Comunismo
Per non dimenticare....
a cura di Fabio Galante
Criminali Comunisti Jugoslavi Ieri e Oggi
Le vittime italiane
dei Lager di Tito
(evviva il comunismo, evviva la libertà)
Giuseppe Spano aveva 24 anni e molta fame. In poco più di un
mese aveva perso oltre 20 chili ed era diventato pelle e ossa. Quel 14 giugno
1945 non resistette e rubò un po' di burro. Fu fucilato al petto per furto.
Ferdinando Riechetti aveva 25 anni ed era pallido, emaciato.
Il 15 giugno 1945 si avvicinò al reticolato per raccogliere qualche ciuffo
d'erba da inghiottire. Fu fucilato al petto per tentata fuga.
Pietro Fazzeri aveva 22 anni e la sua fame era pari a quella
di centinaia di altri compagni. Ma aveva paura di rubare e terrore di
avvicinarsi al reticolato. II 1° luglio 1945 morì per deperimento organico.
In quale campo della morte sono state scritte queste storie?
A Dachau, a Buchenvald oppure a Treblinka?
No, siamo fuori strada:
Questo è uno dei lager di Tito!
Borovnica, Skofja Loka, Osseh. E ancora Stara Gradiska,
Siska, e poi Goli Otok, I'Isola Calva.
Pochi conoscono il significato di questi nomi. Dachau c
Buchenvald sono certamente più noti, eppure sono la stessa cosa. Solo che i
primi erano in Jugoslavia e gli internati erano migliaia di italiani. deportati
dalla Venezia Giulia alla fine del secondo conflitto mondiale e negli anni
successivi, a guerra finita, durante I'occupazione titina.
I DEPORTATI
DIMENTICATI IN NOME DELLA POLITICA ATLANTICA
Una verità negata sempre, per ovvi motivi, dal regime di
Belgrado, ma inspiegabilmente tenuta nascosta negli archivi del nostro
ministero della Difesa. Oggi il Borghese è entrato in possesso dei documenti
segreti che, oltre a fornire l'ennesima prova dell'Olocausto italiano sui
confini orientali, sono un terribile atto di accusa non solo nei confronti di
Tito, ma soprattutto verso tutti i governi che si sono succeduti dal 1945 in
poi. Partendo da quello di Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti, per finire con
gli ultimi di Silvio Berlusconi., Lamberto Dini e Romano Prodi. Perchè nessuno
ha parlato? Perché nessuno ha tolto il segreto ai documenti che provano (con
tanto di fotografie) il massacro e le torture di migliaia di italiani?
Semplice: la verità è stata sacrificata alla ragion di Stato. Vediamo perché.
Belgrado, nell'immediato dopoguerra, si avvia sulla strada
dello strappo con Mosca ed il nascente blocco occidentale vuole a ogni costo
che quel divorzio si consumi. Ma il costo l'ha pagato solo il nostro Paese il
cui governo, per codardia, accetta supinamente di sacrificare sull'altare della
politica atlantica migliaia di giuliani, istriani, fiumani, dalmati. Colpevoli
solo di essere italiani.
"Condizioni degli internati italiani in Jugoslavia con
particolare riferimento al campo di Borovnica (40B-D2802) e all'ospedale di
Skofjia Loka (11-D-2531) ambedue denominati della morte" titola il
rapporto del 5 ottobre 1945, con sovrastampato "Segreto", dei Servizi
speciali del ministero della Marina. Il documento, composto di una cinquantina
di pagine, contiene le inedite testimonianze e le agghiaccianti fotografie dei
sopravvissuti, accompagnate da referti medici e dichiarazioni dell'Ospedale
della Croce Rossa di Udine, in cui questi ultimi erano stati ricoverati dopo la
liberazione, e da un elenco di prigionieri deceduti a Borovnica. Il colonnello
medico Manlio Cace, che in quel periodo ha collaborato con la Marina nel
redigere la relazione che, se non è stata distrutta, è ancora gelosamente
custodita negli archivi del ministero della Difesa, lasciò fotografie e copia
del documento al figlio Guido, il quale lo ha consegnato alle redazioni del
Borghese e di Storia Illustrata.
