E’ ora di finirla con lo sciacquarsi la bocca con parole come «democrazia» e «libertà»: gli Stati Uniti d’America tutto hanno esportato tranne che queste due cose.
di: Gianluca Padovan
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Praticamente dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale da parte delle nazioni che noi erroneamente definiamo «alleate» si discute sull’utilità o meno di avere bombardato le città e avere quindi colpito i civili. Questo non tanto per il fatto di essere riusciti ad ammazzare milioni di persone inermi, ma quasi essenzialmente per avere male impiegato milioni di bombe, quindi buttato «alle ortiche» milioni di dollari e sterline. Se questa può sembrare una battuta spiritosa, ma di pessimo gusto, forse è meglio rileggersi qualche rigo di Storia.
«Terror Bombing»
I bombardamenti contro la popolazione avevano molteplici scopi: punitivo, dissuasivo, fiaccante. Ma anche temporeggiatore, perché quando non si era in grado di risolvere a breve le situazioni, necessitando tempo e mezzi per preparare delle azioni militari di una certa consistenza, si utilizzava l’arma aerea per i logoranti bombardamenti a tappeto (di chi scrive: Bombe sui civili, in Breda M.A., Milano: Rifugi Antiaerei. Scudi degli Inermi contro l’Annientamento, Lo Scarabeo, Milano, p. 211-212). Sull’argomento così scrive Ghergo, cominciando dal preludio: «Il meccanismo che avrebbe portato alla morte un numero di civili non troppo lontano da due milioni si mise in moto nell’agosto 1940. Il via fu dato dalla Royal Air Force che nella notte fra il 25 e il 26 iniziò una serie di attacchi notturni contro Berlino. Da tempo si discute se con i bombardamenti della capitale tedesca il governo britannico abbia voluto provocare di proposito quelli della Luftwaffe su Londra allo scopo di deviare e alleviare la pressione dell’offensiva che fino a quel momento l’aviazione tedesca aveva concentrato soprattutto sui mezzi e le installazioni aeronautiche della RAF mettendo in reale pericolo la capacità di difesa della Gran Bretagna nei riguardi di un paventato sbarco sull’isola, un’invasione che si sarebbe potuta scongiurare se si fosse riusciti a frustrare il tentativo della Luftwaffe di ottenere il dominio dei cieli inglesi. Un’ipotesi, quella della provocazione, a cui si può affiancare la speranza che un attacco aereo contro Londra avrebbe potuto spingere gli Stati Uniti a entrare in guerra, come ritenevano, oltre al famoso giornalista e commentatore politico Walter Lippmann, il Primo ministro Winston Churchill, il re Giorgio VI e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Gran Bretagna Joseph Kennedy» (Ghergo G.F., Il Terror Bombing. Prima parte, in Storia Militare, n. 135, anno XII, Albertelli Edizioni Speciali, Parma 2004, p. 5).
In definitiva: «Le cifre indicano 58.211 civili britannici uccisi dagli attacchi aerei della Luftwaffe [a cui parteciparono anche un numero, seppur ridotto, di aerei e piloti italiani. N.d.A.], a fronte dei quali stanno, vittime dei bombardamenti alleati, 593.000 tedeschi e 953.000 giapponesi» (Ibidem, p. 16). Come sottolinea l’Autore le cifre vanno poi aumentate a seguito di vari fattori, tra cui i decessi avvenuti a seguito delle radiazioni per quanto riguarda i civili giapponesi. Certamente cifre «non ufficiali» innalzano e di molto le cifre «ufficiali», ma non sottilizziamo. Per quanto concerne l’utilità dal punto di vista strettamente militare ecco un paio di spunti: «Dopo Dresda perfino Churchill fu indotto a una riflessione: in una nota del 28 marzo ai capi di stato maggiore scriveva: “Mi sembra che sia giunto il momento di ridiscutere il problema del bombardamento delle città tedesche condotto al solo scopo di accrescere il terrore, sebbene i pretesti addotti siano stati altri. [...] La distruzione di Dresda rimane un punto discutibile della condotta dei bombardamenti alleati”. (C. Webster e N. Frankland, The Strategic Air Offensive against Germany, 1939-1945, vol. III, London HMSO, 1961, p. 112)» (Ghergo G.F., Il Terror Bombing. Seconda parte, in Storia Militare, n. 136, anno XII, Albertelli Edizioni Speciali, Parma 2005, p. 21).
