Sicilia 1943: Ordine del gen. Patton "Uccidete i prigionieri
italiani"
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I massacri dimenticati compiuti dai fanti americani.
“When we land against the enemy, don't forget to hit him and hit him
hard. When we meet the enemy we will kill him. We will show him no mercy. He
has killed thousands of your comrades and he must die. If you company officers
in leading your men against the enemy find him shooting at you and when you get
within two hundred yards of him he wishes to surrender – oh no! That bastard
will die! You will kill him. Stick him between the third and fourth ribs. You
will tell your men that. They must have the killer instinct. Tell them to stick
him. Stick him in the liver. We will get the name of killers and killers are
immortal. When word reaches him that he is being faced by a killer battalion he
will fight less. We must build up that name as killers. (Botting 355)”
Neither Patton nor the unit commanding officer, Colonel E. Cookson, was held officially responsible in any way.
TRADUZIONE:
“Quando effettueremo sbarchi contro il nemico, non dimenticate di colpirlo e colpirlo duramente. Quando incontreremo il nemico noi lo uccideremo. Noi non dovremo avere nessuna pietà di lui. Egli ha ucciso migliaia di vostri camerati e quindi deve morire. Se voi, comandanti di compagnia, mentre conducete i vostri uomini contro il nemico, trovate che questi vi spara contro e, quando voi arrivate a duecento metri, si vuole arrendere… Oh NO! Quel bastardo (NOTA: in inglese la parola "bastard" significa "figlio di....p". ma quì si é voluto evitare la traduzione letterale) dovrà morire! Voi lo ammazzerete. Colpitelo (infilzatelo) fra la terza e la quarta costola. Questo dovrete dire ai vostri uomini. Loro devono avere l’istinto dell’assassino, Dite loro di infilzarlo. Infilzarlo nel fegato. Avremo la nomea di “assassini” e gli assassini sono immortali. Quando il nemico saprà di avere di fronte un battaglione di assassini, combatterà debolmente. Noi dobbiamo crearci la fama di assassini.”
Neither Patton nor the unit commanding officer, Colonel E. Cookson, was held officially responsible in any way.
TRADUZIONE:
“Quando effettueremo sbarchi contro il nemico, non dimenticate di colpirlo e colpirlo duramente. Quando incontreremo il nemico noi lo uccideremo. Noi non dovremo avere nessuna pietà di lui. Egli ha ucciso migliaia di vostri camerati e quindi deve morire. Se voi, comandanti di compagnia, mentre conducete i vostri uomini contro il nemico, trovate che questi vi spara contro e, quando voi arrivate a duecento metri, si vuole arrendere… Oh NO! Quel bastardo (NOTA: in inglese la parola "bastard" significa "figlio di....p". ma quì si é voluto evitare la traduzione letterale) dovrà morire! Voi lo ammazzerete. Colpitelo (infilzatelo) fra la terza e la quarta costola. Questo dovrete dire ai vostri uomini. Loro devono avere l’istinto dell’assassino, Dite loro di infilzarlo. Infilzarlo nel fegato. Avremo la nomea di “assassini” e gli assassini sono immortali. Quando il nemico saprà di avere di fronte un battaglione di assassini, combatterà debolmente. Noi dobbiamo crearci la fama di assassini.”
Ne Patton ne il comandante della
unità, Colonnello E. Cookson, furono mai considerati, in alcun modo,
ufficialmente responsabili (di quelle stragi).
Queste parole del CRIMINALE DI GUERRA GENERALE PATTON, furono pronunciate dal generale americano ai suoi
subordinati prima dello sbarco in Sicilia.
Come conseguenza, gli
americani si abbandonarono a selvagge stragi di prigionieri di guerra italiani
e tedeschi in barba alle convenzioni internazionali da loro sottoscritte.
Solo alcuni di questi
episodi sono stati, con molto ritardo e ad oltre sessant’anni dagli eventi,
ricordati e menzionati pur con scarsissima rilevanza.
