"La Siria di Bashar al-Assad, la Siria del popolo
siriano, è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i
popoli vili, un baluardo di libertà."
INTERVENTO DI GIANANTONIO VALLI
ALLA CONFERENZA DEL 14 OTTOBRE 2012
TENUTASI A GRANTOLA
ALLA CONFERENZA DEL 14 OTTOBRE 2012
TENUTASI A GRANTOLA
Buongiorno a tutti. Come a Milano il 14 luglio, esprimerò
pensieri lontani da quel misto di menzogne e banalità che
ingannano la gran parte degli italiani. La conferenza sulla tragedia siriana si
svilupperà in quattro tempi:
1. la mia relazione,
2. l'intervento del dottor
Ramadan con testimonianze di prima mano,
3. la proiezione di filmati, in
massima parte crudi per le atrocità presentate, per cui invito sin da ora le
persone particolarmente emotive ad astenersi dalla visione,
4. la risposta alle
vostre domande.
Come potete intuire dal termine «globale» del titolo,
l'esposizione verterà su problematiche più ampie del solo problema Siria.
Precisamente, la Siria di oggi è, ancor più della Libia dello scorso anno, la
cartina di tornasole che ci istruisce sulla dinamica degli eventi dell'ultimo
trentennio. Eventi apparentemente slegati, in realtà connessi da un'unica
strategia di dominio.
Ringrazio il
sindaco di Grantola per la disponibilità, e direi pure il coraggio, che mi ha
permesso di levare anche oggi la voce in difesa della verità e della giustizia.
Due grandi parole, due parole che non esito a usare e delle quali fa strame la
gran parte dei politici e dei giornalisti.
Ringrazio le forze
dell'ordine per la protezione data alla nostra conferenza. Perché, non
stupitevi, un pugno fiancheggiatori dei terroristi si era proposto di
disturbare la mia esposizione. Giudicate voi se italiani come me e come voi
debbano sentirsi zittire, in casa nostra, da bande di violenti che hanno invaso
il nostro paese. Giudicate se la Democrazia possa tollerare che venga messa a
tacere da balordi stranieri una persona che vuole offrire al pubblico una
documentazione alternativa alla disinformazione. Una disinformazione che occupa
il 99, 9 % dei mezzi di comunicazione.
Ringrazio, in
assenza, il direttore del quotidiano Rinascita, esemplare per correttezza
professionale, che ha propiziato il mio viaggio in Siria nel maggio scorso. E
ancora, ringrazio il direttore della rivista l'Uomo libero, sulla quale è
uscito il resoconto di quella esperienza.
Ringrazio voi per
l'anticonformismo, o perlomeno per la curiosità, che vi ha portati a sentire
una voce fuori dal coro. Vi ringrazio e chiedo scusa fin d'ora per il
linguaggio che userò, obiettivo certamente, ma per nulla asettico. Per nulla,
come si dice, «sopra le parti». Anche perché essere «sopra le parti» vuol dire
oggi, con le atrocità che stanno devastando la Siria, scegliere una parte
precisa. La parte degli aggressori, degli assassini.
Ringrazio infine
il destino che mi ha concesso di vivere quest'ultimo, atroce ventennio di
menzogne. Perché solo così ho potuto fare esperienza diretta, vedere coi miei
occhi, toccare con le mie mani, come sia possibile manipolare le coscienze.
Quella in atto è in primo luogo una guerra mediatica. Prima che sul campo, la
guerra oggi si vince invadendo la mente degli individui.
Sono quindi lieto
– tristemente lieto – per avere assistito di persona alla creazione di realtà
fittizie con immagini manipolate e le menzogne più sordide. In particolare, mi
riferisco ai massacri compiuti da Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Israele
col massimo di buona coscienza e avallati dalla complicità del Libero
Occidente. Prima dell'aggressione alla Siria, ricordo in breve sette altri
casi.
1. Per l'Iraq di
Saddam Hussein ricordo la farsa delle culle svuotate negli ospedali del Quwait,
coi neonati scagliati a terra. Ricordo la bufala delle «bombe intelligenti» e
delle «fiale di antrace» – rammentate Powell, il Segretario di Stato,
sventolante la mitica provetta di liquido giallo? Ricordo le fantomatiche «armi
di distruzione di massa», pretesto per un nuovo massacro dopo il decennale
stillicidio di bombe clintoniano. Prova generale per i massacri in Afghanistan,
Libia e Siria.
2. Svaniti da ogni
memoria sono i 200.000 – sottolineo, duecentomila – morti del golpe algerino
compiuto nel 1992 dai militari dopo la vittoria elettorale del Fronte Islamico
di Salvezza. 200.000 persone, per la quasi totalità stragizzate in un decennio.
Vittime non solo i protestatari cui sarebbe andata la legittima vittoria, ma
anche migliaia di semplici cittadini tacciati di connivenza.
3. E il massacro
del popolo serbo operato dalla NATO seminando il paese di uranio. Uranio per il
quale sono morti e muoiono tuttora di cancro centinaia di nostri soldati
inviati in missione «di pace». Massacri compiuti non solo dai delinquenti
albanesi addestrati, armati e guidati dagli americani, ma anche dai bombardieri
partiti dall'Italia. Dalle basi concesse al Grande Fratello Capitalista dal
comunista Massimo D'Alema, fatto capo del governo alla bisogna. E quindi
scaricato.
E qui apro una
parentesi, e non parlo dei famigerati «danni collaterali», espressione entrata
nell'immaginario collettivo. «Collaterali», anche se furono scientemente voluti
per logorare e demoralizzare i serbi. Obiettivo primario degli Occidentali fu,
allora come oggi, silenziare i mezzi di comunicazione non conformi. E tanto più
quelli nemici, in particolare le televisioni. Allora quella serba, bombardata
con qualche «distrazione» a monito contro la Cina. Nell'attacco, ricorderete,
morirono, istruttivamente, cittadini cinesi. E l'anno scorso la televisione
libica, colpita perché, dissero, «era di parte» e «mentiva». E oggi la
televisione siriana per mano di ben istruiti terroristi, con l'uccisione di
decine di giornalisti. E tutto senza alcuna protesta dei loro «colleghi»
occidentali.
Ultima prova
dell'idea occidentale di libertà di informazione: un mese fa, all'inizio di
settembre sono stati oscurati i canali televisivi al-Ikhbariya e al-Dunya. Dopo
il successo di Damasco nell’affrontare il feroce attacco occidentale, armato e
mediatico, i ministri arabi hanno concordato con gli amministratori del
satellite NileSat di chiudere i canali siriani. In contrasto coi termini del
contratto, tale sospensione ha brutalmente violato le regole deontologiche
dell'informazione.
4. Ricordo due
eventi gemelli: la cacciata dei giornalisti da Falluja in Iraq nell'aprile
2004, per settimane stragizzata all'uranio e al fosforo bianco dagli USA, e da
Gaza nel dicembre 2008, stragizzata all'uranio e al fosforo bianco da Tel Aviv
con l'Operazione Piombo Fuso. Da quell'Israele, che avrebbe aggredito l'Iran
già nel 2006 se non fosse stato fermato sui confini dagli Hizbollah. Schiumando
rabbia, Israele distrusse dall'aria, strategia dei vigliacchi, le
infrastrutture civili. Ponti, strade, scuole, ospedali, abitazioni, acquedotti,
elettrodotti, e quant'altro. Tutto distrutto, contro ogni diritto bellico.
