:
tutta librata
in un mondo sorretto dalle forze morali e responsabili dello spirito.
Il fascista disdegna la vita «comoda».
[1] Servello venne eletto, per la prima
volta, al Consiglio Comunale di Milano nel 1951 nel MSI, quindi venne eletto
alla Camera dei Deputati nel 1958 e fino al 1994. Nel 1996 venne eletto
Senatore per Alleanza Nazionale. Un carriera esemplare da uomo di destra in
tutto e per tutto. Che caratterizza esemplarmente l’essenza e il portato
storico del MSI e la sua naturale evoluzione in Alleanza Nazionale che certi
imbecilli o “vedove” del missismo, ritengono invece un tradimento.
[2] Questa
tara, ancora oggi, dopo tanti anni e tante malefatte da parte di questo partito
di destra, la si può constatare in certi epigoni, vedove inconsolabili, che si
riciclano in giro con i loro gruppuscoli, magari a volte con buone intenzioni,
ai quali danno i nomi di destra sociale,
destra ideale, destra nazionale, ecc. Tutti aggettivi per edulcorare il termine “destra”,
il quale dopo oltre mezzo secolo di tradimenti degli interessi nazionali,
dovrebbe essere bandito dal vocabolario della politica italiana..
[3] Non si può però non constatare che mentre
tutte le correnti di destra di questo partito furono, sempre e comunque, la
quintessenza della sua implicita conformazione antifascista e della sua
subordinazione al quadro atlantico, alcune correnti di sinistra, attestarono
invece una più coerente aderenza agli ideali del fascismo repubblicano e a un
certo spirito di indipendenza nazionale.
[4] In quel gennaio del 1950 De
Marsanich divenne segretario nazionale e
Michelini segretario amministrativo del partito. Le forze liberiste e
conservatrici del partito erano oramai saldamente al comando e si misero in
tasca quasi tutti gli altri.
[5] Vedesi: Giulio
Salierno: Autobiografia di un picchiatore
fascista, Einaudi, 1976.
[6] Le leggi della
strategia bellica implicano che un eventuale “avversario” sia costretto a
infliggere il primo colpo, il più risolutivo possibile, alle strutture nemiche
che lo potrebbero colpire a morte. Ora, seppure in via teorica, si dà il caso
che, per esempio, la Russia, ipotetico nemico dell’Occidente, in caso di
conflitto, dovrebbe obbligatoriamente preoccuparsi delle basi nucleari ai suoi
confini e nel Mediterraneo ovvero in Italia, in grado di raggiungere con
precisione il suo territorio, più che dei
lontani Stati Uniti d’America. Come dire: “chi di dovere”, si è coperto
sulla nostra pelle!
[7] Strofette sul bollettino Fncrsi
del novembre 1969 dedicate dai fascisti della Fncrsi agli ordinovisti che rientravano
nel MSI.
[8] A quel congresso di
Milano del 1956 si assisté ad uno di quei squallidi andazzi tipici dei
congressi “democratici”. Lo schieramento di Almirante, infatti, in quella
occasione allato con la “sinistra”, arriva al congresso con una netta
maggioranza: per Michelini sembra la fine. Allo spoglio però i micheliniani
vincono per sette voti. Delle due l’una: o prima del voto ci fu una
compravendita da mercato delle vacche, oppure ci furono brogli allo spoglio
delle schede.
[9] Nel Bollettino della Fncrsi (il N. 15/16 dell’ottobre 1971)
i fascisti della Fncrsi precisavano :
«Per
contrastare le nostre tesi taluno elaborò la curiosa teoria detta dei
centurioni". Usciti vittoriosi dal Vietnam e passati sotto gli archi di
trionfo allestiti dalla destra americana, questi novelli centurioni, si
sarebbero impadroniti degli USA e avrebbero mosso subito guerra all'URSS ed
alla Cina. Il disegno di certe organizzazioni (il cui asservimento a qualche
ambiente dello Stato Maggiore fu evidentissimo) prevedeva che le truppe
ausiliarie della NATO (paras, corsi di ardimento, ecc.) si sarebbero coperte di
gloria nei vari fronti all'unico scopo di meglio consolidare il dominio
ebraico-yankee sul mondo.
Senonchè, nonostante le abbondanti libagioni
di droga per vincere il terrore dei Viet-cong, i centurioni incominciarono a
vedere abbastanza chiaro... ». .
[10] La
Dottrina del Fascismo a questo proposito è esplicita: <<Le negazione del Socialismo, della
Democrazia, del Liberalismo, non devono tuttavia far credere che il fascismo
voglia respingere il mondo a quello che era prima del 1789,… Non si torna
indietro. La Dottrina fascista non ha eletto a suo profeta De Maistre,
L’assolutismo monarchico, fù e così pure ogni ecclesia. Così furono i privilegi
feudali, e la divisione in caste impenetrabili, e non comunicabili tra di
loro.>>.
[11] Cfr.: Piazza Fontana Noi sapevamo. Le verità del
generale Maletti, di Seresini A., Palma N. e Scandagliato E. M., Ed.
Aliberti 2010. Anche l’ex ministro Paolo Emilio Taviani sostenne una tesi
simile, con la variante che l’esplosivo venne fornito a uomini di Avanguardia
Nazionale da un agente nord americano
che proveniva dalla centrale tedesca e apparteneva ai Servizi segreti
dell’esercito molto più efficienti della Cia
(vedesi: Testimonianza agli atti
del processo Meroni – Pradella). A nostro avviso però queste notizie
lasciano il tempo che trovano, visto che poi nessuno le ha dimostrate
[12] Per fare un esempio, dai documenti liberati dagli omissis, risulta che i principali esponenti militari che nel 1964
ebbero incarichi per la preparazione del
“piano Solo” erano tutti massoni
quando al tempo il venerabile Licio Gelli non era ancora stato delegato, dal
gran maestro Lino Salvini, nella gestione della loggia P2 (delega conferita nel
giugno 1970).
[13] Come già era avvenuto
con la scissione socialista, anche il mondo sindacale unitario della CGIL subì
un paio di scissioni tra il 1948 e il 1950, provocate e finanziate anche dagli
americani. Dapprima uscì la componente cattolica, rappresentata da Giulio
Pastore, poi la componente socialdemocratica e repubblicana. Queste due
componenti diedero vita alla CISL e alla UIL.
[14] I presunti neofascisti
che le cronache giudiziarie o il pentitismo ci hanno dimostrato essere collusi
con Commissari, Carabinieri, Ufficiali, ecc., spesso nasceva proprio da queste
premesse, diciamo psicologiche. Non rari anche i casi di ottimi camerati,
seppur sprovveduti all’eccesso, confidenti di “uomini d’ordine”, da loro
ritenuti un “amico”, se non un “camerata”. Prezzolati a parte, è stato anche
questo un modo, attraverso il quale il fascista perdeva la sua inclinazione di
antagonista nei confronti dello Stato democratico e antifascista, per
trasformarsi, di fatto, in un reazionario. Il “fascista” invece avrebbe dovuto
attenersi anche ad un patrimonio ideale, sociale e storico, tale da fargli mantenere
una certa “distanza” e diffidenza verso FF.AA. di una Repubblica antifascista e
oltretutto colonizzata.
[15].A chi appartiene
l’idea della scelta del simbolo del nuovo partito non è cosa facile da
ricostruire anche perché, probabilmente, vi contribuirono diverse persone. La
supposizione di V. Vinciguerra comunque resta una delle più attendibili.
[16] Che pena, ripensare a quelle folle
oceaniche che a Roma, con il ricordo di ben altri personaggi, si recavano a Piazza del Popolo o al Colosseo
ad ascoltare gli antifascisti e ultra conservatori, mascherati da fascisti, De
Marsanich e Michelini, che le imbonivano con qualche ipocrita richiamo al Duce
e prima o al termine dei comizi vedere la gente spintonarsi e accalcarsi per
prendere ciondoli, portachiavi, fiammelle e altri gadget che venivano distribuiti.
Qualche candidato facoltoso distribuiva anche orologi. Il MSI fu
all’avanguardia nell’introdurre il disgustoso andazzo clientelare e
propagandistico “all’americana” nei ludi elettorali.
Nessuno pretendeva la rivoluzione
Il massimo del servilismo
(Cfr. N. Rao La fiamma e la Celtica, Ed. Sperling & Kupfer, 2006)
Allargando il discorso e prevenendo certe
obiezioni, si può tranquillamente sostenere che nel dopoguerra nessuno
pretendeva la ricostituzione di un partito fascista, tra l’altro vietato dalle
Leggi immediatamente introdotte dai CLN e quindi dalla Costituzione e neppure
si poteva pretendere che questo partito scendesse sul piano rivoluzionario,
stante la presenza americana e il quadro internazionale per il quale, se una
rivoluzione era preclusa ai comunisti, tanto più lo sarebbe stata per i
fascisti.
Preso atto della situazione del momento,
i vincoli coercitivi e le necessità di “tornare alla vita” dei reduci fascisti,
nessuno si sarebbe scandalizzato se esteriormente certe premesse rivoluzionarie
del fascismo repubblicano si fossero celate, certi programmi troppo spinti camuffati
per ragioni tattiche, diluendoli nel tempo a seconda delle possibilità che si
sarebbero presentate in futuro, a patto però che la classe dirigente di questo
partito avesse mantenuti integri gli ideali e soprattutto avesse manifestato la
ferma volontà di perseguirli.
Viceversa
non solo il MSI nacque con intenti subdoli, ponendosi al servizio dei peggiori
nemici del fascismo, occupanti compresi e quindi la sua attitudine politica,
non poteva che essere contro gli interessi nazionali, ma per realizzare il
“grande inganno” alle spalle dei fascisti, questo partito fece l’esatto
contrario, ovvero procedette a ritroso come il gambero, annacquando,
eliminando, distorcendo, uno dopo l’altro gli ideali del fascismo che in un
primo momento non poteva del tutto ignorare. In pochi anni il gioco era fatto,
molti veri fascisti si erano allontanati schifati e il partito era divenuto un
vero e proprio antifascismo camuffato da “neofascismo” di destra.
Sarebbe
stata invece certamente possibile la creazione di un partito, riferimento per i
reduci della RSI che agisse nell’ambito costituzionale, ma senza assumere le vesti, le ideologie e le
attitudini via, via sempre più marcate, del conservatorismo e della reazione.
Ora
noi ci rendiamo perfettamente conto che tutto questo è un ragionamento con il
senno del poi e quindi ha un valore del tutto relativo, anche perché tutta la
società italiana non è rimasta immune dal portato culturale ed esistenziale che
gli hanno trasmesso e imposto i vincitori ovvero il mondo occidentale democratico
e liberista e che l’evoluzione
tecnologica e il progresso in tutti i campi della società hanno conformato
nella società consumista.
Di conseguenza non possiamo sapere che
spazi avrebbe potuto avere un tipo di politica e un messaggio ideale che, a
grandi linee, stiamo qui per illustrare, considerando però il disastro sociale
di questo Occidente democratico e turbo liberista e la perdita totale della
nostra sovranità nazionale e identità etnico - culturale, un movimento, un
partito che fosse scaturito dagli ideali del fascismo repubblicano, sarebbe
stato necessario e avrebbe assolto una importante funzione politica e storica.
Poche, ma
imprescindibili attestazioni
Sarebbe bastato, per non tradire il
fascismo repubblicano e soprattutto per assolvere agli indispensabili compiti
di una rinascita nazionale, che il nuovo partito si fosse investito, sia pure
con tutta la tattica necessaria, di alcune attitudini politiche, diametralmente
opposte a quelle di una destra conservatrice facendosi portatore di legittime e sacrosante istanze.
Citiamo, generalizzando, un paio di queste istanze paragonando, al
contempo, con quello che invece andò a fare il MSI:
primo: sul
piano politico questo partito, che si definiva continuatore di quello che il fascismo
aveva rappresentato per la rinascita della Nazione, avrebbe coerentemente
dovuto assumere posizioni, sia pure tatticamente duttili, ma consone agli
interessi geopolitici nazionali e quindi sostenere con forza tutte quelle rare
iniziative per scrollarsi di dosso le
catene di Jalta e quindi di trovare un ruolo e una “terza via” internazionale
all’Italia, in particolare nell’ambito mediterraneo, con riflessi nel vicino oriente
e in sintonia con i Paesi arabi, e risorse energetiche (soprattutto petrolio,
ma anche nucleare) autonome per il nostro Paese opponendosi alla ingerenza
occidentale e agli interessi delle multinazionali, specialmente quelle del
cartello petrolifero.
Non
c’era infatti da rivendicare solo Trieste, l’Istria e la Dalmazia, c’erano anche
in ballo i sacrosanti interessi geopolitici della Nazione, per i quali, così
facendo, si sarebbe agito in loro sintonia, trovando orecchie attente in quegli
uomini e forze politiche che intendevano perseguire gli stessi fini.