L’Italia ufficiale non
ha mai avuto il coraggio di dire una sola parola, non ha mai osato chieder
conto, nei tribunali internazionali, di quegli assassini efferati, di quelle
stragi.
Al contrario continua a
curvare la schiena e a leccare la mano del padrone ancora grondante del sangue
dei suoi figli, i combattenti più eletti, i civili morti sotto le bombe, le
stragi di Esperia. L’ordine perentorio e irrevocabile è quello di ringraziare
perennemente gli americani che ci hanno “liberato” e portare fiori alle loro
tombe.
Per contro, prigionieri di guerra (a Cefalonia gli Italiani non furono considerati prigionieri di guerra) non sono mai stati assassinati ne torturati, dopo la resa, dagli eserciti italiano e tedesco.
Per contro, prigionieri di guerra (a Cefalonia gli Italiani non furono considerati prigionieri di guerra) non sono mai stati assassinati ne torturati, dopo la resa, dagli eserciti italiano e tedesco.
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Il
gen. Patton aveva ordinato la fucilazione indiscriminata di tutti i prigionieri
che non si fossero arresi senza combattere.
Voleva
che "radio fante" divulgasse la notizia per atterrire i combattenti
ed invogliarli ad arrendersi senza combattere.
"Così"
- si giustificò - "si sarebbero salvate vite umane" intendendo per
"umane" quelle dei soldati americani.
La
stessa prassi fu applicata anche contro soldati tedeschi che combattevano sul
fronte italiano. Ciò risulta da numerosi documenti e libri scritti da ufficiali
alleati.
Nessuna giustizia é mai stata fatta per i vinti.
. "Decine di morti" "Il capitano Compton radunò gli italiani che si erano arresi.
. "Decine di morti" "Il capitano Compton radunò gli italiani che si erano arresi.
Saranno
stati più di quaranta.
Poi
domandò: "Chi vuole partecipare all'esecuzione?".
Raccolse
due dozzine di uomini e fecero fuoco tutti insieme sugli italiani".
"Il
sergente West portò la colonna di prigionieri italiani fuori dalla
strada.
Chiese
un mitra e disse ai suoi: "E' meglio che non guardiate, così la
responsabilità sarà soltanto mia".
Poi
li ammazzò tutti".
E'
una piccola Cefalonia: le vittime sono soldati italiani che avevano combattuto
con determinazione.
I
carnefici non sono né delle SS né della Wehrmacht: sono fanti americani.
Quella
avvenuta in Sicilia tra il 12 e il 14 luglio 1943 è la pagina più nera della
storia militare statunitense.
Una
pagina sulla quale gli storici negli Stati Uniti discutono da un lustro, mentre
nel nostro Paese la vicenda è pressoché sconosciuta.
Nelle
università del Nord America ci sono corsi dedicati a questi eccidi, come quello
tenuto a Montreal sul tema "Dal massacro di Biscari a
Guantanamo".
E
negli Usa in queste settimane gli esperti di diritto militare valutano le
responsabilità dei carcerieri di Abu Ghraib anche sulla base delle corti
marziali che giudicarono i "fucilatori di italiani".
Perché
- come risulta dagli atti di quei processi - i soldati americani si difesero
sostenendo di avere soltanto eseguito gli ordini di George Patton.
"Ci
era stato detto - dichiararono - che il generale non voleva prigionieri".
I
FATTI -
Nessuno
conosce il numero esatto di uomini dell'Asse uccisi dopo la resa.
Almeno
cinque gli episodi principali, con circa duecento morti.
Di
due, quelli avvenuti nell'aeroporto di Biscari, nel Ragusano, si conosce ogni
dettaglio.
Nel
massimo segreto, nell'autunno '43 la corte marziale Usa celebrò due processi:
il sergente Horace T. West ammazzò 37 italiani, il plotone d'esecuzione del
capitano John C. Compton almeno 36.
Gli
atti del tribunale recitano: "Tutti i
prigionieri erano disarmati e collaborativi".
