Dal n. 153 - Ottobre 1998 della rivista “AVANGUARDIA”.
Il nazionalismo
è indubbiamente una componente del patrimonio dottrinario e politico
che ha generato il Fascismo. Ma occorre inevitabilmente analizzare la
natura democratico-liberale del piccolo nazionalismo borghese che,
volenti o nolenti, ha influenzato il Fascismo e continua tutt’ora ad
infervorare gli animi di tutti i patrioti affetti da una sorta di
nostalgismo reducista. L’elaborazione dottrinaria del nazionalismo
inizia quale polemica con il pensiero illuminista e la rivoluzione
francese, ma di fatto ne risulta essere il figlio legittimo. Assume poi
una identità reazionaria che avanza una esigenza di concretezza contro
le “astrazioni” illuministiche e democratiche, intendendosi per
concretezza, poniamo, l’amore per la propria terra e per i propri
connazionali, l’attaccamento a certi usi, il senso dell’onore, il
sentirsi completati e rafforzati da tutto ciò che è connesso alla
propria origine.
Padri del nazionalismo, seguaci
dei controrivoluzionari De Maistre e Bonald, risalgono a Maurras,
Barres e agli italiani, figliastri del Mazzini, Corradini e Rocco.
Da
un punto di vista operativo, sfogliando le pagine della storia, ci
accorgiamo che il nazionalismo devia dalle originarie premesse
dottrinali.
Per noi, la nazione è realtà spirituale;
è tradizione perennemente rinnovata nella storia; è unità d’anime.
Affermiamo che occorre salvaguardare la propria identità storica e
culturale di una stessa nazione, pur non accettando la forma dello stato
attuale.
Questa non è una presa di posizione
dettata da una predisposizione al nazionalismo borghese o ad uno
sciovinismo esasperato ma la tutela di una identità che trova radici in
epoca romantica e, ancor prima, in campo politico e culturale e legata
ad una Tradizione secolare appartenente alla nostra cultura e che
raggruppa una comunità nazionale. Tutto ciò non vuol dire che accettiamo
il mito risorgimentale del nazionalismo mazziniano, utilizzato anche
dal Fascismo stesso, poi vedremo il perché.
«Il Risorgimento non fu un movimento nazionale che per accidente, esso rientrò nei moti rivoluzionari determinatisi in tutto un gruppo di stati in conseguenza dell’importazione delle idee della rivoluzione giacobina. Il ’48 e il ’49, ad esempio ebbero un identico volto nei movimenti italiani e in quelli che si accesero a Praga, in Ungheria, in Germania, nella stessa Vienna Asburgica, in base ad un’unica parola d’ordine. Qui si ebbero semplicemente tante colonne dell’avanzata di un unico fronte internazionale, comandato dall’ideologia liberaldemocratica e massonica, fronte che aveva i suoi dirigenti mascherati». (1)
La
matrice ideologica dello sciovinismo risorgimentale che accende i
“fascistelli tricolore” è antitradizionale, borghese e illuminista.
Come ribadisce Adriano Romualdi:
«si è “patriottico-risorgimentali” e si ignorano i foschi aspetti democratici e massonici che coesistettero nel risorgimento con l’idea unitaria. Oppure si è per un “liberalismo nazionale” e si dimentica che il mercantilismo liberale e il nazionalismo libertario hanno contribuito potentemente a distruggere l’ordine europeo». (2)
Non
dimentichiamoci anche il fatto che il nazionalismo fu spesso viziato da
una politica dettata da interessi puramente economici, che in passato
non raramente fecero prevalere gli interessi privati sul bene del
popolo, e per questo si legò sempre più strettamente con le banche e con
le borse internazionali.
Parafrasando Berto Ricci sottolineiamo che «… il nazionalismo è egualitario, da buon figlio dell’89»; questo concetto viene confermato da Julius Evola, il quale evidenzia che «…
nato presso alle rivoluzioni che hanno travolto i resti del regime
aristocratico-feudale, questo nazionalismo esprime dunque un puro
“spirito di folla” – E’ una varietà dell’intolleranza democratica per
ogni capo che non sia un mero organo della “volontà popolare”, in tutto e
per tutto dipendente dalla sanzione di questa». (3)
Il padre spirituale del risorgimento italiano è Giuseppe Mazzini, «iniziato alla carboneria (diretta emanazione degli illuminati di Baviera, ndr) fra il 1827 e il 1829, nel 1864, il Grande Oriente di Palermo gli accorda il 33°
grado. Il 3 giugno 1868 fu proclamato venerabile perpetuo ad honorem
della Loggia Lincoln di Lodi e lo si propose per la carica di Gran
Maestro. Il 24 luglio fu nominato membro onorario della Loggia La Stella
d’Italia di Genova e, il 1° ottobre 1870, della Loggia “La Ragione”
dello stesso Oriente». (4)
Nel risorgimento occorre, dunque, distinguere il suo aspetto di movimento nazionale dal suo aspetto ideologico.