Ed anche qui, invece, la posizione ultra
Atlantica di questo partito, il MSI, appositamente nato con perfidi fini, fu un
costante boicottaggio di tutte le aperture terzomondiste (non si deve dialogare
con gli amici dei sovietici, si
giustificavano) e di tutti i tentativi socio economici di emancipazione dal
ruolo subalterno in cui la Nazione era costretta, ma che ovviamente avrebbero
potuto ledere gli interessi anglo americani.
Forte,
decisa, convinta e praticata sul campo, del pari, avrebbe dovuto essere la
lotta all’atlantismo, il rifiuto di considerarsi parte del cosiddetto “mondo
libero”, tra l’altro sul piano culturale ed esistenziale il peggior “nemico
dell’uomo” e delle nostre tradizioni europee, un “mondo libero” che invece i
missisti, per farlo “digerire” ponevano in demenziale contrapposizione ai
cosiddetti paesi “oltrecortina” ove si vive nell’indigenza e i “comunisti mangiano i bambini”.
Negli
anni ’50 un poeta e uomo di teatro coreano, vedendo come era stato trasformato
il suo paese, la Corea del Sud, dall’invasione americana, scrisse più o meno
questa sacrosanta verità, che si sarebbe poi ripetuta dovunque fossero arrivati
questi miserabili yankees:
“dopo
soli sei mesi di presenza delle truppe americane, il mio popolo era
irriconoscibile, le sue tradizioni in pericolo, il vizio, le droghe, la
corruzione, dilagavano”.
Questo
per rendere un idea di quello che costituiva l’americanismo con i suoi jeans, chewingum, Coca Cola e democrazia,
tanto difeso dai missisti. Americanismo di cui oggi, con la totale distruzione
della nostra gioventù ubriaca di discoteche, musica, video giochi, calcio,
sballo, tatuaggi e piercing, ne abbiamo un abbondante e squallido esempio.
Proprio
i fascisti, gelosi custodi dell’indipendenza nazionale, avrebbero dovuto essere
i primi ispiratori e agitatori delle manifestazioni contro la Nato e contro le
criminali aggressioni statunitensi, come quella nel Vietnam. E non il PCI che
assumeva questo ruolo, prevalentemente, in ossequio alle politiche di Mosca.
Ed invece il MSI, sempre in primo piano
quando si trattava di andare a contestare e manifestare contro i Sovietici,
arrivava addirittura a sostenere i criminali d’Occidente e le loro guerre
d’aggressione. Se avesse invece intrapreso la strada dalla lotta all’Occidente
e alla Nato, con la decisa contestazione anche ideologica della “american way of life”, molto
probabilmente si sarebbero anche ridotte al minimo le ingerenze, le collusioni
e gli arruolamenti nei Servizi di
farabutti che poi, nell’infame periodo della “strategia della tensione”, videro
tanti personaggi di tutta quest’area politica, in qualche modo implicati,
controllati e arruolati come erano, dalle Intelligence occidentali, per
utilizzarli nella loro “guerra non convenzionale”.
Secondo: era dovere di questo partito, che
diceva di riallacciarsi agli ideali fascisti, farsi portatore della necessità
delle riforme socializzatrici, spiazzando in tal modo gli stessi partiti di
sinistra che le avevano svendute, e di una ricomposizione socialista
dell’economia e del sociale.
Del
pari, nei posti di lavoro, il partito doveva assumere la tendenza ad
organizzare e ispirare le sacrosante lotte dei lavoratori, che di colpo, con
l’avvento della democrazia liberista, erano stati riportati indietro di anni
nelle loro conquiste e ben sappiamo che resistenze fece, soprattutto la piccola
e media impresa, quando dopo il boom economico degli anni ’60, stava
incrementando i suoi guadagni, ma i salari e le garanzie dei lavoratori non
procedevano di pari passo.
Ed invece, in questo ambito sociale, il
MSI assunse una posizione ibrida, fatta di enunciati del tutto retorici, ma di
fatto perfettamente in sintonia con gli egoismi più retrogradi del capitalismo.
Nel 1950, attraverso il deputato,
avvocato missista del collegio di Napoli Gianni Roberti, che poi finì la sua carriera
politica nelle fila della Democrazia
Nazionale (gruppetto di deputati sottratti al MSI, al tempo si insinuava
“comprati”, dalla DC negli anni
’70) arrivò a mettere in piedi la
CISNAL, una specie di sindacato da pseudo “destra sociale” che dire “giallo”
neppure rende l’idea, visto che la sua presenza tra i lavoratori era oltretutto
inesistente, se non attraverso iscrizioni racimolate nelle sezioni del partito
e spesso con manovalanza utile al piccolo padronato che se ne serviva per
boicottare, anche sul piano fisico, le lotte dei lavoratori sostenute dai
sindacati tradizionali.
Per portare avanti queste idee, queste
iniziative di lotta, questi programmi, che trascendevano le stupide divisioni e
diatribe destra – sinistra, non era
neppure necessario ostentare simbologie di un passato che con la fine della
guerra e la sconfitta militare aveva chiuso il suo ciclo storico. La sintonia
con il fascismo repubblicano, la continuità storica sarebbe stata nei fatti,
nei programmi, negli ideali di riscatto nazionale.
Non
a caso non pochi furono i reduci del fascismo repubblicano che invece, di
fronte a questa squallida realtà di un partito reazionario, ritennero più
consono, alla realizzazione di certi ideali e programmi sociali, di entrare nel
partito comunista. Non fu un fenomeno da poco, anche se poco se ne è parlato.
Nel 1949 il giornale Candido di
Guareschi, preoccupato dal numero di ex repubblichini che passavano con il PCI,
accettando l’invito fatto da Togliatti, pubblicò una serie di vignette
satiriche in proposito.
Oggi
sappiamo non solo dell’opera in questo senso del giornalista Lando Dell’Amico,
già combattente nella Decima, uscito da un MSI reazionario e che si diede da
fare con Paietta e Togliatti per portare i fascisti rivoluzionari nel PCI,
ma ci fu furono anche accordi, poi non finalizzati, in questo senso tra
il PCI e Rodolfo Graziani al tempo
presidente della FNCRSI. Comunque sia, anche da fonte comunista, sembra che tra
la fine degli anni ‘40 e i primissimi dei ’50,
furono ben 34 mila i reduci di Salò che passarono nel partito comunista.
E
molti di questi reduci della RSI andarono a costituire quadri dirigenti
sindacali o a fare i funzionari di partito nel PCI.
Giorgio Pisanò
atlantista doc
Ma no?
"Il 22 gennaio del
1995, l’ex senatore missino Giorgio Pisanò, in un’intervista a “Repubblica”,
ammette che fra i vertici del Msi e i servizi segreti vi è stata
“collaborazione a livello politico” e non esclude che il generale Vito Miceli
“quand’era in carica avesse rapporti con Almirante".
I
parastatali, http://www.archivioguerrapolitica.org/
Per avere
una idea di come sia complesso, oltre che contraddittorio interpretare certe
figure politiche che hanno caratterizzato la storia del MSI, giova spendere
qualche parola su Giorgio Pisanò (1924 – 1997, foto a lato), anche se, personalmente ci piange il cuore, doverne
evidenziare anche molti aspetti non certo elogiativi, in quanto, indirettamente,
dobbiamo proprio a Pisanò e alle sue pubblicazioni degli anni ’60, la nostra passione
per la ricerca storica ed oltretutto
Pisanò, a torto o a ragione, a modo suo si è sempre considerato un fascista
anche se, come vedremo, la sua condotta politica lascia veramente perplessi e
proprio qui sta la contraddizione e la complessità sia della politica che di certi personaggi.
Diciamo subito che i meriti storico
revisionistici di Pisanò sono indiscutibili e non solo per le indagini sulla
morte di Mussolini, ma anche per aver ristabilito molte verità storiche sulla
guerra civile in Italia, Pisanò resta un gigante, quale giornalista da
inchiesta per la nostra storiografia nazionale.
Ma per quanto riguarda le sue attitudini
politiche è tutto un altro discorso, già partendo dalla considerazione, da
molti avanzata, per cui a Pisanò tutto gli si poteva “toccare”, tranne che
l’arma dei Carabinieri e il Patto Atlantico.
Sbaglieremo,
ma a nostro avviso, non indifferente è il fatto, che una volta catturato dai
partigiani, a maggio del 1945, Pisanò che era un ex agente dei Servizi Speciali
della RSI, quindi uno di quegli ufficiali che facevano gola agli Alleati, venne
praticamente da questi sottratto, come lui stesso racconta, dalle loro grinfie
rischiando di essere fucilato.
Conoscendo il modus operandi degli
Alleati a quel tempo, una domanda sorge spontanea: si limitarono a salvarlo? Ne
dubitiamo.
Pisanò partecipò alla fondazione del MSI a Como, città nel
dopoguerra altamente “pericolosa” e negli anni ’50 svolse la professione di
giornalista per il Meridiano d’Italia
e poi soprattutto per i rotocalchi della Rizzoli. Un giornalista da inchieste
soprattutto storico politiche.
Al tempo le sue posizioni politiche lo
attestavano per un fascismo di sinistra, sebbene non accentuato. Nel 1963 fondò
un settimanale: “Secolo XX”, avendo a modello i rotocalchi in cui aveva precedentemente
lavorato, per esempio “Gente” e “Oggi”.
Politicamente questo nuovo settimanale
svolgeva una funzione di forte critica al nascente centro sinistra, cavalcando
a tutto tondo lo spauracchio del comunismo, a cui le aperture a sinistra di
Moro, si paventava, potevano aprirgli le porte del potere. Facile ipotizzare
chi poteva essere interessato a finanziarlo.
Ma questi aspetti rientrano nella normale
prassi di chi fa politica e non possono nè meravigliare, nè scandalizzare. “Secolo
XX” fu un ottima rivista e produsse
anche inchieste storiche sulla guerra
civile in Italia, sulla Storia del Fascismo, ecc. Tra l’altro fu il primo
giornale in Italia che parlò chiaramente, apportando importanti elementi, del
fatto che Enrico Mattei non morì per un incidente, ma venne assassinato.
Purtroppo però la testata durò solo un paio di anni circa.
Significativo però che la prima inchiesta
e rievocazione storica, a partire dal Nro 1 di Secolo XX e realizzata con molte
puntate, fu la storia della guerra civile in Spagna, dove calcando la mano sui
massacri compiuti dai “rossi”, specialmente verso i religiosi, si insinuava un parallelo, tra le aperture di
centro sinistra della Spagna pre guerra civile e le attuali (anni ‘60) aperture
di centro sinistra in Italia, che potevano determinare gli stessi tragici
eventi della Spagna degli anni ‘30.
Nel frattempo nel 1964 Pisanò portò avanti una iniziativa politica,
denominata “Seconda Repubblica”, con
la quale intendeva ricomporre gli odi
della guerra civile, facendo incontrare ex fascisti ed ex partigiani,
ovviamente non comunisti, dietro un programma nazionale e sociale di
rinnovamento anche Istituzionale.
Una iniziativa politica simile e forse in
alternativa a quella dell’ex repubblicano e massone Randolfo Pacciardi, di “Nuova Repubblica”.
Riviste oggi, queste iniziative e
rapportandole a quel tempo, sollevano
molti dubbi, soprattutto se consideriamo che praticamente si sarebbe finito per
far incontrare “partigiani bianchi”, alla Edgardo Sogno, e “repubblichini” anticomunisti
della “Salò tricolore”: ma per fare cosa?
Nel 1965 Pisanò pubblica settimanalmente
una monumentale Storia della Guerra
Civile in Italia, a cui segue Storia
delle FF.AA. della RSI, due opere importanti e decisive per la verità
storica, il cui merito indiscutibile, non può essere negato, anche se risultano
in parte inficiate dall’esagerata importanza data alla “guerra rivoluzionaria”
del PCI nel 1943 – ‘45 (oltretutto dettata dagli anglo americani e sotto
controllo sovietico in base a Jalta) e la sopravalutazione dei cosiddetti “moderati”
della RSI, cioè la “Salò tricolore”.
Proprio
su queste tematiche Pisanò, forse non a
caso, a maggio del 1965 partecipò al famigerato convegno Pollio, sponsorizzato
dallo Stato Maggiore, all’Hotel Parco dei Principi a Roma, dove si discussero,
con vari giornalisti e ambienti di destra, presunte tesi per la guerra rivoluzionaria.
Di fatto, proprio in un momento in cui
gli Atlantici stavano per scatenare in Italia la Strategia della tensione, in quel convegno, anche Pisanò illustrò
le sue tesi, già accennate nella sua Storia della Guerra civile, per cui il
PCI veniva fatto passare per “rivoluzionario” attraverso la strategia del
“cavallo di Troia”, ovvero l’infiltrazione mascherata nel potere. Tesi questa,
oltre che non corretta, estremamente funzionale alle strategie statunitensi in
Italia in quel tempo.