Altri
due eccidi sono stati descritti da un testimone oculare, il giornalista
britannico Alexander Clifford, in colloqui e lettere ora divulgate.
Avvennero
nell'aeroporto di Comiso, quello diventato famoso mezzo secolo dopo per gli
euromissili della Nato.
All'epoca
era una base della Luftwaffe, contesa in una sanguinosa battaglia.
Clifford
disse che sessanta italiani, catturati in prima linea, vennero fatti scendere
da un camion e massacrati con una mitragliatrice.
Dopo
pochi minuti, la stessa scena sarebbe stata ripetuta con un gruppo di tedeschi:
sarebbero stati crivellati in cinquanta.
Quando
un colonnello, chiamato di corsa dal reporter, fermò il massacro, solo tre
respiravano ancora.
Clifford
denunciò tutto a Patton, che gli promise di punire i colpevoli.
Ma
non ci fu mai un processo e il cronista si è rifiutato fino alla morte di
deporre contro il generale.
Infine
l'ultima strage nella Saponeria Narbone-Garilli a Canicattì contro la
popolazione che la stava saccheggiando.
Secondo
i resoconti stilati in quei giorni confusi del '43, la polizia militare Usa
dopo avere intimato l'alt ed esploso dei colpi in aria, sparò una raffica sulla
folla uccidendo sei persone.
Ma i
verbali scoperti nel 2002 dal professore Joseph Salemi della New York
University - il cui padre fu testimone oculare dell'eccidio - riportano il
racconto di alcuni dei soldati americani presenti: "Appena arrivati, il colonnello urlò di sparare
sulla folla che era entrata nello stabilimento. Noi rimanemmo fermi, era un
ordine agghiacciante. Allora lui impugnò la pistola ed esplose 21 colpi,
cambiando caricatore tre volte. Morirono molti civili: vidi un bambino con lo
stomaco sfondato dalle pallottole".
L'ORDINE
-
Ma
gli atti dei processi per "i fatti di Biscari" accreditano la
possibilità che le vittime siano state molte di più.
Tutti
i crimini sono stati opera della 45ma divisione di Patton, i
"Thunderbirds": reparti provenienti dalla Guardia nazionale di
Oklahoma, New Mexico e Arizona.
Vengono
descritti come cow boy, con elementi d'origine pellerossa.
Ma
presero parte con coraggio ad alcune delle battaglie più dure del
conflitto.
Quello
sulle coste siciliane fu il loro battesimo del fuoco: avevano l'ordine di conquistare entro 24 ore i tre
aeroporti più vicini alla costa, strategici per trasferire dal Nord Africa gli
stormi alleati.
Invece
la disperata resistenza di due divisioni italiane e di poche unità tedesche li
fermò per quattro giorni.
Molti
G.I. persero il controllo dei nervi.
Ed
erano tutti convinti che il generale Patton avesse ordinato di non fare
prigionieri.
Decine
di soldati, graduati ed ufficiali testimoniarono al processo: "Ci era stato detto che Patton non voleva prenderli
vivi. Sulle navi che ci trasportavano in Sicilia, dagli altoparlanti ci è stato
letto il discorso del generale. "Se si arrendono quando tu sei a
due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la
quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! E' finito il momento
di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i
killer sono immortali!".
L'ORRORE
-
Il
primo a scoprire e denunciare gli eccidi fu il cappellano della divisione, il
colonnello William King. Alcuni soldati americani, sconvolti, lo chiamarono e
gli indicarono la catasta dei corpi crivellati dal sergente West: "E' una follia - gli
dissero -, stanno ammazzando tutti i
prigionieri. Siamo venuti in guerra per combattere queste brutalità non per
fare queste porcherie. Ci vergogniamo di quello che sta accadendo".
King
corre a cercare il comando del reggimento.
Ma
lungo la strada per l'aeroporto vede un recinto di pietra, probabilmente un
ovile, pieno di italiani catturati.
Recita
il verbale del cappellano: "Quando mi sono avvicinato, il caporale di
guardia mi ha salutato: "Padre, sei venuto per seppellirli?".