Per quanto concerne, invece, l’opportunità di sganciare le bombe atomiche: «Lo stesso United States Strategic Bombing Survey relativo al teatro del Pacifico e pubblicato nel luglio 1946 ammette che il Giappone si sarebbe arreso con ogni probabilità prima del novembre 1945 senza bisogno delle bombe atomiche. (United States Strategic Bombing Survey, Summary Report (Pacific War), United States Government Printing Office, Washington 1 July 1946, pp. 20-21)» (Ibidem, p. 29).
Qualche voce tutt’altro che confermata sostiene che le bombe atomiche sequestrate dagli statunitensi ai tedeschi furono cinque: una la si sperimentò per vederne gli effetti sul terreno, due si sganciarono sul Giappone per vederne gli effetti sulla popolazione civile e porre immediatamente fine alla guerra e due si tennero pronte nel caso d’improvviso conflitto con l’Unione Sovietica di Iosif Vissarionovic Dzugasvili, alias Stalin.
«Amenità alleate»
Per quanto riguarda la situazione italiana si può ricordare un articolo di Mario Appelius, pubblicato sul giornale Popolo d’Italia, nel corso del conflitto: «I feroci bombardamenti terroristici della R.A.F. stanno suscitando nel mondo civile un senso d’orrore e di indignazione. Il fattore che maggiormente ripugna è la freddezza con cui gli inglesi e i nordamericani ammazzano ferocemente le popolazioni. Il rapporto che esiste, nelle città italiane e germaniche, tra l’esiguo numero degli obiettivi militari colpiti ed il grandissimo numero di pacifiche abitazioni distrutte, documenta tale crudeltà. Churchill e Roosevelt, i quali avvallano politicamente questa strategia terroristica, ne portano la responsabilità dinanzi ai tribunali di Dio, della storia e degli uomini. Unica loro attenuante potrebbe essere l’incapacità tecnica dei piloti nordamericani e britannici, ma quando un’aviazione possiede piloti che tirano a vanvera le bombe sugli abitati non deve mandarli ad eseguire bombardamenti sulle città. L’aviazione nordamericana si vanta di possedere un apparecchio segreto di puntamento aereo, unico al mondo. O questo famoso apparecchio è una delle tante “balle” messe in circolazione dalla pubblicità nordamericana oppure gli istruttori statunitensi insegnano ai piloti di Roosevelt il modo di colpire con precisione le chiese, gli ospedali, i collegi ed i quartieri popolari. L’umanità si trova di fronte ad una mostruosa strategia terroristica, che considera il bombardamento delle popolazioni un mezzo politico di guerra. Se questa non è autentica “barbarie”, bisogna cambiare il significato della parola “barbarie” in tutti i dizionari del mondo.
Il carattere terroristico della strategia aerea anglo-nordamericana e l’ostentata omertà dei governi di Londra e di Washington creano un serio “caso di coscienza” per tutti i grandi poteri spirituali e morali del mondo civile. Continuare a rimanere passivi dinanzi a tanti e così efferati delitti costituirebbe per questi poteri una carenza morale ed una responsabilità storica, che vanno prospettate con chiarezza. L’ipocrisia anglo-nordamericana cerca di trovare una giustificazione alla sua barbarie nel cosiddetto precedente bombardamento di Londra.
