domenica 17 febbraio 2013

Chi emanò l’ordine di uccidere sbrigativamente Mussolini?



di Maurizio Barozzi
giovedì 1 luglio 2010

            Dopo decenni di indagini e ricerche inerenti l’assassinio proditorio di Mussolini e Clara Petacci, il sottoscritto ha conseguito la ragionevole consapevolezza che la “storica versione”, la vulgata tramandata da W. Audisio, è palesemente falsa perchè il Duce venne ucciso  tra le 9 e le 10 del mattino del 28 aprile 1945 nel cortile di casa De Maria in quel di Bonzanigo e la Petacci intorno alle 12 dello stesso giorno nel prato di un viottolo poco più avanti.
Non staremo qui a riportare le testimonianze, le osservazioni, gli studi peritali e altro, che comprovano quanto appena affermato. Lo abbiamo fatto spesso, su queste stesse pagine (vedi anche: M. Barozzi, “Fine di una vulgata” in http://fncrsi.altervista.org/fine_vulgata.htm e il testo base di Giorgio Pisanò “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini”, Saggiatore 1996).
Detto questo però dobbiamo anche aggiungere che per quanto riguarda i mandanti, ovvero coloro che emanarono dietro le quinte i precisi ordini operativi, per arrivare a questa sbrigativa uccisione, a parte quanto accertato sull’operato di Luigi Longo e dei comunisti, non vi è alcuna certezza, ma soltanto delle ipotesi sia pure abbastanza attendibili.
Buio pesto anche sui due possibili nomi degli assassini, ipotizzati in una coppia di sparatori, con mitra e pistola, in base agli studi su la possibile dinamica balistica di quella “fucilazione” che riscontra traiettorie eterogenee e distanzialità nei colpi che attinsero Mussolini.
In mancanza di prove e documentazioni precise, a nostro avviso finite negli inaccessibili archivi statunitensi, britannici e vaticani, dovendoci basare su di una letteratura in argomento palesemente contraddittoria e superficiale, su una pletora di testimonianze e memoriali dove non c’è alcuna certezza della loro attendibilità e su pochi altri elementi veramente concreti, ogni individuazione dei mandanti rimane nel campo delle ipotesi possibili, ma non dimostrabili.
A complicare ancor più la faccenda c’è poi il fatto che Mussolini era desiderato morto da più di una componente nemica, tanto che già nella registrazione di una conversazione intercontinentale del 29 luglio 1943, tra W. Churchill e D. Roosevelt, quando il Duce si trovava da pochi giorni nelle mani di Badoglio, questi due campioni di “umanità” discutevano tra loro sulla opportunità o meno che Mussolini arrivasse vivo ad un eventuale processo e si trovarono perfettamente d’accordo che forse sarebbe stato conveniente che “morisse” durante la detenzione (vedi: A. De Felice Il gioco delle ombre, in www.alessandrodefelice.it).
In effetti, proprio come ebbe a scriverci un importante storico, considerando le ultime vicissitudini del Duce, dalla sera del 25 aprile fino alla cattura:
”La figura di Mussolini sembra essere caduta nella triangolare Savoia, SOE (il servizio segreto inglese, n.d.r.), PCI, tela del ragno (una vedova nera senz'altro) venduto, anzi passato, di mano in mano. La tela triplice permea tutta la 52a Brigata Garibaldi (i partigiani che lo catturarono a Dongo e poi nascosero a Bonzanigo, N.d.A.) che riproduce al suo interno il triangolo...
E’ ovvio e pleonastico  ricordare due convitati di pietra assieme alla piovra a 3 teste di cui prima:
1) OSS; 2) Karl Wolff (che agisce da piazzista alla mostra dell'acquisto dei vertici fascisti)”.
Quindi, per riassumere, possiamo dire che Mussolini:
- lo volevano morto gli inglesi, per nascondere la compromettente intesa intercorsa con Churchill al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, una intesa che una volta svelata, avrebbe rivoltato tutta l’interpretazione storiografia della seconda guerra mondiale, squalificato il britannico agli occhi del mondo e complicato la politica internazionale degli inglesi nel dopoguerra (per il Carteggio Mussolini – Churchill, rimandiamo ai nostri articoli: M. Barozzi, “Gli scottanti contenuti del carteggio Mussolini Churchill”, Rinascita 1 settembre 2009  e “10 giugno 1940 le vere motivazione della guerra italiana”, Rinascita 10 giugno 2010).
- Lo volevano morto gli americani, per gli stessi motivi di nascondere importanti documentazioni riguardanti Roosevelt, nonostante che apparentemente e ufficialmente asserivano (ma non facevano niente in proposito!) di volerlo catturare per processarlo e umiliarlo.
