Officina modello ieri, museo oggi
di Ciro La Rosa
Lo stabilimento visto dal mare
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Lo stabilimento di Pietrarsa fu voluto da Ferdinando "perché del braccio straniero a fabbricare le macchine, mosse dal vapore il Regno delle Due Sicilie più non abbisognasse...". Per realizzare lo stabilimento fu acquistata un'area che si chiamava "Pietrabianca" - posta tra i Comuni di Portici, San Giovanni a Teduccio e San Giorgio a Cremano detta anche "Croce del Lagno" - nome della zona cambiato in Pietrarsa nel 1631 in seguito all'eruzione del Vesuvio poiché la lava era giunta fino a quel punto della costa.
Il 6 novembre del 1840 venne posto in essere l’embrione di quel che sarà l’Officina di Pietrarsa, L'officina aveva un'estensione di oltre 36.000 Mq. Venne costruita con criteri di grande spaziosità affinché il personale si sentisse a suo agio; in continuità ideale del "Laboratorio Pirotecnico e Meccanico" con sede a Torre Annunziata il quale produceva materiale meccanico e pirotecnico per la Marina e per la guerra; L’Officina inserita nel processo di rinnovamento del Regno, venne dotata dì una sorprendente e vasta attrezzatura che, per l'epoca, non temeva confronti con i più moderni ritrovati della tecnica: Torni Withworth, Foratoi Manchester, Spianatoi “Sharp & Collier”. Inoltre ad essa venne annessa una "Scuola d'Arte", inaugurata nel 1841, dove si insegnavano matematica, geometria, scienze meccaniche, lingue, architettura civile e disegno meccanico con applicazione pratica di arti e mestieri (Carpentiere, tornitore, fonditore e macchinista), oltre a formare ufficiali macchinisti. Alla sua direzione venne chiamato l’ingegner Luigi Corsi.
Nel 1842 vi lavoravano già 200 operai. Nel 1845 iniziò la costruzione di una serie di 7 locomotive su modello inglese. La prima fu chiamata "Pietrarsa" e fu anche la prima ad essere consegnata alle "Regie Strade Ferrate del Regno". Nello stesso anno le officine furono visitate dallo Zar Nicola I di Russia, il quale ne rilevò la pianta, tramite il suo ingegner Echappar, che gli servì poi per realizzare il complesso industriale di Kronstadt tutt’ora esistente.
Dai cantieri di Pietrarsa uscivano, sia per il fabbisogno nazionale che per l'esportazione, locomotive, rotaie, vagoni e motori per la navigazione a vapore. Nel 1847 i cantieri sono in pieno sviluppo, vi lavorano 982 operai, di cui 224 militari e 738 civili e 40 detenuti per il loro reinserimento nella società civile, senza contare i dirigenti e gli impiegati amministrativi.
In quegli anni la struttura è ormai completa in tutti i reparti: l'opificio di Pietrarsa è il primo nucleo industriale della penisola italiana precedendo di 44 anni la nascita della BREDA e di 57 anni quella della FIAT.