"Cosa stai dicendo?", replicai io.
Il
caporale rispose: "Loro sono lì, io sono qui con il mio mitra Thompson, tu
sei lì. E ci hanno detto di non fare prigionieri"".
A
quel punto King sale su un masso, chiama tutti gli americani presenti e
improvvisa una predica per convincerli a risparmiare quegli uomini: "Non
potete ucciderli, i prigionieri sono una fonte preziosa di notizie sul nemico.
E poi i loro camerati potrebbero vendicarsi sui nostri che hanno preso. Non
fatelo!".
Altrettanto
drammatica la testimonianza del capitano Robert Dean: "Venni fermato da due barellieri disarmati. Mi
dissero: "Abbiamo due italiani feriti, mandate qualcuno ad
ammazzarli". Io gli urlai di curare quei soldati, altrimenti gliela avrei
fatta pagare"".
LA CONDANNA -
Fu
proprio la volontà del cappellano King a far nascere i due processi sui
massacri di Biscari.
King
raccontò tutto all'ispettore dell'armata - figura simile ai nostri pubblici
ministeri -, che fece rapporto a Omar Bradley.
La
corte marziale contro il sergente West si aprì a settembre.
L'accusa:
"Omicidio volontario premeditato, per
avere ucciso con il suo mitra 37 prigionieri, deliberatamente e in piena
coscienza, con un comportamento disdicevole".
I
fanti italiani - poco meno di 50 - erano stati catturati dopo un lungo
combattimento in una caverna intorno all'aeroporto di Biscari.
Il
comandante li consegnò al sergente con un ordine ritenuto "vago" dai
giudici: allontanarli dalla pista dove si sparava ancora.
Nove
testimoni hanno ricostruito l'eccidio.
West
mette gli italiani in colonna, dopo alcuni chilometri di marcia ne separa
cinque o sei dal resto del gruppo.
Poi
si fa dare un mitra e conduce gli altri fuori dalla strada.
Lì li
ammazza, inseguendo quelli che tentano di scappare mentre cambia caricatore:
uno dei corpi è stato trovato a 50 metri.
Davanti alla corte, il sergente si difese invocando lo stress: "Sono stato quattro giorni in prima linea, senza mai dormire".
Davanti alla corte, il sergente si difese invocando lo stress: "Sono stato quattro giorni in prima linea, senza mai dormire".
Dichiarò
di avere assistito all'uccisione di due americani catturati dai tedeschi, cosa
che lo "aveva reso furioso in modo incontrollato".
Il
suo avvocato parlò di "infermità mentale temporanea".
Infine,
West disse ai giudici: "Avevamo l'ordine di prendere prigionieri solo in
casi estremi".
Ma
la sua difesa non convinse la corte, che lo condannò all'ergastolo.
La
pena però non venne mai eseguita.
Washington
infatti era terrorizzata dalle possibili ripercussioni di quei massacri.
Temeva
il danno d'immagine sugli italiani - con cui era stato appena concluso
l'armistizio - e il rischio di ritorsioni sugli alleati reclusi in
Germania.
Si
decise di non mandare West in una prigione negli Usa ma di tenerlo agli arresti
in una base del Nord Africa.
Poi
la sorella cominciò a scrivere al ministero e a sollecitare l'intervento del
parlamentare della sua contea.
Il
vertice dell'esercito teme che la vicenda possa finire sui giornali.
Il 1°
febbraio 1944 il capo delle pubbliche relazioni del ministero della Guerra
sollecita al comando alleato di Caserta un "atto di clemenza" per
West: "Non possiamo - è il testo della lettera pubblicata da Stanley
Hirshson nel 2002 - permettere che questa storia venga pubblicizzata:
fornirebbe aiuto e sostegno al nemico. Non verrebbe capita dai cittadini che
sono così lontani dalla violenza degli scontri".
Così
dopo solo sei mesi, West viene rilasciato e mandato al fronte.
Secondo
alcune fonti, morì a fine agosto in Bretagna.