MANCA IL CIBO MA
ABBONDANO LE FRUSTATE
"Le condizioni fisiche degli ex internati", premette
il rapporto, "costituiscono una prova evidente delle condizioni di vita
nel campi Jugoslavi ove sono ancora rinchiusi numerosi italiani, molti dei
quali possono rimproverarsi solamente di aver militato nelle fila dei
partigiani di Tito in fraterna collaborazione con i loro odierni
aguzzini..."
Ai primi di maggio del '45, dopo la capitolazione tedesca, i
partigiani di Tito controllano l'intera Istria, giungendo a Trieste e Gorizia
prima degli anglo-americani. Sono i giorni del terrore, del calvario delle
foibe, ma anche dell'altra terribile faccia della "pulizia etnica":
le deportazioni. Sono migliaia gli italiani internati nei lager jugoslavi e
poche centinaia faranno ritorno a casa, dopo aver subito terribili sofferenze.
"Il vitto era pessimo e insufficiente", racconta
nel rapporto il carabiniere Damiano Scocca, 24 anni, preso dai titini il 1°
marzo 1945 nella caserma del Cln di Trieste, "e consisteva in due pasti
giornalieri composti da due mestoli di acqua calda con poca verdura secca bollita...
A Borovnica non si faceva economia di bastonate; durante il lavoro sul ponte
ferroviario nelle vicinanze del campo chi non aveva la forza di continuare a
lavorare vi veniva costretto con frustate ... ". " ... Durante tali
lavori", afferma il finanziere Roberto Gribaldo, in servizio alla Legione
di Trieste e "prelevato" il 2 maggio, "capitava sovente che
qualche compagno in seguito alla grande debolezza cadesse a terra e allora si
vedevano scene che ci facevano piangere. Il guardiano, invece di permettere al
compagno caduto di riposarsi, gli somministrava ancora delle bastonate e tante
volte di ritorno al campo gli faceva anche saltare quella specie di
rancio".
Le mire di Tito sul finire del conflitto sono molto chiare:
ripulire le zone conquistate dalla presenza italiana e costituire la settima
repubblica jugoslava annettendosi la Venezia Giulia e il Friuli orientale fino
al fiume Tagliamento.
Antonio Garbin, classe 1918, è soldato di sanità a
Skilokastro, in Grecia. L'8 settembre 1943 viene internato dal tedeschi e
attende la "liberazione" da parte delle truppe jugoslave a Velika
Gorica. Ma si accorge presto d essere nuovamente prigioniero. "Eravamo
circa in 250. Incolonnati e scortati da sentinelle armate che ci portarono a
Lubiana dove, dicevano, una Commissione apposita avrebbe provveduto per il
rimpatrio a mezzo ferrovia. Giunti a Lubiana ci avvertirono che la commissione
si era spostata ... ". I prigionieri inseguirono la fantomatica
commissione marciando di città in città fino a Belgrado.
PRIGIONIERI UCCISI
PERCHE' INCAPACI DI RIALZARSI
"In 20 giorni circa avevamo coperto una distanza di
circa 500 chilometri, sempre a piedi", racconta ancora Garbin ai Servizi
speciali della Marina italiana. "La marcia fu dura, estenuante e per molti
mortale. Durante tutto il periodo non ci fu mai distribuita alcuna razione di
viveri. Ciascuno doveva provvedere per conto proprio, chiedendo un pezzo di
pane al contadini che si incontravano... Durante la marcia vidi personalmente
uccidere tre prigionieri italiani, svenuti e incapaci di rialzarsi. I morti,
però, sono stati molti di più... Ci internarono nel campo di concentramento di
Osseh (vicino Belgrado, ndr), avevamo già raggiunto la cifra di 5 mila fra
italiani, circa un migliaio, tedeschi, polacchi, croati ... ".