È necessario quindi elencare, con la massima precisione, i seguenti fatti storici, i quali costituiscono altrettanti schiaccianti documenti della responsabilità inglese e nordamericana: 1° nel 1936 un’esplicita proposta del governo germanico perché fossero proibiti i bombardamenti aerei delle città aperte fu respinta dalle plutocrazie anglosassoni ed in modo particolare dal governo britannico il quale vedeva nella bomba aerea un facile mezzo di coercizione militare e politica sul contiguo continente europeo e sulle colonie. 2° il 12 gennaio 1940 l’aviazione inglese eseguì il primo bombardamento d’una città contro l’abitato di Westerland. 3° Il 10 marzo 1940 la stessa aviazione inglese eseguì il secondo bombardamento aereo contro una città, bombardando violentemente Friburgo. Il martirologio delle popolazioni civili incominciò in quella data con 57 morti, fra i quali 20 bambini. 4° Ripetutamente la stampa dell’Asse e altissime personalità italiane e germaniche invitarono il governo inglese a riflettere sulle conseguenze d’un simile procedimento, ma Londra, sorda a qualsiasi considerazione umanitaria, dichiarò “buona guerra” il bombardamento delle città non militari. 5° i bombardamenti notturni nei quali l’aviatore rinuncia programmaticamente al concetto di colpire con giustezza il bersaglio furono eseguiti per primi dagli inglesi, i quali hanno quindi la responsabilità di questa tecnica barbarica introdotta nella guerra moderna. 6° Le prime rappresaglie germaniche si verificarono solamente in luglio, dopo tre mesi, cioè, che gli Inglesi persistevano nei loro attacchi contro le popolazioni civili, nonostante tutti i moniti e le deplorazioni dell’Asse. Fu solamente dopo otto attacchi successivi contro Berlino – diciamo otto – e dopo cinque mesi di paziente attesa che l’aviazione germanica eseguì, per diritto di legittima rappresaglia, il primo bombardamento sulla città di Londra, nel settembre 1940. Questo quadro delle responsabilità va diffuso con la massima pubblicità, per stabilire dinanzi al tribunale dell’umanità il crimine anglo-nordamericano di aver iniziato gli attacchi terroristici contro le popolazioni civili al di fuori dei campi di battaglia.
Vi sono dei conti da pagare che dovranno essere pagati da chi ha la responsabilità d’aver inviperito e inferocito il conflitto. Incombe sui popoli che parlano inglese la responsabilità d’aver tolto alla guerra il suo carattere millenario di lotta virile tra uomini, e di aver barbaramente travolto negli orrori del sangue e delle distruzioni le donne, i bambini, gli anziani, i malati, le chiese, gli ospedali, le case di maternità, i collegi, i musei, le opere d’arte, i monumenti, i campi di corse, le adunate sportive, tutti e tutto (da un articolo di Mario Appelius sul “Popolo d’Italia”)» (Comune di Milano, Sul cielo di Milano è passata la Raf, supplemento a Milano. Rivista mensile del Comune, marzo, Milano 1943-XXI, pp. 44-45).
I bombardamenti a tappeto hanno suscitato pareri discordanti, seppure il quadro della faccenda sia sostanzialmente chiaro. Tuttavia si ritiene utile trascrivere la parte finale del recente libro riguardante i bombardamenti sulle città tedesche, scritto dal docente di filosofia al Birkbeck College dell’università di Londra A.C. Grayling, premio Nobel per la Letteratura nel 2006: «Una conclusione calzante del dibattito ci viene da un uomo che partecipò alla seconda guerra mondiale e il cui giudizio sull’uso dei bombardamenti a tappeto nacque in un contesto interessante. Era un pilota della marina, l’ammiraglio Ralph Ostie della marina degli Stati Uniti, che contribuì al dibattito seguito alla seconda guerra mondiale nel suo paese sul ruolo delle armi atomiche in futuri accordi militari. La qualifica per partecipare a questi dibattiti, una qualifica peraltro eccellente, gli veniva dal fatto di aver servito la Commissione di controllo dei bombardamenti strategici degli Stati Uniti. A una riunione della Commissione sulle forze armate della Camera, disse che, come le campagne di bombardamenti a tappeto degli Alleati avevano dimostrato, i bombardamenti strategici erano “intrinsecamente imprecisi” e, indipendentemente da come erano definiti gli obiettivi, comportavano inevitabilmente “omicidi di massa di uomini, donne e bambini del paese nemico”. Non si trattava solo di inefficienza militare, ma con i loro “metodi crudeli e barbari” abbassarono gli standard morali della società le cui forze li eseguivano. “Dobbiamo”, chiese l’ammiraglio Ostie, “tradurre l’errore storico della seconda guerra mondiale in un concetto permanente all’unico scopo di evitare di oscurare il prestigio di quelli che nel passato ci condussero per la strada sbagliata?” [Schaffer R., Wings of Judgement, New York 1985, p. 196]» (Grayling A.C. 2006, Tra le città morte. I bombardamenti sulle città tedesche: una necessità o un crimine?, Longanesi, Milano, p. 319).