Nessuna reazione dall'ONU, silenzio dal Tribunale dell'Aja, guaiti dal
Vaticano.
Al contrario, le
falsità create da al-Jazeera e da al-Arabiyya – le reti qatariota e saudita
messe in piedi dagli americani – come pure i filmati girati dai terroristi,
vengono ripresi da ogni televisione e giornalone occidentale. E riproposti a
distanza, anche se da tempo smascherati come falsi.
5. Solleticando il
buon cuore dei sudditi, dei minimalisti di buona famiglia, di quelli che vedono
l'albero e non si accorgono che fa parte di una foresta, l'Afghanistan è stato
devastato all'insegna di «liberare le donne dal burqa». Che, infatti, è rimasto
lì come prima. In compenso, oltre ad avere impiantato enormi basi militari,
fatto affari con la ricostruzione di quanto avevano distrutto e portato alle
stelle la produzione di oppio, gli americani continuano a seminare stragi. In
particolare, colpendo qualunque assembramento «sospetto», come quelli durante
le feste di nozze.
6. Quanto alla
cosiddetta «primavera araba», spacciata per moti di libertà, ci si accorge solo
ora che il vero obiettivo della messa in scena era propiziare un «inverno
libico». Aggredita a occidente a partire da una Tunisia destabilizzata, ad
oriente da un Egitto destabilizzato, bombardata dal mare e dall'aria sempre
contro ogni norma di diritto bellico, la Libia ha finora visto il massacro di
120.000 suoi cittadini. Con bombe a sottrazione di ossigeno. Bruciato da ogni
bomba su un'area di ventimila metri quadri, come tre campi di calcio. Con bombe
a frammentazione. Con una pioggia di fosforo, proiettili all'uranio, missili a
gas nervini. Con crani esplosi a colpi di mitra e persone sgozzate.
Massacro operato dai tagliagole armati dall'Occidente
come dai bombardieri «umanitari» franco-anglo-americani. Ai quali si è accodato
lo sciacallo italiano. Ma dov'erano quelli che nel 2003 appendevano gli stracci
arcobaleno contro Bush? E così la Libia è stata riportata all'ovile occidentale
dopo quarant'anni di indipendenza e un'eroica resistenza di sette mesi, fino
all'assassinio del colonnello Gheddafi. Una resistenza tuttora in atto, nel
silenzio della Disinformazione Corretta.
E questo, aggiungo,
senza contare la popolazione angariata e le decine di migliaia di lealisti
tuttora incarcerati, torturati e massacrati per essere rimasti fedeli al loro
legittimo governo.
Chi semina vento
raccoglie tempesta.
L'11 settembre – un altro 11 settembre – sono stati linciati tre marines e l'ambasciatore americano a Bengasi ad opera della furia fondamentalista. La causa: una «imperdonabile» offesa inferta al buon Maometto dal cinema hollywoodiano. Con tutta evidenza, contro gli Apprendisti Stregoni del «laico» Occidente si sta rivoltando il mostro islamico da loro scatenato contro il colonnello Gheddafi. Nessuna pietà, permettete, provo per l'ambasciatore, uno degli organizzatori dei massacri di Libia. Ne potrei provare un pizzico, solo un pizzico, se Obama si cospargesse di cenere per la morte inferta «per sbaglio» all'ultimo cammelliere dell'ultima oasi libica. O all'ultimo spazzino massacrato perché pubblico dipendente lealista.
L'11 settembre – un altro 11 settembre – sono stati linciati tre marines e l'ambasciatore americano a Bengasi ad opera della furia fondamentalista. La causa: una «imperdonabile» offesa inferta al buon Maometto dal cinema hollywoodiano. Con tutta evidenza, contro gli Apprendisti Stregoni del «laico» Occidente si sta rivoltando il mostro islamico da loro scatenato contro il colonnello Gheddafi. Nessuna pietà, permettete, provo per l'ambasciatore, uno degli organizzatori dei massacri di Libia. Ne potrei provare un pizzico, solo un pizzico, se Obama si cospargesse di cenere per la morte inferta «per sbaglio» all'ultimo cammelliere dell'ultima oasi libica. O all'ultimo spazzino massacrato perché pubblico dipendente lealista.
7. Nessuno ha poi
parlato, se non per un giorno, del Bahrein, ove la repressione dei moti di
libertà, quelli sì veri, ha visto il mitragliamento da parte degli elicotteri
americani e l'invasione delle truppe saudite, chiamate dall'emiro. Inoltre, la
polizia ha imprigionato e torturato una ventina – sottolineo, una ventina, il che
rende l''ampiezza della repressione – di medici, accusandoli di complicità coi
dimostranti per avere curato i feriti. All'inizio di questo settembre, dopo un
anno e mezzo, decine di manifestanti – ovviamente, i sopravvissuti – sono stati
condannati a pene che giungono all'ergastolo. E questo, nel più completo
silenzio della stampa e di ogni organizzazione umanitaria.
Per la Siria, l'accento è stato posto all'inizio – prima
che sulle «stragi» addebitate ad esercito e polizia – sulle cosiddette «violenze»
degli shabiha, i cosiddetti «sgherri» del presidente Bashar al-Assad... in
realtà, ammessane l'esistenza, disperati gruppi di autodifesa contro i
tagliagole. Tutto senza documentazione. Mai visto uno. Parole. Vuote parole. In
verità, come documentare gli shabiha, traduzione: i «fantasmi»? Se sono
fantasmi, come fotografarli, certificarne la presenza? Si può solo parlarne. E
sì che i cosiddetti «ribelli» sono stati ampiamente dotati di videocamere e
foto-telefonini.
Altro che società
dell'informazione! Ricorderete la favola, su internet, della lesbica siriana
perseguitata dal «regime», poi rivelatasi un fantasioso travestito irlandese. O
la più recente diffamazione del presidente Bashar, indicato come «il vero»
assassino di Gheddafi, del cui telefonino avrebbe segnalato il numero ai
francesi in cambio di un ammorbidimento dell'aggressione.
Altro che la
guerra in diretta, come ci hanno fatto credere vent'anni fa con le scie verdi
della contraerea irachena! Altro che la verità di chi spaccia su internet filmati
girati su regia occidentale! Vedi i 40 bambini di Houla, il 25 maggio. Cadaveri
veri, bambini e familiari colpiti da breve distanza o con le gole tagliate,
fatti passare per vittime dell'esercito, quando tutti erano di famiglie
filogovernative. Verità ammessa tre mesi dopo dalla Frankfurter Allgemeine, ma
ignorata da ogni altro giornalone. Cento innocenti massacrati, foto truccate,
immagini scattate anni prima in Iraq e a Gaza. Di bambini vittime del fuoco
americano e israeliano. Egualmente massacrati dai terroristi nelle case e per
le strade sono stati, il 25 agosto, i 245 civili di Daraya presso Damasco. E
sempre la strage è stata attribuita, prima di svanire d'un botto dai giornali,
all'esercito. Ne vedrete i filmati.