Secondo
altre, ha concluso la guerra indenne.
Invece il 23 ottobre '43 il capitano John C. Compton non cercò scuse: davanti alla corte marziale disse solo di avere obbedito agli ordini. Nel processo fu ricostruita la battaglia per la base di Biscari, combattuta per tutta la notte.
C'era una postazione nascosta su una collina che continuava a bersagliare la pista.
E' una mischia feroce, con tiri di mitragliatrici e mortai, senza una linea del fronte.
L'unità di Compton aveva avuto dodici caduti in poche ore.
A un certo punto, un soldato statunitense vede un italiano in divisa e un altro in abiti "borghesi" che escono da una ridotta: sventolano una bandiera bianca.
L'americano si avvicina e dalla trincea alzano le mani circa quaranta uomini.
Cinque hanno giacche e maglie civili sopra i pantaloni e gli stivali militari.
Il soldato li consegna al sergente ma arriva il capitano.
Compton non perde tempo: dice di ucciderli.
Molti dei suoi si offrono volontari: sparano in 24, esplodendo centinaia di pallottole sul mucchio degli italiani.
Il numero esatto delle vittime resta incerto ma l'inchiesta si conclude con l'incriminazione del solo ufficiale per 36 omicidi, scagionando i suoi subordinati.
E Compton in aula dichiara che l'ordine era quello, che doveva uccidere i nemici che continuavano a resistere a distanza ravvicinata.
Inoltre precisa che quegli italiani erano "sniper", termine traducibile come "cecchini" o "franchi tiratori", e quindi andavano fucilati: una linea difensiva che sarebbe stata suggerita dallo stesso Patton. "Li ho fatti uccidere perché questo era l'ordine di Patton - concluse il capitano -.
Giusto o sbagliato, l'ordine di un generale a tre stelle, con un'esperienza di combattimento, mi basta. E io l'ho eseguito alla lettera".
Tutti i testimoni - tra cui diversi colonnelli - confermarono le frasi di Patton, quel terribile "se si arrendono solo quando gli sei addosso, ammazzali".
Alcuni riferirono anche che Patton aveva detto: "Più ne prendiamo, più cibo ci serve. Meglio farne a meno".
Compton fu assolto.
Il responsabile dell'inchiesta William R. Cook fu tentato di presentare appello: "Quell'assoluzione era così lontana dal senso americano della giustizia - scrisse - che un ordine del genere doveva apparire illegale in modo lampante".
Ma nel frattempo Cook era caduto al fronte.
Ironia della sorte, si crede che sia stato colpito da un cecchino mentre cercava di avvicinarsi a dei tedeschi con la bandiera bianca.
La sua assoluzione è però diventato un caso giuridico, che ha cominciato a circolare tra il personale della giustizia militare statunitense dopo la fine della guerra.
Un precedente "riservato" anche per evitare che influisca sui processi ai criminali di guerra nazisti.
Poi nel '73 una traccia nei diari di Patton pubblicati da Martin Blumenson e nell'83 la prima descrizione completa nell'autobiografia del generale Omar Bradley.
Oggi alcuni storici americani - assolutamente non sospettabili di revisionismo - ritengono che sulla base della sentenza Compton andavano assolte le SS fucilate per gli omicidi di prigionieri americani.
E mentre negli Stati Uniti da 25 anni si pubblicano studi sul "massacro di Biscari" e le sue ripercussioni - il primo nel 1988 fu di James J. Weingartner, l'ultimo nel 2002 è stato di Hirshson - nel nostro Paese la vicenda è stata sostanzialmente ignorata.
Vent'anni fa nel volume dello statunitense Carlo d'Este sullo sbarco in Sicilia, tradotto da Mondadori, la questione era relegata in un capoverso.
Poi, ultimamente due introvabili scritti di storici siciliani e una pagina nel documentato volume di Alfio Caruso.
Mai però un'iniziativa per ricordare quei soldati, rimasti senza nome.
Mentre persino Biscari non esiste più: oggi il paese si chiama Acate.
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