Lorenzo Del Boca
Il Risorgimento è quello che ci hanno insegnato a scuola? Nelle pagine dei sussidiari è uno spreco di retorica e di buoni sentimenti, capaci di allineare un repertorio raro di luoghi comuni.
Gli autori, a ogni capoverso, si sono impegnati a citare: la nazionalità, la riunione, l'autonomia, l'indipendenza, l'unificazione. E tutto rappresenterebbe la pietra angolare dei nuovo edificio sociale dove dovrebbero coesistere libertà, coscienza, Dio e popolo, religione, solidarietà, gloria, diritto insopprimibile delle genti, redenzione, nuova alba e rinnovellate speranze.
Mica facile! E stato necessario scuotere il giogo, sotto gli occhi dell'Europa che ci guardava, mettere in campo animi indomiti e tenaci speranze, spezzare le catene della tirannide e attuare un'idea vagheggiata per secoli.
Non basta: si è dovuto passare per i nostri voti e le nostre convinzioni, per i supremi momenti e le supreme speranze, per il solenne fremito, il solenne palpito e il consenso dell'umanità ? manco a dirlo ? solenne.
Però, ormai, l'ora era suonata ed era scoccato il tempo dei forti.
Palpitava il cuore dei patrioti tanto da realizzare un destino irreversibile: abbiamo avuto ragione della forza brutale e liberticida, delle inique mene dei tristi e dei tanti tirannelli austriacanti.
L'animo indomito e tenace ha consentito di affrontare lo straniero che è stato cacciato e quando l'ultimo barbaro ha lasciato il sacro suolo, un'alba radiosa si è levata a salutare la nuova Patria. Patria da scrivere sempre con la p maiuscola.
Questa ? almeno ? è la storia dei Risorgimento che hanno insegnato a me! lo ci ho
creduto, l'ho imparata così e con quegli argomenti ho risposto agli insegnanti quando mi interrogavano.
Ma adesso i ragazzini che frequentano la quinta elementare in questo avvio di terzo
millennio possono accontentarsi di frasi fatte e proclami roboanti?
"I Savoia conoscono la via dell'esilio e non del disonore..." "Qui ci siamo e ci
resteremo..." " Non siamo insofferenti al grido di dolore che da tante parte d7talia sale verso di noi..." Saluto il re d'Italia.. Sono io che saluto il mio più grande amico...". Qualcuno ci crede ancora?
La storia dei Risorgimento tutta trionfi, allori, romanticismo e altruismo è una mezza storia. L'altra metà, quella dei furbi, degli approfittatori, dei ladri e dei truffatori quando aspettiamo a raccontarla?
Goffredo Mameli, indicato come l'autore dell'inno nazionale, non ha inventato nulla. Le strofe della canzone le ha rubate al frate che lo ospitava nel convento di Carcare in Liguria.
A quel poveraccio di don Cannata non restò che lamentarsi in poesia. "Meditai robusto
canto i ma venali menestrelli i Mi rapinar dell'arpa il vanto".
Il museo nazionale dei Risorgimento di Torino nasconde due bandiere tricolore,
strappate, come preda di guerra, ai napoletani della Due Sicilie.
Ma il verde?bianco?rosso non era il "nostro"?
Se lo portavano gli uomini dei Sud ci sarebbe qualche cosa da spiegare. Per non
sforzarsi troppo con la testa, meglio chiudere tutto in una cassapanca e tenerla in un ripostiglio.
E Giuseppe Verdi, il mito dei patriota convinto, era un vigliacco.
Quando il governatore austriaco lo chiamò per chiedergli ragione dei fatto che il canto di quel coro dei Nabucco infiammava gli spettatori dell'opera, si difese come il più spregiudicato degli scaricabarile.
"Ioooo ... ?!?! Io ho composto la musica. Se le parole servono da propaganda
anti?austriaca prendetevela con chi le ha scritte". E Temistocle Solere, l'autore, dovette scappare per evitare guai, anche se il suo patriottismo è dei tutto sconosciuto. In compenso Verdi, per onorare i principi della par condicio tricolore, compose un inno nazionale da dedicare al Borbone.
Lo intitolò "Patria" ? inizio "moderato e maestoso" per pianoforte e canto ? modellando il suo lavoro sulla falsa riga della romanza "Si risvegli il leon di Castiglia". Per un secolo e mezzo si è scritta e tramandata una storia scritta dai vincitori per celebrarne le glorie.
Qualche volte si è trattato di mistificazione vera e propria come se non fossero esistiti meriti dalla parte degli sconfitti e come se i vincitori rifulgessero di luce cristallina. Un'esagerazione che ha consentito di chiamare "Re Bomba" il Borbone che aveva usato la mano pesante con gli insorti di Palermo.
In compenso Vittorio Emanuele Il che fece piazza pulita a Genova, a Messina e a
Palermo ? due volte ? è entrato nell'agiografia come 1l Galantuomo".
Non c'è libro che non citi con orrore le tragedie delle Fosse Ardeatine, di Cuneo "che brucia" o dei paese di Marzabotto incendiato dai nazisti.
Nessun libro di scuola cita le vicende di Pontelandolfo e Casalduni e pochi ? anche gli addetti ai lavori ? sono in grado di descrivere con competenza gli assalti ai paesi di Auletta (nella provincia Citeriore), Rignano (in Capitania), Campochiaro e Guardiaregia (nel Molise), Vesti, Vico Palma e Barile in Basilicata.
Migliaia di meridionali marchiati con l'accusa di essere briganti: trucidati, squartati, gettati nelle fosse comuni, infangati e infamati.
Costretti a perdere la casa, gli animali, il lavoro, la patria. Obbligati a emigrare per cercare fortuna fuori dall'Italia.
Si giustificarono con i principi della libertà. Ma, la libertà, la portarono sulla punta delle baionette e la fecero vedere dal mirino degli schioppi. In un contesto di evidente contraddizione i fratelli liberatori tennero prigionieri i fratelli liberati, li torturarono, li massacrarono, li crocefissero.
Ed ebbero la spudoratezza di descriverli come africani ?"affricanf' dicevano, con due
effe ? essere inferiori, culturalmente impreparati, socialmente pericolosi.
Forse occorre rivedere il passato con occhio più neutro e con disponibilità a mettere in discussioni i troppi luoghi comuni che ci hanno accompagnato per un secolo e mezzo.
Questo numero speciale di Due Sicilie non è per fare un'altra storia, ma,almeno,per
costruire i presupposti di un recupero dei nostro passato che sia,contemporaneamente,
accettato e condiviso.
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