di Filippo Giannini
Sono appena rientrato in Italia dopo una lunga permanenza all’estero;
sono stanco e, quindi, con poca voglia di riordinare i miei documenti, di
conseguenza per questa volta, diversamente dal mio solito citerò i documenti
solo, come si suol dire, a braccio.
Quando partii lo scorso novembre, lasciai l’incarico per curare l’ordinaria amministrazione (pagare le
bollette, ritirare la posta, ecc.) a mia figlia Ursula e a mia nipote Chiara,
ammonendo, però, di non pagare assolutamente l’iniquo abbonamento alla
televisione. Perché? Sono disgustato dal modo vigliacco (è il termine adatto)
di bollare un fatto storico che pure ha scritto pagine per Vent’anni nella
nostra storia.
Viviamo, come tutti possiamo amaramente constatare, in una lunga,
lunghissima fase storica, che senza tema di essere smentito, risale al 1945,
data nella quale i vincitori della seconda guerra mondiale ci imposero un
sistema di vita che non è quello nostro, europeo, cristiano, romano. Nessuno
oggi può negare che siamo governati da una cricca di ladri, corrotti e
corruttori, assassini, pedofili, mafiosi, camorristi, stupratori,
bestemmiatori, maramaldi, burattini, traditori-voltagabbana e, mi ripeto, di
vigliacchi e tutta questa cricca all’unisono tesa a convincere gli italiani che
il Fascismo fu il male assoluto. Ho
usato due volte il termine vigliacchi
a ragion veduta e mi spiego. Pur essendo lontano dall’Italia avevo modo, da
perfetto masochista, di seguire in televisione le notizie italiane, ebbene – ma
questo è solo un esempio fra le decine di migliaia – cito solo due figure
nell’immenso firmamento dei giornalisti strapagati dalla RAI/Tv: Corrado Augias
e Gianni Minoli, quest’ultimo con la sua Storia
siamo noi, titolo che dovrebbe essere cambiato in La storia la inventiamo noi. I due giornalisti su citati,
avvalendosi di un monopolio dittatoriale sull’informazione trasformano la
storia ad uso della casta di cui sono i camerieri, operando per l’alterazione
della storia, cosa necessaria affinché gli italiani si convincano che il male assoluto sia stato tale. Che quanto
scrivo corrisponda a verità è dimostrato dal fatto che da decenni su ogni
organo di informazione si tratta del Ventennio
e mai, e mi rivolgo, per la conferma, a voi amici lettori, che dall’altra parte
della scrivania o del pubblico avete mai visto qualcuno che si alzi e osservi:
. Un esempio, ma
ripeto, solo uno fra i centomila casi e più, e non davvero il più eclatante, e chiedo:
fiction
su Trilussa?>. Ebbene, falsificando date, località e
fatti i reucci della menzogna hanno
trasformato il poeta romanesco in un antifascista. Ma quando mai! Detti soggettini quotidianamente scaricano su
quel Morto ogni malignità possibile;
se le inventano tutte fregandosene di cadere anche nel ridicolo. Qualche
esempio? Nessuno lesse su Focus di
qualche tempo fa che “Mussolini aveva il
pene freddo e pertanto era costretto a ripararlo in un sacchetto di pelo di
coniglio cucito nelle mutande, oppure: Mussolini
era un omosessuale perché inneggiava alla maschia gioventù. Di contro avete
mai visto Mussolini inaugurare (senza che mai nessuno rubasse un centesimo
dalle tasche dei cittadini) una delle decine di città che sorsero
miracolosamente in quel periodo? E visto che stiamo vivendo una lunga fase di
crisi congiunturale, chiedo: avete mai visto che qualcuno di detti camerieri di regime abbia mai illustrato
in che modo fu superata in Italia la ben più grave crisi causata dagli attuali liberatori, nel 1929?
Visto che siamo in fase di grave crisi, perché i due giornalisti sopra
citati, non ricordano come l’Italia sotto il male assoluto affrontò quel cancro? Oggi, in regime democratico
quante persone si sono, per disperazione suicidate? Recenti fonti ufficiali
parlano di più di 150 suicidi. Perché non fare un confronto con quei cittadini,
poveri infelici, che vissero sotto il crudele
tiranno? Ebbene, allora quanti suicidi si verificarono?