«Di nazionalismi ve ne sono due: l’uno è un fenomeno di degenerescenza perché esprime una regressione dell’individuo nel collettivo (la “nazione”), dell’intellettualità nella vitalità (il pathos e l’ “anima” della razza). L’altro è un fenomeno positivo, perché esprime invece la reazione contro forme ancor più vaste di collettivizzazione, quali possono essere per esempio, quelle date dalle internazionali proletarie o dalla standardizzazione praticistica su base economico-sociale (America). Il primo (nazionalismo demagogico) si propone di distruggere negli individui le qualità proprie e specifiche a beneficio di quelle “nazionali”. Nel secondo (nazionalismo aristocratico) si tratta di togliere gli individui da uno stato inferiore, in cui siano caduti, ove si trovano uno eguale all’altro: si tratta di differenziarli se non altro fino al grado per cui il sentirsi di una determinata razza o nazione esprime un valore e una dignità superiore rispetto al sentirsi eguali (egualitarismo e fraternalismo, umanità alla comunistica)». (5)
Di
qui, giungiamo al rapporto tra fascismo e nazionalismo, premettendo che
«… l’idea di rivoluzione, anche nel senso strettamente politico oltre
che in quello estetico e morale, è estranea al nazionalismo, il cui
ideale è e sarà sempre l’ordine pubblico, ossia l’ideale dè questurini»
(6)
Il Fascismo trae vita da una molteplicità di
motivi, tendenze, esigenze. Tra gli altri, assorbe e trascende gli
imperativi del nazionalismo e del socialismo, dell’etica e
dell’economia, dell’attivismo e della cultura. Le esalta nella sua
universalità negandone i singoli particolarismi.
Chi rievoca il
Fascismo come mera espressione di un puro ordine nazionalista non ha
capito nulla del significato atemporale e sovratemporale slegato dagli
accidenti storici dell’esperienza della Rivoluzione delle Camicie Nere.
In
una qualsiasi azione politica occorre distinguere quello che risulta
accessorio da quello che è essenziale, ciò che risulta funzionale alla
tattica del vettore operativo per il raggiungimento di un preciso
obiettivo. L’utilizzo che il Fascismo fece del mito risorgimentale
appartiene al novero delle azioni tattiche, legate a determinate
contingenze storico-politiche. La Rivoluzione fascista fece tutto quanto
era necessario, allo scopo di creare un’unica Comunità legata da
un unico e comune destino, per forgiare un popolo legato da vincoli
Solidaristico-comunitari, verticalmente proiettato alla realizzazione di
uno Stato tradizionale organico.
Utilizzare in
questa direzione anche elementi spurii del passato, reinterpretandoli
come mito fondante, come “luogo geometrico” da cui trae origine la
Comunità, una storia ove tutti si dovevano riconoscere.
L’esaltazione
di questo mito durante il ventennio ha però rievocato sussulti
irredentisti, palesati da quei super-patriottici che non vedevano di
buon occhio l’alleanza con la Germania Nazionalsocialista. Questo trovò
riscontro nella questione territoriale dell’Alto Adige, che ha
evidenziato una discrepanza risolta solamente grazie al genio
politico del Duce e del Fuhrer, il quale minimizzava il tutto sostenendo
che la questione del Sud-Tirol era una piccola bega da subordinarsi ai
grandi temi della politica estera tedesca.
Ancor
oggi, ci accorgiamo che alcuni gruppi nostalgico-reducisti (vedi il n°
35, gennaio-marzo 1998, di “ACTA”, organo dell’istituto storico della
Repubblica Sociale Italiana) presentano la voglia di tenere all’ordine
del giorno questa querela altoatesina, che dimostra eloquentemente che
non vi siano più né prospettive né progetti politici alternativi al
sistema imperante (tranne il progetto politico-culturale Eurasia-Islam,
autenticamente antisistemico, proposto ai residui militanti del
neofascismo italiano dalla Comunità Politica di Avanguardia) che ha
sconfitto militarmente le potenze dell’ordine nuovo e che da più di
mezzo secolo opprime e condiziona l’esistenza della civiltà europea.
Manuel Negri
NOTE:
1) Julius Evola, “Gli uomini e le rovine”, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1990, pag. 117-118;
2) Adriano Romualdi, “Una cultura per l’Europa”, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 1986, pag, 65;
3) Julius Evola, “Due facce del nazionalismo”, in La Vita Italiana n° 216, marzo 1931, pagg. 232-243;
4) Epiphanius, “Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia”, Ed. Ichthys, Roma senza data, pag 113;
5)
Julius Evola, “Universalità imperiale e particolarismo nazionalistico”,
in La Vita Italiana, n° 217 aprile 1931, pagg. 330-339;
6) Berto Ricci, “Errore del nazionalismo italico”, tratto da La Rivoluzione Fascista, Ed. SEB, Milano 1996, pag. 34.
http://proscritti.blogspot.it/1998/10/il-fascismo-e-l-nazionalista.html?showComment=1335599339013#c5350030217693235087
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