Chi appoggia Tito nel perseguire il suo obiettivo di
egemonia sulla Venezia Giulia?
Naturalmente il leader del Pci Palmiro Togliatti , che il 30
aprile 1945, quando i partigiani titini sono alle porte di Trieste, firma un
manifesto fatto affiggere nel capoluogo giuliano:
"Lavoratori di Trieste, il nostro dovere è accogliere
le truppe di Tito come liberatrici e di collaborare con loro nel modo più
assoluto"
A confermare che la pulizia etnica è continuata anche a
guerra finita sono le affermazioni di Milovan Gilas, segretario della Lega
comunista jugoslava, che, in un intervista di sei anni fa a un settimanale
italiano, ammette senza giri di parole: "nel 1946 io ed Edvard Kardelj
andammo in Istria ad organizzare la propaganda anti-italiana... bisognava
indurre gli italiani ad andare via con pressioni di ogni tipo. Massacri di
civili, violenze, torture, affogamenti di massa, mutilazioni... Così fu
fatto"
SKOFJA LOKA,
L'OSPEDALE CHIAMATO "CIMITERO"
E nei campi di concentramento finiscono anche i civili, come
Giacomo Ungaro, prelevato dai titini a Trieste il 10 maggio 1945 "Un certo
Raso che attualmente trovasi al campo di Borovnica", è la dichiarazione di
Ungaro, "per aver mandato fuori un biglietto è stato torturato per
un'intera nottata., è stato poi costretto a leccare il sangue che perdeva dalla
bocca e dal naso; gli hanno bruciacchiato il viso e il petto così che aveva
tutto il corpo bluastro. Sigari accesi ci venivano messi in bocca e ci
costringevano ad ingoiarli".
I deperimenti organici, la dissenteria. le infezioni
diventano presto compagni inseparabili dei prigionieri. "Fui trasferito
all'ospedale di Skofja Loka. Ero in gravissime condizioni", è il lucido
resoconto del soldato di sanità Alberto Guarnaschelli, "ma dovetti fare egualmente
a piedi i tre chilometri che separano la stazione ferroviaria dalI'ospedale.
...Eravamo 150, ammassati uno accanto all'altro, senza pagliericcio, senza
coperte. Nella stanza ve ne potevano stare, con una certa comodità, 60 o
70.Dalla stanza non si poteva uscire neppure per fare i bisogni corporali. A
tale scopo vi era un recipiente di cui tutti si dovevano servire. Eravamo
affetti da diarrea, con porte e finestre chiuse. Ogni notte ne morivano due,
tre, quattro. Ricordo che nella mia stanza in tre giorni ne morirono 25.
Morivano e nessuno se ne accorgeva ... "."Non dimenticherò mai i
maltrattamenti subiti", è la testimonianza del soldato Giuseppe Fino, 31
anni, deportato a Borovnica ai primi di giugno 1945, "le scudisciate
attraverso le costole perchè sfinito dalla debolezza non ce la facevo a
lavorare. Ricorderò sempre con orrore le punizioni al palo e le grida di quei
poveri disgraziati che dovevano stare un'ora anche due legati sospesi da terra;
ricorderò sempre con raccapriccio le fucilazioni di molti prigionieri, per
mancanze da nulla, fatte la mattina davanti a tutti..."."Le
fucilazioni avvenivano anche per motivi futili ...", scrive il rapporto
segreto riportando il racconto dei soldati Giancarlo Bozzarini ed Enrico
Radrizzali, entrambi catturati a Trieste il 1° maggio 1945 e poi internati a
Borovnica.
PER ORE LEGATI A UN
PALO CON IL FILO DI FERRO!