Schifosi
pennivendoli, assetati di sangue alla Bernard-Henri Lévy, il sessantottino
cosiddetto francese, convertitosi alla professione di miliardario, l'apostolo
dei Diritti dell'Uomo, l'anima nera del destro Sarkozy come del sinistro
Hollande. Pontificante su le Monde, ripreso in prima pagina dal Corrierone. Ne
ricordiamo la sete di morte vomitata già per la Libia. Ristornellando sulla
«responsibility to protect, responsabilità di proteggere» da parte
dell''Occidente, il 15 agosto questo delinquente mistificava le cause della
tragedia siriana. Lo faceva vomitando contro – cito tra virgolette – «la
demenza senza scampo che si è impossessata di Bashar al-Assad», di un «Assad
[...] folle come Gheddafi», nonché «carnefice del proprio popolo». Lo faceva
aizzando la NATO a riviolare le norme che reggono l'ONU, aggirando il veto di
Russia e Cina con provocazioni «umanitarie» che porterebbero ad un'aperta
aggressione. Accozzaglia di sapienti sofismi, travestiti da «esigenze» etiche.
Il 3 agosto il
giornalista Lorenzo Cremonesi, sempre sul Corriere della Sera, minimizza i
«combattenti stranieri tra le fila della rivolta» in «tra mille e duemila».
«Volontari» arrivati da Libia, Arabia e magari, ma forse no, da Pakistan ed
Egitto. In realtà, cinque giorni dopo il Nostro ammette non solo pachistani ed
egiziani, ma anche ceceni e algerini. «Eroi» che si batterebbero «in nome
dell'Islam e della guerra santa». Personaggi che, ci commuove, pagherebbero di
tasca propria le armi. Cito tra virgolette uno di loro: «Ogni proiettile di
kalashnikov ci costa due dollari. Quello di un RPG anti-tank oltre 1000. Per
noi sono troppo cari. Dobbiamo risparmiare a costo di perdere uomini».
Implicito è il suggerimento: contribuite, cari lettori, con qualche euro,
magari mediante sms.
E il 5 agosto,
riferendo dell'assassinio del presentatore televisivo Mohammed al-Saeed, rapito
dai terroristi quindici giorni prima, il pio Cremonesi lo dice «giustiziato».
Suggerendo che, magari... sotto sotto, si fosse macchiato di chissà quali colpe
da meritare la morte. Insinuando poi, al contrario, che – pur essendo «uno
sgherro del regime» – «siano stati sicari prezzolati dalla dittatura a
ucciderlo al fine di rilanciare la logica del terrorismo per criminalizzare
l'intero movimento rivoluzionario».
Sei giorni dopo, in un altro attacco, un gruppo
terrorista massacra, nella sua casa di Jdaidet Artouz presso Damasco, il
giornalista Ali Abbas, capo della sezione Notizie Interne della SANA, la
Agenzia Siriana Araba di Notizie. Il giorno dopo vengono rapiti quattro
giornalisti e assassinato Hatem Abu Yehya, cameraman della televisione
al-Ikhbariya. Per mano di un cecchino, il 26 settembre cade a Damasco Nasser
Maya, corrispondente dell'iraniana Press TV. Ovviamente, su queste «morti
inutili», nessuna mobilitazione, nessuna protesta dalla Grande Disinformazione.
Ogni aggressore
della Siria ha i propri obiettivi. In prima fila – per quanto silenzioso, dato
che per lui parla ed agisce l'intero Occidente – resta sempre Israele, per il
quale Damasco è non solo il nemico tradizionale, ma l'ultimo ostacolo per
l'aggressione all'Iran, pianificata da anni.
A ruota segue il
grande satellite di oltreoceano. La distruzione di un altro anello dell'Asse
del Male risale non ai repubblicani Bush padre né a Reagan, ma al democratico
Carter. Al Nobel per la pace che trentatré anni fa, avviò la destabilizzazione
della Siria, tre anni prima che Hafez al-Assad, il padre dell'attuale
presidente, reprimesse il terrorismo dei Fratelli Musulmani, mobilitati fin dal
1971 contro il «testo ateo» della Costituzione. Sulla stessa linea si metterà,
con più concreti ordini, nel marzo 2005, Bush figlio. La scoperta, in questi
ultimi anni, di enormi depositi di gas e petrolio al largo delle coste siriane
è un'altra motivazione per l'intervento dei predatori occidentali.
Quanto a Londra e
Parigi, i due compari ricalcano un colonialismo nato nel maggio 1916 e
proseguito coi Mandati assegnati dopo la prima guerra mondiale dalla Società
delle Nazioni. Cioè, da loro stessi. Violando ogni norma, Parigi non solo
staccò dalla Siria il territorio libanese, da sempre provincia di Damasco, ma
nel giugno 1939, per aggiudicarsi la Turchia in vista della nuova guerra
mondiale, le cedette l'intera provincia di Alessandretta. Ricordo infine che le
bande terroristiche del cosiddetto «Libero Esercito Siriano» sventolano oggi,
senz'alcuna vergogna, la bandiera con la striscia verde e le tre stelle rosse.
Quella dei servi, della Siria coloniale francese.
Secolare è poi
l'ostilità tra Istanbul e Damasco, cui si aggiunge l'odio religioso tra la Turchia
sunnita e l'Iran sciita. Nonché, con più concrete motivazioni, la volontà turca
di diventare il principale crocevia, e quindi controllore, energetico dal Medio
Oriente e dall'Asia Centrale all'Europa.
I regimi feudali
di Arabia e Qatar, stretti agli USA fin dal febbraio 1945 da un ferreo patto in
cambio della più totale acquiescenza, aggiungono ai predominanti motivi
economici l'odio per il laicismo siriano che difende la convivenza delle più
varie fedi ed etnie. Intrisa di wahabismo – una ideologia messianica fondata da
criptoebrei come criptoebrei furono i fondatori del clan dei Saud – l'Arabia è
l'unico paese al mondo a trarre il nome non da un popolo né da un credo, ma da
una famiglia. Quasi che lo Stato e il popolo siano proprietà personale di qualche
migliaio di principotti.
Non esiste «il
mondo arabo», e neppure «il mondo islamico», inteso come entità omogenea spinta
contro l'Europa da un interesse comune o da un'ideologia unificante. Esistono
solo paesi arabi, o islamici, in lotta fra loro. Divisi da concreti interessi,
da rivalità geopolitiche, da settarismi religiosi. Paesi vassalli degli Stati
Uniti, a partire dal Marocco fino agli Emirati Uniti.
Sono del tutto
infondate due tesi.
La prima, che vede in Siria una rivolta di popolo contro il cosiddetto «clan» alauita del presidente Bashar.
La seconda, che vede in atto una guerra civile. Per quanto esistano frange di opposizione antigovernativa più o meno radicali, non è una rivolta, non è una guerra civile, cioè un conflitto fra due componenti di una stessa società. È una feroce aggressione dall'esterno, voluta dagli Occidentali, dalle petromonarchie e dalla Turchia. I loro strumenti sono bande di fanatici religiosi, di sperimentati mercenari, di sadici criminali.
La prima, che vede in Siria una rivolta di popolo contro il cosiddetto «clan» alauita del presidente Bashar.