Vale la pena soffermarsi su questo
aspetto perché è importante anche per capire gli sviluppi degli avvenimenti
successivi.
Si dà il caso, infatti, che il
partito comunista italiano, già a metà degli anni ’60, non era affatto un partito rivoluzionario teso
alla sovversione delle istituzioni.
Anni prima, i suoi dirigenti
erano stati condizionati dalla politica della Russia stalinista ed a Salerno
nel 1944 Togliatti aveva imposto la scelta strategica della “via democratica al
comunismo” adeguando la posizione del PCI alla politica internazionale dei
sovietici che si stavano indirizzando verso quelli che poi sarebbero stati i
definitivi accordi strategici di Jalta con gli Occidentali.
Neppure durante la guerra civile
il PCI svolse una politica
rivoluzionaria perché, oltre che ossequioso alle direttive di Mosca, calibrò
la sua condotta in perfetto accordo con gli Alleati, soprattutto le
Intelligenze britanniche.
La violenta azione di rottura del
PCI nella guerra civile e all’interno del CLN era soprattutto, se non
esclusivamente, finalizzata a smontare l’adesione popolare alla RSI, oltre a
colpire con attentati gappisti i dirigenti fascisti, soprattutto quelli
moderati che potevano assicurare adesioni al governo di Mussolini e alle sue
riforme sociali.
A guerra finita il PCI si trovò
perfettamente inserito nel sistema democratico, le sue strutture clandestine
della guerra civile furono smantellate, le frange oltranziste eliminate e le
correnti, diciamo così, “rivoluzionarie”, per esempio quella di Pietro Secchia,
poste in minoranza. Si trovò poi estromesso dal governo e condannato
all’opposizione dagli sviluppi internazionali che portarono alla “guerra
fredda”, che oltretutto era un confronto Est – Ovest, più che altro di
carattere “tattico”.
Già negli anni ’60 il PCI,
nonostante si veicolasse il marxismo leninismo nelle sue scuole di partito e
tra i suoi intellettuali, era un partito riformista, quindi “socialista”, con
vasti interessi nella società italiana.
I suoi legami con Mosca
(perdurati fino a quando, con gli anni ’70 avanzati, l’opera di Berlinguer, non
“occidentalizzò” il partito) e le sue tendenze riformiste, non erano gradite
agli americani, che paventavano, non una rivoluzione comunista, ma il fatto che
un PCI nelle sfere di governo, poteva accentuare le spinte geopolitiche e
terza-mondiste del nostro paese. Da qui un feroce ostracismo verso questo
partito da parte degli Atlantici.
Agli industriali, invece, in
particolare quelli della media e piccola impresa, il PCI nell’area di governo,
non era gradito, perchè non volevano pagare i prezzi di riforme sociali troppo
avanzate.
Come si evincerà, nel periodo
della strategia della tensione e poi durante il terrorismo brigatista, il PCI
fu il massimo difensore delle istituzioni democratiche: altro che partito
eversivo.
Tutte queste cose Pisanò, persona intelligente e “informata”, le sapeva
benissimo, quindi il suo “terrorismo”, nel denunciare e descrivere un partito
comunista sovversivo, quale un cavallo di Troia che si era mascherato da
democratico per impossessarsi del potere, era funzionale alle strategie
atlantiche di quel periodo e agli interessi del mondo conservatore.
Oggi
alcune inchieste e documentazioni, avanzano il sospetto che Pisanò in qualche
modo sia stato contiguo, assieme al suo amico e commilitone Tom Ponzi (il
famoso investigatore privato), di quel “noto servizio” ultra segreto detto l’Anello,
che si trova al centro di molti misfatti della nostra storia recente.
(Vedesi: S. Limiti: L’Anello
della Repubblica, Ed. Chiarelettere 2011, e Aldo Giannuli: Il noto servizio, Marco Tropea Ed.,
2011).
Nel
1968 Pisanò riesumò la testata, già di Guareschi, della rivista Candido,
e ne fece un settimanale di inchieste e lotta politica. Tra le altre, portò
avanti una lunga battaglia contro il parlamentare socialista , e poi
vicesegretario politico Giacomo Mancini, accusato apertamente e con ampie
documentazioni (al tempo, si disse procurategli dal suo amico Tom Ponzi) di
essere un ladro per via di un certo scandalo all’Anas.
Anche questa battaglia, che guarda caso
tra tanti ladri, a destra, al centro e a sinistra, si focalizzava tutta su
questo socialista scomodo a certe operazioni ultra “moderate” (anche se Mancini
era sottilmente anticomunista), ingenera molti dubbi. E gli stessi dubbi aumentano
considerando un'altra successiva campagna di Pisanò contro Aldo Moro (ma guarda
un po’!).
Nel febbraio del 1971 Giorgio Pisanò, direttore del Candido venne
arrestato con l’accusa di estorsione che, si disse, avrebbe perpetrato ai danni
del produttore Dino De Laurentis e che era attestata da registrazioni
telefoniche. Si disse che il produttore aveva dovuto pagare prima 4 e poi 6
milioni di lire, evidentemente per non far emergere scandali a suo danno.
Al processo però queste accuse non si
riuscì a provarle, ed oltretutto, quando
venne ammesso in aula l’ascolto delle registrazioni telefoniche, con la voce di
Pisanò, queste risultarono manipolate. Pisanò venne così prosciolto e
scarcerato.
Nel 1974 Pisanò, con il suo Candido, descrive uno strano
personaggio, tale Silvano Girotto, quale “Frate
mitra” spacciandolo per un guerrigliero rivoluzionario che si diceva aveva
operato in Sud America, quando invece era una spia che il generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa intendeva infiltrare nelle Brigate Rosse. Operazione che,
infatti, poi andò pienamente a segno.
Frattanto, nel 1972, creato da Almirante
il grande carrozzone del MSI DN, Pisanò venne eletto senatore, carica che
mantenne per quattro legislature. Divenne membro del Comitato Centrale e della
Direzione Nazionale del MSI DN.
Fece parte della Commissione parlamentare Antimafia
e della Commissione Parlamentare
d'Indagine sulla Loggia P2,
dove ha prodotto una ingente e interessante documentazione. Non pochi però
avanzano il sospetto che, sul ruolo della P2 e di Gelli, Pisanò abbia, sì dimostrato
il malaffare, ma ha anche cercato di non farlo apparire come finalizzato a scopi politici eversivi da parte
di Gelli. Una conclusione questa, scomoda, ma favorevole al gran maestro
Ebbe comunque il pregio di denunciare il delitto Calvi che
molti nei primi tempi tendevano a far passare come un suicidio.
Penosa invece la sua posizione all'interno del MSI
dove si battè contro coloro che ne denunciavano la collusione con gli americani
e l'occidente. Li accusa tutti di essere al servizio di Mosca! A tal proposito chiudiamo questa succinta
rievocazione riportando una risposta che Pisanò, ai tempi in cui era nel MSI,
ebbe a dare alla lettera di un militante anonimo del Fronte della Gioventù di Vicenza,
che chiedeva, da parte del partito, almeno una certa equidistanza: né con gli
USA, nè con l’URSS (quale bestemmia! N.d.A.). Ebbene, un Pisanò
imbestialito, rispose che queste proposte, antioccidentali e filosovietiche
(sic!) erano da cialtroni e chi le avanzava doveva essere individuato e buttato
fuori a calci dal MSI (Vedesi: “Italia Tricolore per la Terza
Repubblica, Ravenna N. 4 aprile
2006). Ogni commento è superfluo.
Nel 1995 parteggia con Pino Rauti al
tentativo di mantenere in vita l’ectoplama del MSI, ma è un tentativo effimero
che abortisce ben presto.
Pisanò
fonda anche il movimento Fascismo e Libertà che si caratterizza per un ritorno alla
simbologia fascista, propugna una Repubblica presidenziale bicamerale ed espone
un programma socialista e non di destra. Evidente il contrasto con i tempi
della sua Seconda Repubblica quando invece si volevano superare certe antitesi e
simbologie del passato e con il periodo missista. E’ credibile?
Poco prima di
morire recupera una importante testimonianza di una donna, Dorina Mazzola al
tempo residente a Bonzanigo, nella Tremezzina, che aveva assistito
all’assassinio del Duce e di Clara Petacci in orario antimeridiano del 28
aprile 1945. E’ la più concreta e si può definire definitiva stroncatura della
“vulgata” comunista sulla morte del Duce ed è stato un grande merito che va alla sua
indubbia capacità di detective e ricercatore storico.
Qui sotto: volantino di Controcorrente,
gruppo giovanile FNCRSI
"Pino Romualdi ("Secolo",
2.1.1986), scrive che «occorre metterci
in testa, finita la sbornia del mondo che doveva andare a sinistra, che solo il
concreto e determinante intervento di una vera grande forza politica di destra
può portare il mondo civile in equilibrio. Cioè, -continua Romualdi - metterlo in condizioni di affrontare e
risolvere con le proprie forze i problemi: di controllare e guidare verso il
bene le forze scatenate in ogni continente dal vittorioso dilagare della Russia
sovietica e del comunismo, e sapientemente trasformate in forze rivoluzionarie,
fanatiche e criminali, permanentemente mobilitate contro la società e la
civiltà del mondo occidentale, svuotato di ogni valore politico e di ogni
volontà dalla tragica sconfitta dell'Europa». (…)
Ma se le cose stanno così, Pino Romualdi deve dirci
in che consisteva l'originalità dell'Europa sconfitta, quando affermava di
essere, al tempo, sì anticomunista ma soprattutto anticonservatrice, in quanto
il comunismo aveva potuto concepirsi e svilupparsi proprio in virtù di
un'ingiustizia sociale secolare nata dal seno della civiltà del denaro. Non ha
senso una negazione del comunismo che non sia insieme una altrettanto chiara ed
esplicita negazione della civiltà neocapitalista. (…)
Il problema non è quello di battere solo il
comunismo, ma è, in primissima linea, quello di abbattere un mondo, una
struttura economica e morale che ha reso il comunismo possibile e inevitabile.
Perché, altrimenti, caro Pino, che si è combattuto a fare?"
G. Niccolai: A Pino Romualdi, in: "L'Eco della Versilia", N°1, 31. 1. 1986
Sarebbe ingeneroso, da parte
nostra, non accennare a qualche raggio di sole, ovvero a qualche personaggi0
che pur agendo in quel mare di sterco che era il MSI degli anni ’70 e ‘80, ha
lasciato una sua impronta politica degna di rilievo.
Del
resto il MSI era pur sempre un partito politico e come tutti i partiti che
occupano un posto sia politico che sociale, vi passano i personaggi più
disparati, ognuno con la sua storia, le sue attitudini e professionalità, i
suoi ideali e i suoi scopi e interessi, sinceri, onesti o venali che siano.
Tra
i pochi, veramente pochi, che ci vengono in mente, pensiamo ad esempio a Beppe
Niccolai (foto a lato), nato a Pisa nel 1920,
laureato in giurisprudenza e volontario di guerra in Africa Settentrionale dove
si distinse per coraggio e valore. Catturato dagli inglesi finì nel "Fascist's criminal camp" di
Hereford, nel Texas.
Deputato per tre legislature,
giornalista, intellettuale, con il MSI fu eletto alla Camera dei Deputati nel
1968 e in questo partito cercò, ma oramai tardivamente, di rappresentare
l’anima di una sinistra nazionale, contestando le posizioni filoatlantiche, gli
apparentamenti con i monarchici e cercando di portare avanti una sua linea
socialista nazionale.
Eppure era stato uno stretto
collaboratore di Almirante, poi con gli anni ’80 ne divenne avversario
soprattutto sulle questioni di politica este ra, tanto che nel 1985 riuscì a
far approvare dal Comitato Centrale del MSI, un sostegno a Craxi, per lo scatto
di orgoglio nazionale sulla vicenda di Sigonella, dove pur era stato vilmente
attaccato da vari parlamentari MSI.
Ma sostanzialmente i suoi sforzi,
apprezzati dalla base giovanile che proprio in quegli anni cominciava a
cambiare, furono vani perché in effetti
durante i suoi anni da parlamentare il MSI, oltretutto, aveva preso la
definitiva svolta ultra conservatrice e
reazionaria divenendo Destra Nazionale e, bene o male, non poche tematiche di
destra sono purtroppo anche presenti
nella politica di Niccolai nonostante fosse definito “di sinistra”.
Niccolai fu componente della Commissione Difesa della Camera nel 1970
/ 1972 e della Commissione Lavori
Pubblici nel 1968 / 1970, quindi della Commissione parlamentare Antimafia nel
1972 e nel 1976. Non si volle ricandidare alla Camera nel 1976. Fu anche membro
della Direzione del MSI DN e interpretò una certa opposizione ad Almirante. Nella
sua Pisa fu anche Consigliere Comunale prima e Provinciale poi.
Questo
parlamentare ci ha lasciato tutta una serie di suoi scritti e interventi, molti
dei quali degni di attenzione e che divergono sensibilmente dalle politiche
reazionarie del MSI.
