di Filippo Giannini
Il titolo è ricavato da un volume di prossima edizione: autori sono
Martina Mussolini (nipote del Duce) e Andrea Piazzesi.
Questo articolo è dedicato a tutti quei lavoratori (operai, tecnici o
impiegati) che hanno perso il lavoro o che sono in pericolo di perderlo, come i
minatori in Sardegna, gli operai a Taranto, e attingendo al pensiero di
Alessandro Mezzano, posiamo scrivere: <Se
in Italia ci fosse ancora la Socializzazione delle aziende, il caso FIAT non
esisterebbe) ecc.
Come primo incitamento: non permettete di far chiudere le fabbriche o
qualsiasi posto di lavoro. Pretendete di socializzare le aziende dove prestate
la vostra opera. Lo stesso proprietario può entrare nel contesto dell’azienda
socializzata, così come è stato fatto in Germania con la Mitbestimmung, che per ironia della storia l’idea della
partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, aspramente avversata
dagli alti esponenti tedeschi, attecchì in Italia, purtroppo quando la guerra
era ormai alla fine e i liberatori ci
imposero il miraggio della privatizzazione, il mito dell’economia di mercato,
strumenti per riaffermare l’egemonia capitalistica sull’economia e sulla
politica. Anche l’Argentina che agli inizi del 2000 andò in default per 112 miliardi di dollari, che
causò, similmente come sta accadendo in Italia, il licenziamento di migliaia di
lavoratori. Fortuna volle che Qualcuno
adottasse le idee mussoliniane e mettesse in atto, nelle aziende in crisi, la SOCIALIZZAZIONE, e la ripresa è stata
tanto rapida che oggi, addirittura la Presidente della Repubblica Argentina Cristina Kirckner
può lanciare questo messaggio: <Chi
vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina
(…)>. L’esempio dell’Argentina, con grande scorno degli Usa, è seguita
dal Venezuela che ha iniziato a socializzare le imprese del legno. L’esempio
dell’Argentina e del Venezuela è ripreso da altri Paesi dell’America
meridionale.
Ed ora facciamo un po’ di Storia.
Lo scorso anno preparai un articolo dal titolo: “Ancora, ancora, e ancora griderò: LAVORATORE, SEI STATO FREGATO!”;
ed ecco perché: la socializzazione,
prevista nei 18 punti del Manifesto di
Verona, nella Rsi, fu un’altra pietra miliare della politica sociale del
Fascismo. Pietra miliare derisa,
disconosciuta e condannata dai politicastri
di oggi, e tu lavoratore non devi continuare a farti fregare. La tua salvezza è
ancora e solo nel pensiero mussoliniano, checché vogliano sostenere gli
incapaci, i ladroni, i furfanti di questa repubblica, impostaci dai liberatori. Il punto 9 del Manifesto
affermava: <Base della Repubblica
Sociale e suo oggetto primario è il lavoro manuale, tecnico, intellettuale in
ogni sua manifestazione>. Forse, nel caos di oggi, l’articolo più necessario
è il 12, che recita: <In ogni azienda
industriale, agricola, privata, parastatale, statale le rappresentanze dei
tecnici e degli operai coopereranno – attraverso una conoscenza diretta della
gestione – all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli
utili, fra il fondo di riserva, il frutto del capitale azionario e la
partecipazione agli utili stessi da parte dei lavoratori. In alcune imprese ciò
potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali commissioni
di fabbrica; in altre sostituendo i Consigli di amministrazione con Consigli di
gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato, in
altre in forma di cooperative parasindacali>. Quindi, tu lavoratore che
stai per perdere il lavoro, con la politica sociale mussoliniana, saresti
diventato partecipe anche alle decisioni aziendali, cioè saresti stato tu a
decidere se l’azienda doveva essere chiusa oppure no.
Per i lavoratori che sono sul
punto di essere sfrattati, ricordo l’articolo 15: <Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto
alla proprietà (…)>. E Mussolini anche su questo punto non scherzava;
ricordate la IACP (istituto Autonomo Case Popolari) che vide la luce nell’infausto Ventennio? Quanti appartamenti
vennero costruiti e quanti ceduti alla classe proletaria? L’Italia proletaria e fascista non fu un’espressione demagogica, ma
la sublimazione del pensiero e della vita che sollevò dalla palude una massa di
uomini e li avviò verso la realizzazione sociale, morale, civile (da uno
scritto di Gian Carlo De Martini).
Pur
essendo d’accordo con quanto scritto da Gaetano Rasi nel sostenere che l’economia corporativa, che aveva
modernizzato l’Italia e aveva avviato, intorno al 1935, la seconda rivoluzione
industriale italiana, che fu la base del cosiddetto miracolo economico del decennio che va dal 1953 al 1963, questo
nuovo miracolo potrebbe avvenire
anche oggi, a condizione che le fabbriche non chiudano, che il capitale
rappresentato dall’esperienza e dalle capacità dei lavoratori non venga
disperso.
Con queste parole il professore di Scienze
Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La Terza Via Fascista” (Mulino
1990), definisce lo Stato corporativo: <Il
Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a
trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi
anni del secolo>. L’Autore continua a spiegare: <Le ragioni dell’attrazione esercitata dal Fascismo su eminenti uomini
della cultura europea (e aggiungerei: non
solo europea, nda), molti dei quali trovarono in esso la soluzione dei
problemi relativi al destino della civiltà occidentale>. Sono proprio le
soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore, ebreo,
di Scienze Politiche: <Il
corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione
che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità
completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione>.