La seconda, che vede in atto una guerra civile. Per quanto esistano frange di opposizione antigovernativa più o meno radicali, non è una rivolta, non è una guerra civile, cioè un conflitto fra due componenti di una stessa società. È una feroce aggressione dall'esterno, voluta dagli Occidentali, dalle petromonarchie e dalla Turchia. I loro strumenti sono bande di fanatici religiosi, di sperimentati mercenari, di sadici criminali.
Certa è in ogni
caso l''intercambiabilità degli aggressori. Il risultato è lo stesso che ad
aggredire sia un Bush, bianco massone cattivo e repubblicano, o un Obama, negro
massone buono e democratico. Un tizio nobelizzato per la Pace ancor prima di
avere detto bah, e per questo legittimato a fare ciò che vuole. Nonché
zombizzato dall'odiosa Hillary, quella dei quintali di Viagra – qualcuno lo
ricorderà – distribuiti da Gheddafi per incitare i soldati a stuprare le donne
dei nemici.
Il risultato è lo
stesso vi sia il socialista Blair o il conservatore Cameron, il destrorso
Sarkozy o il sinistrorso Hollande, i militari massoni di Istanbul o l'islamico
Erdogan. Complici e pagatori pronta cassa, gli sceicchi delle petromonarchie. E
a tirare le fila, Israele.
Ho avuto la fortuna di passare in Siria la prima
settimana di maggio. Sui giornalisti che si abbeverano, stando a casa loro,
alle fonti più squalificate, oltre ad avere visto con i miei occhi ho un altro
vantaggio: il mio cervello non è in vendita, non lo paga nessuno. Ovviamente, una
settimana non permette di conoscere la realtà di un paese nella sua
complessità. Ma almeno io ci sono stato.
Abbiamo
interrogato il generale medico, cristiano figlio di contadini, direttore del
maggiore ospedale di Damasco. Quotidianamente vi morivano una decina di
militari, oggi molti di più. La nostra delegazione ha intervistato decine di
soldati feriti e mutilati. Abbiamo intervistato il presidente del parlamento.
Il ministro dell'Informazione. Il governatore di Daraa, la prima città ad
essere infiltrata dai terroristi. Per il tutto, si veda il mio resoconto sul
numero 73 de l'Uomo libero.
Il patriarca
greco-cattolico melchita Gregorio III ci ha parlato a nome di tutte le
confessioni cristiane, sostenendo il governo. Il massimo studioso vivente
dell'Islam, il dottor Mohammad Albouti, lucidissimo nella moschea degli
Omayyadi, nella funzione del venerdì ci ha detto: «I cittadini siriani hanno un
livello di conoscenza che impedisce loro di cadere nella trappola. È proprio
questa conoscenza la nostra difesa contro questa aggressione». Dopo avere
citato il proverbio «È un tuo fratello anche se non è stato generato da tua
madre», si rivolge a noi: «Credo nella vostra fratellanza più che in quella dei
nostri cugini arabi che falsificano la verità».
Riporto la testimonianza di Agnès-Mariam de la
Croix, suora carmelitana libanese, attiva in Siria da vent'anni, resa il 25
luglio in un convegno a Roma: «Per quanto riguarda il massacro di Homs
attribuito all’Esercito governativo, ho constatato con i miei occhi un
centinaio di cadaveri all’obitorio. Erano civili sgozzati dai ribelli per
distruggere la vita sociale della Siria. Ho contattato e incontrato i loro
familiari, che in parte conoscevo, erano cristiani e musulmani baathisti. Ho
capito che il fine dei rivoltosi è la distruzione della Siria così come è stata
sino ad ora. Per far ciò bisogna prima distruggere la vita sociale, ad esempio
si impedisce al medico di curare gli ammalati e se non obbedisce lo si sgozza,
al panettiere di sfornare il pane e così via, e poi si giunge alla distruzione
della Siria. Tutto è finalizzato a far collassare la Società civile siriana. I cento
morti di Homs erano cittadini che hanno osato non obbedire ai ribelli e sono
stati sgozzati. Oggi la medesima tattica, impiegata ieri ad Homs, è stata
perfezionata in peggio. A Damasco seimila mercenari stranieri hanno invaso la zona residenziale
della capitale per seminare il terrore tra i civili; ad Aleppo dodicimila
mercenari stranieri e qualche centinaio di siriani stanno seminando il panico
nella "capitale economica" della Siria. Ma a Damasco i cittadini in
48 ore hanno evacuato la città ed hanno permesso all’Esercito di reprimere i
rivoltosi. Questa è legittima difesa, non "crimine di guerra" come
dice la stampa occidentale. Ad Aleppo non vi sono mai state dimostrazioni
pacifiche o violente, come invece vi erano state a Damasco per dare l’impressione
e la parvenza di una "rivoluzione spontanea primaverile" che
chiedesse la libertà. Come mai adesso dodicimila miliziani, che son sbucati
fuori dal nulla, marciano verso Aleppo e sono entrati nella città? Chi sono?
Chi li manda? [...] Sono turchi, libici, afghani, pachistani, sudanesi, e
vogliono portare solo caos e distruzione, non vogliono la libertà dei siriani
come dicono i 'media'. Da Homs a Damasco si contano 13.000 cristiani uccisi dai
mercenari islamisti radicali [ricordo che a tutt'oggi, tre mesi dopo, le
vittime sono quasi trentamila, delle quali civili per i quattro quinti]. Cosa
avverrà ad Aleppo? I vescovi siriani si sono riuniti oggi per smascherare il
complotto che si cela dietro le apparenze di democrazia e libertà e fare in
modo che tutti sappiano chi si nasconde dietro la rivolta, ma la stampa
occidentale non vuol ascoltare».
A differenza della Libia, paese di tribù in eterna
discordia tra loro – e tuttavia semplicemente eroico nella resistenza solitaria
contro nemici perfidi e ultrapotenti – la Siria è un vero Stato. Uno Stato
laico nel quale convivono una quindicina di confessioni religiose e una ventina
di etnie. La scuola è gratuita. La sanità è anch'essa a carico dello Stato. Se
il presidente è di religione musulmana-alauita, i vicepresidenti sono di
confessione sunnita. E non solo, uno dei tre vicepresidenti è una donna,
l'unica donna a rivestire una carica di tale importanza nel Vicino Oriente. In
Arabia alle donne è persino vietato guidare la macchina. Inoltre la Siria, per
quanto secondo la Costituzione il Presidente non possa essere che musulmano, è
l'unico paese arabo dove l'islamismo non è religione di Stato e il credo dei
cittadini non è riportato sulle carte d'identità.
Impressionanti, a
confronto del deserto stepposo della Giordania, sono i cento chilometri che
separano Damasco da Daraa visti dall'aereo, verdeggianti, bonificati, irrigati
dalle riforme volute da Hafez al Assad, «il padre della Siria». Un personaggio
di umili origini divenuto generale d'aviazione, un modernizzatore che,
appoggiato dagli intellettuali e dai tecnici del partito nazionalista e
socialista Baath, «Rinascita», ha spazzato via le tracce del peggiore
feudalesimo.
Che un paese
assediato usi un pugno saldo, ed ora un pugno finalmente di ferro, per mantenere
la convivenza civile e fronteggiare una spietata aggressione esterna, non fa
meraviglia.