A questo punto però è d’obbligo una
domanda: cosa ci ha fatto Niccolai, scomparso nel 1989, per tanti anni nel MSI,
di cui non poteva non rendersi conto della sua vera essenza e funzione
contraria alle sue idee e agli interessi nazionali, occupando oltretutto varie
cariche che, volenti o nolenti, lo rendevano complice, sia pure come
contestatore interno, del ruolo del MSI.
Senza
contare poi la sua posizione filo israeliana negli anni ’60 e ’70 (chiaramente
derivante da quel missismo che identificava demenzialmente negli israeliani i
“combattenti in trincea”), che poi attenuò alquanto con espresse simpatie per
il popolo palestinese.
Del
resto nel suo periodo successivo, quello cosiddetto “eretico”, non poteva non
rivedere, almeno in parte, queste simpatie verso Israele, visto che al contempo
ipotizzava una visione Europea per l’Italia e un suo ruolo nel Mediterraneo che
divergevano chiaramente dal filo atlantismo.
Volendo
spezzare una lancia in suo favore possiamo trovare una sola risposta, cioè che
Niccolai pur conscio di cosa fosse e rappresentasse il MSI, guardatosi intorno
e constatato il vuoto politico che lo circondava, conscio che una alternativa
concreta fosse irrealizzabile, preferì portare avanti le sue battaglie
dall’interno del partito nella speranza che qualcosa di positivo pur rimanesse.
Se
così fosse, è una posizione che possiamo comprendere, ma in ogni caso non
approvare del tutto e che lascia anche il campo aperto alla facile illazione
che, tutto sommato, così facendo si è conciliato il sacro con il profano,
l’utile con il dilettevole, ovvero il continuare ad attingere alle cariche e
gli incarichi che il ruolo di parlamentare permetteva con l’estrinsecazione di
un certo messaggio ideale che però in quel partito marcio, non poteva che
rimanere lettera morta, tornandogli anzi utile per illudere e tenere nel
partito una parte della base che si riconosceva in quelle tesi alternative e
contestative.
Ci
rendiamo conto che i nostri sono sospetti forse ingenerosi, ma non possiamo
sottacerli, come anche, ad esempio, che la figura e la “contestazione da
sinistra” di Niccolai, pur sempre interna al partito, tornava utile alla
dirigenza, Almirante, per avere sotto controllo tutta l’area della base del
partito.
Avremmo
apprezzato molto di più che, ad un certo momento, Niccolai avesse
clamorosamente abbandonato quel partito, con un gesto pubblico, clamoroso che
oggi, assieme ai suoi scritti, sarebbe rimasto a testimonianza storica.
Giulio Caradonna
emblema del missismo
Senza
commento
"Comunità
ebraica romana – 28 ottobre 1973 – 27 Tisc’rì 5734 –
On.
Giulio Caradonna Dirigente della Destra Nazionale Lazio
“Molto
grato per le gentili e nobili espressioni di solidarietà, Le invio, con i sensi
del più vivo apprezzamento, migliori saluti”.
Firmato
Elio Toaf Rabbino Capo"
Indispensabile è adesso
accennare anche ad un paio di testimonianze del
missista Giulio Caradonna, foto a lato, per cogliere appieno quello che
è stato il MSI.
Se non proprio tra i fondatori, Giulio
Caradonna, ebbe comunque un importante
ruolo nella storia missista, ma tanto per comprendere in che clima di
dissolutezza e imbecillità furono cresciuti i giovani di questo partito e al
contempo come agli avversari faceva comodo alimentare un certo “immaginario
collettivo”, ricordiamo che ai tempi Caradonna veniva spacciato come un “picchiatore”,
anzi il capo dei picchiatori per antonomasia.
“Se
la corrente elettrica è una corrente forte, chi tocca Caradonna: pericolo di
morte” erano le demenziali strofette che giravano tra i giovani attivisti
di sezione negli anni ‘60. Come sia nata questa “leggenda metropolitana” non si
sa’, forse per il fatto che Caradonna, negli anni precedenti, aveva partecipato
agli scontri di piazza o forse perché da “onorevole” a volte si presentava in
qualche situazione di piazza alla testa di gruppi di attivisti da lui
racimolati, ma ovviamente agli avversari, a cui faceva comodo questa figura di
“fascista da film”,[1]
come spesso fu definita, non pareva vero alimentare tali dicerie, nonostante
che lo stesso Caradonna finì per confessare che lui tutto poteva essere stato
tranne un picchiatore essendo per giunta un grande invalido a seguito di un
incidente.
Di
Caradonna, di cui si sussurrava, come poi fu confermato, che fosse un massone
(come se non ce ne fossero altri!) si diceva, che quando i fascisti della Federazione Nazionale Combattenti RSI,
nel 1967, affissero manifesti in favore della lotta del popolo arabo aggredito
dai sionisti lui, in Direzione MSI, andò su tutte le furie.
Pochi anni dopo, precursore ante litteram
di tanti altri suoi sodali, si recò al Museo
dell'Olocausto di Gerusalemme per deporre una corona di fiori.
Il 28 ottobre del 1973 Caradonna ebbe
anche una lettera di ringraziamento dal rabbino Elio Toaf per le sue posizioni
filo sioniste, lettera che Almirante ebbe cura di portare con sè nel suo
viaggio in America nello stesso anno.[2]
Sintomatico,
per capire certe “evoluzioni” storiche, quanto abbiamo già riportato circa la
confessione di Caradonna che per
convincere ed anzi spostare ancor più a destra i reduci del fascismo
repubblicano, che di destra non erano, tornavano utili gli scontri con i rossi..
Come
vedesi una tesi questa, cara a Caradonna che già abbiamo accennato nelle pagine
precedenti dove la contrapposizione dura ai comunisti era anche messa in
relazione a stemperare l’antiamericanismo che vi era nel dopoguerra e nei primi
anni ’50 nella base missista, come dire due
piccioni con una fava.
E
a questo perfido gioco si prestarono di sicuro anche gli avversari a cui faceva
comodo a tutti che ci fosse un partito, che ben sapevano non era fascista, ma
che venisse spacciato come tale.
E
il prezzo di questo infame stillicidio, facciamo notare, lo pagarono tanti
camerati, visto che in quei turbolenti
anni, come si apriva una sede del partito o si teneva un comizio in zone
“calde”, subito avvenivano aggressioni da parte dei comunisti e si innescava la
spirale delle ritorsioni e delle vendette.
E il gioco degli opposti estremismi fu ancor più
pagato negli anni ’70, gli anni di piombo,
da tanti ragazzi di destra e di sinistra, spesso adolescenti, fatti
reciprocamente ammazzare o invalidare in nome di un odio feroce, demenziale,
quasi da stadio.
Per quel che qui ci riguarda non possiamo non
notare come tutto il mondo giovanile missista, grazie ad un MSI oramai emblema
dei partiti conservatori e filo atlantici, era definitivamente conformato dalle
ideologie e dalle tematiche della destra, ma erano pur sempre dei ragazzi,
spesso di coraggio e generosi, che il partito sfruttava per attività
elettorali, per tenere in piedi le sezioni, per fare da “scudo” ai dirigenti. Ai
ragazzi non fregava niente del filo atlantismo e anche se, in contrasto con i
“rossi”, inneggiavano contro tutto ciò che a
questi si contrapponeva, non per questo erano filo americani.
La base giovanile missista, salvo eccezioni che non
mancavano, non era filo americana e neppure al servizio della polizia, come
dicevano le sinistra, ma era tutto il contesto, la politica stessa del MSI, che
li portava, magari senza neppure accorgersene, a muoversi in quel senso.
E non mancavano anche casi, vedesi i fatti di
Milano del 1973 in
cui rimase ucciso un agente di Ps, che questi giovani venivano impiegati per
scatenare scontri di piazza per chissà quali ambigui interessi.
Ma quando ci
scappava il morto, quando le violenze trascendevano, i dirigenti missisti non
lesinavano di denunciarli, di disconoscerli, come raccomandava loro Almirante. In
pratica questi giovani facevano da carne da cannone, sostenendo anche il peso
della sinistra scesa sul piano della lotta armata, e quindi lasciati al loro
destino.
Tutto pane per il Sistema che trovava
ragione di sussistenza anche nelle logiche perverse degli “opposti estremismi”
e per i farabutti che gestivano il MSI e che ci rimediavano lauti posti al
parlamento o negli Enti locali o ruoli ben remunerati nel partito.
Più chiaro di così
Ma ancor più Caradonna ebbe anche ad
illustrare, in tutta sincerità, quale era stata la vera funzione del MSI,
quando disse e le sue parole andrebbero scolpite nella pietra e messe al collo
di tanti ingenui, da rasentare l’imbecillità, soprattutto quelli che ancora
ritengono che fu Gianfranco Fini a Fiuggi a rinnegare certe idee:
"Il
MSI fu una grande operazione di Michelini e Almirante che ereditarono il
fascismo anticattolico, antisemita e antiborghese, di Salò e ne fecero una
forza conservatrice, filoisraeliana e filo atlantica".
Se le parole, oltretutto spesso ripetute
in varie occasioni da Caradonna, ma non solo da lui, hanno un senso e del resto
sono dimostrate, proprio da quello che fin qui noi abbiamo ricostruito ed
illustrato, abbiamo la conferma e non vi sarebbe bisogno di aggiungere altro
che ci furono personaggi, predisposti ideologicamente e operanti in tal senso,
evidentemente in nome e per conto di determinati interessi i quali, ingannando tutti, trasformarono un ambiente umano
e politico nel suo esatto contrario, con buona pace di tutti gli imbecilli che
credono ancora alle favole.
Il MSI e lo Stato ebraico
Fin dove può arrivare il falso e il servilismo
"I diritti degli Arabi sulla Palestina non
prevalgono di certo su quelli che, del pari, vi vantano gli ebrei. Sono
raffronti obiettivi, suffragati da elementi d’una incontestabile verità storica.
(L’ora della verità, s.f., in “il Secolo d’Italia”, 11 giugno 1967)
Altro
aspetto, non certo edificante, che ha caratterizzato la storia del MSI sono i
suoi rapporti con Israele, da noi già evidenziati nel paragrafo precedente,
parlando di Caradonna.
Parliamoci
chiaro: qui non si tratta di razzismo, antisemitismo o altro, qui si tratta
della collusione con una Stato che, a prescindere della sua natura violenta e
sopraffattrice di un intero popolo e altre nazioni, ai quali ha rapinato terre
e abitazioni (per edificare e poi ingrandirsi a dismisura), rappresenta
l’avamposto avanzato dell’Occidente, la cerniera tra il Mediterraneo, l’Africa
e il Medioriente, ergo una parte importante dell’area geopolitica controllata dai
nostri colonizzatori.
Ma non solo gli aspetti geopolitici, avrebbero
dovuto indurre a parteggiare per i paesi arabi, c’erano anche quelli storici,
laddove i paesi islamici, nell’ultimo conflitto mondiale, avevano simpatizzato per l’Asse e contro i
britannici e oltretutto l’Occidente capitalista era un nemico comune.
Questi temi ovviamente erano quasi del tutto
sconosciuti alla base missista la quale, in parte antiebraica, si alimentava
più che altro con un antisemitismo stupido e generico sostanziato dal fatto che
“gli ebrei controllano l’economia e il commercio”.
Su questo argomento, scabroso per molti, ben poco
si è scritto in letteratura, laddove forse l’unico lavoro organico risulta
quello di Gianni Scipioni Rossi: “La destra
e gli ebrei Una storia italiana”, Ed. Rubettino, 2003, dove si parla anche
della Fncrsi e la sua posizione filo araba e filo palestinese, ma si riportano
però anche alcune inesattezze.
Anche le
vicende, che abbiamo precedentemente accennato, dell’apporto dato dalla ex
Decima Mas, agli israeliani o pure quella dell’esplosivo fornito ai terroristi
israeliani nel 1947 attraverso Romualdi, sono molto istruttive per constatare
come, questi ambienti e personaggi,
invece di vedere nel sionismo un nemico irriducibile del fascismo e del
nostro Paese, ci intrattenevano rapporti e lo aiutavano sfacciatamente.
Rapporti alquanto curiosi visto che gli ebrei, pur
sapendo benissimo che il MSI non era un partito fascista, vedevano però in
molti esponenti di questo movimento uomini del ventennio e della RSI o per
meglio dire, personaggi del tempo delle Leggi razziali. E come è loro costume,
non “dimenticavano” e quindi, fino a
quando Gianfranco Fini non andò a Gerusalemme a dichiarare apertamente che il
fascismo era il male assoluto, mantennero sempre, almeno esteriormente e nella
ufficialità, una certa schifata distanza
verso il MSI.
Questo non toglie
però che gli ebrei approfittassero di tutte le “gentilezze” e gli
appoggi che il MSI, forniva alla causa sionista.
