CHI DECISE LA MORTE DI MUSSOLINI (LA VERITA') IMPORTANTE!
Seconda Guerra Mondiale
(01/10/2009)UCCISIONE DI MUSSOLINI da HISTORICA NOVA
CHI DECISE LA MORTE DI MUSSOLINI
Quando Benito Mussolini scrisse I complici, il fondo
pubblicato su Il Popolo d’'Italia del 4 luglio 1919, non poteva immaginare che
meno di ventisei anni dopo sarebbe stato assassinato da sicarî militanti nelle
file di quei complici. La coltre di menzogne stesa sulla sua morte perpetua
l'’infamia dei mandanti, dei "complici" e degli esecutori.
Giornalisti e scrittori coraggiosi come Giorgio Pisanò e
Franco Bandini, e ricercatori appassionati come Alberto Bertotto e Maurizio
Barsotti hanno da tempo rilevate e poste in evidenza le discordanze e le
forzature nelle numerose versioni date in pasto al pubblico nel corso degli
anni, sessantaquattro per essere precisi. Ora è possibile affermare con
certezza che l'’assassinio di Benito Mussolini non è avvenuto come, dove,
quando e perché ci hanno voluto raccontare. Che Mussolini dovesse morire era
stato deciso a Washington e a Londra nel luglio 1943. Doveva morire come era
morto Giorgio, duca di Kent, il 25 agosto 1942, quando l'idrovolante Sunderland
su cui viaggiava si schiantò contro il fianco di una collina vicino a Dunbeath,
nella contea di Caithness, in Scozia.(1) Mussolini doveva morire per lo stesso
motivo che avrebbe portato all'’assassinio del Vice-Führer Rudolf Hess, suicidato
da due agenti britannici nel carcere di Spandau il 17 agosto 1987, a pochi
giorni dalla sua liberazione, dopo quarantasei anni di carcere.(2) I morti, si
sa, non parlano. Mussolini, Giorgio di Kent ed Hess avrebbero fatto crollare il
castello di bugie preparato per mascherare la verità sulla seconda guerra
mondiale. Gian Giacomo Cabella, direttore de "Il Popolo di
Alessandria", intervistò Benito Mussolini il 22 aprile 1945 a Milano.
Tranquillo, il Duce parlò a lungo, ripercorrendo le tappe degli anni della
guerra. Parlò come fosse certo che sarebbe dovuto comparire davanti a un
tribunale internazionale. "Ho qui delle tali prove di aver cercato con
tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere
perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni
della Storia". Nel dire "ho qui delle tali prove", indicò una
grande borsa di cuoio. Mi sembra, delle tre, fosse quella di pelle gialla. Poi
toccò una cassetta di legno. "Non so se Churchill è, come me, tranquillo e
sereno" riprende Mussolini "ricordatevi bene: abbiamo spaventato il
mondo dei grandi affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che
ci fosse data la possibilità di vivere. Se le vicende di questa guerra fossero
state favorevoli all'’Asse, io avrei proposto al Führer, a vittoria ottenuta,
la socializzazione mondiale. Lavorerò anche in Valtellina. Cercherò che il
mondo sappia la verità assoluta e non smentibile di come si sono svolti gli
avvenimenti di questi cinque anni. La verità è una". Povero Mussolini, la
verità è davvero una, ma è quella dei vincitori.
Alessandro De Felice, giovane e valente ricercatore romano,
ha recentemente tradotto e pubblicato per la prima volta in Italia
l’intercettazione di una conversazione telefonica transoceanica tra Franklin
Delano Roosevelt e Winston Churchill.(3) Avvenne il 29 luglio 1943 e fu
registrata dagli specialisti dello Amt IV del RSHA, (
Reichssicherheitshauptamt, l’Ufficio Principale per la Sicurezza del Reich),
uno degli otto Hauptämter (uffici principali) in cui si suddivideva
l’organizzazione degli SS. Fu Einrich Müller, nel 1945 capo della Gestapo, a
rivelare l’esistenza delle intercettazioni. Gli storiografi dell’italica
repubblica nata dalla resistenza le hanno ignorate, forse temendo d’essere accusati
di revisionismo.
La conversazione tra Roosevelt e Churchill, trascritta
integralmente in inglese dagli agenti tedeschi, fu tradotta in lingua tedesca,
con alcuni errori di ortografia. Negli Stati Uniti fu pubblicata nel 1995, da
Gregory Douglas nel libro Gestapo Chief. The 1948 Interrogation of Heinrich
Müller. From Secret U.S. Intelligence Files.(4) Nella trascrizione originale,
Roosevelt è indicato con R., Churchill con C. R. "Ho alcuni pensieri
supplementari sulla situazione italiana che ho voluto discutere con te. Ho
pensato alle nostre azioni concernenti Mussolini ed il suo destino finale, dopo
che egli si sia arreso a noi." C. "Tu devi catturare il pesce prima
di cucinarlo. Non ho alcun dubbio che finirà nostro prigioniero a meno che,
naturalmente, essi (gli italiani N.d.R.) lo uccidano o egli si sottragga alla
sua esatta ricompensa suicidandosi." R. "C’è anche la possibilità che
i Nazisti possano giungere a lui? Dov’è adesso?" C. "Gli italiani ci
hanno avvertito che lui è attualmente al quartier generale della polizia a
Roma. Essi lo vogliono trasferire direttamente perché sembra che i tedeschi
potrebbero improvvisamente decidere di rafforzare i loro effettivi in Italia e
Roma diventerebbe il loro bersaglio logico. Essi (gli italiani N.d.R.) lo
sposteranno." R. "Ma essi non lo vorranno mollare, e mi riferisco ai
tedeschi? Per quale genere di quid pro quo?" C. "Io penso di no. Gli
italiani odiano i tedeschi ed il circolo reale è molto saldamente nella nostra
tasca. Noi possiamo essere ragionevolmente certi che Mussolini finirà nostro
prigioniero." R. "Sarebbe una mossa saggia, Winston? Saremmo
costretti ad istruire una specie di megaprocesso che si potrebbe trascinare per
mesi e, anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo. E
io devo osservare che molti italiani qui sono almeno suoi segreti ammiratori
(lett.<>). Il che porterebbe problemi qui se noi lo processassimo.