In ogni caso la
Siria di Bashar al-Assad era un paese che stava vivendo una fase di dinamismo
politico caratterizzato dal progetto di una nuova Costituzione – stilata da un
comitato di giuristi, parlamentari e membri della società civile – e da un
multipartitismo sempre più vivace.
E, soprattutto,
caratterizzato da quelle libere elezioni del 7 maggio sulle quali è subito
calato il silenzio da parte dei massmedia occidentali, neppure accusando il
governo di brogli. In ogni caso le democrazie occidentali, le nostre
truffaldine democrazie, sono proprio le ultime a poter impartire lezioni di
correttezza. Le elezioni hanno dato una netta maggioranza ai partiti governativi.
Alla tornata elettorale ha partecipato il 51,26 % degli aventi diritto.
Una cifra
miracolosa, se pensiamo che in molte zone l'accesso ai seggi è stato impedito
dai terroristi, che hanno anche assassinato numerosi candidati. Una tornata che
ha visto 7.195 candidati, di cui 710 donne, contendersi i 250 seggi
dell'Assemblea Nazionale che approverà la nuova Costituzione. Prima delle
elezioni il governo era retto da una maggioranza di nove partiti, tra cui il
Baath. Oltre a candidati indipendenti, hanno concorso altri nove partiti, di
un'opposizione più o meno determinata. Con lo storico e amico Paolo Sensini,
della genuinità della contesa elettorale sono stato testimone io stesso a
Damasco.
Contro questa
splendida realtà di umana convivenza, l'Occidente ha scagliato centomila
tagliagole – ne vedrete esempi nei filmati. Attualmente i terroristi autoctoni
sono 60.000, pressoché tutti delinquenti comuni e latitanti condannati con pene
anche fino all'ergastolo. 30.000, e in posizione trainante, sono quelli giunti
dall'estero. Mercenari sperimentati in Libia, Iraq ed Afghanistan. Pazzoidi
religiosi arrivati da Marocco, Algeria, Tunisia, Libano, Giordania, Yemen e
Pakistan.
Islamici
intossicati da un credo religioso ottuso, esaltati contro l'«eretico» Bashar
che permette a cristiani, drusi e altri non musulmani di convivere a parità di
diritti con la maggioranza sunnita. Cioè, senza la minorata condizione di
dhimmi. Senza essere cittadini di seconda categoria, caricati di tutti gli
impedimenti che il non essere musulmano comporta in paesi musulmani.
Bande di
terroristi salafiti, wahabiti, alqaedisti messe in piedi dalla CIA. Armati,
addestrati, pagati e guidati dall'Occidente. Dall'Occidente «laico e
progressista». Dei più famosi, finalmente «tirati giù dalle spese», cioè
inviati all'altro mondo, ricordo il libico Abo-Albaraa, alla testa di una banda
di quattromila libici trasferita in Siria dagli americani, e il ceceno Rustam
Gelayev, figlio di un «signore della guerra» caucasico.
Assassini che
soprattutto all'inizio, quando la mano delle autorità è stata a lungo leggera,
dapprima nelle zone più periferiche, poi in quartieri delle grandi città, hanno
creato repubblichette partigiane ove regnava la violenza più cruda. Dove hanno
compiuto attentati con mortai, autobombe e, ritiratisi sotto la pressione
dell'esercito, con mine a scoppio ritardato. Dove hanno incendiato e distrutto
monumenti millenari come il vecchio mercato di Aleppo, patrimonio dell'UNESCO.
Dove hanno distrutto centinaia di scuole e ambulatori. Dove hanno sgozzato,
decapitato, squartato, mutilato impiegati statali, poliziotti, amministratori,
insegnanti, medici, religiosi non allineati.
Dove hanno
sequestrato e massacrato nei modi più efferati – nella ferrea logica di ogni
partigianesimo, che deve intimorire i civili con un terrore esemplare – gente
di ogni età. All'inizio, diffondendo video sulle proprie prodezze, quali i
«processi» agli avversari malmenati, umiliati e messi al muro, lo sgozzamento
di poliziotti, l’assassinio di civili a colpi di mitra o di machete, il lancio
nel vuoto di lealisti dai tetti delle case. In seguito, eliminando in massa
civili di ogni età e, resi più accorti delle reazioni negative del delicato
Occidente, attribuendo, spudoratamente supportati dalla Grande Stampa e dalle televisioni
occidentali, i massacri alle forze governative. Ne vedrete i filmati.
In ogni caso
cercando di sfiancare, logorare, demoralizzare, paralizzare il paese
dall'interno, di far perdere ai cittadini la fiducia nella protezione del
proprio governo. Il tutto, in attesa dell'attacco dall'esterno, con le bombe e
i missili NATO. E di un più vasto bagno di sangue.
Tali assassini,
che andrebbero messi al bando da ogni consesso civile in quanto postisi da sé
fuori da ogni legge, andrebbero, quando catturati, giustiziati a norma di legge
marziale. Magari con quella decapitazione pubblica tanto apprezzata in Arabia
saudita, come fu nel dicembre 2011 per una povera donna accusata di
stregoneria. Ed è in favore di questi criminali che il segretario dell'ONU Ban
Ki Moon, il 9 ottobre, ha senza vergogna preteso dal governo siriano un cessate
il fuoco unilaterale. Ed è in favore di questi criminali che il segretario
della NATO Anders Rasmussen ha minacciato, per l'ennesima volta, di scendere in
campo qualora non cessino quelle che, capovolgendo le dinamiche, ha chiamato
«provocazioni» contro la Turchia di Erdogan.
Quanto ai loro
mandanti – da Obama ai petrolieri di Riad e Doha, e passando per Tel Aviv,
Londra, Parigi, Istanbul e gli altri paesi NATO – li vedremmo volentieri
dondolare da una forca. Per le marionette italiane basterebbe il carcere a
vita. Tra quattro pareti di nudo cemento.
Sui renitenti e
disertori siriani – 1500 su 1.200.000 soldati, tra militari in servizio e
riservisti – mi limito a citare una notizia apparsa il 28 settembre
sull'eccezionale sito syrian free press, la maggiore fonte di notizie
alternative: «Diversi ufficiali dell’Esercito di Liberazione Siriano, braccio
armato della opposizione, hanno annunciato di rischierarsi tra i sostenitori del
presidente Bashar al-Assad. È stato reso noto durante un vertice delle forze di
opposizione svoltosi a Damasco. Uno dei "disertori", il colonnello
Khaled al-Zalem, ha condannato "lo spargimento di sangue tra
connazionali" e ha invitato i suoi ex compagni di lotta "a
riconoscere l’errore". Presso il comando militare delle forze di
opposizione il colonnello ricopriva una delle posizioni più importanti. Oltre
ad al-Zalem sono ritornati a sostenere le autorità 11 ex guerriglieri, 5
ufficiali e 6 civili».