I missisti, d’altra
parte, facevano di tutto per ingraziarsi la lobby ebraica consci che era estremamente
influente e questa posizione era conseguenziale e perfettamente in linea con il
loro filo atlantismo e filo americanismo. Non c’è niente quindi che ci possa
meravigliare.
Il peso delle leggi
razziali
Ora, come detto, per valutare
esattamente questo rapporto non dobbiamo riferirci alle posizioni ideologiche,
al razzismo, antisemitismo, ecc. che del
resto il MSI neppure avanzava, trovandosi oltretutto già in forte imbarazzo
rispetto alle Leggi razziali del ventennio, al ruolo avuto da Almirante in
giornali al tempo antisemiti come il Tevere
e La difesa della razza, ma
proprio alle relazioni, palesi o nascoste, tra il MSI e il sionismo.
Sta di fatto
che per uscire da questo “imbarazzo storico” verso gli ebrei, spesso i missisti
si cimentavano in articoli o saggi, in particolare Giorgio Pisanò (suffragati
anche dalle ricerche storiche di Renzo De Felice) per dimostrare che, in fin
dei conti, Mussolini aveva salvato molti ebrei dalle deportazioni e comunque
non si poteva addebitare nulla al fascismo in merito alle persecuzioni
antiebraiche. [3]
Ma tutto
questo ovviamente agli ebrei non poteva bastare: le sole Leggi razziali, di per sé stesso
erano pur state varate e applicate e quindi restava sempre una certa diffidenza
e distanza tra ebrei e missisti, i quali erano spesso costretti a recitare una
vera e propria farsa.
Già
nell'agosto 1946 sul primo numero di "Rataplan", settimanale anche di Nino Tripodi, si cercavano
giustificazioni di ogni genere e pietosi mea culpa:
"Non
fu per supina acquiescenza a ordini tedeschi, bensì per la speranza, meglio,
per il calcolo politico sui vantaggi ottenibili in Medio Oriente in caso di
guerra. Un calcolo che in pratica si rivelò sbagliato, e comunque meno infame
di una brutale ubbidienza a ordini di Hitler, ma pur sempre un'azione ridicola
in fatto di premessa scientifica razziale, e maledetta e cattiva, quando arrivò
a colpire i bambini espulsi dalle pubbliche scuole, alti funzionari,
ineccepibili ufficiali e il sacramento del matrimonio".
Con il tempo,
i missisti, stretti nel loro demenziale “né
restaurare, né rinnegare”, presero a dichiarare (ma un poco alla volta per carità! I voti dei
“nostalgici” sono pur sempre voti”) che le Leggi razziali erano state un
errore, fino a quando Almirante, dopo essersi per anni barcamenato per ripudiare
certe posizioni razziste o a giustificarsi verso l’ebraismo di suoi
passati articoli su La difesa della
razza, attestò la condanna del MSI su le Leggi Razziali, in televisione (Tribuna stampa
televisiva del 23 febbraio 1967).
Ma come
premesso, questo aspetto “ideologico” ha scarsa importanza, perché quel che
conta sono le posizioni geopolitiche che un partito che si definiva nazionale e
nazionalista, avrebbe dovuto tenere negli interessi del nostro Paese ed invece
si comportò come un ignobile servo, tra l’altro poco gradito, del sionismo.
Esulando
quindi dal contesto ideologico, che nessuno mai ha inteso affrontare o
rivendicare, i rapporti tra il MSI e l’ebraismo vanno visti nel senso dei
rapporti tra il MSI ed Israele.
Israele punta
avanzata del colonialismo occidentale
La
prima valutazione che in questo senso occorre fare è quella che il MSI fu un
ottimo alleato dello Stato ebraico e questa sua posizione, da sola dimostra
tutto l’antifascismo e l’anti italianità di questo partito.
A parte il fatto che, come abbiamo avuto modo di
accennare, l’ebraismo era stato uno dei massimi artefici della guerra al
fascismo e della distruzione dell’Italia e della Germania, avrebbe anche dovuto
essere a tutti chiaro che il dominio anglo americano in Europa, il loro
controllo sul Mediterraneo, nel vicino Oriente e in Africa, passavano anche
attraverso Israele, avamposto dell’Occidente in queste aree.
Non pochi
ipotizzavano che in realtà gli Stati Uniti erano ostaggi delle lobby ebraiche,
ma comunque sia le cose non cambiavano ed Israele poteva considerarsi a tutti
gli effetti come parte integrante del colonialismo Occidentale.
Le conseguenze
di queste valutazioni geopolitiche, che pur avevano improntato alcuni uomini di
governo italiano che, nonostante gli “obblighi” verso lo Stato ebraico,
derivanti dalla nostra collocazione internazionale, nell’interesse del Paese si
sforzavano di tenere una certa equidistanza nel contenzioso arabo – israeliano
e di mantenere buoni rapporti con i Paesi arabi, erano chiare per tutti, meno
ovviamente per i missisti, che nascondendosi dietro la solita storia del
pericolo sovietico, si ponevano di traverso e parteggiavano sfacciatamente per Israele.
Gli aggressori
spacciati per vittime
E
così le guerre di aggressione di Israele, in particolare quella del 1956 e
quella del 1967, che avevano consentito allo Stato ebraico di espandersi
vergognosamente rapinando territori attigui e causando altre centinaia di
migliaia di profughi nel popolo palestinese, erano viste dal MSI come misure
atte alla difesa della Nazione ebraica, che si diceva, aveva pur diritto a
vivere (la nazione ebraica, ovviamente, non tutti gli altri popoli massacrati e privati di terre e case!).
In pratica, né
più, né meno che il ritornello della propaganda sionista.
E questo nonostante che per esempio Nasser, anni
prima, avesse devoluto dei finanziamenti anche al MSI, nel tentativo di avere
orecchie amiche in Italia.
Non servì a
nulla: quando gli israeliani, durante la crisi di Suez, attaccarono l’Egitto
nel 1956, dietro una retorica avversione parolaia del MSI alla Gran Bretagna, le
dichiarazioni, sia pur prudenti degli esponenti missisti, in imbarazzo verso la
base, mostravano chiaramente che il partito era dalla parte degli israeliani,
soprattutto dopo che i sovietici si misero in mezzo per evitare il completo
disastro degli egiziani (il solito “anticomunismo” utile a giustificare ogni
nefandezza!)
Ma fu nel
1967, di fronte alla nuova grande aggressione israeliana, concretizzatasi nella
rapina di ampi territori all’Egitto, alla Siria e nella conquista di Gerusalemme, la città che
avrebbe dovuto essere patrimonio di tre religioni, che il MSI, gettò totalmente
la maschera parteggiando apertamente per gli israeliani.
L’aggressione
sionista viene presentata come un “attacco preventivo” teso ad anticipare
analogo attacco degli egiziani; i toni che descrivono le “gesta degli israeliani
sono trionfalistici. L’esercito israeliano, enormemente superiore per mezzi e
qualità degli stessi, rifornito e coperto strategicamente dagli americani, in
pochi giorni distrugge le forze nemiche e conquista tutti gli obiettivi
prefissati. L’URSS è costretta ad inviare armi e istruttori e ad alzare la voce
per impedire il totale tracollo di Egitto e Siria. I paesi del blocco dell’Est,
ad eccezione della Romania rompono le relazioni con Israele. Al MSI non pare
vero: la spinta emotiva data dai
“vincitori” sul campo e lo starnazzare del pericolo sovietico e comunista, gli
consentono di imporre la sua linea filo israeliana alla base.
Il presidente
egiziano Nasser venne cervelloticamente accusato di “cripto comunismo” (vedasi: Il M:S:I. agli Italiani, Elezioni politiche
1968, Roma, s.d.,) e di essere “al soldo di Mosca”, mentre Israele diventava “un baluardo contro il comunismo” (Michelini, in “Il Secolo d’Italia”, 6 giugno 1967.).
Questa scellerata posizione filo israeliana,
oltretutto contraria (come al solito) ai nostri interessi nazionali, avendo la
base del partito non tutta favorevole (almeno fino a tutti gli anni ’60, perché
poi la stessa base missista cambiò profondamente), già nei primi anni del
missismo era stata portata avanti in sordina, con molta accortezza, facendo più
che altro e scaltramente, leva su alcuni luoghi comuni che potevano essere recepiti favorevolmente, in
particolare, dai militanti più sprovveduti.
Per esempio,
gli si diceva che Israele aveva costruito un “giardino nel deserto”, cosa oltretutto
non vera perché i palestinesi contavano infrastrutture e coltivazioni di tutto
rispetto che gli furono letteralmente rapinate, oppure che i pionieri ebrei dei
kibbutz potevano essere assimilati ai nostri legionari con la vanga e il
moschetto, e altre stupidaggini del genere.
Aberrazioni
ideologiche
In
pratica questa “simpatia” verso Israele veniva sostanziata da due autentiche
mascalzonate, una tattica ed una ideologico - strategica:
primo, che gli arabi
erano amici dei sovietici, ergo noi dovevamo stare dalla parte di Israele
(aspetto tattico);
secondo, e questo era
portato avanti anche da altri gruppi extra al MSI di ideologia più o meno
“evoliana”, si sosteneva che si doveva considerare Israele come l’ultimo
baluardo dell’uomo bianco in Africa e in Medio Oriente (motivazione ideologico
- strategica).
In poche
parole, lo Stato teocratico ebraico che mirava al potere mondiale, avamposto
dell’imperialismo Occidentale che ci schiavizzava e devastava esistenzialmente,
veniva spacciato come un ultimo avamposto da difendere!
Don
Curzio Nitoglia, in alcuni suoi saggi, ha ricostruito molto bene, le vergognose
collusioni tra il MSI e i sionisti. Ne riportiamo alcuni passaggi, dal suo
saggio: Israele e il MSI-AN, reperibile
on line:
"Almirante e Michelini sono stati sin
dal 26 dicembre del
1946 filo americani e
poi filo israeliani sin dalla
fondazione dello Stato d’Israele
(1948). Nel 1948 “il quotidiano
del MSI guarda
con palese simpatia
a quelli che
chiama in un primo tempo
“sionisti” e dopo
qualche giorno semplicemente
“ebrei”, scaricati dagli
inglesi” (Scipione Rossi,
La destra e gli
ebrei. Una storia italiana, Rubettino,
Soveria Mannelli, 2003) .
Col 1967 (la
guerra dei sei
giorni), quasi tutti scoprono
che Israele è il “baluardo dell’occidente” contro l’espansionismo
sovietico! [4]
Franz
Maria D’Asaro (direttore del Secolo
d’Italia) racconta che “Almirante
sin dai primi
anni Cinquanta, sensibilizzava il
nostro interesse nei
confronti dello spirito
pionieristico e patriottico
con il quale
i fondatori dello
Stato d’Israele avevano fondato
la nuova nazione” (Franz
M. D’Asaro, “Il Secolo”? Doveva
durare un anno,
in “ I 50 anni del Secolo d’Italia” , inserto
del 16 maggio
2002). (…)
Nel documento conclusivo del X congresso del MSI
nel 1973, si
legge a pagina
44: “Israele ha
diritto a una pacifica
e sicura esistenza” .
Nel
1983 il MSI chiede “una Patria
per Israele” (MSI- DN:
Il messaggio degli anni ottanta, Roma,
1983). (…)
Ma dieci
anni prima di
Caradonna, un altro
ex repubblichino, Giano Accame,
si era già
recato - come inviato
del Borghese - a Gerusalemme nel 1962
(31 anni prima
di Fini) . Accame vi ritornò
nel 1967, ancora
come inviato del Borghese dell’ex repubblichino (massone ed ebreo)
Mario Tedeschi, tenacemente filo israeliano.
(…)".[5]
(Vedesi: Israele
e il MSI-AN, in: http://doncurzionitoglia.com/
israelemsi)
Nel suo articolo: “Da Almirante a Tel Aviv”, anche Adriano Scianca, su la rivista
Orion di marzo 2004, riassume magnificamente alcune situazioni storiche tra
ambienti missisti e sionisti:
"Anche la guerra del Kippur (1973) trova la
dirigenza missina entusiasticamente schierata su posizioni filo-israeliane. In
una rivista giovanile di destra non ci si vergognerà nello scrivere:
«Israele si
espande perché è la Storia dell'Uomo che lo chiama a compiere quell'opera di
civiltà e di guerra che altri popoli, altre nazioni (…) rifiutano di compiere.
Israele è anche il nostro futuro».[6]
[Ugo Bonassi, Addio ai padroni, in "Il
Principe", novembre 1970 (cit. in Gianni Scipione Rossi: La destra e gli ebrei, Ed. Rubbettino
2003)].
Almirante, si reca negli USA portando a garanzia
della propria legittimità democratica una lettera scritta dal Rabbino Capo di
Roma, Elio Toaff, a Giulio Caradonna, indefesso sostenitore della politica
israeliana e divulgatore di discutibili tesi storiche su di una presunta
politica filo-sionista del Fascismo.