Naturalmente l’esito del processo non sarebbe mai in dubbio ed egli morirebbe
appeso ad una corda. Ma nel frattempo, questi processi, e sto presumendo che
noi avremmo un sacco di penosi amiconi anche disponibili per il processo e
l’esecuzione, potrebbero trascinarsi all’infinito. Io posso prevedere vari
aspetti negativi per questo affare." C. "Naturalmente ci sono aspetti
negativi in ogni affare, Franklin. Allora ritieni che egli (Mussolini N.d.R.)
non si debba processare? Cosa penserebbero i nostri amici in Italia della
nostra malposta generosità? Io ho ottime relazioni con certi elementi in Italia
e quanto all’uomo, essi vogliono l’umiliazione pubblica e la morte di
Mussolini. Sicuramente noi non siamo in un momento in cui qualche generosità è
possibile. La sua morte avrebbe un salutare effetto sui nazisti."
R. "Io non dissento da questa tesi, ma, dal mio proprio
punto di vista, un processo pubblico potrebbe avere connotazioni negative sulla
situazione in questo Paese. Come ti ho detto c’è qualche solidarietà con la
creatura (Mussolini N.d.R.) all’interno della (locale) comunità italiana (negli
Usa) e la domanda sarebbe che tipo di reazione avrebbe un tale processo su di
essi (italiani N.d.R.)? Io sto pensando essenzialmente alle prossime elezioni
qui. Il processo certamente non finirebbe in una settimana e la chiusura
coinciderebbe col periodo della presentazione delle candidature e, alla fine
con le elezioni, ed il maggior pericolo sarebbe l’alienazione (delle simpatie
N.d.R.) degli italiani che hanno, io sento, un certo significativo peso nella
bilancia (dei voti N.d.R.)."
C. "Non posso accettare che liberare Mussolini potrebbe
favorire qualcuno dei nostri comuni scopi. A questo punto della storia, io
credo che sia stato oltrepassato lo spartiacque ed è giunto per noi il momento
adesso. Non ritengo che la guerra finirà subito, ma la percezione è che noi
siamo sulla via Triumphalis ora, non sulla via Dolorosa come siamo stati per
così tanto tempo."
R. "Io non volevo dire che dovremmo rilasciare il
diavolo. Niente affatto. Mi riferivo al processo pubblico. Se Mussolini morisse
prima che un processo potesse aver luogo, penso che noi staremmo meglio in
tutti i sensi."
C. "Tu suggerisci che noi semplicemente dobbiamo
fucilarlo (5) quando gli italiani lo consegneranno a noi? Quale tipo di Corte
Marziale per quest’affare? Celebrato a porte chiuse naturalmente. Potrebbe avere
un salutare effetto sui fascisti duri a morire ancora attivi e forse perfino un
effetto più grande sugli hitleriani." R. "No. Ho pensato in proposito
e credo che se Mussolini morisse mentre è ancora agli arresti in Italia
(<>), ciò potrebbe servirci assai più che se noi avviassimo un
processo."
C. "Non credo che anche se io chiedessi un simile
favore agli italiani essi lo asseconderebbero. È mia convinzione che essi
vogliano avere la loro vendetta su lui in un modo prolungato e pubblico per
quanto è possibile. Tu sai quanto gli italiani amino urlare e gorgheggiare (6)
intorno alla vendetta nelle loro opere. Puoi immaginarti loro rinunciare
all’opportunità di gesticolare e parlare in pubblico?" R. "Io avevo
in mente che, dopo che noi stessi avessimo trovato un accordo qui, potremmo
eliminarlo mentre è ancora nella loro custodia (italiana N.d.R.). Allo stesso
tempo potremmo fare pubbliche richieste per la sua consegna per un processo.
Ciò sarebbe (una soluzione N.d.R.) un po’ più dolce rispetto all’affare
Darlan".(7) C. "Non posso, ma faccio un’obiezione a quell’allusione,
Franklin. Quello è un capitolo chiuso e non ha niente a che vedere con il
presente (<>) e la nostra gente non è per nulla interessata al destino
ben giustificato di un noto leccapiedi dei nazisti(8)." Un’attenta lettura
delle frasi che i due eminenti personaggi si scambiarono durante la
conversazione transoceanica non lascia dubbi sui loro propositi circa il
destino del collega italiano. Mussolini doveva morire. Condannato a morte senza
processo. "Sarebbe una mossa saggia, Winston? Saremmo costretti ad
istruire una specie di megaprocesso che si potrebbe trascinare per mesi e,
anche se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo." Anche
se lo controllassimo, ci arrecherebbe problemi con il popolo. Già, il popolo!
Guai se fosse venuto fuori che la seconda guerra mondiale sarebbe potuta finire
nella primavera del 1941! Guai se si fosse rivelato che senza l’istigazione dei
grandi finanzieri e banchieri ebrei la guerra si sarebbe potuta evitare! Il 29
settembre 1938, Mussolini partì da Monaco certo di avere salvato la pace. Ne
erano sicuri anche i popoli europei, che, particolarmente in Gran Bretagna, in
Italia e in Germania, tributarono a Chamberlain, Mussolini e Hitler manife-stazioni
di affetto e di riconoscenza. In Italia si stava lavorando per l’E 42,
l’Esposizione Universale che si sarebbe dovuta tenere nella Capitale per
celebrare il ventesimo anniversario della Marcia su Roma nel 1942. Oggi, a
settant’anni di distanza, Roma può vantare un quartiere moderno, celebre per la
sua architettura razionalista, realizzato con investimenti cospicui che un
dittatore guerrafondaio avrebbe destinato al potenziamento delle Forze Armate.