Sanguigno, magari eccessivo, il commento del sito:
«Traditori di questo tipo, che hanno contribuito coscientemente alla
devastazione delle strutture della Patria e all’assassinio di civili e
militari, loro camerati sino a poco prima, complici di bande di terroristi
consimili, come al-Qaeda e bande jihadiste analoghe, meritano solo di
impugnare, al posto del fucile, una pala e un piccone, per andare ai lavori
forzati sinché non abbiano ricostruito tutto quello che hanno materialmente
danneggiato. Successivamente, dopo non meno di 20-30 anni di lavori forzati
duri, potrebbero godersi una bella villeggiatura nel braccio della morte, dove
meritano di essere rinchiusi certi pluriomicidi complici di serial-killer. Non
c’è pena adeguata che possa ridare alle famiglie gli eroi dell’Esercito
Nazionale Arabo Siriano, padri, mariti, figli, assassinati nel peggiore dei
modi, sgozzati e torturati, da questi "pentiti" e dai loro amici
mercenari stranieri».
Tra gli aggressori della Siria si pone anche la Germania,
recuperata ad ogni nefandezza democratica. Usando una tecnologia che permette
di monitorare a 600 chilometri, dagli inizi di agosto agenti tedeschi sono di
stanza a bordo di navi al largo della costa siriana per intercettare e
trasmettere informazioni. Le informazioni da loro raccolte, anche nella base
NATO di Adana in Turchia, vengono trasmesse ai comandi militari americani ed
inglesi, che a loro volta le passano ai terroristi.
Al contempo,
tecnici francesi e qatarioti operano nel nord del Libano con stazioni mobili di
trasmissioni satellitari per disturbare i segnali dell’esercito siriano e dei
canali satellitari siriani e libanesi, fornendo informazioni di ogni tipo ai
terroristi. Le dette stazioni mobili sono collegate con postazioni radar
israeliane situate nei territori occupati della Palestina.
Contro tale realtà
assassina si è finalmente mobilitato con decisione quattro mesi fa, il 27
giugno, il presidente Bashar, affermando: «Siamo entrati in una vera situazione
di guerra, tutte le forze devono essere dirette alla vittoria». Si è mobilitato
a parer mio troppo tardi, quando la Siria era profondamente infiltrata da bande
di assassini. Troppo tardi, e lo dico con estrema umiltà e tenendo conto delle
enormi pressioni internazionali esercitate dai tanti nemici
Come ho detto a Milano, non sono mai stato politicamente
corretto, non ho paura delle parole. Non è il tempo dei compromessi. È il tempo
delle affermazioni assolute e delle negazioni radicali. Non è tempo di
neutralità. Non è il tempo degli utili idioti che strillavano «né con Saddam né
con Bush, né con Milosevic né con la NATO». Il privilegio dell'ignoranza e il
vanto dell'idiozia li lascio a chi sventolò gli stracci arcobaleno con iscritto
«pace». Ai deliranti del «volemose bene» planetario. A coloro che usano termini
ammuffiti come colonialismo e imperialismo.
Il nemico
dell'uomo, il nemico dei popoli liberi non è oggi l'imperialismo. È il Nuovo
Ordine Mondiale. È il mondialismo, l'universalismo. È il cosmopolitismo, la
cittadinanza planetaria. Il termine imperialismo proietta le menti in
un'atmosfera fuorviante, in un quadro emotivo e relazionale ottocentesco, epoca
nella quale ancora vivevano e si mobilitavano le nazioni. Combattendosi l'un
l'altra per i propri valori, i propri sogni, i propri deliri, i propri
interessi. Legittimi o illegittimi, a noi graditi o meno che fossero.
Il quadro è
radicalmente mutato. Oggi stanno per scomparire tutte le nazioni, stanno per
decomporsi tutti i popoli, per divenire sezioni di un osceno ammasso planetario
dominato neanche più da una singola nazione, ma da una mostruosa entità
finanziaria. Da una entità globale che ha inventato a suo uso e consumo, ed
imposto a tutti i popoli, la farsa dei Diritti Umani. Una entità apolide che se
ne serve a scopo del più bieco sfruttamento. Il re oggi è nudo, nudissimo.
L'umanitarismo, il capitalismo finanziario del quale
gli Stati Uniti sono l'espressione più compiuta, è il male assoluto, un
disastro come il mondo non ha mai conosciuto. Perché comporta
l'annientamento di ogni cosa. Se in passato qualche sistema politico ha
distrutto gli individui, fin dalla sua infanzia il Sistema ha decomposto
tutte le culture, attaccato i valori che fanno la specificità delle civiltà,
privato l'uomo delle sue appartenenze naturali, ridotto le nazioni a folklore.
Quando pure, nella sua giovinezza e maturità, non ha distrutto, fisicamente,
interi popoli.
Dei suoi complici
sono parte gruppi come Amnesty International, gli altermondialisti, i neoglobal
– altro che no global ! Dei suoi complici è parte il Tribunale Internazionale
dell'Aja, responsabile dell'assassinio in carcere di Slobodan Milosevic e del massacro
di Libia. Tribunale mobilitato oggi contro il popolo siriano, avallando con la
sua «autorità» l'operato dei tagliagole e ponendo le premesse per un'ennesima
guerra. Gli «aiuti umanitari» mascherano i più torbidi interessi, quando non
dirette forniture di armi. Già disse Proudhon: «Chi dice umanità cerca di
ingannarti».
Se non si capisce
● che l'universalismo è la tara di fondo,
● che non è mai esistito né mai esisterà un «cosmopolita», cioè un «cittadino del mondo»,
● che la «vera democrazia» esiste solo nella mente di Giove,
● che la democrazia è solo questa bieca democrazia reale, non si è capito nulla.
La differenza non è più tra destra e sinistra, tra rossi e neri, e così via. La differenza è fra mondialisti e difensori del diritto dei popoli ad essere se stessi.
● che l'universalismo è la tara di fondo,
● che non è mai esistito né mai esisterà un «cosmopolita», cioè un «cittadino del mondo»,
● che la «vera democrazia» esiste solo nella mente di Giove,
● che la democrazia è solo questa bieca democrazia reale, non si è capito nulla.
La differenza non è più tra destra e sinistra, tra rossi e neri, e così via. La differenza è fra mondialisti e difensori del diritto dei popoli ad essere se stessi.
Nella linea
dell'universalismo si situa il delirio giudaico di Bush. In un discorso
pubblico del 7 ottobre 2005 questo mentecatto si è così vantato, due punti e
virgolette: «Io sto portando avanti una missione divina. Dio mi ha detto: George,
va' e combatti questi terroristi in Afghanistan, e io l'ho fatto. Poi mi ha
detto: George, vai e metti fine alla tirannide dell'Iraq, e io l'ho fatto».
Due sono le caratteristiche di tali Prescelti da Dio, di
tali Messia, eletti a compiere, a prezzo di qualsiasi strage, il comando divino
con buona coscienza.
(A) In primo
luogo, non esistono più dichiarazioni di guerra, da parte loro; e come
potrebbero? un poliziotto non dichiara guerra al malvivente, lo assalta, lo
cattura, lo trascina in catene! Mancando una dichiarazione di guerra, mancherà
sempre un trattato di pace; mai finirà la guerra. Ed infatti il motto bushiano
recita «guerra infinita». Almeno, cent'anni fa il presidente Wilson, il
puritano dal sorriso cavallino della Grande Guerra, la voleva «per porre fine a
tutte le guerre».
