sabato 31 marzo 2012
Quando la storia fa paura
Polemiche a causa della recente inaugurazione a Varese, di una targa in ricordo di Giovanni Gentile.
di: Gianfredo Ruggiero
In Italia c’è ancora chi ha paura del passato e il terrore che una parte della nostra storia contemporanea – mi riferisco agli anni trenta – possa essere rivisitata in senso critico e, soprattutto, senza il filtro ideologico.
A Varese è stata recentemente scoperta una targa in ricordo di Giovanni Gentile, uno dei più grandi filosofi italiani del ‘900 e artefice della attuale scuola pubblica italiana. Questo riconoscimento ha scatenato un vespaio di polemiche a causa del sostegno del grande pensatore italiano al regime fascista. Polemiche alimentate soprattutto da parte antifascista nonostante (o forse per questo) sia stato vigliaccamente assassinato nel ‘44 proprio dai partigiani.
Senza voler rinfocale polemiche, ma solo per amor di verità vorrei proporre un breve elenco (mi limito ai nomi più conosciuti) delle personalità che sostennero Mussolini negli anni del consenso. Molti di loro aderirono al Regime per sincera convinzione e per questo sul finire della guerra, ed anche dopo, pagarono la loro coerenza con l’ostracismo o con la vita, come appunto Giovanni Gentile o come Nicola Bombacci, il fondatore del Partito Comunista Italiano poi strenuo assertore della socializzazione fascista, assassinato a Dongo con Mussolini.
Alcuni aderirono al Fascismo per conformismo, ma tanti altri si accasarono per puro servilismo e opportunismo. Costoro, infatti, non esitarono un attimo a passare dall’altra parte quando il regime entrò in crisi, rinnegando il loro passato fascista e giustificando frettolosamente la loro entusiastica adesione al regime come un ingenuo errore giovanile (significativi, al riguardo, sono i casi del giornalista Giorgio Bocca che nel ‘42 scriveva articoli razzisti contro gli ebrei e del premio Nobel ex camicia nera Dario Fo).
Ho profondo rispetto per gli antifascisti che in pieno regime, quando Mussolini modernizzava il paese, edificava lo Stato sociale, dava impulso all’economia e alla piena occupazione e perfino la Chiesa considerava il Duce come uomo voluto dalla Provvidenza, ebbero il coraggio di opporsi a Mussolini come i fratelli Rosselli o di cambiare opinione come Indro Montanelli. Ho molta meno considerazione, anzi avversione e in alcuni casi disprezzo per chi, alla caduta del regime il 25 luglio del ’43, nel volgere di ventiquattro ore passò senza alcun pudore e ritegno dal fascio littorio alla falce e martello, distinguendosi poi per zelo antifascista.
Vestirono la camicia nera - alcuni fino alla morte, altri poi rinnegandola e altri ancora conservandola nel cuore - uomini di cultura, di scienza e di spettacolo quali: Guglielmo Marconi, Luigi Pirandello, Pietro Mascagni, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo, Leo Longanesi, Ugo Spirito, Renato Guttuso, Enrico Falqui, Giorgio Albertazzi, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello, Walter Chiari, Luciano Salce, Marcello Mastroianni, Wanda Osiris, Amedeo Nazzari, Boccasile, Concetto Marchesi, Trilussa, Mario Carotenuto, Carlo Dapporto, Paolo Emilio Taviani, Enrico Maria Salerno, Gorni Kramer, Alberto Lattuada, Michelangelo Antonioni, Angelo Del Boca, Alberto Mondadori, Norberto Bobbio, Dario Fo, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Curzio Malaparte, Elsa Morante, Enrico Prampolini, Dino Buzzati, Ezra Pound, Filippo Tommaso Marinetti, Giovanni Papini, Ugo spirito, Hugo Pratt, Indro Montanelli, Marcello Picentini, Ugo Oietti, Gino Bartali, Giovanni Agnelli.
Molti politici, oggi antifascisti, ieri elogiavano il Duce: GIULIO ANDREOTTI, democristiano, nel 1942/43 scrive articoli apologetici sui giornali del Regime “Rivista del Lavoro” e “Terra”. GIULIO CARLO ARGAN, ex sindaco comunista di Roma, in pieno regime è segretario di redazione della rivista fascista “Le Arti” e collaboratore del Ministro Bottai. AMINTORE FANFANI, democristiano nel 1941 scrive un libro, ”Il significato del Corporativismo”, in cui esalta fra l’altro la “sanità di razza”. ARRIGO BOLDRINI, Presidente dell’associazione dei partigiani ANPI, nel 1939 lo troviamo volontario nelle Camicie Nere e Capomanipolo della Milizia. NILDE IOTTI, comunista, ex Presidente della Camera, nel 1941 si iscrive al Partito Nazionale Fascista e nel 1942 aderisce alla G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio). LUIGI LONGO, comunista, negli anni ’30 dirigeva a Pisa il giornale degli universitari fascisti e nel 1936 è tra i firmatari con Togliatti e Leo Valiani del manifesto del Pci che dichiara “Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori”. EUGENIO SCALFARI, fondatore del quotidiano di sinistra LA REPUBBLICA, sostiene la politica razziale del Governo e scrive su “ROMA FASCISTA” del 24 settembre 1942 un articolo intitolato “volontà di potenza” in cui afferma che “non è più sufficiente limitarsi all’Impero, ma bisogna andare oltre facendo leva su due elementi ben distinti: il popolo e la razza”. ALDO MORO, nel 1943 raccoglie in un volume dal titolo “Lo Stato” le sue lezioni universitarie infarcite di nozioni sullo Stato etico, di elogio della guerra quale “tipica realizzazione di giustizia…” e di condivisione del concetto di razza. BENIGNO ZACCAGNINI, democristiano, nel 1939 pubblicava su Santa Milizia, periodico della federazione fascista ravennate, ben tre articoli di politica razziale e contro il meticciato. GIOVANNI SPADOLINI, collaboratore di Giovanni Gentile, scrive su “Italia e Civiltà” del 15 febbraio 1944 un lungo articolo di sprone al Governo Mussolini e di denuncia contro gli “...opportunisti, i rimasugli della massoneria e i detriti del judaismo”. ANTONELLO TROMBADORI, leader comunista, nel 1937 entrò nella redazione del quotidiano il “Tevere” diretto di Interlandi, noto per le sue campagne di stampa contro gli ebrei.