La Seconda Guerra Mondiale, iniziata il 2 settembre 1939 con la Dichiarazione
di Gran Bretagna e Francia alla Germania, dopo l'’invasione della Polonia parve
cadere in letargo. Per mesi, fino all'’aprile 1940, non accadde nulla di
rilevante. Sette mesi nei quali nessuno dei belligeranti fece una mossa. Lungo
la Maginot i poilus francesi facevano la guardia, lavavano la biancheria e
giocavano a pallone. Lungo la Sigfrido, i soldati tedeschi, forse in modo più
marziale, facevano lo stesso. L'’occupazione della Danimarca e della Norvegia
non mutarono la condizione di stasi. In realtà, si trattò di una fase
interlocutoria, che conferma l’ipotesi dell’'esistenza di manovratori occulti,
nell’attesa della riconferma di F. D. Roosevelt per il terzo mandato
presiden-ziale. La nomina a Primo Ministro del Regno Unito di Winston
Churchill, succeduto il 10 maggio 1940 al dimissionario Neville Chamberlain,
non bastava. Non mancano le testimonianze sulle manovre della diplomazia
franco-britannica-statunitense, impegnata a sostenere le provocazioni polacche
alla Germania, allo scopo di provocare un conflitto regionale, preparatorio al
conflitto mondiale. E' interessante notare il tenore dei messaggi di Roosevelt
rinvenuti dai tedeschi nel 1939 a Varsavia, per esempio le dichiarazioni ai
polacchi di William Bullit, ambasciatore americano a Parigi: "… il
Presidente desidera che Germania e Russia vengano in conflitto… dopodiché le
nazioni democratiche attaccheranno la Germania… costringendola alla
resa…"; "… il Presidente è deciso a non partecipare alla guerra dall'inizio,
ma ad esservi dentro alla fine…". A questo punto si aspettavano che gli
eserciti polacco e francese tenessero occupati i tedeschi fino al 1941, quando
sarebbero arrivati gli americani. Le inattese e fulminee vittorie militari dei
tedeschi ebbero sugli inglesi un effetto terrificante. Il 12 agosto 1939
nell'incontro di Salisburgo Hitler dichiarò a Galeazzo Ciano che la guerra con
la Polonia sarebbe rimasta localizzata e che avrebbe fatto la pace con gli
inglesi.
Il 27 Agosto 1939 il governo di Londra comunicò a Roma il
testo delle proposte tedesche per una cooperazione su scala mondiale, dopo che
fossero state risolte le questioni in Europa.
Mussolini era convinto che la guerra in Polonia sarebbe
stata una guerra limitata, locale.
È evidente che la Germania non voleva scatenare un conflitto
mondiale ma risolvere, sia pure con le armi, la questione (territoriale) del
corridoio di Danzica, rispondendo alle assurde provocazioni del governo
polacco. I sostenitori della pace britannici fecero credere a Hitler che la Gran
Bretagna avrebbe mobilitato solo per onore della parola data ai Polacchi, ma
che non si sarebbe giunti alla guerra su scala europea. Il 19 luglio 1940
Hitler, con un discorso al Reichstag offrì agli Inglesi una pace onorevole e
una cooperazione su scala mondiale, riprendendo i temi delle offerte del 1939.
Nel giorno che vide Churchill salire al potere, 8 maggio 1940, i Tedeschi
lanciarono l'attacco all'Olanda, al Belgio e al Lussemburgo. Il Corpo di
Spedizione Britannico assieme all'Esercito francese in due settimane fu battuto
e respinto indietro fino a Dunkerque. Il 22 maggio 1940 circa 250 Panzer
germanici stavano avanzando su Dunkerque quando Hitler personalmente ordinò a
tutte le forze tedesche di arrestarsi e di sostare per tre giorni sulle posizioni
raggiunte. I Britannici si imbarcarono pressoché indisturbati e la loro fuga fu
salutata come un miracolo. Hitler con la sua decisione aveva salvato l'esercito
britannico. Senza l'ordine di arresto, si sarebbe avuto un massacro o una resa
di massa. Fino a quel momento vi erano stati non meno di quattordici tentativi
segreti per giungere ad un accordo di pace con la Gran Bretagna. Intanto,
Mussolini, che aveva fatto entrare in guerra l’Italia il 10 giugno, si
preoccupò che non fossero inflitti danni gravi agli avversari
franco-britannici. Voleva una pace senza odî né rancori, nel quadro di futuri
equilibri internazionali. Mirava a ricreare il clima di collaborazione e di
speranza della Conferenza di Stresa del 1935 e della Conferenza di Monaco del
1938. Di concreto, vi erano state consultazioni sia fra Mussolini e
l'ambasciatore francese a Roma, François Poncet, sia fra Badoglio e l'addetto
militare Parisot, perché il fronte italo-francese rimanesse tranquillo anche
dopo l'entrata in guerra dell'Italia. Non solo: ambienti diplomatici francesi
vicini a Casa Savoia avevano letteralmente scongiurato che l'esercito italiano
prendesse l'offensiva dopo la metà di giugno 1940, perché la valle del Rodano
non fosse occupata dai Tedeschi e perché il governo di Bordeaux non si trovasse
a dover sedere da solo davanti ai plenipotenziari tedeschi, al momento della
firma dell'armistizio. Era stato perfino concordato che né l'aviazione
italiana, né quella francese avrebbero bombardato le città avversarie; tanto è
vero che, quando una squadriglia britannica si alzò in volo da Lione per
bombardare Torino, i Francesi tentarono, purtroppo senza successo, di impedirne
il decollo. L'aviazione italiana rispose bombardando località di secondaria
importanza, e la flotta francese bombardando Genova. Poi, il 21 giugno, per il
precipitare della situazione militare nella Francia settentrionale (Parigi era
stata occupata il 14 giugno), l'esercito italiano venne lanciato all'assalto
frontale della frontiera alpina più munita d'Europa e, nel giro di due giorni,
ebbe 600 morti, 2.600 feriti, 600 dispersi. Furono conquistate le
fortificazioni delle Traversette e la città di Mentone. Nelle trattative per
l'armistizio del 24 giugno, l'Italia non chiese e non ottenne niente di niente:
né Gibuti, né la Corsica, né la Savoia, né Nizza: solo la smilitarizzazione di
un tratto di 50 km. lungo il confine alpino e lungo quello della Tunisia, e
l'uso del porto di Gibuti. L'Italia non chiese neppure la restituzione dei
propri concittadini che erano emigrati in Francia per motivi politici (a
differenza di quanto fece la Germania): così gli antifascisti italiani poterono
rimanere indisturbati ad adoperarsi per la sconfitta della madrepatria. Altro
che pugnalata alla schiena! Tutto si può dire di quella breve campagna
militare, tranne che fu una pugnalata alla schiena della Francia. Ben
diversamente si comportò verso la Francia l'alleata Inghilterra, che attaccò e
distrusse la flotta francese a
Dakar e a Mers el Kebir, provocando la morte di 1.300
marinai francesi (mentre i caduti francesi sul fronte italiano, in quei pochi
giorni di guerra, erano stati appena qualche decina). Tuttavia, bastò che il
presidente Roosevelt parlasse alla radio della «pugnalata alle spalle del
proprio vicino», perché l'Italia rimanesse bollata d'infamia per più
generazioni.