(B) In secondo
luogo – riflettete – i Buoni non aprono mai le ostilità, sono costretti,
santIddio!, sono costretti, a rispondere alle «provocazioni». «Provocazioni» da
loro stessi inscenate.
Nelle guerre gli
americani devono essere tirati per i capelli.
● Così fu nel 1898 contro la
Spagna, e nelle Filippine uccisero 600.000 resistenti, refrattari alla Missione
Divina.
● Così fu nella prima guerra mondiale col Lusitania.
● Così fu nella prima guerra mondiale col Lusitania.
● Così nella
seconda, innescando l'attacco giapponese a Pearl Harbor, dopo avere cercato
invano, con ogni mezzo, una reazione tedesca.
● A pretesto per devastare il
Vietnam – non solo con le 50.000 tonnellate di agenti chimici cancerogeni, ma
con i sette milioni di tonnellate di bombe, tre volte e mezzo il quantitativo
sganciato nella seconda guerra mondiale e corrispondenti alla forza detonante
di cento bombe atomiche tipo Hiroshima – il 2 agosto 1964 crearono di sana,
sanissima pianta l'«incidente del Tonchino».
● E non parliamo dell'autoattentato dell'11 settembre.
Dal quale i borghesi semiacculturati, quelli che nessuno gliela fa, rifuggono
ancor oggi. Quelli che rifiutano anche solo di ascoltare versioni alternative.
E questo, dopo che decine di volumi hanno fatto a pezzi la versione ufficiale,
dopo centinaia di articoli, analisi, commenti e filmati. Riflesso
incondizionato, il giorno dopo il crollo delle Torri, Le Monde e il Corrierone
titolarono: «Siamo tutti americani». E così, al prezzo di tremila morti gli USA
partirono, e durano tuttora, impuniti, all'attacco del mondo.
La lezione della
provocazione – ricordate la favola del lupo e dell'agnello? – è stata imparata
dal turco Erdogan dopo l'abbattimento, nel giugno, dell'aereo spia inviato nel
cielo siriano per testare la reazione del nemico: «Colpiremo la Siria se
attaccati ancora». Grugno di topo, Erdogan. Faccia di Predator, guardatelo
bene, quello del film con Schwarzenegger. In parallelo, l'evento gli ha
permesso di attaccare la libertà di informazione, in particolare i giornali che
hanno riportato l'intervista al presidente Bashar, accusati di tradimento
perché avevano dubitato della versione ufficiale.
Nel frattempo,
oltre ad infinite minacce verbali, proseguono l'invio di militari NATO e le
esercitazioni in Giordania e Turchia, mentre gli Occidentali si vantano
apertamente dell'addestramento, dell'armamento e della guida forniti ai
terroristi. Un'altra notizia ignorata dalla stampa: dopo l'arresto, nel luglio,
di 40 – dico 40 – ufficiali turchi su suolo siriano, il 7 agosto è stato arrestato
ad Aleppo un generale turco alla testa dei terroristi che cercavano di prendere
il controllo della città.
Ma Erdogan, il
Lupo Grigio travestito da agnello, persiste nelle provocazioni, pur osteggiato
dal 60% del popolo turco. Vedi i bombardamenti iniziati «a rappresaglia» il 3
ottobre, dopo che colpi di mortaio da 120 mm AE-HE-TNT, munizioni in esclusiva
dotazione NATO – come riporta Mardan Yanar Dag del quotidiano Yurt – hanno
colpito una città di confine. Gli autori? Con tutta certezza terroristi su
suolo siriano, all'uopo incaricati. L'ennesima menzogna della Grande Stampa è
poi che la Siria si è scusata per l'accaduto, ammettendo la propria
responsabilità. In realtà, Damasco mai si è scusata, ma ha soltanto formulato
le condoglianze per i cinque morti.
Negli stessi
giorni il Sunday Times ha rivelato che a quei terroristi che pur sono cittadini
britannici è stato vietato il rientro in «patria», causa il rischio che
comporterebbero. Insomma, i tagliagole vanno bene per il lavoro sporco
all'estero, ma teniamoli lontani da casa nostra.
E le provocazioni
si intensificano. Quattro giorni fa, il 10 ottobre, è stato dirottato ad Ankara
un airbus passeggeri della Syrian Air proveniente da Mosca. L'accusa –
infondata – viene riecheggiata dai giornaloni: coi passeggeri, l'aereo
trasportava illegalmente armi a Damasco o, se non proprio armi, almeno
componenti elettronici ad uso militare o, se non proprio ad uso militare, ad
uso civile. Brutalmente ammanettati, i membri dell'equipaggio sono stati
segregati per ore, alcuni passeggeri sono stati malmenati. Pregevole la
rivendicazione del ministro degli Esteri russo: ci fosse bisogno di inviare
armi alla Siria, lo faremmo alla luce del sole, non mascherandole da carichi
civili.
Mi avvio a chiudere. In un'intervista televisiva a
Damasco mi è stato chiesto: perché la Siria? Ho risposto che non è solo
questione di geopolitica o di economia, ma anche di ideologia. I piani degli
aggressori datano da decenni, sono piani a lunga scadenza. L'obiettivo finale è
la distruzione delle nazioni e l'instaurazione di un unico governo mondiale. A
guida, ovviamente, americana. A guida, ovviamente, dell'Alta Finanza. A guida,
ovviamente, giudaica.
Sappiamo che non è
un complotto, un tenebroso complotto. Un complotto, quando gli scopi sono stati
dichiarati a tutte lettere – ripeto: a tutte lettere – dagli stessi autori in
decine, sottolineo decine, di pubblicazioni? Cerchiamo di essere seri. Non
prendiamoci in giro.
È una strategia pensata in ogni aspetto, non un complotto. Chi parla di complotto è un mistificatore. Uno che nuota nel torbido. O un ignorante. Di queste pubblicazioni, cito tre esempi.
È una strategia pensata in ogni aspetto, non un complotto. Chi parla di complotto è un mistificatore. Uno che nuota nel torbido. O un ignorante. Di queste pubblicazioni, cito tre esempi.
(A) Nel 1997
Zbigniew Brzezinski, consigliere di sei presidenti da Carter ad Obama,
egualmente democratici come repubblicani, pubblicò The Great Chessboard,
"La Grande Scacchiera - Il mondo e la politica nell'era della supremazia
americana". Suggerendo di adoperarsi per fare scoppiare conflitti
interetnici nei più diversi paesi, Brzezinski ammonisce, cito tra virgolette,
che in futuro «la capacità degli Stati Uniti di [continuare ad] esercitare
un'effettiva supremazia mondiale dipenderà dal modo in cui sapranno affrontare
i complessi equilibri di forze nell'Eurasia, scongiurando soprattutto
l'emergere di una potenza predominante e antagonista in questa regione».
(B) Nello stesso
1997 una trentina di neoconservatori, ventotto almeno dei quali ebrei e anime
nere bushiane, lanciò il Project for the New American Century, "Progetto
per il Nuovo Secolo Americano", che rilanciava le tesi di Brzezinski,
suggerendo i necessari comportamenti applicativi.
(C) Similmente, un
gruppo di intellettuali israeliani capeggiati dal politologo Oded Yinon aveva
codificato, fin dal 1982, la preventiva distruzione di ogni Stato considerato
nemico.
