di Maurizio Barozzi
giovedì 1 luglio 2010
Dopo
decenni di indagini e ricerche inerenti l’assassinio proditorio di Mussolini e
Clara Petacci, il sottoscritto ha conseguito la ragionevole consapevolezza che
la “storica versione”, la vulgata tramandata da W. Audisio, è palesemente falsa
perchè il Duce venne ucciso tra le 9 e
le 10 del mattino del 28 aprile 1945 nel cortile di casa De Maria in quel di
Bonzanigo e la Petacci intorno alle 12 dello stesso giorno nel prato di un
viottolo poco più avanti.
Non staremo qui a riportare le testimonianze, le
osservazioni, gli studi peritali e altro, che comprovano quanto appena
affermato. Lo abbiamo fatto spesso, su queste stesse pagine (vedi anche: M.
Barozzi, “Fine di una vulgata” in http://fncrsi.altervista.org/fine_vulgata.htm
e il testo base di Giorgio Pisanò “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini”,
Saggiatore 1996).
Detto questo però dobbiamo anche aggiungere che per
quanto riguarda i mandanti, ovvero coloro che emanarono dietro le quinte i
precisi ordini operativi, per arrivare a questa sbrigativa uccisione, a parte
quanto accertato sull’operato di Luigi Longo e dei comunisti, non vi è alcuna
certezza, ma soltanto delle ipotesi sia pure abbastanza attendibili.
Buio pesto anche sui due possibili nomi degli assassini,
ipotizzati in una coppia di sparatori, con mitra e pistola, in base agli studi
su la possibile dinamica balistica di quella “fucilazione” che riscontra
traiettorie eterogenee e distanzialità nei colpi che attinsero Mussolini.
In mancanza di prove e documentazioni precise, a nostro
avviso finite negli inaccessibili archivi statunitensi, britannici e vaticani,
dovendoci basare su di una letteratura in argomento palesemente contraddittoria
e superficiale, su una pletora di testimonianze e memoriali dove non c’è alcuna
certezza della loro attendibilità e su pochi altri elementi veramente concreti,
ogni individuazione dei mandanti rimane nel campo delle ipotesi possibili, ma
non dimostrabili.
A complicare ancor più la faccenda c’è poi il fatto che
Mussolini era desiderato morto da più di una componente nemica, tanto che già
nella registrazione di una conversazione intercontinentale del 29 luglio 1943,
tra W. Churchill e D. Roosevelt, quando il Duce si trovava da pochi giorni
nelle mani di Badoglio, questi due campioni di “umanità” discutevano tra loro
sulla opportunità o meno che Mussolini arrivasse vivo ad un eventuale processo
e si trovarono perfettamente d’accordo che forse sarebbe stato conveniente che
“morisse” durante la detenzione (vedi: A. De Felice Il gioco delle ombre, in
www.alessandrodefelice.it).
In effetti, proprio come ebbe a scriverci un importante
storico, considerando le ultime vicissitudini del Duce, dalla sera del 25
aprile fino alla cattura:
”La figura di Mussolini sembra essere caduta nella
triangolare Savoia, SOE (il servizio segreto inglese, n.d.r.), PCI, tela del
ragno (una vedova nera senz'altro) venduto, anzi passato, di mano in mano. La
tela triplice permea tutta la 52a Brigata Garibaldi (i partigiani che lo
catturarono a Dongo e poi nascosero a Bonzanigo, N.d.A.) che riproduce al suo
interno il triangolo...
E’ ovvio e pleonastico
ricordare due convitati di pietra assieme alla piovra a 3 teste di cui
prima:
1) OSS; 2) Karl Wolff (che agisce da piazzista alla
mostra dell'acquisto dei vertici fascisti)”.