Caduto nel 1860 il Regno delle Due Sicilie, per i noti avvenimenti bellici, cominciò il suo declino, dovuto all’invidia e alla incapacità tecnica degli stabilimenti del nord Italia che non reggevano il confronto. Infatti venne mandato un ispettore delle ferrovie Italiane, ing. Sebastiano Grandis, il quale redasse una relazione sullo stato dello Officine del tutto menzognero, sottolineando addirittura l’inutilità della struttura, l’eccedenza del personale ed i costi dei materiali troppo alti, proponendone la demolizione. A seguito della relazione, presentata il 15 luglio del 1861, lo Stato lo cedette per un canone irrisorio di lire 46.000 annue alla ditta Bozza che soppresse, volutamente, la Scuola d'Arte, aumentò l'orario di lavoro ed effettuò licenziamenti, cosa che provocò il 6 agosto 1863 fermenti tra le maestranze che furono repressi dai Bersaglieri che provocarono la morte di 7 operai ed il ferimento grave di altri 20. Lo stabilimento venne dato, tra alterne vicende, a vari Enti e Società, ma mai si pensò di effettuare un radicale ammodernamento delle strutture ed attrezzature, voluto ad arte per creare l’alibi per la sua dismissione, che col tempo divennero usurate ed antiquate. Nonostante il boicottaggio delle industrie del nord, nel 1862 all’Esposizione Internazionale di Londra, i manufatti prodotti a Pietrarsa ricevono la “menzione onorevole” e la medaglia d’oro, (una locomotiva e ornamenti in ghisa), lo stesso successo avviene alla Esposizione Universale di Vienna nel 1873 con la medaglia d’oro per la produzione di una locomotiva per treni merci.
In seguito le maestranze vennero ridotte a 100 operai, si ebbe una sua rinascita con l’operato dell’ing. Dionisio Passerini a cui venne affidata la gestione nel 1877 che durò fino al 1885 in cui vennero costruite 110 locomotive, 845 carri, 280 vetture ferroviarie. Le locomotive vennero utilizzate su tutta la rete ferroviaria Italiana. Alla fine del mandato dell’ing. Passerini si ebbe il suo lento decadimento fino alla chiusura dichiarata il 15 novembre 1975.
Il museo di Pietrarsa
Quando si pensò di ideare un Museo Nazionale delle Ferrovie, negli anni '70 del secolo scorso, la scelta cadde su Pietrarsa che dopo essere stata restaurata e risistemata nella sua primaria struttura venne parzialmente aperta come Museo nel 1982 e poi inaugurato, in occasione dei 150 anni delle Ferrovie, nell'ottobre 1989.
Nel Museo di Pietrarsa sono esposte ben 26 locomotive a vapore, 8 elettriche, 5 diesel, 2 elettromotrici a terza rotaia e 10 carrozze. Il treno più importante è la riproduzione funzionante del primo convoglio Napoli-Portici del 1839, ricostruito nel 1939 per il centenario delle Ferrovie, è composto da una locomotiva Bayard, una carrozza di prima classe, due di terza e un bagagliaio.
È esposta sul piazzale dell’Officina la più grande statua fusa il ghisa d’Italia alta 4,5 metri, da un modello in gesso della scultore napoletano Pasquale Ricca, essa rappresenta S.M. il re del Regno delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone.
Inaugurata nel giorno del genetliaco del re l’11 gennaio 1853, la statua venne tolta dal sito, perché appena dopo l’unità d’Italia veniva fatta segno di colpi d’arma da fuoco, dai soliti asserviti, ma il re Umberto I la fece ricollocare al suo posto originario, dove risiede tutt’ora, nei primi mesi del 1900 con il divieto assoluto di usarla come bersaglio per rispetto al grande Monarca.
Inciso
Le officine di Pietrarsa rappresentano ancora tutt’ora una delle prime tappe dell’evoluzione delMezzogiorno d’Italia, purtroppo fermato nel suo moto di aggiornamento dall’ottusa arroganza del distruggere scientemente in tutti i modi l’autonomia del Meridione, voluta dai vari governi succedutisi con la forzata unità d’Italia. Nel 1840 costituivano un esempio tecnologicamente avanzato nei confronti degli altri Stati “preunitari”, infatti il governo Borbonico varò nel 1831 una politica economica tendente a favorire lo sviluppo delle attività industriale (smentitemi se ne avete le prove, N.d.A.) concedendo a prezzo politico locali ed aeree a scopo industriale e stanziamenti agli imprenditori. Favorendo l’afflusso nel Napoletano di capitali ed imprenditori sia locali che stranieri che diedero un impulso determinante alla produzione industriale introducendo nuove tecnologie.
Ciro La Rosa (ego sum)
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