La notte del 10 maggio 1941 Rudolf Heß volò in Scozia per
incontrare il duca Giorgio di Kent. I termini di pace di Hitler che recava con
sé erano i seguenti: (1) L'Impero Britannico rimane com'è, con tutte le colonie
e i mandati. (2) La supremazia continentale della Germania non viene posta in
discussione. (3) Ogni questione concernente le colonie della Francia, del
Belgio e dell'Olanda è aperta alla discussione. (4) La Polonia sarà uno stato
polacco. (5) La Cecoslovacchia deve appartenere alla Germania. Era un'offerta
onorevole, in quelle circostanze!! Sappiamo come andò a finire. Sappiamo anche
dell’impreparazione dei belligeranti nel settembre 1939. Tutte le potenze
avevano piani industriali per l’armamento e la logistica tali da garantire un
sufficiente livello di efficienza militare non prima del 1942-43. La storia dei
vincitori sostiene che i tedeschi, volendo scatenare una guerra d'aggressione e
conquista in Europa, avevano approntato un esercito potentemente armato. Non è
vero. Come i Francesi erano terrorizzati dall'inadeguatezza dei loro armamenti,
così erano gli Italiani e i Britannici, dotati di armi leggere e pesanti già
impiegate nella Prima Guerra Mondiale.
I Tedeschi nel 1939 non erano messi molto meglio. Le loro
divisioni corazzate impiegavano Pzkw II, carri del tipo II, da 11 tonnellate,
dotati di una mitragliera da 20 mm, esattamente come le autoblindo del R.E.I.
Solo due divisioni, la 4. e la 7. Panzer erano armate con carri che montavano
un pezzo da 37 mm, superiore alla mitragliera da 20 mm, ma pur sempre
insufficiente. Non erano stati prodotti in Germania. Erano carri Skoda
cecoslovacchi requisiti al momento dell'annessione del 1938, come testimoniano
le foto dell'epoca.
Allo scoppio della guerra il generale della Luftwaffe
Erhardt Milch nei rapporti al Führer lamentava l’insufficienza di bombe per gli
stormi da bombardamento. È molto difficile che in quelle condizioni il Governo
Nazionalsocialista stesse preparando una guerra d'aggressione. Gli appassionati
e gli studiosi di Militaria conoscono l’esistenza di pistole con il marchio
della Wehrmacht (Heer, Luftwaffe e Kriegsmarine): sono Walther e Lüger tede-
sche, Browning FN belghe, SCM francesi, Beretta italiane, Radom polacche, Astra
spagnole e diverse altre di fabbriche minori. Il Reichsministerium für Rüstung
und Kriegsproduktion (Ministero per l’Armamento e la Produzione Bellica) dové
affannarsi a fare incetta di pistole per gli ufficiali e i sottufficiali in
tutta Europa. Una grave dimenticanza per un esercito aggressore!
È abbastanza evidente l’inconsistenza delle tesi dei
vincitori che attribuiscono a Hitler e a Mussolini la volontà di aggredire.
Analizzando gli avvenimenti della guerra in Europa nel periodo 1939 - 1941 si
percepiscono i segni delle dinamiche già avviate per trasformare un conflitto
di scala regionale nel conflitto più sanguinoso della storia.
Forse diverrebbe più facile comprendere i fatti della Storia
di quel periodo ricordando avvenimenti poco conosciuti, come la Dichiarazione
di Guerra degli Ebrei alla Germania, avvenuta il 23 marzo 1933 quando 20.000
ebrei protestarono al New York's City Hall (Municipio) e furono organizzati
assembramenti all'esterno del North-American German Lloyd e delle Linee di
Navigazione Hamburg-American. Picchetti di boicottaggio furono organizzati
contro i prodotti della Germania nei negozi, nei magazzini e nelle attività
commerciali di New York City. Secondo il quotidiano britannico The Daily
Express di Londra il 24 marzo 1933 gli ebrei avevano già proclamato il loro
boicottaggio contro la Germania e il suo governo, eletto dal popolo. Il
giornale titolò "Judea Declares War on Germany - Jews of All the World
Unite - Boycott of German Goods - Mass Demonstrations" (La Giudea dichiara
guerra alla Germania - Ebrei di tutto il mondo unitevi - Boicottaggio dei
prodotti tedeschi - Dimostrazioni di massa). L'articolo di fondo descrisse
un'imminente "guerra santa" e proseguì implorando gli ebrei di ogni
luogo a boicottare i prodotti tedeschi e a partecipare in massa a dimostrazioni
contro gli interessi economici della Germania. Secondo lo Express:
"L'insieme di Israele nel mondo è unito nel dichiarare
una guerra economica e finanziaria alla Germania. L'apparizione della Svastica
come simbolo della nuova Germania ha riportato a nuova vita i vecchi simboli di
guerra di Giuda. Quattordici milioni di Ebrei sparsi in tutto il mondo [nel
1933 N.d.R.](9) sono uniti l'uno all'altro come un solo uomo, per dichiarare
guerra ai persecutori tedeschi dei loro compagni credenti. I negozianti ebrei
chiuderanno le loro botteghe, i banchieri bloccheranno lo scambio dei titoli, i
commercianti i loro affari e il povero che chiede l'elemosina riporrà l'umile
cappello, per andare alla guerra santa contro il popolo di Hitler." Lo
Express scrisse che la Germania "si trova ora di fronte ad un boicottaggio
internazionale del suo commercio, delle sue finanze e della sua industria ... A
Londra, New York, Parigi e Varsavia, uomini d'affari ebrei sono uniti per
intraprendere una crociata economica." Come non ricordare, a questo punto,
la presenza, a fianco di Franklin D. Roosevelt, di Felix Frankfurter, Bernard
Mannes Baruch e Henry Jr. Morgenthau, tutti fervidi sionisti? Come non
ricordare le confidenze di Neville Chamberlaine che si lamentò con James V.