Quindi, per riassumere, possiamo dire che Mussolini:
- lo volevano morto gli inglesi, per nascondere la
compromettente intesa intercorsa con Churchill al momento dell’entrata in
guerra dell’Italia, una intesa che una volta svelata, avrebbe rivoltato tutta
l’interpretazione storiografia della seconda guerra mondiale, squalificato il
britannico agli occhi del mondo e complicato la politica internazionale degli
inglesi nel dopoguerra (per il Carteggio Mussolini – Churchill, rimandiamo ai
nostri articoli: M. Barozzi, “Gli scottanti contenuti del carteggio Mussolini
Churchill”, Rinascita 1 settembre 2009 e
“10 giugno 1940 le vere motivazione della guerra italiana”, Rinascita 10 giugno
2010).
- Lo volevano morto gli americani, per gli stessi motivi
di nascondere importanti documentazioni riguardanti Roosevelt, nonostante che
apparentemente e ufficialmente asserivano (ma non facevano niente in
proposito!) di volerlo catturare per processarlo e umiliarlo.
- Lo volevano morto i sovietici, visto che Stalin voleva
tenere nascoste certe “intese segrete” con l’Italia, risalenti fin dal 1924
(praticamente, avevano preservato, fino al 1941, l’Italia da attentati delle
cellule comuniste, gli unici attentati infatti furono quelli dei massoni e di
Giustizia e Libertà), ma voleva anche nascondere certi “sondaggi”, avvenuti nel
primo semestre del 1943, quando Italia e Urss si approcciarono per verificare
le possibilità di far uscire i sovietici dalla guerra.
- Lo voleva morto la Massoneria e l’Alta Finanza che,
idealmente, lo consideravano il loro peggior nemico. Consorterie queste
trasversalmente presenti nella Resistenza, nella RSI e negli Alleati.
- Lo desiderava morto il Re che paventava venissero fuori
le sue responsabilità nella guerra, dove il Savoia, che deteneva tutti gli
interessi finanziari della Corona nelle banche di Londra, aveva condiviso, eccome,
la decisione di entrare in guerra.
- Morto, infine, non dispiaceva neppure ai tedeschi del
generale Wolff, che lo avevano tradito con i loro accordi di resa con gli
Alleati, conseguiti alle spalle degli italiani.
Ed ovviamente lo volevano immediatamente morto le
componenti più estremiste della Resistenza, quali i comunisti, gli azionisti, i
socialisti come Pertini, ecc.
Resta difficile stabilire, senza concrete documentazioni,
a chi può farsi risalire l’ordine di morte, perchè è anche probabile che vi fu
una segreta concomitanza di azioni e interessi, mentre l’esecuzione
dell’assassinio venne assunta dai comunisti, gli unici, in quel momento ed in
quelle località del comasco, in grado di agire alla svelta, avendo tra l’altro
il Duce nelle proprie mani.
Ci sarebbe poi da delineare i giochi del Vaticano, in
massima parte in sintonia con quelli degli americani, in virtù dei sottili
fili, soprattutto di ordine finanziario che lo legavano all’Alta Finanza e alla
massoneria d’oltre oceano, nonchè una sorda e occulta “guerra” tra inglesi e
statunitensi per il controllo dell’Italia, controllo che finì per passare nelle
mani USA determinando la fine della monarchia, la riesumazione della mafia (divenuta
“cosa nostra” sui due continenti) e l’accordo di potere DC governo - PCI
opposizione (con ritagli di potere in ambiti locali).
La situazione resta quindi ingarbugliata e per aiutare a
raccapezzarsi in qualche modo vediamo di riassumere ed illustrare almeno le
decisive posizioni degli inglesi e degli americani.
GLI INGLESI
E’ indubbio che gli inglesi erano interessati alla
soppressione immediata di Mussolini a causa del famoso Carteggio e della
possibilità che un Mussolini in vita li chiamasse sul banco degli accusati.
Tra le tante indicazioni per il tipo di responsabilità
inglese, quella di Renzo De Felice, resta la più attendibile. Lo storico,
infatti, ebbe a sostenere che Mussolini venne ucciso dietro ispirazione
inglese. Si riferiva a Max Salvadori Paleotti, un ufficiale italo inglese di
collegamento con il CLNAI che al momento dell’arresto di Mussolini, fece
presente ai dirigenti ciellenisti che loro potevano disporre della sorte del
Duce fino all’arrivo delle truppe alleate e conseguente amministrazione AMG.