- Lo volevano morto i sovietici, visto che Stalin voleva tenere nascoste certe “intese segrete” con l’Italia, risalenti fin dal 1924 (praticamente, avevano preservato, fino al 1941, l’Italia da attentati delle cellule comuniste, gli unici attentati infatti furono quelli dei massoni e di Giustizia e Libertà), ma voleva anche nascondere certi “sondaggi”, avvenuti nel primo semestre del 1943, quando Italia e Urss si approcciarono per verificare le possibilità di far uscire i sovietici dalla guerra.
- Lo voleva morto la Massoneria e l’Alta Finanza che, idealmente, lo consideravano il loro peggior nemico. Consorterie queste trasversalmente presenti nella Resistenza, nella RSI e negli Alleati.
- Lo desiderava morto il Re che paventava venissero fuori le sue responsabilità nella guerra, dove il Savoia, che deteneva tutti gli interessi finanziari della Corona nelle banche di Londra, aveva condiviso,  eccome,  la decisione di entrare in guerra.
- Morto, infine, non dispiaceva neppure ai tedeschi del generale Wolff, che lo avevano tradito con i loro accordi di resa con gli Alleati, conseguiti alle spalle degli italiani.
Ed ovviamente lo volevano immediatamente morto le componenti più estremiste della Resistenza, quali i comunisti, gli azionisti, i socialisti come Pertini, ecc.
Resta difficile stabilire, senza concrete documentazioni, a chi può farsi risalire l’ordine di morte, perchè è anche probabile che vi fu una segreta concomitanza di azioni e interessi, mentre l’esecuzione dell’assassinio venne assunta dai comunisti, gli unici, in quel momento ed in quelle località del comasco, in grado di agire alla svelta, avendo tra l’altro il Duce nelle proprie mani.
Ci sarebbe poi da delineare i giochi del Vaticano, in massima parte in sintonia con quelli degli americani, in virtù dei sottili fili, soprattutto di ordine finanziario che lo legavano all’Alta Finanza e alla massoneria d’oltre oceano, nonchè una sorda e occulta “guerra” tra inglesi e statunitensi per il controllo dell’Italia, controllo che finì per passare nelle mani USA determinando la fine della monarchia, la riesumazione della mafia (divenuta “cosa nostra” sui due continenti) e l’accordo di potere DC governo - PCI opposizione (con ritagli di potere in ambiti locali).
La situazione resta quindi ingarbugliata e per aiutare a raccapezzarsi in qualche modo vediamo di riassumere ed illustrare almeno le decisive posizioni degli inglesi e degli americani.
GLI INGLESI
E’ indubbio che gli inglesi erano interessati alla soppressione immediata di Mussolini a causa del famoso Carteggio e della possibilità che un Mussolini in vita li chiamasse sul banco degli accusati.
Tra le tante indicazioni per il tipo di responsabilità inglese, quella di Renzo De Felice, resta la più attendibile. Lo storico, infatti, ebbe a sostenere che Mussolini venne ucciso dietro ispirazione inglese. Si riferiva a Max Salvadori Paleotti, un ufficiale italo inglese di collegamento con il CLNAI che al momento dell’arresto di Mussolini, fece presente ai dirigenti ciellenisti che loro potevano disporre della sorte del Duce fino all’arrivo delle truppe alleate e conseguente amministrazione AMG. Praticamente un sottile invito ad eliminarlo alla svelta. Per l’esecuzione di Mussolini, invece, il De Felice indicò un gruppo di partigiani comunisti milanesi.
Molti hanno ampliato questo ruolo degli inglesi, ipotizzando dei misteriosi killers, agenti segreti di sua Maestà, a Bonzango, ma oltre a non avere alcuna prova in merito, costoro non considerano che, a meno non ci fossero stati portati dagli stessi partigiani che avevano in mano il Duce, non era certo facile per gli inglesi, individuare in poche ore il nascondiglio segreto dove, forse prima delle 5, era stato nascosto il Duce ed arrivarci senza determinare la reazione armata dei due custodi.
In ogni caso il nipote di Renzo De Felice, lo storico Alessandro De Felice ha rivelato che un giorno imprecisato tra il novembre del 1989 e la primavera del 1990, presso la Fondazione Feltrinelli, ebbe una fugace confidenza dall’allora senatore Leo Valiani che gli raccontò, pregandolo poi di non farne menzione, quanto segue:  “La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così…, Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!”   (A. De Felice: “L’assassinio di Mussolini i documenti scomparsi e il ruolo di Dowing street”, CSS Catania).