Cinque sono state
le fasi di tale strategia.
● La prima: scagliare in una guerra contro l'Iran
khomeinista un Iraq stupidamente caduto nella trappola e quindi, dopo averlo
indebolito, spiazzarlo economicamente.
● La seconda: occupare l'Iraq e
impadronirsi delle sue risorse energetiche, eliminando al contempo uno dei più
tenaci nemici di Israele e interrompendo la continuità territoriale tra Siria
ed Iran.
● La terza: occupare l'Afghanistan e impiantare basi nell'ex Asia
sovietica, condizionando a nord la Russia e accerchiando da oriente l'Iran, già
avendo a sud il controllo del Golfo.
● La quarta: assicurarsi, in vista di una
guerra con l'Iran, le ingenti risorse energetiche libiche, spegnendo al
contempo le velleità panafricaniste di Gheddafi e testando le reazioni del duo
Russia-Cina.
● La quinta: eliminare il baluardo geografico e militare siriano,
premessa per l'aggressione all'Iran.
Sull'onda delle secolari teorizzazioni
massoniche dell'«Ordo ab chao, Ordine dal caos», sull'onda di quel «caos
creativo» cantato nel 2006 dal Segretario di Stato Condoleezza Rice, possiamo
definire tale strategia «geopolitica del caos«. I Signori del Caos vogliono
frantumare gli Stati laici e modernizzatori – Iraq, Libia, Siria e, perché no?,
l'Iran di Ahmadinejad – in miniregioni in lotta una contro l'altra per motivi
etnici e religiosi. Un federalismo in salsa orientale. Uno Stato dopo l'altro,
la politica del carciofo. Eliminare una foglia dopo l'altra, fino a giungere al
cuore. L'ultima foglia è l'Iran. Il cuore, il nemico strategico dell'Alta
Finanza, sono la Russia e la Cina. Ma i giochi non sempre riescono, e l'ultimo
osso sarà troppo duro per questa banda di assassini. Anche la distruzione economica dell'Europa, in quanto potenza
alternativa agli USA, rientra nei piani.
Ma alziamo lo
sguardo dalle motivazioni economiche e geopolitiche. Andiamo al fondo delle
cose. Dal punto di vista ideologico le finalità – basate sull'eterno delirio
dell'Unico Mondo guidato dagli Unici Eletti – sono quelle vantate, in otto sole
parole, da un personaggio buffo ma pericoloso, l'amministratore delegato FIAT
Sergio Marchionne. Quello dei maglioncini e della barba incolta. Della
delocalizzazione e della miseria nazionale. Dei contributi statali a fondo
perduto e degli Elkann. Cito tra virgolette: «Bisogna superare l'attaccamento
emozionale al proprio paese».
La stessa concezione anima mister Monti, nel novembre
2011 unto senatore a vita e messo a capo di un governo presidenziale. Sei mesi
prima, il 28 maggio, alla Bocconi, l'esimio Salvatore delle Banche si era
augurato che si estinguesse «il senso di appartenenza dei cittadini ad una
collettività nazionale». Si veda su Google il video di tre minuti titolato
«Monti le parole di un pazzo».
Ma la disgrazia, per Marchionne, per Monti, per tutti i
mondialisti del «volemose bene» intergalattico, è che ci sono popoli, come i
siriani, che al loro paese – alla loro gente, alla loro nazione, ai loro padri,
ai loro figli, a se stessi – non vogliono rinunciare.
Lo si intenda una
volta per tutte! Non siamo all'interno di una disputa scolastica, ma di una
guerra di civiltà! È una guerra politica, una guerra intellettuale, una guerra
morale, una guerra spirituale, è una guerra totale quella che ci coinvolge. La
posta in gioco, nel suo senso più profondo, non è il Potere, ma la Memoria e
l'esistenza dei popoli, la sopravvivenza dell'Anima stessa dell'uomo.
Per distruggere le
appartenenze al mondo reale – fatto di razze, stirpi, nazioni, popoli e Stati –
tre sono le strategie messe in atto dai Nemici degli uomini liberi.
(A) La prima è la
distruzione armata degli Stati che non s'inchinano ai loro voleri: nel Vicino
Oriente, in Africa, in America Latina. Ma anche in paesi europei come la
Serbia.
(B) La seconda
sono le rivoluzioni colorate – arancioni, viola, gialle, rosa, verdi, dei
tulipani e chi più ne ha più ne metta – contro l'Iran e i paesi ex comunisti:
Serbia, Macedonia, Moldavia, Ucraina, Bielorussia, Russia, Georgia,
Kirghizistan. «Rivoluzioni» studiate a tavolino da gruppi come la Fondazione
Società Aperta del supermiliardario George Soros. L'affondatore della lira nel
1992, il compare di Prodi. Da Prodi fatto premiare a Bologna con una laurea
honoris causa.
(C) La terza è la
strategia contro l'Europa. In quattro fasi: ● rieducazione dei suoi popoli
mediante il lavaggio del cervello con le cosiddette «colpe» della guerra
mondiale, ● invasione migratoria, ● distruzione dello Stato sociale, ●
riduzione in miseria dei suoi popoli.
In particolare,
dell'ultima fase sono artefici, attraverso colpi di Stato chiamati governi
tecnici, i portaborse dell'Alta Finanza. Quelli della «cittadinanza
planetaria», del «volemose bene» universale, dei predicatori della pace
perpetua. Della pace eterna. Di tali colpi di Stato, due soli esempi. In Italia
mister Monti, in Grecia un altro maggiordomo Goldman Sachs. E su tutto,
l'occhio insonne del ciambellano Mario Draghi. Colpi di Stato coordinati dalle
massime cariche istituzionali e avallati dalla quasi totalità dei politici,
camerieri dei banchieri, complici consapevoli o semplici idioti.
Intervistato l'11
ottobre dalla TV siriana, l'ex generale libanese, cristiano, Michel Aoun, capo
del Blocco per il Cambiamento e le Riforme, ha pronosticato che la Siria non
cadrà. I paesi che cospirano non riusciranno a sottometterla: «La fermezza
della Siria contro il complotto è molto forte, perché la crisi non ha potuto
colpire il settore amministrativo, né quello giudiziario, né quello militare,
nonostante tutte le enormi perdite umane ed economiche».
Ringraziandovi per
l'attenzione e auspicando vostri interventi nel dibattito dopo i filmati,
riassumo la mia relazione in due frasi.
1° L'unica possibilità di salvezza per la Siria sta nel suo esercito, nei giovani militari in difesa del loro popolo; l'unica possibilità di non essere inghiottiti dalla cloaca dell'Occidente è Bashar al-Assad.
2° La Siria di Bashar al-Assad, la Siria del popolo siriano, è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo di libertà.
1° L'unica possibilità di salvezza per la Siria sta nel suo esercito, nei giovani militari in difesa del loro popolo; l'unica possibilità di non essere inghiottiti dalla cloaca dell'Occidente è Bashar al-Assad.
2° La Siria di Bashar al-Assad, la Siria del popolo siriano, è un esempio unico di fierezza e dignità, un rimprovero perenne per i popoli vili, un baluardo di libertà.
Grantola, 14
ottobre 2012
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