Ecco, e quanto segue è dedicato ai signori Minoli e Augias.
QUANTI DI VOI LETTORI CONOSCONO QUANTO SCRIVO?
A causa della crisi internazionale del
1929 nei Paesi ad economia liberale i suicidi si contavano a decine, mentre
l’Italia stava superando la congiuntura senza eccessivi drammi. Franklin Delano
Roosevelt era stato eletto Presidente degli Stati Uniti a marzo del 1933,
periodo nel quale un americano su quattro era disoccupato ed esattamente nel
momento in cui in Italia veniva concepito l’IRI (l’IMI fu costituita nel 1931)
sotto la guida di Alberto Beneduce . Con la nascita dell’IRI furono gettate le
premesse dello Stato imprenditore e con questo furono definite le linee di
demarcazione tra l’area pubblica e quella privata. Tutto questo mentre l’Italia
era impegnata nei grandi lavori, e potevamo lamentare solo 403 mila
disoccupati, dei quali almeno la metà a carattere stagionale: cifra trascurabile
se consideriamo che, ad esempio, la Gran Bretagna ne lamentava un milione e
mezzo, la Germania era giunta ai sei milioni e mezzo.
L’Italia
più che uno Stato del vecchio continente era una meschina provincia in una
grande Europa che però dettava leggi al
Mondo. Ne è prova, tornando a Roosevelt, ricordare che questi aveva impostato
la campagna elettorale all’insegna del New Deal, ossia ad un vasto
intervento statale in campo economico, in altre parole proponendo
un’alternativa al liberismo capitalista, ad
ispirazione dei principi fascisti.
Una volta eletto, Roosevelt (e questo nel dopoguerra fu accuratamente celato)
inviò, nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i più
preparati uomini del Brain Trust,
per studiare il miracolo italiano.
In merito lo studioso Lucio Villari osserva:
di
giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva>.
Roosevelt inviò Tugwell a Roma per
incontrare Mussolini e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco
come Lucio Villari ricorda l’episodio, tratto dal diario inedito di Tugwell in
data 22 ottobre 1934 (anche l’Economia Italiana tra le due Guerre ne
riporta alcune parti, pag. 123): <Mi
dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e
intelligenza sono evidenti come anche l’efficienza
dell’ammnistrazione
italiana, è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di
macchina sociale che abbia mai visto. Ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo,
o forse no>.
Mussolini, a sua volta inviò a Washington il
Ministro delle Finanze Jung, il quale, incontrato il Presidente americano, gli
fece dono di due Codici di Virgilio e di Orazio e consegnò a Roosevelt una
lettera del Duce. Il documento relativo a questo contatto Mussolini-Roosevelt,
ci fa sapere Villari, è custodito in copia nell’Archivio Jung, il cui
originale, come il diario inedito di Tugwell, si trova nella Roosevelt Library.
Tra i liberals d’America le opinioni
erano divise: una rivista come The Nation, fortemente conservatrice, era
duramente antifascista. Gli economisti pianificatori del New Deal vedevano nel corporativismo il
coordinamento economico statale necessario davanti alla bancarotta del lassez-faire
liberista. Così nel 1933 Roosevelt firmò il First New Deal, e il Second
New Deal venne firmato nel 1934-1936.
Quindi fu Franklin D. Roosevelt ad istituire il Social Security Act, una
legge che introduceva, nell’ambito del New Deal, indennità di
disoccupazione, di malattia e di vecchiaia. Contemporaneamente nacque anche il
programma Aid to Family with
Dependent Children (Aiuto alle famiglie con figli a carico), tutti
provvedimenti che avevano già visto la luce in Italia nel Ventennio fascista. Subito
dopo la Corte Costituzionale degli Usa decretò l’incostituzionalità di alcune
leggi. Da questo momento Italia e Usa presero, non solo economicamente, strade
diverse.
Che l’Italia fosse sulla via giusta è attestato
proprio da colui che è considerato uno dei maggiori scrittori del secolo:
Giuseppe Prezzolini. Giuseppe Prezzolini nacque per caso (così era
solito dire) a Perugia il 27 gennaio 1882 (morì, centenario, a Lugano
nel 1982). Iniziò la sua attività di giornalista ed editore appena ventunenne.