Oggi che sappiamo che il Valiani, oltre che membro del Comitato Insurrezionale antifascista era anche un “agente” in servizio del SOE, la sua confidenza assume uno spessore notevole.
Acquisito quindi un  ruolo di “ispiratori” e “promotori”, se vogliamo “mandanti” da parte dei britannici per l’uccisione del Duce, occorre però aggiungere che tutta questa strategia omicida è comunque molto più ambivalente di quanto possa sembrare.
L’immediatezza di una esecuzione del Duce, infatti, pur desiderata dagli inglesi, se necessaria e inevitabile, per non correre rischi o avere complicazioni, nel caso lo avessero preso i partigiani (come infatti è poi accaduto), forse non era opportuna se invece fosse finito in mano alle loro Special Force. In questo caso gli inglesi lo avrebbero sicuramente ucciso, ma non prima di averlo interrogato assieme alla Petacci, perchè la sua morte immediata poteva risultare una complicazione che avrebbe costretto, come costrinse, gli inglesi e Churchill in particolare a darsi da fare fin verso la metà degli anni ’50 per recuperare ogni carta compromettente.
Sappiamo per certo che il 10 maggio 1945, Churchill scrisse al Feldmaresciallo H. Alexander in Italia, per invitarlo ad ordinare una inchiesta sulle morti di Mussolini e della Petacci. L’esecuzione della donna la definì proditoria e codarda. Ora il fatto che Churchill, che in altra precedente occasione, si era rallegrato che il “bestione” (come lo definì) finalmente era morto, se la prendesse tanto, fa sospettare proprio che erano stati infranti dei patti e degli accordi precedentemente presi, con gravi complicazioni per il recupero programmato dei preziosi documenti.
In questo senso è anche alquanto importante la testimonianza riportata nel libro “Confesso che mi sono divertito”, T.Pironti editore, 2007, scritto da Maurizio Valenzi, ebreo italo tunisino, già sindaco di Napoli e ex senatore del PCI, morto a 99 anni. Valenzi era giunto a Napoli alcuni mesi prima dell’arrivo di Togliatti (marzo 1944), al fine di mettere in piedi l’organizzazione logistica del PCI, di fatto garantita e finanziata dai Servizi inglesi (tramite il capitano Renè MacKey, amico di vecchia data). Ebbene, nel 1994 Valenzi  ritrova MacKey, arrivato all’età di 93 anni. Renè gli mostra un foulard di seta verde con la scritta credere obbedire combattere, e gli racconta che lo trovò nella casa di Giulino di Mezzegra ventiquattro ore dopo l’esecuzione di Mussolini e la Petacci. Significativamente gli dice: “Peccato, noi inglesi li volevamo vivi. In compenso sono tornato a Londra con un baule colmo di documenti”.
Considerando tutto questo è quindi molto probabile che quella mattina del 28 aprile 1945 a Bonzanigo nella casa dei contadini De Maria, dove Mussolini e la Petacci erano nascosti, giunsero alcuni partigiani comunisti che entrarono a brutto muso nella camera dei prigionieri, ne conseguì un trambusto, l’imprevisto del ferimento del Duce e la conseguente sua soppressione nel cortile dello stabile. Importanti testimonianze (soprattutto quella di Dorina Mazzola di Bonzanigo e quella di Savina Santi, la vedova di Guglielmo Cantoni, Sandrino uno dei guardiani del Duce in casa dei De Maria a Bonzanigo) e rilievi dinamico balistici, sul vestiario, ecc., concordano su questa dinamica, confermata indirettamente anche dal fatto che si dovette poi allestire una messa in scena, con tanto di finta fucilazione di due cadaveri davanti allo storico cancello di Villa Belmonte per “aggiustare” e presentare al meglio una esecuzione in “nome del popolo italiano”.
Gli inglesi, impegnati nella ricerca delle documentazioni e del Duce stesso, furono preceduti e dovettero accettare le modalità di quella morte sbrigativa, del resto da loro stessi ispirata.
GLI AMERICANI
La favoletta degli americani impegnati a catturare Mussolini da vivo è inattendibile. Il modo di procedere degli americani fu del tutto superficiale. Essi avevano alcune missioni impegnate nella ricerca del Duce, tra le quali la più vicina ai luoghi interessati era quella del capitano Emilio Daddario giunto appositamente dalla Svizzera. E proprio il Daddario, guarda caso considerato un elemento non certo campione di efficienza, era stato incaricato di arrestare il Duce. Ebbene il tardo -pomeriggio del 27 aprile l’americano se la prese comoda, procedendo prima a recuperare il maresciallo Graziani arresosi a Cernobbio, poi accettò a Como la resa del generale tedesco Hans Leyers e dei suoi uomini. Quindi trasportato Graziani a Milano firmò anche, a notte inoltrata, il famoso lasciapassare in inglese per Walter Audisio, alias colonnello Valerio, incaricato dal CVL di recarsi a Dongo per prelevare Mussolini e gli altri fascisti prigionieri. In pratica, lento pede Daddario si mosse talmente male da far venire il sospetto che, in realtà avesse ben altre segrete disposizioni.