Forrestal di essere stato pressato dagli Ebrei a dichiarare guerra. Egli
dovette anche in seguito tribolare con il "partito della guerra",
costituito da poco, che raggruppava Winston Churchill, Duff Cooper e Anthony
Eden, una consorteria che si era formata durante gli incontri segreti al Savoy
Hotel con il finanziere Israel Moses Sieff nel maggio 1940. E come non
ricordare la testimonianza dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Gran Bretagna
Joseph P. Kennedy, resa a James V. Forrestal (10) e riportata da questi nei
suoi "Diaries", in data 27 dicembre 1945: "Né la Francia, né la
Gran Bretagna avrebbero fatto del caso Polonia un motivo per entrare in guerra,
non fosse stato per le continue sollecitazioni di Washington." L'intero
piano di gioco di Churchill era fondato sul totale coinvolgimento degli Stati
Uniti alla causa della Gran Bretagna.
Fin dall'inizio, la Gran Bretagna era dipesa dalla fornitura
di apparecchiature militari ed altri beni essenziali del periodo bellico dagli
Stati Uniti. Così, nel momento in cui la Gran Bretagna dichiarò guerra alla
Germania, le forniture di armamenti americani cessarono. Il sentimento
dell'opinione pubblica negli Stati Uniti era profondamente isolazionista e il
Congresso aveva passato una serie di misure restrittive in nome della
neutralità, che proibivano ogni forma di commercio con qualsiasi nazione
impegnata in una guerra. Nel 1937, però, su iniziativa di Roosevelt,
(discendente da una famiglia di Ebrei olandesi) quelle misure furono emendate
con un divieto che riguardava solo la fornitura di munizioni.
Fortunatamente per lo sforzo bellico della Gran Bretagna,
Roosevelt prese nuovamente delle iniziative che, con poche modifiche
legislative, portarono alla ripresa della fornitura di munizioni dagli Stati
Uniti. I problemi erano venuti a capo nell'ottobre 1940, quando il Tesoro
riferì a Churchill che entro tre mesi la nazione non avrebbe più avuto denaro
per pagare le forniture dall'America.
In risposta Roosevelt spinse allora il Lend-Lease Bill
(Progetto di legge per gli Affitti e i Prestiti), che fu approvato, divenendo
legge, l'11 marzo 1941. Era così assicurato l'impegno che gli Stati Uniti
avrebbero provveduto alla fornitura di munizioni e altri materiali a credito,
per gli importi dovuti. La Gran Bretagna doveva far quadrare i conti trattando
più di cinquanta milioni di dollari di oro dalle miniere del Sud Africa e
vendendo una delle più redditizie società operanti negli Stati Uniti, la
American Viscose, sussidiaria della Courtaulds, a un consorzio di banchieri,
che non persero tempo a rivenderla, realizzando un considerevole profitto.
Nel maggio 1941 la Gran Bretagna era giunta ad un punto
molto critico, con le scorte pericolosamente basse. Churchill inviò un cablo di
disperata invocazione d'aiuto a Roosevelt il 3 maggio 1941, una settimana prima
dell'arrivo di Heß.
La reazione degli ambienti industriali e finanziari degli
Stati Uniti alla notizia dell'arrivo di Heß fu di grande costernazione.
Roosevelt capì che Heß offriva l'opportunità di scegliere
tra la conclusione della guerra e la sua continuazione, con la facile ipotesi
che il conflitto sarebbe potuto durare ancora parecchi anni. Naturalmente, la
seconda sarebbe stata l'opzione preferita dall'industria e dalla finanza degli
Stati Uniti. Dall’ 8 agosto 1941 (quattro mesi prima di Pearl Harbor) al 14
agosto 1941 Franklin D. Roosevelt fu a bordo della USS Augusta, incrociatore
ancorato allo Ships Harbor di Placentice Island, nel Newfoundland (Terranova).
Winston Churchill lo raggiunse navigando sullo HMS Prince of
Wales, nave da battaglia che diede fondo poco distante. Conversando a giorni
alterni sull’una e sull’altra nave, il 12 agosto firmarono l’ Atlantic Charter,
meglio conosciuta come Carta Atlantica.
Nel novembre 1940 Roosevelt aveva vinto le elezioni per il
suo secondo mandato. Da quel momento iniziò la fase di mondializzazione del
conflitto sulla base degli otto principî della Carta Atlantica, autentici
capolavori di ipocrisia, usati come specchietti per allodole.
1) Gli Stati Uniti e il Regno Unito non cercano guadagni
territoriali.
2) Le modifiche di territorio devono avvenire in accordo con
i desideri dei popoli coinvolti.
3) Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione.
4) Le barriere doganali devono essere abbassate.
5) Attuazione della cooperazione economica globale con il
progresso del benessere sociale.
6) Libertà dal
bisogno e dalla paura.
7) Libertà di navigazione sui mari.
8) Disarmo degli aggressori e disarmo generale dopo la
guerra.
Tralasciando per brevità ogni riferimento ai lavori di W.