Lo Stato Corporativo era la
strada che portava alla Socializzazione.
Da
tutto cio’ si evince il motivo per il quale i governi che seguirono nel
dopoguerra, sotto il controllo della grande finanza internazionale, per evitare
un libero confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e
contestualmente varare leggi antidemocratiche e liberticide, quali la
“Legge Scelba”, “La Legge Reale”, e la
“Legge Mancino”>.
Nell’ultima intervista rilasciata da
Mussolini al giornalista Gian Giacomo Cabella il 22 aprile 1945 – quindi a
poche ore dal suo assassinio – fra l’altro, alla domanda del perché della
guerra, ebbe a dire che <le nostre
idee hanno spaventato il mondo>, ovviamente spaventato il mondo dell’alta finanza; infatti la nascita dello
Stato corporativo rappresentò il mezzo per superare i limiti del cosiddetto
Stato liberale e l’incubo dello Stato sovietico.
Il Diritto Corporativo tendeva a porre l’Uomo al centro della società,
postulando principi dei quali citiamo alcuni dei più caratterizzanti:
1) ridimensionamento dello strapotere dei
padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa,
2)
partecipazione
dei lavoratoti agli utili
dell’impresa;
3)
partecipazione
dei lavoratori alle scelte decisionali, ONDE EVITARE CHIUSURE DI AZIENDE E
LICENZIAMENTI IMPROVVISI (quindi altro che art. 18! nda) SENZA CHE NE SIANO
INFORMATI PER TEMPO I DIPENDENTI, i quali sono interessati a trovare altre
soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;
4)
intervento dello
Stato attraverso suoi funzionari, immessi nei Consigli di Amministrazione,
allorquando le imprese assumono interesse nazionale, a maggiore difesa dei
lavoratori,
5)
diritto alla
proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e
diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua
abitazione;
6) diritto alla iniziativa privata in quanto
molla di ogni progresso sociale contro l’appiattimento collettivista e le
concentrazioni capitaliste;
7) edificazione di una giustizia sociale che
prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più
povere attraverso la Previdenza Sociale, l’assistenza gratuita alla maternità e
all’infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l’assistenza agli
anziani, il dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via decendo;
8) eliminazione dei conflitti sociali
attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al
principio che se un cittadino non può farsi giustizia da sé, altrettanto deve valere per i
conflitti sociali; evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle
parti in causa ed alla collettività nazionale;
9) abolizione dei sindacati di classe, ormai
ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano, e creazione
dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in
una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di
categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;
Questi enunciati (ma non solo questi) che spiegano chiaramente i danni
che avrebbero creato alla grande finanza, risalgono ai primi degli anni ’30,
non sono che il logico sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo
espressi, ancor più lapidariamente, nel “Manifesto
di Verona”.
L’11 marzo 1945, il fondatore del Partito
Comunista d’Italia (P.C.d’I), Nicola Bombacci, parlando al Teatro
Universale, di fronte alle Commissioni interne degli stabilimenti industriali,
fra l’altro affermò: <Il socialismo
non lo farà Stalin, ma lo farà Mussolini che è socialista>. E il 13
marzo successivo, parlando allo stabilimento industriale dell’Ansaldo, di
fronte a più di mille operai disse: <Fratelli
di fede e di lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi
chiedete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin,
di vent’anni fa? Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato
i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di
vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano
nella Repubblica Sociale Italiana, è perché ho veduto che questa volta si fa
sul serio e che si è veramente decisi a
rivendicare i diritti degli operai>.
Quale era la strada intrapresa da Nicola Bombacci? Per giungere allo Stato Organico, alla Socializzazione
dello Stato, il passaggio era (ed ancora oggi dovrebbe essere) lo Stato
Corporativo.
Michael Shanks, economista di
vasta esperienza internazionale, già direttore della Commissione europea degli
affari sociali e presidente del
Consiglio nazionale dei consumi, nel suo libro What is wrong with the modern world? (Cosa c’è di sbagliato nel mondo moderno?) indica lo Stato
Corporativo di Mussolini, di fronte alla persistente crisi del liberismo e del
marxismo, come l’unico modello per uscire dalle contrapposizioni vigenti nella
Democrazia Parlamentare. Non c’è alternativa, conclude l’economista inglese: o
lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato. Ed oggi siamo sfascio dello Stato!
A te lavoratore, la strada fu già
tracciata più di ottanta anni fa, poi subentrò l’oro, Qualcuno a questo contrappose il sangue. NON TI FAR FREGARE!
Concludiamo con uno stralcio del discorso di Benito Mussolini tenuto a
Milano il 6 ottobre 1934 (riportato nel volume all’inizio citato): <(…)
ho detto che l’obiettivo del regime nel campo economico è la realizzazione di
una più alta giustizia sociale per tutto il popolo italiano. Che cosa
significa? Significa il lavoro garantito, il salario equo, la casa decorosa,
significa la possibilità di evolversi e di migliorare incessantemente).
E la Storia ha dimostrato che questo avvenne, ma nel tempo del “male assoluto”. “Male assoluto” fu certamente per il grande supercapitale e per gli
attuali ladroni di regime!
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