Praticamente un sottile invito ad eliminarlo alla svelta. Per l’esecuzione di
Mussolini, invece, il De Felice indicò un gruppo di partigiani comunisti
milanesi.
Molti hanno ampliato questo ruolo degli inglesi,
ipotizzando dei misteriosi killers, agenti segreti di sua Maestà, a Bonzango,
ma oltre a non avere alcuna prova in merito, costoro non considerano che, a
meno non ci fossero stati portati dagli stessi partigiani che avevano in mano
il Duce, non era certo facile per gli inglesi, individuare in poche ore il
nascondiglio segreto dove, forse prima delle 5, era stato nascosto il Duce ed
arrivarci senza determinare la reazione armata dei due custodi.
In ogni caso il nipote di Renzo De Felice, lo storico
Alessandro De Felice ha rivelato che un giorno imprecisato tra il novembre del
1989 e la primavera del 1990, presso la Fondazione Feltrinelli, ebbe una fugace
confidenza dall’allora senatore Leo Valiani che gli raccontò, pregandolo poi di
non farne menzione, quanto segue: “La
morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così…, Londra
ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!” (A. De
Felice: “L’assassinio di Mussolini i documenti scomparsi e il ruolo di Dowing
street”, CSS Catania).
Oggi che sappiamo che il Valiani, oltre che membro del
Comitato Insurrezionale antifascista era anche un “agente” in servizio del SOE,
la sua confidenza assume uno spessore notevole.
Acquisito quindi un
ruolo di “ispiratori” e “promotori”, se vogliamo “mandanti” da parte dei
britannici per l’uccisione del Duce, occorre però aggiungere che tutta questa
strategia omicida è comunque molto più ambivalente di quanto possa sembrare.
L’immediatezza di una esecuzione del Duce, infatti, pur
desiderata dagli inglesi, se necessaria e inevitabile, per non correre rischi o
avere complicazioni, nel caso lo avessero preso i partigiani (come infatti è
poi accaduto), forse non era opportuna se invece fosse finito in mano alle loro
Special Force. In questo caso gli inglesi lo avrebbero sicuramente ucciso, ma
non prima di averlo interrogato assieme alla Petacci, perchè la sua morte
immediata poteva risultare una complicazione che avrebbe costretto, come
costrinse, gli inglesi e Churchill in particolare a darsi da fare fin verso la
metà degli anni ’50 per recuperare ogni carta compromettente.
Sappiamo per certo che il 10 maggio 1945, Churchill
scrisse al Feldmaresciallo H. Alexander in Italia, per invitarlo ad ordinare una
inchiesta sulle morti di Mussolini e della Petacci. L’esecuzione della donna la
definì proditoria e codarda. Ora il fatto che Churchill, che in altra
precedente occasione, si era rallegrato che il “bestione” (come lo definì)
finalmente era morto, se la prendesse tanto, fa sospettare proprio che erano
stati infranti dei patti e degli accordi precedentemente presi, con gravi
complicazioni per il recupero programmato dei preziosi documenti.
In questo senso è anche alquanto importante la
testimonianza riportata nel libro “Confesso che mi sono divertito”, T.Pironti
editore, 2007, scritto da Maurizio Valenzi, ebreo italo tunisino, già sindaco
di Napoli e ex senatore del PCI, morto a 99 anni. Valenzi era giunto a Napoli
alcuni mesi prima dell’arrivo di Togliatti (marzo 1944), al fine di mettere in
piedi l’organizzazione logistica del PCI, di fatto garantita e finanziata dai
Servizi inglesi (tramite il capitano Renè MacKey, amico di vecchia data).