Cleon Skousen, Gary Allen, Jim Marrs, Phyllis Schlafly e G. Edward Griffin, non
possiamo qui dimenticare la citazione di Carroll Quigley, estrema epitome dei
suoi studi sulla civiltà occidentale: "I poteri del capitalismo
finanziario avevano un piano a lungo termine, nientemeno che di costituire un
sistema mondiale di controllo finanziario in mani private, capace di dominare
il sistema politico di ogni nazione e l’economia del mondo intero." Per
attuare il loro piano, che aveva già portato al conseguimento di due grandi
successi, il 23 dicembre 1913 con la firma da parte di Thomas Woodrow Wilson
del Federal Reserve Act e il 29 ottobre 1929 con il crollo dei titoli allo
Stock Exchange di Wall Street (enormi quantità di denaro incamerate per
finanziare il consolidamento dei monopolî di materie prime e di risorse
alimentari) i poteri del capitalismo finanziario non potevano ignorare la
minaccia della Germania Nazionalsocialista, alleata nell’Asse dell’Italia
Fascista. La nazionalizzazione della
Reichsbank, che sottrasse il signoraggio ai banchieri
privati, la sostituzione dell’oro con la forza lavoro come riserva monetaria,
le transazioni internazionali in clearing, compensate per ovviare i movimenti
di valuta, il modello dell’efficienza conseguente offerto alle altre nazioni,
(sei milioni di disoccupati assorbiti in meno di due anni), ecc. ecc. (11)
costituivano un insieme di cattivi esempi da sradicare, distruggere e far
dimenticare. L’eliminazione della sfida germanica al Potere Monetario andava
condotta con ogni mezzo, bombardamenti terroristici compresi. Churchill, agente
del Potere Monetario, nel 1944 disse ai suoi Capi di Stato Maggiore:
"Potranno passare parecchie settimane, anche mesi, prima che vi chieda di
saturare la Germania con gas velenosi. Se lo faremo, facciamolo al cento per
cento." La minaccia dei gas non fu mai attuata, ma dietro l'ordine dei
bombardamenti terroristici vi fu sempre lui, Churchill, benché in seguito abbia
tentato di scrollarsene di dosso la colpa, addossandola al Field Marshall
Arthur Harris, soprannominato " the butcher" . Per concludere in
gloria, riportiamo un significativo aneddoto contenuto nel CD-ROM di Alessandro
De Felice "Il Gioco delle Ombre", menzionato in apertura. Il
personaggio chiave è Leo Weiczen , in arte Leo Valiani, senatore a vita
"motu proprio" del Sandro Pertini.
"Lo scrivente Alessandro De Felice intende riferire
adesso un episodio che ha sempre omesso da 18 anni a questa parte e che ha
riferito alcuni giorni addietro ad Alberto Bertotto ed Elena Curti. Mi
riferisco ad un breve colloquio 'casuale' che ebbi a Milano alla Fondazione
Feltrinelli nel 1989-1990, non ricordo bene la datazione esatta, con l’allora
ottuagenario Leo Valiani. Io ho frequentato la Fondazione in oggetto, per quasi
un anno, (forse 1 anno e mezzo), per analizzare testi introvabili sul
socialismo in relazione alla mia tesi di laurea sulla politica internazionale e
la scissione socialdemocratica di Palazzo Barberini. Devo dire che venivo
guardato a vista dal personale, abbastanza rigido, e venivo dissuaso spesso dal
chiedere determinati volumi e documenti, presumibilmente insospettito dal mio
cognome. Ma dopo varie insistenze, riuscivo ad ottenere in parte il materiale
richiesto. Ciò nonostante, ebbi modo di poter avvicinare il Valiani, già
vegliardo ma ancora molto sveglio all’epoca. Egli si trovava lì nella sala
consultazione della biblioteca della fondazione per compulsare dei volumi. Lo
vidi per una decina di volte. Pur essendo già Senatore a vita, nominato da
Sandro Pertini nel 1980, il Valiani arrivava in Fondazione Feltrinelli senza
scorta. Non sarebbe difficile, se la fondazione avesse conservato dei registri
di presenze, risalire al periodo esatto. Si firmava sempre per poter entrare e
consultare o richiedere fotocopie. Era un tipo schivo, come lo scrivente. Dopo
aver rotto il ghiaccio ed essendoci scrutati a distanza per varie volte, un
giorno, dopo essermi presentato scientificamente, Gli parlai, in un momento in
cui rimanemmo noi due soli nella sala stessa, chiedendo possibili ulteriori
lumi, del ruolo estero nell’assassinio del Duce e degli altri gerarchi e la
Petacci. Il Valiani, sibillinamente, mi rispose testualmente come riporto:
<, - mi disse -. Quindi aggiunse, dopo una breve pausa, come a voler gelare
la situazione: <>. Circa un’ora dopo, quando stavo per andare via dalla
sala, mentre gli passavo accanto per uscire, mi fermò con un segnale
invitandomi ad accostarmi sbrigativamente alla sedia e mi disse quasi
all'orecchio: <>. Da allora, accennai ad una sola persona di questa
conversazione col Valiani: Renzo De Felice. Ne parlai con lui, cugino di mio
padre, nel 1991. E questa è la prima volta che ne parlo pubblicamente."
ALESSANDRO DE FELICE Note: (1) Giorgio duca di Kent morì il 25 agosto 1942,
quindici mesi dopo il volo di Rudolf Heß, sceso col paracadute a Bonnington
Moore, nei pressi di Dungavel House, a sud di Glasgow, per incontrarlo.
Ufficialmente, l’incidente in cui perì il duca di Kent è rimasto avvolto nel
mistero. Ancora oggi, dopo sessantasette anni, è convinzione diffusa che egli
sia stato assassinato dai servizi segreti britannici. Charles Higham nella
seconda edizione rivisitata del suo libro The Duchess of Windsor: The Secret
Life, cercò di dare una ragione per l'avvenimento e la trovò nelle serie
preoccupazioni circa la mancanza di discrezione del Principe e dei suoi
contatti politici con i capi della Germania nazionalsocialista, per negoziare
una pace separata. Higham scrisse che lo Special Operations Executive era
preoccupato per il fatto che il Duca potesse parlare di questi argomenti una
volta lasciata la Gran Bretagna. Per quel motivo fu sabotato l'idrovolante
prima che decollasse facendo sì che si schiantasse poco dopo provocando la
morte di tutti i passeggeri, ad eccezione di uno soltanto. Il principe Giorgio
in uniforme di lieutenant (sottotenente di vascello). Il sopravvissuto riportò
solo alcune ferite superficiali, ma non parlò mai dell'accaduto e portò con sé
nella tomba ciò che sapeva, alimentando così le teorie dell’attentato.
Lynn Pickett, Clive Prince e Stephen Prior nei loro libri
Double Standards: The Rudolf Hess cover-up e War of the Windsors ipotizzarono
che l'aereo del Duca di Kent si fosse fermato per prendere a bordo Rudol Heß, e
che il tutto era parte di un progetto di pace che avrebbe estromesso Winston Churchill
dal potere, lasciando così non dichiarata l'implicazione che se Giorgio fu
assassinato dai servizi segreti britannici, la decisione dovesse essere stata
concordata al livello di Churchill. L'ambasciatore tedesco in Portogallo,
barone von Hoyningen-Hüne, disse a von Ribbentrop che secondo la comunità
britannica a Lisbona, l'idrovolante venne sabotato per togliere di mezzo Kent,
convinto sostenitore della pace con la Germania.
