di Tobia De Stefano
Facile invocare una patrimoniale con il patrimonio degli altri.
Più complicato, e apprezzabile aggiungiamo noi, sarebbe chiederla mettendo sul piatto il proprio tesoretto.
L’appello, va da sè, è rivolto in primis alla Cgil, che per bocca di Susanna Camusso, non più tardi di una settimana fa, l’ha «suggerita» al governo per finanziare la riforma degli ammortizzatori sociali (aveva fatto lo stesso a fine dicembre del 2011 per far ripartire la crescita e a metà novembre barattandola con l’Ici) ma anche a Cisl e Uil.
E certo, perché mettendo insieme la ricchezza dei tre principali sindacati del Paese ne viene fuori un bel gruzzoletto, pronto alla tassazione.
A dir il vero l’operazione non è così semplice come potrebbe sembrare, perché i nostri si astengono dal presentare un bilancio consolidato (la Uil però, per bocca del suo tesoriere, Rocco Carannante, ci tiene a sottolineare che da anni ne redige uno «rispondente alle regole europee»), ma andando a spulciare e nel libro cult di Stefano Livadiotti, «L’altra casta», si possono mettere alcuni punti fermi.
Il primo, la cifra azzardata per difetto una decina di anni fa da Daniele Capezzone è ancora estremamente attuale: 3 mila e 500 miliardi delle vecchie lire (qualcosa in più di un miliardo e mezzo di euro).
Il secondo, la Cgil (secondo un’inchiesta mai smentita dell’Espresso) vanta un fatturato annuo di circa un miliardo. Terzo, è proprio il patrimonio immobiliare la vera fortuna di Camusso, Bonanni e Angeletti.
Tutto nasce da una legge del 1977 che ha attribuito loro il patrimonio dei disciolti sindacati fascisti. Cosa vuol dire? Che quando andiamo a cercare le sedi delle principali confederazioni e vediamo che sono ubicate in zone centrali e assai costose di molte città non dobbiamo meravigliarci, si tratta di una gentile concessione dello Stato.
Morale della favola: la sola Cgil può vantare circa tremila sedi, la Cisl arriva a quota cinquemila, mentre la Uil fa storia a parte. «Abbiamo creato – spiega Carannante a Libero - una società ad hoc (Labour Uil) che oggi dichiara immobili per un valore storico di circa 32 milioni di euro (ma quello di mercato è il triplo), mentre la nostra sede a Roma (in via Lucullo ndr) si può stimare in 70-80 milioni considerando anche l’impianto fotovoltaico che abbiamo realizzato».
Di soli immobili però non si campa.
E così bisogna risalire ad altre voci per capire la reale portata della cassa sindacale.
Per esempio, al miliardo tondo tondo preso ogni anno da stipendi e pensioni degli iscritti per pagare le tessere.
E pensare che nel 1995 la maggioranza degli italiani aveva aderito e votato sì al referendum radicale per abolire la trattenuta automatica in busta paga. Ma è come se non l’avesse mai fatto.
Poi ci sono i Caf (centri di assistenza fiscale), una vera gallina dalle uova d’oro.
Per dare qualche numero: nel 2006 Cgil, Cisl e Uil hanno guadagnato 90 milioni di euro solo dall’Inps per le dichiarazioni dei redditi dei pensionati e poi altri 80 per quelle degli attivi.
E vuoi che i contribuenti non abbiamo versato di tasca loro un obolo ai loro benefattori?
Bene, sempre nel libro di Livadiotti questo regalo è stimato da Giuliano Cazzola in 175 milioni di euro.
Per non parlare del giro d’affari da 350 milioni all’anno dei patronati (le strutture di diretta emanazione sindacale che assistono i cittadini nelle pratiche previdenziali e in quelle per la cassa integrazione e il tfr) e del business dei fondi europei sulla formazione.
Insomma, ai sindacati una bella patrimoniale non farebbe male, anche perché, a proposito di tasse, sono esentati dal pagamento dell’Ici o Imu.
«La paghiamo - spiega Carannante - quando svolgiamo un’attività commerciale.
Siamo esenti solo sugli immobili dove svolgiamo attività sindacale». Proprio come per la Chiesa.
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