Scrive lo storico Alessandro De Felice nel suo “Il gioco delle ombre” già citato:
“Daddario non fece alcuno sforzo per cercare Mussolini: gli ordini che aveva ricevuto da Dulles, in combutta con Wolff, non erano di catturare l’ex dittatore, ma di lasciarlo prendere dai partigiani. Finito questo bel lavoro, Wolff rientrò a Bolzano, passando per la Svizzera”.
Ed ancora, A. De Felice, espone meglio tutta la situazione:
“...è necessaria una premessa legata alla caccia anglo-americana verso il Duce: la sua morte è uno dei primi esempi di operazioni sporche che caratterizzano le azioni dello spionaggio stile Cia (anche se qui, nel caso della soppressione fisica del Duce e della Petacci, trattasi dell’intelligence britannico) nel ventesimo secolo. Tre diverse unità si lanciano alla ricerca dell’ex Presidente del Consiglio fascista.
La prima è la 34ª Divisione Usa – unità celere - guidata dal Generale Browne Bolty e diretta a Como. Vi è poi una seconda unità formata da ex-fascisti passati agli ordini del governo monarchico del Sud ed organizzata dal Luogotenente di Cadorna a Como, Colonnello barone Sardagna. A Lugano Donald Jones dell’Oss, appresa la notizia dell’arresto di Mussolini, ordina a due suoi agenti di andare immediatamente a Como per il trasferimento dei poteri al CLN e per prendere in custodia il Duce, ammesso, e non concesso, che Allen Dulles volesse veramente vivo il leader repubblicano-sociale e non fosse, invece al servizio a sua volta dell’intelligence britannica interessata alla soppressione fisica dell’ex-dittatore socialrivoluzionario italiano.
I due agenti dell’Oss sono il Capitano Giovanni Dessy... e Salvatore Guastoni.
Vi è una terza unità comandata dal Maggiore Usa Albert William Phillips del C.I.C. (Counter Intelligence Corps), che arriva a Como la notte del 27 aprile ’45 con il compito militare, avuto dalla Vª Armata, di prendere Mussolini vivo. Vi è un altro agente del Cic, John MacDonough, che è un emissario della 1ª Divisione corazzata americana, il quale manda a Sardagna un messaggio volto a trasferire Mussolini a Blevio, un paesino della riva orientale del lago poco distante da Como. “Quella sera, al posto di confine di Chiasso, il maggiore Phillips ricevette l’ordine di attendere l’arrivo di altri ufficiali dell’OSS e del CIC da Lugano, ma alle 21, quando arrivarono, costoro gli dissero, forse intenzionalmente ingannandolo, che Mussolini era già stato catturato e che ormai lo stavano trasportando a Milano” (P. Tompkins, Dalle carte segrete del Duce. In Momenti e protagonisti dell’Italia fascista, National Archives di Washington, M. Tropea Editore, Milano, 2001)”.
Se poi consideriamo il modo di operare di Guastoni a Como, vi troveremo la stessa strana analogia riscontrata con lento pede Daddario: il Guastoni perde parte della giornata del 26 aprile e tutta la notte successiva a mediare una resa dei fascisti disinteressandosi di Mussolini, come se più che altro la sua preoccupazione fosse quella di evitare che il Duce, isolato a Menaggio, possa ricongiungersi con i suoi uomini rimasti a Como. A dimostrazione di questo basta leggere alcuni stralci di “La cronaca degli avvenimenti che condussero alla cattura di M.” scritto il 1 maggio 1945 proprio da Giovanni Dessy e reperibile presso il National Archives and Records Administration. Scrisse il Dessy nella sua relazione, riferendosi ai noti avvenimenti del 26 aprile a Como che portarono alla ignobile resa dei comandanti fascisti presenti in città:
“... il dottor Guastoni si mise immediatamente in contatto con il vice console americano per sondare il punto di vista degli Alleati (...). Da una parte quindi vi era l’assoluta necessità di bloccare le forze fasciste che erano ancora padrone della situazione perché erano ancora più numerose e con armi migliori (...). Nello stesso tempo, era assolutamente necessario impedire a tutte le forze delle Brigate Nere, che stavano convergendo su Como di arrivare nella zona di Menaggio (...) .ottenere la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste radunate a Como o in arrivo, così da prevenire la formazione di un gruppo di forte resistenza attorno a Mussolini (...).