(2) In aggiunta alla testimonianza del sanitario tunisino,
accorso per primo nella stanza di Heß, vi è un ulteriore affidavit (deposizione
giurata) riguardante l'evento di Spandau del 17 agosto 1987. Fu raccolto in Sud
Africa dalla nuora di Heß, che era riuscita a convincere un avvocato a fornire
la sua testimonianza sotto forma di dichiarazione giurata preparata
appositamente per un tribunale, con la data del 22 febbraio 1988. Il testo è il
seguente:
"Il Ministro del Reich Rudolf Heß fu assassinato per
ordine del British Home Office (Ministero degli Affari Interni Britannico).
L'assassinio fu commesso da due membri del SAS (Special Air Service), per la
precisione del 22° Reggimento SAS, Bradbury Lines, Hereford, England). Detta
unità militare del SAS è alle dipendenze del Ministero degli Affari Interni
Britannico, non del Ministero della Difesa. La pianificazione dell'assassinio
come la sua direzione sono stati curati dal MI5 (Servizio di Sicurezza).
L'operazione del servizio segreto, il cui obiettivo era l'assassinio del
Ministro del Reich Rudolph Heß, fu progettata così frettolosamente che non le
fu dato neanche un nome in codice."
Altri servizi segreti a conoscenza del piano furono quelli
degli Stati Uniti, della Francia e di Israele.
(3) Alessandro De Felice ha riportato questa intercettazione
integralmente in un cd-rom inti-tolato Il gioco delle ombre (reperibile sul web
all’indirizzo www.alessandrodefelice.it). (4) Heinrich Müller, SS
Obergruppenführer , (nato a Monaco di Baviera il 28 aprile 1900 e scomparso da
Berlino il 29 aprile 1945) fu al servizio della CIA dal 1948 al 1952. Non se ne
conosce la data di morte, che alcuni elementi fanno supporre avvenuta dopo il
1960. Gregory Douglas, dopo l’abrogazione delle restrizioni all’accesso di
molte documentazioni relative alla Seconda Guerra Mondiale, pubblicò il testo
integrale della conversazione del 29 luglio 1943 nel libro Gestapo Chief. The 1948 Interrogation of Heinrich
Müller. From Secret U.S. Intelligence Files, vol. 1, R. James Bender
Publishing, San Jose, California, 1995, pp. 56-62. (5) L’espressione
usata testualmente è "shoot", verbo to shoot, che significa sparare,
fucila-re (ibid., p. 58). (6) Letteralmente "to wail and warble". (7)
Ibid., pp. 56-58. Jean François Darlan, Ammiraglio e uomo politico francese,
nacque a Nérac, Lot e Garonna, nel 1881. Partecipò al primo conflitto mondiale
e nel 1929 fu nominato Contrammiraglio. Capo di gabinetto del Ministro della
Marina Georges Leygues negli anni 1926-1928 e 1929-1934, Darlan collaborò alla
riorganizzazione della flotta navale francese. Comandante della squadra
dell’Atlantico dal 1934 al ’36, quindi Capo di S.M.G. della Marina nel
1939-1940, fu nominato Comandante in capo della Marina Mercantile e Militare
nel governo Pétain, e, dopo il licenziamento di Laval (dicembre 1940), assunse
anche la carica di Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e di Ministro
degli Esteri (febbraio 1941). Assertore di una politica di collaborazione con
la Germania, successore designato di Pétain, Darlan incontrò Hitler due volte,
il 25 dicembre 1940 a Beauvais ed il 10 maggio 1941 a Berchtesgaden; dopo
quest’ultimo firmò a Parigi, il 28 maggio 1941, il protocollo Darlan-Warlimont, poi respinto dal governo di
Vichy, che avrebbe messo a disposizione dei tedeschi alcuni porti francesi in
Africa. Il 10 dicembre 1941 incontrò Galeazzo Ciano a Torino.
Al ritorno di Laval al governo nell’aprile 1942, Darlan si
dimise da tutti gli incarichi ministeriali, ma rimase Comandante in capo delle
Forze Armate Francesi. Al momento dello sbarco alleato dell’8 novembre 1942 si
trovava ad Algeri e, con repentino voltafaccia, il 10 novembre successivo,
concluse un armistizio col comando statunitense; addirittura il 13 novembre
seguente ordinò alle truppe francesi di battersi contro le forze dell’Asse.
Quindi Darlan si autoproclamò il giorno successivo (14 novembre 1942) Alto
Commissario Francese dell’Africa del Nord in nome di Pétain, il quale ultimo
però lo sconfessò. Darlan regolò col Generale Clark i rapporti fra autorità
francesi e statunitensi in Africa (22 novembre 1942). Il 24 dicembre 1942
Darlan venne assassinato ad Algeri da un agente di De Gaulle. Va ricordato che
Roosevelt sosteneva pragmaticamente l’utilizzazione degli amministratori di
Vichy per i territori da poco occupati dagli Alleati, in contrasto con
Churchill che appoggiava De Gaulle, decisamente contrario all’uso della classe
dirigente di Vichy. La lotta tra Roosevelt e Churchill culminò nell’assassinio
di Darlan da parte di un giovane francese, Ferdinand Bonnier de La Chapelle,
addestrato allo scopo dal SOE (Special Operations Executive) britannico. L’arma
dell’assassinio, una pistola Welrod con silenziatore di fabbricazione inglese,
finì nelle mani di agenti dello OSS degli Stati Uniti che ne accertarono il
collaudo negli Aberdeen Proving Grounds (Maryland).
(8) Ibid., p. 58.
(9) Ebrei nel mondo, stime e conteggi [da
www.nntp.it/.../345661-ebrei-nel-mondo-stime-e-conteggi.html] Quando noi
sentiamo i giornali e le televisioni parlare di 6.000.000 di Ebrei uccisi nei
campi di sterminio non ci viene mai indicata la fonte di questa cifra. Ebbene
la fonte é solo una ed é l'Enciclopedia Ebraica dove il totale e di 5.820.960.