Anche l'ambiente «culturale» si dà da fare: se da
una parte dalle colonne de "Il
Borghese" Giano Accame propaganda fin dal 1962 l 'idea di Israele come
piccolo stato eroico e nazionalista, avamposto d'Occidente assediato dai
comunisti arabi, dall'altra Giuseppe Ciarrapico, editore «cerniera» tra la
destra della DC andreottiana ed il MSI, comincia a pubblicare testi apologetici
delle gesta delle armate sioniste… mentre nel 1981 toccherà addirittura alle
memorie di Begin"
(Articolo
completo visibile anche on line in: http://www.beppeniccolai.org/Da_Almirante_a_Tel_Aviv.htm).
Quindi, come abbiamo visto, con la fine degli anni ‘60 ogni remora verso
un esplicito filo sionismo viene a cadere e marcherà in pieno gli anni ‘70.
Se nella dirigenza del partito si verificano delle
divergenze, queste sono più che altro di natura tattica, come ad esempio Pino Romualdi:
[Romualdi è
per la non condivisione degli] "entusiasmi
per Israele e per le sue più o meno facili vittorie militari, non in odio ad
Israele e per amore dei poveri Arabi [per carità! N.d.A.], ma semplicemente perché queste vittorie non
giovano a nessuno".
[E’
stolta la convinzione del MSI DN] <he
le vittorie di Israele ci salvino dal comunismo, quando è stato proprio
approfittando di questa situazione che la Russia e il comunismo hanno potuto –
e ancor più potrebbero domani – allargare e consolidare la loro presenza nel Mediterraneo,
nel Medio Oriente e in Africa
Il che, tradotto per gli immemori e gli ingenui sta, più o meno, a
significare: l’Occidente, Israele
compreso, è la nostra culla e la nostra difesa, ma tutto è minacciato dal
comunismo e dalla Russia (ah questi rossi!) che approfittano della situazione
bellica creatasi in Medio Oriente e vengono a minacciarci.
Il prode Anselmo va alla guerra: alla vigilia
del dibattito alla Camera sulla crisi mediorientale del ’73, Caradonna chiede
che sia negato lo spazio aereo italiano a tutti gli aerei del Patto di Varsavia
diretti nei paesi arabi e accusa il governo di ambiguità (…) E questo mentre:
"Israele, oggi più di ieri si batte anche per l’Europa".
G. Caradonna: Il
Secolo d’Italia 27.10.1973. (Cfr.: G. S. Rossi, opr. cit.).
Quello che accade nel nostro Parlamento dopo che il
6 ottobre del 1973 era scoppiato il nuovo conflitto arabo – israeliano (guerra
del kippur) mostra tutta l’anti italianità di questo partito di destra e il suo
servilismo verso gli atlantici e il sionismo.
Devesi
ricordare infatti che il governo italiano, presieduto da Mariano Rumor, ma
soprattutto con Aldo Moro al ministero
degli Esteri e nell’occasione con il sostegno delle sinistre, rifiutò agli
americani l’uso di basi italiane per i rifornimenti all’esercito israeliano.
Moro in
pratica cercò di adottare, come anche fece in seguito, una linea politica che mantenesse il nostro
paese estraneo al conflitto, preservasse la possibilità di giocare un ruolo
futuro nel terzo mondo ed evitasse che il nostro paese divenisse terra di
scontro tra frange di guerriglia palestinese e il Mossad israeliano. Ancor più
delle future aperture politiche di Moro verso il PCI, fu probabilmente proprio
questa “equidistanza” mostrata più volte da Moro a determinare verso di lui un
forte ostracismo da parte americana, soprattutto Kissinger, e un odio feroce da
parte israeliana, che finì per costargli la vita.
Il 13 ottobre 1973 a
Copenaghen, al vertice dei paesi della Cee, venne anche accolta la proposta italiana di Moro per un appello alla
cessazione delle ostilità e l’avvio di negoziati in base alla risoluzione N.
242 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (risoluzione mai digerita da Israele).
Il 17 e 18 ottobre Moro aveva illustrato al Senato e alla Camera la
valutazione del governo, illustrandone l’operato e indicando i vantaggi che ne
risultavano anche per l’Europa chiamata ad esprimere una linea comune. In
quelle sede Moro ottenne apprezzamenti bipartisan da vari settori del
Parlamento con la eccezione di alcuni deputati liberali e ovviamente
l’avversione del MSI!
Qualche anno
dopo, sul Secolo d’Italia, tra il
marzo e l’aprile del 1976, vengono pubblicati cinque articoli di Giulio
Caradonna «nettamente schierati con le
ragioni dello Stato ebraico, che si appellano al filo sionismo», la cui
importanza e netta presa di posizione, così impegnativa a favore dello Stato
ebraico, non poteva non aver avuto l’avallo, se non la promozione, di
Almirante.
Potremmo
riportare pagine e pagine per dimostrare il vergognoso allineamento del MSI nei
confronti degli israeliani, ma crediamo che sia del tutto superfluo, tanto è
evidente la cosa.
E ci sono
ancora degli imbecilli o “vedove” afflitte del MSI, che si meravigliano che
Fini a Gerusalemme abbia abiurato tutto, o che il sindaco di Roma, Gianni
Alemanno, nel 2008 sia andato a festeggiare con gli ebrei romani sotto l’Arco
di Tito, i 60 anni della nascita dello Stato ebraico, rendendo omaggio agli
ebrei della presenza del sindaco della città eterna, proprio sotto quell’Arco
che gli ebrei hanno sempre avuto in odio, come in odio hanno la storia di Roma.
CONCLUSIONI
"Pino Rauti e Ordine nuovo sono stati
strumento dello Stato e del regime, con un capo che faceva il giornalista nel
quotidiano democristiano "Il Tempo", che era un consulente del capo
di Stato maggiore dell'Esercito e poi della Difesa, generale Giuseppe Aloja,
che era in contatto diretto con il direttore del SID, ammiraglio Eugenio Henke.
Il Movimento sociale italiano è l'unico partito
politico che ha annoverato fra i suoi parlamentari ben tre direttori dei
servizi segreti: i generali Giovanni De Lorenzo, Vito Miceli e Luigi Ramponi. Appare evidente che Pino Rauti ed Ordine
nuovo non erano considerati "nazisti" dai vertici militari e politici
italiani, e che il Movimento sociale non era visto come "alternativa al
sistema""
(V. Vinciguerra,
in Alessandro Limido, Intervista a Vinciguerra, 2011 -
http://www.archivioguerrapolitica.org/
Tirando le somme, possiamo
dire che il MSI, suo malgrado, ha rivestito una posizione anomala nel sistema
democratico occidentale imposto in Italia dai vincitori della guerra,
nonostante che la sua nascita fu auspicata e controllata da costoro, per i loro
interessi, ma si dà il caso che questo movimento nasceva anche per sacrosante esigenze
dei reduci del fascismo repubblicano e di quella parte di Italiani non
abbrutiti dalla propaganda resistenziale che volevano recitare un ruolo nella
scena politica.
Resta il fatto che nella creazione del
MSI vi fu anche l’opera di personaggi, che in nome e per conto di interessi
reazionari e extranazionali, manovrarono per avere a disposizione sia i
militanti di questo nuovo partito che l’area popolare che avrebbe potuto
rappresentare, interessati anche a che tutte quelle energie e realtà politico –
sociali non finissero per assestarsi su sponde contrarie, come sarebbe stato
naturale che fosse, ovvero a contrastare il capitalismo, il mondo borghese e
clericale, la monarchia, indirizzandosi
anche per una lotta di liberazione nazionale contro gli occupanti.
Queste manovre, queste forzature,
riuscirono in pieno, soprattutto perché una buona parte dell’area umana su cui
nasceva il MSI, in particolare gli ex della Salò
tricolore, era naturalmente predisposta
verso politiche di destra.
Il tempo fece poi il resto.
Prove inequivocabili
della manipolazione
Comunque sia non ci sono dubbi su
quest’opera equivoca e subdola, volta a manipolare e indirizzare la nascita del
MSI, perchè i fatti, le circostanze e le documentazioni attestano che le cose
non possono essere andate diversamente.
Abbiamo visto, infatti, che la
maggioranza delle organizzazioni clandestine del neofascismo del primo
dopoguerra erano in qualche modo sotto il controllo dell’Oss di J. J. Angleton
(anzi alcuni, seppur non propriamente fascisti, come certi spezzoni dei reparti
della Decima Mas di Borghese, erano addirittura “in servizio” degli Alleati);
abbiamo poi visto che tra i “padri fondatori” del MSI vi erano molti elementi
in contatto con gli americani, tra questi, sicuramente e come attestato dalle
stesse ricerche storiche: Guiglia, Michelini, Romualdi, Puccioni,
Buttazzoni, Pignatelli e Muratori,
ma a nostro avviso ve ne erano anche altri.
In
cosa consistevano e da quando erano stati avviati questi “contatti” non ha molta
importanza, mentre è invece determinante la semplice considerazione che gli
statunitensi nell’Italia occupata non mantenevano questi contatti, non
elargivano finanziamenti per spirito di carità o filantropia, ma operavano in
base ai loro interessi sia contingenti che strategici.
Ergo, stante così le cose, se le
iniziative per mettere in piedi un partito politico costituzionale poterono
andare avanti e concretizzarsi, non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo, ma è
evidente che gli americani ne erano al corrente, approvavano e davano un
sostegno perché era nel loro interesse.
Abbiamo poi visto che la maggioranza di quei “padri fondatori” del
MSI erano uomini con una visione politica di destra conservatrice e spesso
con contatti e militanze in movimenti di destra, monarchici e quant’altro; in alcuni
come Michelini, De Marsanich, Puccioni,
Turati, Gray, Patrizi, Muratori, De Marzio, ecc., l’attestazione di destra
era marcata ed evidente; in altri invece, come per esempio Romualdi, Buttazzoni, Pignatelli, ecc., la mentalità o ideologia di
destra è ugualmente evidente, ma più sfumata, sottotraccia, visto che il primo era un ex segretario del
partito fascista repubblicano, il secondo un valente militare e il terzo un
proprietario terriero, romantico combattente, che aveva operato dietro le linee
nemiche nel sud Italia occupato dagli alleati.
Altri ancora, come per esempio Almirante, non sono, per quel preciso momento
storico, facilmente inquadrabili ideologicamente e politicamente, ma
considerando le manovre e le politiche da costui messe in atto, anche qui la
qualifica di “uomo di destra” è indiscutibile.
Ed infine è anche assodato che alcuni di
questi elementi erano in contatto con ambienti della Democrazia Cristiana e
della grande industria, quindi del Ministero degli Interni e della Chiesa i
quali, per poco che si può dire, non erano di certo contrari alla nascita di
questo movimento, anzi ne avevano evidenti interessi.
Stante così le cose, nessuno che non sia
un deficiente, può negare che alla nascita del Movimento Sociale Italiano vi
parteciparono, direttamente o indirettamente,, perchè interessati o comunque la
supervisionarono: americani, forze politiche conservatrici, interessi
industriali, DC e Ministero degli interni, insomma tutto il fronte della reazione!
E vi risparmiamo di citare le presenze massoniche,
sicuramente presenti, ma difficilmente attestabili con nome e cognome, ma
possiamo anche immaginare che essendo tutta l’opera di costituzione di questo
partito, che in un primo momento doveva apparire per quello che non era, quindi
relazioni, contatti, tra persone e ambienti distanti ed eterogenei e traffici
sotto traccia, doveva avvenire principalmente grazie alla massoneria da sempre
maestra in questo genere di lavorio underground. E al tempo, massoni e
massoneria, non potevano non essere presenti in questi avvenimenti o per meglio
dire non stavano lì a pettinare le bambole.
In questa sede a noi, non interessa
appurare se tutti o alcuni degli elementi citati, decisivi per la nascita del
MSI, agirono in malafede perché erano dei corrotti, dei prezzolati, delle
quinte colonne o agirono, come era naturale che agissero, in conseguenza della
loro mentalità, ideologia e convinzioni politiche: sono fatti e misfatti ed
eventuali miserie umane che spetteranno ad altre inchieste appurare.
A noi interessa aver rilevato e indicato,
che ci furono delle “perfide menti”, sicuramente “perfide” perché agirono o
interagirono, con un operato ingannevole, nella costituzione di questo partito,
attraverso i reduci della RSI, i cui fini reconditi e scopi nascosti vennero
celati, come venne anche mascherato il fatto che si trattava di un partito
conservatore e reazionario.
Una
serie di tragiche circostanze, del tutto eccezionali, come l’odio che divampava
nel dopoguerra tra i fascisti braccati e massacrati e i comunisti soprattutto, agevolarono
il compito delle “perfide menti”, perché queste circostanze fecero sì che molti
di questi reduci cedettero alle lusinghe e agli aiuti che vari ambienti
anticomunisti e conservatori, Chiesa compresa, potevano offrirgli.