Ebbene, nel 1994 Valenzi ritrova MacKey,
arrivato all’età di 93 anni. Renè gli mostra un foulard di seta verde con la
scritta credere obbedire combattere, e gli racconta che lo trovò nella casa di
Giulino di Mezzegra ventiquattro ore dopo l’esecuzione di Mussolini e la
Petacci. Significativamente gli dice: “Peccato, noi inglesi li volevamo vivi.
In compenso sono tornato a Londra con un baule colmo di documenti”.
Considerando tutto questo è quindi molto probabile che
quella mattina del 28 aprile 1945 a Bonzanigo nella casa dei contadini De
Maria, dove Mussolini e la Petacci erano nascosti, giunsero alcuni partigiani
comunisti che entrarono a brutto muso nella camera dei prigionieri, ne conseguì
un trambusto, l’imprevisto del ferimento del Duce e la conseguente sua
soppressione nel cortile dello stabile. Importanti testimonianze (soprattutto
quella di Dorina Mazzola di Bonzanigo e quella di Savina Santi, la vedova di
Guglielmo Cantoni, Sandrino uno dei guardiani del Duce in casa dei De Maria a
Bonzanigo) e rilievi dinamico balistici, sul vestiario, ecc., concordano su questa
dinamica, confermata indirettamente anche dal fatto che si dovette poi
allestire una messa in scena, con tanto di finta fucilazione di due cadaveri
davanti allo storico cancello di Villa Belmonte per “aggiustare” e presentare
al meglio una esecuzione in “nome del popolo italiano”.
Gli inglesi, impegnati nella ricerca delle documentazioni
e del Duce stesso, furono preceduti e dovettero accettare le modalità di quella
morte sbrigativa, del resto da loro stessi ispirata.
GLI AMERICANI
La favoletta degli americani impegnati a catturare
Mussolini da vivo è inattendibile. Il modo di procedere degli americani fu del
tutto superficiale. Essi avevano alcune missioni impegnate nella ricerca del
Duce, tra le quali la più vicina ai luoghi interessati era quella del capitano
Emilio Daddario giunto appositamente dalla Svizzera. E proprio il Daddario,
guarda caso considerato un elemento non certo campione di efficienza, era stato
incaricato di arrestare il Duce. Ebbene il tardo -pomeriggio del 27 aprile
l’americano se la prese comoda, procedendo prima a recuperare il maresciallo
Graziani arresosi a Cernobbio, poi accettò a Como la resa del generale tedesco
Hans Leyers e dei suoi uomini. Quindi trasportato Graziani a Milano firmò
anche, a notte inoltrata, il famoso lasciapassare in inglese per Walter
Audisio, alias colonnello Valerio, incaricato dal CVL di recarsi a Dongo per
prelevare Mussolini e gli altri fascisti prigionieri. In pratica, lento pede
Daddario si mosse talmente male da far venire il sospetto che, in realtà avesse
ben altre segrete disposizioni.
Scrive lo storico Alessandro De Felice nel suo “Il gioco
delle ombre” già citato:
“Daddario non fece alcuno sforzo per cercare Mussolini:
gli ordini che aveva ricevuto da Dulles, in combutta con Wolff, non erano di
catturare l’ex dittatore, ma di lasciarlo prendere dai partigiani. Finito
questo bel lavoro, Wolff rientrò a Bolzano, passando per la Svizzera”.
Ed ancora, A. De Felice, espone meglio tutta la
situazione:
“...è necessaria una premessa legata alla caccia
anglo-americana verso il Duce: la sua morte è uno dei primi esempi di
operazioni sporche che caratterizzano le azioni dello spionaggio stile Cia
(anche se qui, nel caso della soppressione fisica del Duce e della Petacci,
trattasi dell’intelligence britannico) nel ventesimo secolo. Tre diverse unità
si lanciano alla ricerca dell’ex Presidente del Consiglio fascista.