Contestare una targa ricordo a Giovanni Gentile per i suoi meriti in campo accademico solo perché nel momento della sconfitta non rinnegò i suoi principi è non solo ingiusto, ma soprattutto offensivo nei confronti di tutti coloro che, a prescindere dalle loro idee, hanno ancora oggi la forza ed il coraggio di rischiare per i loro ideali. Diceva Ezra Pound, il grande poeta amico e sostenitore di Mussolini internato dagli americani in un manicomio criminale alla fine della guerra, “chi non è disposto a rischiare per le sue idee o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui.
Giovanni Gentile fu, con Benedetto Croce, l’esponente principale del neoidealismo italiano. La sua visione del mondo, quella di un Umanesimo del Lavoro capace di realizzare un’autentica giustizia sociale, lo portò a rielaborare in forma organica l’idealismo di Hegel.
Il suo nome è legato alla prima (e a tutt’oggi unica) riforma organica della scuola italiana, affidando all’insegnamento della filosofia e delle materie umanistiche un ruolo centrale nello sviluppo pedagogico dello studente; all’Enciclopedia italiana (con G.Treccani) alla cui realizzazione Giovanni Gentile chiamò, al di sopra delle parti, le massime autorità scientifiche dell’epoca senza alcuna distinzione di credo politico affinché quest’opera monumentale (36 volumi) rappresentasse la summa del sapere italiano; alla Normale di Pisa, ristrutturata, potenziata e resa di gran prestigio.
L’influenza di Gentile sulla cultura italiana, accresciutasi nel tempo per merito delle sue pubblicazioni, delle iniziative con Benedetto Croce e della produzione della sua scuola filosofica, fu enorme e si estese anche grazie agli innumerevoli incarichi che ricoprì durante il regime fascista, cui aderì con entusiasmo e coerenza. Va ricordato, a riguardo, l’estensione del ”Manifesto degli intellettuali italiani fascisti ” (che sancì la definitiva rottura con Croce) che recava firme illustri tra cui quelle di Luigi Pirandello, Gioachino Volpe, Curzio Malaparte, Filippo Tommaso Marinetti, Enrico Corradini e Giuseppe Ungaretti.
Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, presidente dell’Accademia d’Italia e Ministro della Pubblica Istruzione durante il primo governo Mussolini (1922-1924).
Nell’esperienza storica avviata da Mussolini, Giovanni Gentile vide quella sintesi tra pensiero e azione necessaria per portare a compimento il processo risorgimentale (depurato dalle scorie del liberalismo e superate le contraddizioni del socialismo) e gettare le basi per la costruzione di uno Stato moderno: lo Stato Nazionale del Lavoro.
Dopo la crisi del 25 luglio 1943, aderì alla Repubblica Sociale Italiana come atto di fede nella capacità rigeneratrice dell’Italia e di stima per Benito Mussolini. Sapeva, come moltissimi giovani che risposero all’appello del Duce, che difficilmente sarebbe sopravvissuto a quell’avventura e che, viceversa, si sarebbe salvato standosene tranquillo in disparte.
Fece opera di riconciliazione tra le parti per evitare una guerra fratricida che avrebbe (cosa che puntualmente avvenne) diviso gli italiani per generazioni.
L’assassinio di Giovanni Gentile, avvenuto Il 15 aprile del 1944 ad opera di un gruppo di partigiani antifascisti, giunse a ciel sereno: c’erano state solo alcune minacce alla rivista fiorentina da lui diretta ed estese ai suoi collaboratori, fra cui spiccavano i nomi di Ardengo Soffici e del futuro leader repubblicano Giovanni Spadolini e alcuni attacchi volgari dai microfoni di radio Londra.
La morte di Gentile, cui seguì la demolizione intellettuale e morale di Benedetto Croce, fu voluta soprattutto da Togliatti per sgombrare il campo filosofico nella prospettiva di un’egemonia culturale marxista e fece tirare un sospiro di sollievo ai tanti intellettuali antifascisti che, come afferma Paolo Mieli nel suo saggio ”Una rilettura liberale di Giovanni Gentile”, durante il regime poterono campare scrivendo.
La grandezza postuma di Gentile non sta solo nella sua statura di pensatore e uomo di cultura, ma anche nell’aver tenuto ferme, fino alle estreme conseguenze, le proprie idee: una coerenza che per quanti si schierano a destra dovrebbe essere d’esempio soprattutto oggi, nel momento in cui, come dice una bella canzone della Compagnia dell’Anello, “stiamo buttando alle ortiche, per inseguire il potere, la nostra Fede più antica e le ragioni più vere”.
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=12289
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In Italia vi furono moltisssimi fascisti poi divenuti antifascisti, è vero. Il vero problema dell'Italia è stato sempre uno solo: il trasformismo.
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