A
parte gli aspetti politici di certo insensati, questo far leva sui sentimenti
di odio, anche se giustificato, per manipolare tutta l’area del neofascismo e
spingerla verso un demenziale eterno confronto con i socialcomunisti, utile ad
altrui interessi, oltre che criminale ,
era anche una prassi decisamente abietta.
E la stessa cosa si verificava con i
Servizi Segreti Alleati. [7]
Nelle pagine precedenti abbiamo anche
illustrato le condizioni favorevoli che determinarono il traghettamento
dell’area del neofascismo del dopoguerra nel fronte della conservazione e del
filo atlantismo. In particolare la natura eterogenea dei reduci della RSI e gli
interessi delle Intelligence statunitensi.
Ma
attenzione: non furono
lo stato di necessità e il clima di terrore post liberazione, per quanto abbiano
sicuramente influito nel determinare le condizioni adatte ad emarginare le
componenti fasciste rivoluzionarie e socialiste, fino a portare i neofascisti
nelle braccia della reazione.
Furono personaggi che contavano, che
avevano in mano certe leve di potere, contatti giusti e finanziamenti, che
operarono in questo senso facendo sì che, grazie a quello stato di necessità, a
quelle condizioni favorevoli, fosse possibile la collusione con gli ambienti
reazionari e i servizi americani, fosse
possibile ricevere e accettare aiuti da costoro, dando un contraccambio per i
loro interessi.
Si veniva così a incrementare, anche
perché veniva a trovarcisi a suo agio, la presenza umana, nel nascente nuovo partito,
di tutte le eterogenee componenti della Salò
tricolore, quelle per nulla socialiste, più che altro nazionaliste, di
indole borghese e di certo non rivoluzionarie che, a poco a poco, traghettarono i neofascisti e in particolare
il neonato MSI, oltretutto creato appunto con questi scopi, verso il fronte
della reazione.
E’ pur vero che il fascismo, fin dalla nascita e poi, soprattutto,
durante il ventennio era stato sempre caratterizzato da diverse ed eterogenee
componenti, comprese quelle di natura conservatrice.
Ma proprio la RSI era stata uno spartiacque, una rottura totale con tutto un retaggio borghese e conservatore,
miseramente crollato il 25 luglio del 1943 e i fascisti repubblicani, avevano
rappresentato tangibilmente la vera essenza rivoluzionaria ed epocale del
fascismo. Ora, invece, nelle circostanze eccezionali del dopoguerra, queste
componenti spurie ed eterogenee, si rincontrarono, dietro le necessità
dell’anticomunismo e spesso si mischiarono con i reduci del fascismo
repubblicano. Anche da questo amalgama spurio, potè poi germogliare il
missismo.
La
mancanza di un vero Centro dirigente che impersonasse la volontà rivoluzionaria e
il patrimonio etico e ideale del Fascismo repubblicano, fecero si che molti di
questi reduci fascisti, divenissero preda e oggetto di vari ambienti
conservatori e reazionari e col tempo perdettero il senso reale delle cose e
della misura politica. [8]
Tanto più che la controparte che rappresentava
questi ambienti conservatori, ovvero i personaggi disposti a trattare e
concedere aiuti ai reduci, contavano spesso la presenza di ex fascisti del
ventennio o ex aderenti alla RSI, soprattutto quelli “moderati” della “Salò tricolore”, ora riciclatisi nella
Repubblica democratica e antifascista, creandosi così le premesse psicologiche
per intendersi.
Come
detto, coloro che operarono per costituire un “certo” tipo di MSI, avevano
potuto godere di finanziamenti e protezioni, che i sinceri fascisti, gli
idealisti che pur parteciparono alla nascita di questo partito, non avevano,
condannandoli così ad essere piano, piano, estromessi dagli organi direttivi.
Che
importanza può avere se negli incontri, nelle riunioni, nel lavorìo e nei
sacrifici che portarono alla nascita del MSI vi presero parte dei sinceri ed
onesti fascisti, anzi forse erano anche stati soprattutto loro i veri artefici
di quest’opera?
Con
il passare del tempo, questo partito, subito gettatosi nell’accaparramento di
seggi e poltrone consentito dal gioco democratico elettivo o alle ambite
cariche di partito, finì anche per corrompere moralmente tanti camerati che vi
erano entrati con tutte le migliori e oneste intenzioni.
Non c’è altro da dire o spiegare. [9]
L’alterazione
dell’immagine del fascismo
Quello che emerge di veramente repellente
nella cinquantennale vita del Movimento Sociale Italiano, sono il suo ruolo
antitetico agli interessi geopolitici della nazione e la sistematica
distruzione della immagine del fascismo.
Del primo aspetto abbiamo più volte
parlato, del secondo c’è da aggiungere qualcosa.
Il
Fascismo, per tutto quello che aveva rappresentato come Stato Nazional
popolare, come creatore di leggi sociali rivoluzionarie, quale artefice di una
società per tutti gli italiani (Nord e Sud, ceti sociali diversi, ecc.) di
natura mutualistica e sotto l’egida dello Stato (“nulla fuori dello Stato nè soprattutto contro lo Stato) ovvero
l’antitesi dell’individualismo liberista, ed infine come sostenitore di una
immane guerra del “sangue contro l’oro”, venne letteralmente distrutto e
dissolto dall’opera e dalla presenza, nella vita politica del paese, del MSI.
Questa
nefasta opera denigratoria si inserì perfettamente nel perfido solco tracciato
dall‘ ex “propaganda di guerra” e dalla letteratura e storiografia dei
vincitori.
Il
MSI, infatti, contribuì a diffondere, nell’immaginario collettivo, una
abominevole maschera del fascismo: quello della reazione, quella degli “ascari”
dei nostri colonizzatori.
Questa falsa e turpe
controfigura del fascismo e del fascista, la propaganda antifascista l’aveva
sempre proposta e disegnata in ogni occasione: ora il MSI, con l’ausilio dello
stesso antifascismo che stava al gioco e lo definiva “fascista”, pur ben
sapendo che così non era, gli aveva anche dato corpo e anima.
Si
provi oggi a chiedere a persone semplici, anche parenti, a gente comune, cosa
per loro è il fascismo e cosa sono i fascisti: non potranno che rispondervi con
i luoghi comuni di questo immaginario collettivo che, del resto, esprime molto
bene, l’essenza e la funzione storica del
MSI.
In
pratica vi risponderanno, più o meno, che il fascismo è conservazione, difesa
di interessi di classe e i fascisti sono dei reazionari, dei servi della CIA,
se non addirittura dei “bombaroli”.
E
questa funzione storica, assolta dal MSI, nessun fascista può e dovrà mai dimenticarla,
nè tantomeno perdonarla.
Ma è ancor più necessario, come anche
scopo di questo saggio, attestare e
dimostrare che quasi tutto il neofascismo del dopoguerra, in realtà è stato una
specie di antifascismo mascherato e con attitudini criminali.
Eppure, nonostante tutto, vi è un dato
confortevole che ultimamente si riscontra: il fatto che molti abbiano compreso
la mistificazione.
Nel blog di Aldo Giannuli, www.aldogiannuli.it,
a commento di un articolo, due lettori si sono confrontati. Uno di questi, nel
tentativo di difendere l’indifendibile, ovvero il neofascismo, accusava l’altro
di poca obiettività essendo un antifascista. Per tutta risposta questi
replicava:
"Come potrei essere è un antifascista, perché
il fascismo nel dopoguerra non è mai esistito. Come potrei basare la propria
posizione politica sulla contrapposizione a qualcosa che non esiste? Purtroppo
i patetici epigoni del neofascismo si spacciano ancora come una forza politica,
quando non sono mai stato altro che una struttura, un apparato, una forza
ausiliaria che lo Stato italiano ha utilizzato contro il comunismo durante la
Guerra fredda.
Il neofascismo non ha identità nè progettualità politica, esattamente come carabinieri, polizia, servizi segreti. Agisce e ha agito in base agli ordini ricevuti dai vertici dello Stato democratico e antifascista come un qualsiasi altro apparato. A parere di chi scrive, non esiste una continuità tra l’esperienza storica del fascismo del ventennio e i neofascisti che tante tragedie hanno arrecato all’Italia negli anni successivi. C’è a livello di simbologia e slogan adottati, a livello “cosmetico”, ma non di contenuti".
Il neofascismo non ha identità nè progettualità politica, esattamente come carabinieri, polizia, servizi segreti. Agisce e ha agito in base agli ordini ricevuti dai vertici dello Stato democratico e antifascista come un qualsiasi altro apparato. A parere di chi scrive, non esiste una continuità tra l’esperienza storica del fascismo del ventennio e i neofascisti che tante tragedie hanno arrecato all’Italia negli anni successivi. C’è a livello di simbologia e slogan adottati, a livello “cosmetico”, ma non di contenuti".
Quello che avrebbe
dovuto essere e non fu
Eppure per una diversa collocazione del
neofascismo i riferimenti non mancavano, a cominciare da quelli del fascismo
delle origini del 1919, mai dimenticati e realizzati poi nella RSI.
Se il fascismo
era stato una concezione della vita e del mondo che esula da ogni inquadramento
nei termini destra o sinistra, vecchie categorie egheliane, restava il fatto
che aveva anche una visione sociale
prettamente socialista. Ma ancora più si stava formando una nuova figura di
fascista che oltre agli ideali combattentistici, percepiva quel senso di
umanitarismo e solidarietà sociale proprio dei comunisti, così come aveva
auspicato Josè Antonio Primo De Rivera, quando aveva affermato: “Nel comunismo c’è qualcosa che può essere raccolto,
la sua abnegazione il suo senso di solidarietà>>.
E
questa nuova figura di fascista si era incarnata in Giuseppe Solaro, il
fascista che sfidò la Fiat e Wall Street.
Lo
storico Ivan Buttiglione, nel suo “Compagno Duce”, Ed. Hobby & Work, 1989,
ricorda alcune impegnative affermazioni di fascisti:
- Alessandro Pavolini il 28 ottobre
1943: <<… le nuove realizzazioni da raggiungere sul campo del lavoro, le quali
più propriamente che sociali, non
abbiamo alcuna peritanza a definirle socialiste>>.
- Fulvio Balisti, eroe di Bir el-Goby, attacca la proprietà
privata e si richiama alla Carta del Carnaro che non è il dominio della persona
su la cosa, bensì un utile funzione sociale.
- Il giornale il Fascio il 26 novembre
1943 : <<..in ogni caso il sistema capitalistico deve pur essere distrutto, dalle fondamenta, essendo la repubblica
fascista anche disposta , se costretta dai lavoratori, ad applicare lo statismo
comunista, ma mai a giungere a compromessi con il capitalismo!>>.
- Sulla relazione che accompagna il
Decreto Legge sulla Socializzazione, si legge:
<<…l’esperienza del
Corporativismo ha dimostrato come lo Stato non possa, nell’attuale momento
storico, limitarsi ad un funzione puramente mediatrice fra le classi sociali,
poiché la maggior forza della classe capitalistica vanifica ogni parità
giuridica… e riesce a dominare e a volgere
a proprio vantaggio lo stesso potere dello Stato>>.
- Sono fatti non parole, tanto che furono
creati i Consigli di Gestione con i lavoratori, socializzate le fabbriche, mentre
il Presidente della Snia Viscosa, Franco Marinotti, venne arrestato dalle
autorità della RSI, con l’accusa di “sabotaggio della socializzazione”.
- I giovani fascisti repubblicani, come
già buona parte degli intellettuali fascisti del Littorio, raccogliendo le
parole di Berto Ricci, scritte in una lettera del 23 aprile 1938: <<In
tutto il mondo i poveri e gli sfruttati, hanno saputo che la loro emancipazione
dal capitale è per lo meno pensabile. Non lo dimenticheranno più. Se il
fascismo non alza la bandiera di questa
emancipazione la cercheranno ancora nel comunismo>>, avevano sognano
la saldatura tra la rivoluzione fascista
e la rivoluzione bolscevica in Russia, orgogliosi del fatto che quella fascista
aveva realizzato, ancor più di quella bolscevica, degenerata nel supercapitalismo di
stato, gli ideali socialisti.
E nessuno infine avrebbe dovuto
dimenticare che Mussolini voleva lasciare in eredità le conquiste sociali della
RSI ai socialisti e non di ceto alle destre conservatrici!
Il neofascismo per la Fncrsi
Il neofascismo per la Fncrsi
E concludiamo questo saggio riportando le parole di F. Gaspare
Fantauzzi, alto dirigente della Federazione Nazionale Combattenti della Rsi,
che espresse alcune osservazioni sul “neofascismo”:
"Neofascismo» è un neologismo impropriamente usato
per indicare il MSI e le sue articolazioni sindacali e giovanili, nonché altre
minori organizzazioni esterne da esso direttamente o indirettamente dipendenti;
impropriamente perché non esprime quel che vorrebbe significare. Ove si tenesse
nel dovuto conto della sua funzione storica, dovrebbe essere più propriamente
usato per indicare un neoantifascismo, per certi aspetti peggiore
dell'antifascismo proprio del CLN. Nacque e fu alimentato dalla componente più
anticomunista dell'antifascismo e visse di un anticomunismo acritico e
viscerale. La sua fine coincise precisamente con l'autodisfacimento dell'URSS.