A cio’ si possono aggiungere le parole di Marco Petricelli, tratte dal suo recente libro L’Italia sotto le bombe: «Generalmente, dopo il bombardamento, si verificava un quadro standard: l’arrivo dei soccorsi, lo scavo delle macerie, la conta di morti e dei feriti, lo sgombero delle strade e il tentativo di tornare alla normalità nell’arco di alcuni giorni ripristinando dove possibile i servizi e riprendendo l’attività. Gli Alleati avevano studiato un sistema per non interrompere il ciclo e far vivere a militari e civili uno stato di allarme continuato, secondo quella che era una vera e propria guerra psicologica» (Patricelli M., L’Italia sotto le bombe. Guerra aerea e vita civile 1940-1945, Editori Laterza, Bari 2007, p. 302).
Rifugi antiaerei e dintorni
Recentemente la Casa Editrice Lo Scarabeo ha pubblicato nella collana «Architectura» il seguente lavoro di ricerca sul campo e in archivio: «Milano: Rifugi Antiaerei. Scudi degli Inermi contro l’Annientamento». Il libro è «Dedicato ai civili di ogni nazione massacrati per interessi tutt’altro che civili». Così implicitamente si palesa come sia meglio conoscere e mantenere, piuttosto che obliare. In questo caso specifico non si deve perdere la memoria degli eccidi subiti dai civili inermi, lasciandosi blandire dai media sulle simpatiche opportunità economiche e sociali di mantenere, nel bacino del Mediterraneo in primis, un perenne stato di guerra.
Difatti il punto è proprio questo: nonostante il XX secolo sia stato segnato da due guerre mondiali e da innumerevoli guerre più o meno locali, il XXI secolo prospetta la possibilità di un nuovo gigantesco conflitto.
Credo sia ora di finirla con lo sciacquarsi la bocca mediante parole come «democrazia» e «libertà»: gli Stati Uniti d’America, braccio armato di Israele, nonché i loro accoliti, tutto hanno esportato tranne che queste due cose. A meno che, me lo si conceda, alla voce «democrazia» sul vocabolario della lingua italiana corrispondano le parole eccidio, prevaricazione e guerra totale, oppure «incapacità intrinseca di taluni individui di vivere e prosperare nella pace».
Il libro Milano: Rifugi Antiaerei è una sorta di manuale per riconoscere nella città meneghina le tracce della guerra ancora più che evidenti. E che, speriamo, l’amministrazione comunale non si affretti a cancellare (come già in parte ha fatto). Serve da stimolo per andare a indagare e ricordare un aspetto della guerra mondiale rimasto poco noto: la guerra degli aeroplani militari contro i civili inermi. Serve da guida per l’indagine e la documentazione di questo passato anche presso altre città italiane: i documenti d’epoca segnano inequivocabilmente le azioni di ognuno nella guerra fratricida, dove pochi hanno determinato la morte di milioni. La storia è scritta da chi ufficialmente ha vinto la guerra (e dai suoi tirapiedi), ma si tratta di una mano di vernice poco consistente, data su ciò che realmente accadde, la quale nel tempo sbiadisce e si dissolve. Rimane la vera Storia, sotto gli occhi di tutti. E noi, questi occhi, non dobbiamo chiuderli una seconda volta.
Conoscere e ricordare quelli che sono stati i rifugi antiaerei ad uso civile è uno dei tanti modi per capire dove andremo a finire nel caso di una nuova guerra: rifugiati sotto terra, al buio, nell’ansia di poter riabbracciare ancora una volta i nostri cari a bombardamento finito. Finito si, ma in attesa di un successivo. Ma, questa, sarà mica vita, vero? Sono certo che si possa fare di meglio e in ogni parte del Mondo. Togliamo dalle ragnatele del tempo i nostri rifugi antiaerei e facciamoli divenire musei di loro stessi: saranno un ricordo inequivocabile di ciò che accadde.
Scheda del libro:
Autori: Maria Antonietta Breda,
Gianluca Padovan.
Rifugi Antiaerei. Scudi degli Inermi
contro l’Annientamento
Editrice: Lo Scarabeo. 17 x 24 cm.
Copertina: brossura.
Pagine: 512 (256 pag. carta uso mano color avorio di testo; 256 pagine di carta patinata opaca di immagini).
Immagini: n. 457 in b/n (foto attuali, foto d’epoca, planimetrie, documenti, disegni, etc.), gran parte inedite.
ISBN: 9 788884 781307.
Prezzo: 34,00 euro
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