Dopo aver partecipato alla Prima Guerra mondiale si trasferì, non accettando il
regime fascista, negli Stati Uniti nel 1929; ma, come poi scriverà, non
mancherà di tornare frequentemente in Italia. Dopo uno di questi viaggi
compiuto nei primi anni Trenta, scrisse: <Le mie impressioni possono forse parere semplici per i lettori
italiani, ma hanno però lo sfondo dei paesi per i quali passo quando torno: un confronto e un controllo. Pace in questa
Italia: ecco il primo sentimento certo che si prova venendo da fuori e dura per
tutto il soggiorno. La pace degli animi, il silenzio delle lotte che
divorano gli altri paesi, e separano classi e spezzano famiglie e rompono
amicizie, e disturbano il benessere, talora in apparenza maggiore. Le
strade non saranno grandi come le
Avenue, ma non ci sono
mitragliatrici; le lire non saranno molte come i dollari, ma sono sempre lire e
lo saranno domani. I ricchi non hanno bisogno di guardie del corpo per
salvare i figlioli dal sequestro. I poveri non devono pagare la taglia
mensile alla mala vita per esercitare il loro mestiere. C’è oggi una
generale convinzione che in un mondo come quello d’ora l’esercito è uno strumento di prima necessità. Vi sono
momenti in cui anche la famiglia più modesta e l’uomo più pacifico pensano che
sia meglio saltare un pasto per comprarsi un revolver (…). Il popolo italiano
appare rinnovato. Sta lontano dalle osterie e dalle risse; sale sui monti in
folla. Gode, come nessun altro popolo, del paesaggio, dei fiori, dei colori e
dell’aria. I discorsi e i commenti che vi senti, lasciano trasparire
l’atmosfera di serenità e di salute. Il popolo italiano ha un aspetto più
forte, più dignitoso, più serio, più curato, meglio vestito di un tempo, è
ossequiente alle leggi e ai regolamenti, è istruito nella generalità e più
aperto perfino agli orizzonti internazionali. Si muove di più, viaggia di più:
conosce meglio di una volta il suo paese. Non è ricco come altri popoli, ma non
lo è mai stato e in confronto del popolo americano mi pare senza dubbio più
contento>. Esattamente come oggi, è vero signori Minoli e
Augias?
Il
grande banchiere americano John Pierpont Morgan sembra condividere l’opinione
di Prezzolini: <In America i nostri uomini politici non si curano
se non di un problema, quello della loro rielezione. Tutto il resto non li
interessa che mediocremente. Felici voi, italiani, che grazie a Mussolini,
avete in questo periodo così difficile il senso della sicurezza e della fiducia
in voi stessi. Ci vorrebbe anche per l’America un Mussolini>. Parole che scritte in questi anni nei quali
vige la vulgata resistenziale suonano come artefatte.
A questo punto è opportuno ricordare quanto
ebbe a dire Bernard Shaw nel 1937: <Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad
un serio conflitto con il capitalismo>. Non si dovranno
attendere molti anni prima che la profezia del celebre scrittore si avveri. Non
a caso di fronte alla confermata crisi del liberismo e delle utopie del
marxismo, un autorevole personaggio democratico inglese Michael Shanks,
economista di ampia esperienza internazionale, già direttore della Commissione
Europea degli Affari Sociali, nonché Presidente del Consiglio dei Consumi,
indica nel suo libro What is the
wrong with the modern World? che <non c’è
alternativa: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato>.
E allora chiedo a voi lettori, per superare
la crisi che oggi ci attanaglia, perché non fare riferimento ai vincenti
provvedimenti messi in atto nella prima metà dell’altro secolo? D’altra parte
le regole – e parlo di regole – dell’economia non cambiano, quanto fu fatto allora
non potrebbero essere valido ancora oggi?
Già, è vero, erano provvedimenti di chiara marca fascista…Non aggiungo altro,
se non tornare a proporre di non pagare il canone Rai; se qualcosa non
cambierà!
E allora: Cristo si fermò a Piazzale Loreto? Se
non si fermò, perché?!
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