In sostanza, si dissolse quando il suo padrone decise non essere più necessaria
la sua funzione...
Coloro i quali hanno una vera fede politica,
religiosa, filosofica, ecc., in linea di principio, non respingono nessuno;
anzi, sanno essere duttili, generosi e concilianti quando si tratti di
giudicare inosservanze o errori commessi in buona fede. Quando, però, come è
avvenuto nel Convegno tenutosi a Roma nel maggio del 1965 presso l'Istituto A.
Pollio, l'intera intellighènzia neofascista passò alle dipendenze dello Stato
Maggiore, al fine di ingannare i propri compagni di lotta e di concorrere ad
assoggettare ulteriormente la Patria al nemico, allora è sacrosanto dovere
l'essere inflessibili. L'indecorosa sagra di conformismo filo americano alla
quale oggi assistiamo, pone come condizione essenziale per stabilire e
conservare rapporti autenticamente trasparenti, oltre ad una più salda tenuta
etica, una reciproca spregiudicatezza di giudizio".
Possiamo
quindi chiudere la penosa disamina di questo partito, esprimendo un paradosso,
tra l’altro esternato spesso proprio dai fascisti della Fncrsi che erano usi
affermare che se il MSI avesse effettivamente
rappresentato gli ideali del fascismo e una politica fascista, allora tutti i
veri fascisti non potevano che definirsi “antifascisti”!
* * *
Qui sotto volantino dei fascisti della FNCRSI
(Federazione Nazionale Combattenti della RSI)
di denuncia del missismo negli anni ‘60.
BIBLIOGRAFIA
Forniamo appresso un minimo di
bibliografia affinché sia possibile una ricerca e un confronto anche sui dati e
sulle citazioni da noi riportate, consigliando ovviamente di estendere sempre
la ricerca e di incrociare le varie fonti, anche perchè alcune di queste opere
risultano chiaramente di parte.
-
Parlato G.: Fascisti senza
Mussolini, Ed. Il Mulino, 2006
-
Caretto
E. e Marolo B.: Made in Usa. Le origini americane della Repubblica
Italiana, Rizzoli, 1996;
-
Buttafuoco
P., Le uova del drago, Mondadori 2005
-
Casarrubea
G., Cereghino M,, Lupara Nera, Ed.
Bompiani, 2009
-
S.
Limiti: Doppio Livello, Ed. Chiarelettere 2013
-
S. Limiti:
L’Anello della Repubblica, Ed.
Chiarelettere 2011
-
Santarelli
E., Storia critica della Repubblica. L'Italia dal 1945 al 1994, Milano,
Feltrinelli, 1996
-
Villano
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Storia Ribelle, 2011
-
De
Grazia V., Luzzatto S., Dizionario del
Fascismo, Einaudi 2002
-
Tedesco
L.: L’antiamericanismo neofascista delle
origini 1945 – ‘54 Nuova Storia Contemporanea, N.5/2011
-
AA.VV.,
Storia della Fncrsi, Prestampa a cura
della FNCRSI, 2010
-
Murgia P. G: "Il Vento
del Nord", Ed. SugarCo, 1975, e ristampa Ed.Kaos 2004
-
Murgia P. G: "Ritorneremo!", Ed. SugarCo, 1976.
-
Leccisi D.: "Con
Mussolini prima e dopo piazzale Loreto", Ed. Settimo Sigillo, Roma,
1991
-
Lembo D., Fascisti dopo la liberazione.
Storia del fascismo e dei fascisti nel dopoguerra in Italia, Ed. Grafica Ma.Ro. 2007.
-
Tedeschi
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organizzazioni fasciste clandestine 1946 – ’47, Ed. Settimo Sigillo 1996;
-
Rao
N.: Neofascisti! La destra italiana da
Salò a Fiuggi, Ed. Settimo Sigillo 1999 e riedizione ampliata e revisionata;
La fiamma e la celtica, Sperling
& Kupfer, 2006.
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De Lutiis C,: "Il lato
oscuro del potere", Editori Riuniti 1996;
-
Salerno E. “Mossad base
Italia”, Ed. Il Saggiatore, 2010
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Scipioni Rossi, G.: “La destra e gli ebrei, Ed. Rubbettino, 2003
-
Morini F. : “Nome: MSI - Paternità: SIM” , “.Aurora", n. 44, 1997.
-
Sito FNCRSI: http://www.fncrsi.altervista,org -
Sezioni: Notiziario, Periodici, Documenti.
-
Buttiglione I.:
Compagno Duce, Ed. Hobby &
Work, 1989
-
Piraino M., Fiorito S.: L’estrema destra contro il fascismo, http://www.archivioguerrapolitica.org/?page_id=4723http://www.archivioguerrapolitica.org/?page_id=4723
http://www.archivioguerrapolitica.org - Sezione Contributi
-
V.
Vinciguerra: Camerati Addio!, Ed.
Avanguardia, Trapani, 2000.
-
Archivio Guerra Politica: http://www.archivioguerrapolitica.org/
- Sezione Vincenzo Vinciguerra – Saggi e Articoli
* * *
INDICE GENERALE
Prefazione...................................................................................... pag.
3
Introduzione ................................................................................... pag.
5
Msi: Il grande inganno..................................................................... pag.
8
I fascisti
della FNCRSI.................................................................... pag.
11
Vincenzo
Vinciguerra.............................................................. pag.
15
Il giudizio sugli eventuali “collusi” ........................................... pag. 16
Come e
perchè nacque il MSI ........................................................ pag.
18
Ricerche storiche prescindono dalla
“corruzione”....................... pag.
18
I fini reconditi......................................................................... pag. 20
Sangue e sudore di tanti fascisti.............................................. pag. 21
Un partito di vecchi................................................................ pag.
23
Una destra
conservatrice e filo atlantica........................................... pag.
24
La
mutazione genetica............................................................ pag.
25
Zecche e topi di fogna............................................................. pag. 26
Il
“Mercenario” ..................................................................... pag. 27
La morte dell’agente Marino..................................................... pag. 28
L’opera nefasta del MSI.......................................................... pag. 29
Mai il fascismo era stato liberista e di destra............................ pag. 30
Fascisti da barzelletta............................................................. pag. 34
Condizioni
contingenti favorevoli..................................................... pag.
35
Il retaggio
ambivalente della RSI...................................................... pag.
38
Una
rivoluzione socialista....................................................... pag.
38
Salò nera e Salò tricolore....................................................... pag. 41
Le figure di Bombacci e Solaro............................................... pag. 42
La colonizzazione
statunitense......................................................... pag.
44
La
portata strategica di Jalta.................................................. pag.
45
Gli americani riciclano ex fascisti........................................... pag. 46
Contatti pregressi con l’Oss americano................................... pag. 47
A Como finì male il fascismo................................................. pag. 48
Collusioni inaccettabili........................................................... pag. 49
Sempre gli americani, prima e dopo........................................ pag. 50
Il neofascismo
del dopoguerra........................................................ pag.
51
Il principe J. V. Borghese...................................................... pag. 52
Uomini della Xa MAS in Sicilia............................................... pag. 54
A disposizione degli israeliani................................................ pag. 54
E Pinocchio disse la verità.................................................... pag. 55
Testimonianze
significative................................................... pag.
56
Il quadro
storico politico dell’epoca................................................. pag.
58
Come
interpretare ruolo ed essenza del MSI..................................... pag.
64
Paradosso
di una presenza anomala..................................... pag.
65
Guardare solo i fatti............................................................. pag. 66
Il congresso di Napoli del 1948............................................. pag. 67
Inattendibilità di rievocazioni e ricordi.................................... pag. 69
Afascisti e conservatori furono
preponderanti......................... pag. 70
Il
“Senato”...................................................................................... pag.
71
Profili storici e politici.......................................................... pag.
72
L’operato di Romualdi......................................................... pag. 77
Turati, Romualdi e Leccisi................................................... pag. 80
Traffici con preti e conservatori........................................... pag.
82
Le
riunioni pre costitutive del MSI.................................................... pag.
83
Altri padri fondatori del MSI........................................................... pag.
86
I Pesci grossi tra i padri fondatori.......................................... pag. 89
Arturo Miichelini................................................................... pag. 90
Pino Romualdi .................................................................... pag. 91
Giorgio Almirante ................................................................ pag. 92
Augusto De Marsanich......................................................... pag. 97
Si completa la trasformazione
reazionaria............................... pag. 99
Il governo Tambroni.............................................................. pag. 100
Servello e il “Meridiano d’Italia”........................................................ pag.
102
La collocazione a destra................................................................. pag.
104
Non è solo un fatto di
“correnti”.............................................. pag.
106
18 Aprile 1948: elezioni
all’ultimo sangue ........................................ pag.
108
Il Patto Atlantico............................................................................. pag.
111
Tradimento della Patria......................................................... pag. 111
Il
teatrino dei possibilisti...................................................... pag. 112
Il gioco delle parti:
le richieste di “scioglimento”............................... pag.
116
La
scissione “ordinovista”............................................................... pag.
119
Evola
e il Tradizionalismo: infatuazione e alibii........................ pag.
121
Risultanze
inquietanti............................................................ pag.
123
La
Massoneria................................................................................ pag.
126
A cosa e a
chi serviva il MSI ………................................................. pag. 130
Una ruota di scorta ………………………………………. pag. 131
Truppe cammellate............................................................... pag. 132
Quanti inzupparono il pane................................................... pag. 134
Anderson e i giovani missisti................................................ pag. 136
Si afferma l’ “uomo d’ordine” borghese........................................... pag.
137
Un
ruolo solo: sempre reazionario......................................... pag.
138
Nessuno pretendeva la
rivoluzione .................................................. pag.
141
Poche,
ma imprescindibili attestazioni................................... pag. 142
Giorgio Pisanò
atlantista doc.......................................................... pag. 145
Qualche
raggio di sole: Beppe Niccolai........................................... pag.
151
Giulio Caradonna
emblema del missismo......................................... pag.
154
Più chiaro di così................................................................ pag. 156
Il MSI e lo Stato
ebraico.................................................................. pag.
157
Il peso delle leggi razziali**.................................................. pag. 158
Israele punta avanzata dell’Occidente.................................. pag. 159
Gli
aggressori spacciati per vittime...................................... pag. 160
Aberrazioni ideologiche....................................................... pag. 161
CONCLUSIONI................................................................................ pag.
166
Prove
della manipolazione.................................................. pag.
167
L’alterazione dell’immagine del fascismo............................. pag. 171
Il
neofascismo per la Fncrsi............................................... pag. 174
Bibliografia.................................................................................... pag.
176
Indice
generale .............................................................................. pag.
178
AVVERTENZA
GIRANO IN INTERNET ALCUNE VERSIONI DI QUESTO SAGGIO, NON CORRETTE
O ADDIRITTURA SPURIE IL TESTO DI
RIFERIMENTO E’ QUESTO: DATATO MAGGIO 2014
Copia non in commercio -
M. Barozzi – Roma Ottobre 2014
Aggiunta da SOCIALE
Primo congresso del MSI.
http://pocobello.blogspot.it/2010/04/primo-congresso-del-msi.html
Primo congresso del MSI.
http://pocobello.blogspot.it/2010/04/primo-congresso-del-msi.html
Buongiorno camerati;io sono nato nel 1961 ed ho cominciato a militare nel"Fronte della Gioventù"molto giovane cioè nel 1975.Un paio di anni dopo,durante un comizio di Giorgio Almirante che si teneva in P.zza Duomo a Milano feci parte del sevizio d'ordine per la protezione di Almirante e delle sue guardie del corpo.Questo lo scenario:avevamo formato un lungo corridoio posizionandoci in due file una alla destra e l'altra alla sinistra,gli uni di fronte agli altri con dei bastoni tenuti orizzontalmente con le due mani così lasciando lo spazio di un metro,mertro e mezzo affinché Almirante potesse percorlerlo per raggiungere il palco dal quale avrebbe parlato.Ricordo esattamente ,però,che ad un certo punto alcuni camerati delle file tentarono,avanzando il braccio destro o il sinistro di colpire il manipolo dei quatrro o cinque che camminavano davanti,dietro ed a lato di Almirante.Da giovincello irregimentato che ero questi gesti mi parvero addirittura tentativi di lesa Maestà,tanta era la mia ammirazione per Almirante.Solo anni dopo compresi il significato di quei gesti e questo Suo articolo ne espone le motivazioni in modo chiarissimo.Grazie.
RispondiEliminaINTERESSANTISSIMA ANNOTAZIONE, perchè ci dimostra che nell'ambito di QUEL partito le opposizioni erano soltanto queste.
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