La prima è la 34ª Divisione Usa – unità celere - guidata
dal Generale Browne Bolty e diretta a Como. Vi è poi una seconda unità formata
da ex-fascisti passati agli ordini del governo monarchico del Sud ed
organizzata dal Luogotenente di Cadorna a Como, Colonnello barone Sardagna. A
Lugano Donald Jones dell’Oss, appresa la notizia dell’arresto di Mussolini,
ordina a due suoi agenti di andare immediatamente a Como per il trasferimento
dei poteri al CLN e per prendere in custodia il Duce, ammesso, e non concesso,
che Allen Dulles volesse veramente vivo il leader repubblicano-sociale e non
fosse, invece al servizio a sua volta dell’intelligence britannica interessata
alla soppressione fisica dell’ex-dittatore socialrivoluzionario italiano.
I due agenti dell’Oss sono il Capitano Giovanni Dessy...
e Salvatore Guastoni.
Vi è una terza unità comandata dal Maggiore Usa Albert
William Phillips del C.I.C. (Counter Intelligence Corps), che arriva a Como la
notte del 27 aprile ’45 con il compito militare, avuto dalla Vª Armata, di
prendere Mussolini vivo. Vi è un altro agente del Cic, John MacDonough, che è
un emissario della 1ª Divisione corazzata americana, il quale manda a Sardagna
un messaggio volto a trasferire Mussolini a Blevio, un paesino della riva
orientale del lago poco distante da Como. “Quella sera, al posto di confine di
Chiasso, il maggiore Phillips ricevette l’ordine di attendere l’arrivo di altri
ufficiali dell’OSS e del CIC da Lugano, ma alle 21, quando arrivarono, costoro
gli dissero, forse intenzionalmente ingannandolo, che Mussolini era già stato
catturato e che ormai lo stavano trasportando a Milano” (P. Tompkins, Dalle
carte segrete del Duce. In Momenti e protagonisti dell’Italia fascista,
National Archives di Washington, M. Tropea Editore, Milano, 2001)”.
Se poi consideriamo il modo di operare di Guastoni a
Como, vi troveremo la stessa strana analogia riscontrata con lento pede Daddario:
il Guastoni perde parte della giornata del 26 aprile e tutta la notte
successiva a mediare una resa dei fascisti disinteressandosi di Mussolini, come
se più che altro la sua preoccupazione fosse quella di evitare che il Duce,
isolato a Menaggio, possa ricongiungersi con i suoi uomini rimasti a Como. A
dimostrazione di questo basta leggere alcuni stralci di “La cronaca degli
avvenimenti che condussero alla cattura di M.” scritto il 1 maggio 1945 proprio
da Giovanni Dessy e reperibile presso il National Archives and Records
Administration. Scrisse il Dessy nella sua relazione, riferendosi ai noti
avvenimenti del 26 aprile a Como che portarono alla ignobile resa dei
comandanti fascisti presenti in città:
“... il dottor Guastoni si mise immediatamente in contatto
con il vice console americano per sondare il punto di vista degli Alleati
(...). Da una parte quindi vi era l’assoluta necessità di bloccare le forze
fasciste che erano ancora padrone della situazione perché erano ancora più
numerose e con armi migliori (...). Nello stesso tempo, era assolutamente
necessario impedire a tutte le forze delle Brigate Nere, che stavano
convergendo su Como di arrivare nella zona di Menaggio (...) .ottenere la
smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste radunate a Como o in
arrivo, così da prevenire la formazione di un gruppo di forte resistenza
attorno a Mussolini (...).
Questi erano i veri intenti che avevano gli agenti
americani, altro che catturare Mussolini vivo!
Marino Vigano, valente ricercatore storico, preciserà:
“Per di più, a Jones (Donald Jones viceconsole a Lugano,
n.d.r.), vennero date istruzioni di "stare alla larga dal Duce” (M. Viganò
“Mussolini, i gerarchi e la “fuga” in
Svizzera 1944-‘45”, in Nuova Storia Contemporanea N. 3 - maggio giugno
2001).