Questi erano i veri intenti che avevano gli agenti americani, altro che catturare Mussolini vivo!
Marino Vigano, valente ricercatore storico, preciserà:
“Per di più, a Jones (Donald Jones viceconsole a Lugano, n.d.r.), vennero date istruzioni di "stare alla larga dal Duce” (M. Viganò “Mussolini, i gerarchi e la “fuga” in  Svizzera 1944-‘45”, in Nuova Storia Contemporanea N. 3 - maggio giugno 2001).
Da quanto riportato traspare quindi un ambiguo operare degli americani: ufficialmente le loro missioni si muovevano per catturare Mussolini  vivo, ma in realtà dietro evidenti ordini segreti dell’ultimo minuto, lasciavano campo libero a chi voleva ucciderlo immediatamente.
Oltretutto alcuni ritengono che anche gli americani erano alla caccia di Mussolini per sopprimerlo alla svelta e forse furono proprio i loro agenti ad ucciderlo.
Questa ipotesi nasce dal fatto che le scottanti documentazioni in mano al Duce contenevano anche una parte importante di carteggio tra Mussolini e F. D. Roosevelt. Effettivamente Mussolini nella seconda metà degli anni ’30 aveva cercato approcci in tutte le direzioni, al fine di mantenere uno stato di equilibrio in Europa  che gli consentisse di perseguire i propri disegni geopolitici. In una certa ottica anti inglese, anche gli Stati Uniti, dove tra l’altro vivevano moltissimi immigrati italiani che avevano un loro peso, potevano essere utili a questa strategia. Ma Roosevelt non era altro che una pedina in mano a precise consorterie d’alta finanza, che miravano al dominio mondiale e quindi questa carta si vanificò ben presto, anzi l’americano diede avvio, con ogni mezzo ed enormi sovvenzioni, alla ricerca atomica per fini esclusivamente bellici e nel 1939 realizzò anche il famoso gigantesco piano di riarmo “sui due oceani” con chiari scopi guerrafondai. Quindi scheletri negli armadi Roosevelt ne aveva eccome, anche se forse non della stessa dirompente importanza di quelli di Churchill (del resto Roosevelt era poi morto quindici giorni prima di Mussolini).
Sul ruolo diretto degli americani nella morte del Duce, per la serietà dello studioso e per la gran messe di notizie, aneddoti e informazioni di cui è in possesso,  occorre accennare alla tesi formulata dallo scrittore, saggista e già presidente dell’Istituto di studi poundiani, professor Antonio Pantano.
Secondo Pantano nella morte di Mussolini ci entrò l’Oss di J. J. Angleton, anche su imput del pro-segretario di Stato Vaticano monsignor Giovanni Battista Maria Montini “assecondato dal suo fido Togliatti” (vedesi: A. Pantano: Ezra Pound e la Repubblica Sociale Italiana, Ed. Pagine, 2009, e A. Bertotto: Mussolini ucciso dagli 007 americani?, Rinascita 7 giugno 2008).
Effettivamente i veri ruoli del futuro Papa, uomo vicino ad ambienti d’Alta Finanza statunitense e di Togliatti (al servizio di Mosca, ma con i piedi in due staffe in virtù di particolari intese con gli inglesi), devono ancora essere denunciati dagli storici e quindi la tesi di Pantano non è poi tanto peregrina. Del resto J. J. Angleton, capo del controspionaggio USA in Italia, si serviva della rete d’informazioni che aveva messo in piedi la Santa Sede, un servizio d’Intelligence che in quegli anni era diretto dal «pio» monsignor G. B. M. Montini.
Ma anche qui, come per gli inglesi, per una esecuzione diretta di Mussolini da parte di agenti americani, le prove, inghiottite negli archivi Anglo – Usa – Vaticani, non si trovano e più che delle ipotesi non possiamo fare.
Interessante infine l’acuta osservazione di Antonio Pantano: a Piazzale Loreto i CombatFilm (il LUCE degli USA) profuse circa 12 cineprese (i famosi operatori Houston, Wyler, Capra, Hitchcock, Visconti assistente). Ebbene, le installazioni e i "tralicci/piattaforme" elevati furono predisposte dalla sera precedente. Ergo gli americani ben sapevano che Mussolini morto ammazzato sarebbe stato portato in Piazzale Loreto e si premunirono, come al solito, per le documentazioni - spettacolo che erano usi imbastire.

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