Adesso, io sicuramente non sono uno storico, ma mi hanno sempre insegnato che
bisogna diffidare delle cifre che vengono fornite da una delle due parti
coinvolte, e che per lo meno più di una fonte deve essere citata. La cifra di
6.000.000 dopo essere stata ripetuta per milioni di volte nei giornali,
televisioni e film di Hollywood é diventata ufficiale. Questo nonostante, già
alla fine della guerra, si fosse in possesso di statistiche accurate sul numero
degli Ebrei prima e dopo la guerra, e dei loro movimenti migratori fuori
dall'Europa, verso l'America la Palestina e la Russia. Secondo l'Appendice
N°VII, "Statistiche sull'Affiliazione Religiosa", del libro del
Senato Americano "A Report of the Committee on the Judiciary of the United
States Senate" del 1950, il numero di Ebrei nel mondo in quell'anno era di
15.713.638. La stessa fonte nel 1940 riporta il numero di Ebrei nel mondo a
15.319.359. Se lo studio statistico del governo Americano é corretto la
popolazione Ebraica non diminuì durante la guerra, ma subì un piccolo
incremento. Se in 3/4 anni i tedeschi avessero fatto sparire 6 milioni di
ebrei, si potrebbe concludere che c'è stato un olocausto. Ma da dove proviene
la cifra di 6 milioni? Questa cifra ci viene presentata come derivante da studi
scientifici. In realtà è stata introdotta per la prima volta al Tribunale di
Norimberga, da Höttl, che non aveva veste di testimone, presentata in una sua
deposizione scritta, ma non davanti ai giudici. Höttl racconta che Eichmann
avrebbe detto d'essere saltato di gioia apprendendo che 6 milioni di ebrei
erano stati liquidati. Attenzione: il Tribunale ha rifiutato la deposizione di
Höttl! Nel 1983 il ricercatore americano Walter Sanning ha prodotto uno studio
statistico - "The dissolution of Eastern European Jewry" (La
dissoluzione dell'ebraismo est europeo) - sui trasferimenti delle popolazioni ebraiche dell'Europa Orientale, ove precisa che
una parte cospicua è emigrata, durante la guerra e dopo, in Palestina, altri
negli USA, in Cina, in Sud America. Ad altri ebrei, fra quelli trasferiti
all'est dai tedeschi, i sovietici non consentirono di ritornare all'ovest. In
conclusione, afferma Sanning, gli ebrei che avrebbero potuto essere sterminati
dai nazionalsocialisti erano 3/400.000. Tutti gli altri ebrei si sa che non
sono morti, ma sopravvissuti alla guerra. Di fronte alla serietà dello studio di
Sanning, gli storici ebrei sono costretti ad ammettere che non c'è stato
sterminio, ma che vi sono comunque stati massacri qua e là. Gli storici ebrei
sanno che 6 milioni di morti è una cifra, in quel contesto, impossibile (ciò è
quanto sono costretti ad ammettere nelle loro pubblicazioni che hanno
diffusione ristretta, mentre al grande pubblico le lobbies giornalistiche e
televisive seguitano a propinare la leggenda dei 6 milioni). Non mancano
oltretutto testimonianze di fonte ebraica che contraddicono la tesi ufficiale
sull'argomento. Per esempio, 1938: L'Annuario Mondiale ("World
Almanac") censisce 15.688.259 ebrei, in tutto il mondo. Questo dato è
fornito al "World Almanac" dall' "American Jewish
Committee" (Comitato Ebreo Americano) e, altresì, dal "Jewish
Statistical Bureau of the Synagogues of America 1948: Secondo un articolo
apparso nel "New York Times" del 22 febbraio 1948, firmato dal Mr.
Hanson W. Baldwin, esperto di questioni demografiche del giornale, gli ebrei
esistenti in tutto il mondo sono valutati tra i 15.600.000 e i 18.700.000. Va
detto che oltretutto il direttore e proprietario del giornale è l'ebreo Arthur
Sulzberger, noto come sostenitore incondizionato del Sionismo. Accogliendo
dunque la valutazione superiore di Mr. Baldwin, cioè di 18.700.000 ebrei,
risulterebbe che, nei dieci anni intercorsi dal 1938 al 1948 - periodo che
include gli anni del conflitto 1939-1945 e durante i quali si pretende che
Hitler abbia fatto ammazzare sei milioni di ebrei, la popolazione mondiale
ebraica sarebbe nondimeno aumentata di oltre tre milioni di unità. Ma se, agli
effetti della comparazione, ammettiamo per vero l'ipotetico sterminio
hitleriano di sei milioni di ebrei, ci troviamo a concludere che l'incremento
demografico reale dovrebbe essere di oltre nove milioni di unità. Giacché
l'incremento di tre milioni è solo apparente: occorrono altri sei milioni di
sterminati, ergo l'incremento reale è (sarebbe ...) di nove milioni... E questo
incremento ad opera dei nove milioni di superstiti, dato che sei milioni, dei
15 milioni da cui abbiamo preso le mosse, sono mancanti all'appello... Allora è
giocoforza ammettere che in quei dieci anni la popolazione ebraica sia
semplicemente... raddoppiata! Affermazione un po’ forte perché in tale
popolazione vanno comprese classi d’età differenti con solo una frazione atta
alla procreazione. Senza contare il fatto che il periodo di guerra e
persecuzione avrebbe limitato la natalità. Nulla di sorprendente allora che lo
stesso ebreo Allen Lesser si trovasse costretto a concedere, in un articolo dal
titolo "Isteria antidiffamatoria", apparso nell'edizione primaverile
del 1946 della rivista "Menorah Journal", che "secondo quanto
divulgato, durante gli anni dell'immediato dopoguerra, dalle agenzie di stampa
giudaiche, il numero di ebrei morti in Europa supera di svariati milioni quello
di cui i nazisti non sospettarono mai l'esistenza".
(10)
"The Forrestal Diaries" (edited by Walter Millis), New York, Viking,
1951. I Diarî furono pubblicati postumi, essendo stato il Segretario di
Stato alla Difesa James V. Forrestal suicidato da due agenti del Mossad il 22
maggio 1949 per la posizione assunta durante la guerra del 1948 tra Israele e
Egitto, Siria, Libano, Irak e Giordania. (11) René Dubail, "Une expérience
d’économie dirigée: l’Allemagne Nationale Socialiste" (L’Ordinamento
Economico Nazionalsocialista), Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1991.
http://rsicontinuitaideale.blogspot.it/2013/04/chi-decise-la-morte-di-mussolini-la.html
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