Da quanto riportato traspare quindi un ambiguo operare
degli americani: ufficialmente le loro missioni si muovevano per catturare
Mussolini vivo, ma in realtà dietro
evidenti ordini segreti dell’ultimo minuto, lasciavano campo libero a chi
voleva ucciderlo immediatamente.
Oltretutto alcuni ritengono che anche gli americani erano
alla caccia di Mussolini per sopprimerlo alla svelta e forse furono proprio i
loro agenti ad ucciderlo.
Questa ipotesi nasce dal fatto che le scottanti
documentazioni in mano al Duce contenevano anche una parte importante di
carteggio tra Mussolini e F. D. Roosevelt. Effettivamente Mussolini nella
seconda metà degli anni ’30 aveva cercato approcci in tutte le direzioni, al
fine di mantenere uno stato di equilibrio in Europa che gli consentisse di perseguire i propri
disegni geopolitici. In una certa ottica anti inglese, anche gli Stati Uniti,
dove tra l’altro vivevano moltissimi immigrati italiani che avevano un loro
peso, potevano essere utili a questa strategia. Ma Roosevelt non era altro che
una pedina in mano a precise consorterie d’alta finanza, che miravano al
dominio mondiale e quindi questa carta si vanificò ben presto, anzi l’americano
diede avvio, con ogni mezzo ed enormi sovvenzioni, alla ricerca atomica per
fini esclusivamente bellici e nel 1939 realizzò anche il famoso gigantesco
piano di riarmo “sui due oceani” con chiari scopi guerrafondai. Quindi
scheletri negli armadi Roosevelt ne aveva eccome, anche se forse non della
stessa dirompente importanza di quelli di Churchill (del resto Roosevelt era
poi morto quindici giorni prima di Mussolini).
Sul ruolo diretto degli americani nella morte del Duce,
per la serietà dello studioso e per la gran messe di notizie, aneddoti e
informazioni di cui è in possesso,
occorre accennare alla tesi formulata dallo scrittore, saggista e già
presidente dell’Istituto di studi poundiani, professor Antonio Pantano.
Secondo Pantano nella morte di Mussolini ci entrò l’Oss
di J. J. Angleton, anche su imput del pro-segretario di Stato Vaticano
monsignor Giovanni Battista Maria Montini “assecondato dal suo fido Togliatti”
(vedesi: A. Pantano: Ezra Pound e la Repubblica Sociale Italiana, Ed. Pagine,
2009, e A. Bertotto: Mussolini ucciso dagli 007 americani?, Rinascita 7 giugno
2008).
Effettivamente i veri ruoli del futuro Papa, uomo vicino
ad ambienti d’Alta Finanza statunitense e di Togliatti (al servizio di Mosca,
ma con i piedi in due staffe in virtù di particolari intese con gli inglesi),
devono ancora essere denunciati dagli storici e quindi la tesi di Pantano non è
poi tanto peregrina. Del resto J. J. Angleton, capo del controspionaggio USA in
Italia, si serviva della rete d’informazioni che aveva messo in piedi la Santa
Sede, un servizio d’Intelligence che in quegli anni era diretto dal «pio»
monsignor G. B. M. Montini.
Ma anche qui, come per gli inglesi, per una esecuzione
diretta di Mussolini da parte di agenti americani, le prove, inghiottite negli
archivi Anglo – Usa – Vaticani, non si trovano e più che delle ipotesi non
possiamo fare.
Interessante infine l’acuta osservazione di Antonio
Pantano: a Piazzale Loreto i CombatFilm (il LUCE degli USA) profuse circa 12
cineprese (i famosi operatori Houston, Wyler, Capra, Hitchcock, Visconti
assistente). Ebbene, le installazioni e i "tralicci/piattaforme"
elevati furono predisposte dalla sera precedente. Ergo gli americani ben
sapevano che Mussolini morto ammazzato sarebbe stato portato in Piazzale Loreto
e si premunirono, come al solito, per le documentazioni - spettacolo che erano
usi imbastire.
http://www.isses.it/
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