"La tortura al palo consisteva nell'essere legato con
filo di ferro ad ambedue le braccia dietro la schiena e restare sospeso a
un'altezza di 50 cm da terra, per delle ore. Un genovese per fame rubò del cibo
a un compagno, fu legato al palo per più di tre ore. Levato da quella posizione
non fu più in grado di muovere le braccia giacchè, oltre ad avere le braccia
nere come il carbone, il filo di ferro di ferro era entrato nelle carni fino
all'osso causandogli un'infezione. Senza cura per tre giorni le carni
cominciarono a dar segni di evidente infezione e fuoriuscita di essudato
sieroso purulento, quindi putrefazione. Fu portato a una specie di ospedale e
precisamente a Skofja Loka. Ma ormai non c'era più niente da fare, nel braccio
destro già pullulavano i vermi... AI campo questo ospedale veniva denominato il
Cimitero…."Nel lager di Borovnica furono internati circa 3 mila italiani,
meno di mille faranno ritorno a casa. A questi ultimi i soldati di Tito
imposero di firmare una dichiarazione attestante il "buon
trattamento" ricevuto. "I prigionieri (liberati, ndr) venivano
diffidati a non parlare", racconta ancora Giacomo Ungaro, liberato
nell'agosto 1945, "e a non denunziare le guardie agli Alleati perchè in
tal caso quelli che rimanevano al campo avrebbero scontato per gli altri".
TORTURE NEI LAGER DI
TITO
Per conoscere gli orrori di un campo di concentramento
titino è opportuno riassumere i vari tipi di punizione, come emergono dai
racconti dei sopravvissuti.
La prima è la fucilazione decretata per la tentata fuga o
per altri fatti ritenuti gravi da chi comanda il campo, il quale commina pena
sommarie. Spesso il solo avvicinarsi al reticolato viene considerato un tentativo
d’evasione. L’esecuzione avviene al mattino, di fronte a tutti gli internati.
C’è poi il "palo" che è un’asta verticale con una
sbarra fissata in croce: ai prigionieri vengono legate le braccia con un fil di
ferro alla sbarra in modo da non toccare terra con i piedi. Perdono così l’uso
degli arti superiori per un lungo tempo se la punizione non dura troppo a
lungo. Altrimenti per sempre.
Altra pena è il "triangolo" che consiste in tre
legni legati assieme al suolo a formare la figura geometrica al centro della
quale il prigioniero è obbligato a stare ritto sull’attenti pungolato dalle
guardie finchè non sviene per lo sfinimento.
Infine, c’è la "fossa", una punizione forse meno
violenta ma sempre terribile, che consiste in una stretta buca scavata nel terreno
dell’esatta misura di un uomo. Il condannato, che vi deve rimanere per almeno
mezza giornata, non ha la possibilità nè di piegarsi nè di fare alcun
movimento.
QUESTO ERA IL TRATTAMENTO CHE I PACIFICI COMUNISTI
RISERVAVANO AI PRIGIONIERI NEI LORO LAGER
Queste persone, questi martiri, non hanno avuto
(stranamente) una Anna Frank o un Primo Levi che li ricordasse, che
testimoniasse l'orrore dei campi di concentramento comunisti. Alle vittime dei
Nazisti non manca un solo quartiere che non abbia una strada a loro dedicata.
Le vittime dei regimi Comunisti passano da sempre
inosservate... E già, Anna Frank e Primo Levi erano ebrei, quindi le vittime
delle guerre sono sempre e unicamente loro: gli ebrei.
Dalla costituzione dello stato di Israele ci hanno bombardato
costantemente di messaggi politici subliminali, al punto di farci vedere
Auschwitz anche in una ragazza che beve la Coca Cola!
TUTTI GLI ALTRI ORRORI NON CI DEVONO RIGUARDARE?
Nell'attesa vana di una Nemesi Universale... ricontiamoci,
puntigliosamente, "ancora una volta", gli Ebrei uccisi dal Nazismo!
Nessun commento:
Posta un commento