10 giugno 1940: le vere motivazioni della guerra italiana
«La guerra del sangue contro l’oro»
di Maurizio Barozzi
AVVERTENZA
L’analisi
storica qui appresso riportata cerca di attenersi il più possibile a
dati, avvenimenti e fatti comunemente conosciuti, appurati o
dimostrabili.
Unica eccezione l’abbiamo fatta per descrivere quanto è probabilmente accaduto, dietro le quinte, tra Mussolini e Churchill al
momento della nostra entrata in guerra (10 giugno 1940). Del resto
questo “segreto”, pur non potendolo oggettivamente comprovare, visto che
ogni documentazione in merito è stata fatta sparire, ha vari riscontri e
testimonianze ed è anche facilmente deducibile da tutta una serie di
circostanze e dalla logica stessa di quegli avvenimenti. A nostro avviso
quindi, quella misteriosa vicenda da “diplomazia segreta”, oramai non
costituisce più un mistero impenetrabile.
Volutamente, invece, non vengono presi in considerazione tanti particolari ed informazioni più o meno segrete ed episodi che si sono svolti
dietro le quinte della storia, laddove ci siamo limitati ad accennare
all’operato di certe “Consorterie” o Lobby, non meglio specificate, ma
sempre riferibili al grande potere e agli interessi di quella International Banking Fraternity, la
potente confraternita nota con il nome edulcorato di Alta Finanza che
aveva i suoi Templi sull’asse City di Londra – Wall Street New York.
Ciò
non toglie, però, che gli avvenimenti storici non sono, non possono
essere, solo quelli che appaiono in superficie, perché interagiscono nei
fenomeni umani, non solo fatti imprevedibili, ma anche strategie
occulte, ben calcolate, che si sommano a tutta una serie di fatti e
concause, restando spesso nascosti dietro le quinte della storia.
Nelle
vicende umane, sia dei popoli che dei singoli individui, ogni volta che
si presentano personaggi, forze e avvenimenti di una certa rilevanza, a
volte naturali e inevitabili altre volte, creati a tavolino, ci sono
sempre e comunque altre forze, altri poteri che tendono a condizionarli o
piegarli ai propri fini.
È questa una legge storica inevitabile.
Chi
strilla al “cospirazionismo”, spesso può avere ragione, se i fatti da
cui questo “complottismo” nasce, non sono pienamente appurati e
oggettivi, ma a volte è un ignorante o un deficiente che non vuol aprire
gli occhi.
Abbiamo
comunque scelto di seguire una pacata, e il più possibile comprovata,
metodologia storiografica per la semplice ragione che è già arduo, di
per sè stesso, far accettare una confutazione della storiografia
“politicamente corretta”, retaggio dellapropaganda di
guerra Alleata, attraverso fatti ed elementi comunemente conosciuti;
addentrandoci viceversa in una controinformazione che prendesse in
considerazione elementi occulti ed informazioni non alla portata di
tutti o non ben comprovabili, si sarebbe corso il rischio di confondere o
non farsi capire da molti lettori.
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INTRODUZIONE
La ricerca storiografica, piaccia o meno, dovrebbe trascendere da considerazioni di ordine morale o di diritto, essendo questi degli aspetti del tutto secondari e fuorvianti, e attenersi invece ad un semplice postulato ben noto a storiografi e ricercatori anche se, interessi di varia natura, spesso inducono poi costoro a ignorarlo:
nei conflitti bellici, quando si parla di Nazioni non ci sono in assoluto i “buoni” e i “cattivi” né, in definitiva, se non in via transitoria
e contingente, ci sono gli “aggrediti” o gli “aggressori”, perché lo
stato di guerra -e non di pace- è lo stato ricorrente degli esseri umani
e quindi di conseguenza dei popoli.
Non è un caso che i buoni e gli aggrediti di oggi, cambiando le condizioni storiche ed i rapporti di forza, spesso divengano i cattivi e gli aggressori di domani.
Certe categorie di giudizio appartengono semmai al piano etico ed
ideologico, così come considerazioni di carattere “morale” possono poi
applicarsi a posteriori alla visione d’insieme della Storia, ma non
possono condizionare la ricerca storiografica.
La guerra, infatti, è la “prosecuzione della politica con altri mezzi” e
rappresenta la volontà di potenza dei popoli, lo scontro, l’ascesa ed
il declino delle civiltà e gli interessi dei rispettivi Stati (i
marxisti direbbero: dei gruppi economici).
Le
necessità geopolitiche, i contrasti ideologici, gli interessi economici
che portano alla guerra, sono superiori a tutto e trascendono
inevitabilmente, piaccia o meno, gli aspetti morali o le ragioni deldiritto dei popoli.
La
parola “guerra” poi ha un significato molto generico ed estensivo,
perché rientra perfettamente in questo vocabolo anche quella
conflittualità non ben visibile che determina la risoluzione dei
contrasti finanziari e sociali, laddove lo scontro, spesso violento e
ricattatorio, è trasposto su di un piano economico e finanziario, al
fine di piegare altrui volontà o di puntare alla conquista di spazi e mercati a danno di altri.
Senza dimenticare poi il permanente stato
bellico delle organizzazioni criminali, dei servizi segreti, ecc.,
insomma, tutte situazioni attestanti un archetipo umano conformato
sull’affermazione di sè, sul dominio, la conquista e il mantenimento del
potere, anche e soprattutto attraverso l’uso della violenza di vario
genere e natura e più o meno edulcorata o giustificata.
Questa è la “natura umana“, per fortuna bilanciata da tante altre virtù e aspetti generosi e positivi nell’uomo. L’affermazione che «se non si vuol portare le proprie armi si finisce per portare quelle degli altri», non è una frase propagandistica, ma una realtà immutabile dell”esistenza.
Certo,
il simpatizzare e lo schierarsi con il più debole, con l’aggredito di
turno e così via, è una componente generosa ed innata nell’essere umano,
e lo sa bene la propaganda di guerra che cerca sempre di presentare, in un contesto di diritto e giustizia, o come reazione ad una altrui aggressionele proprie “sacrosante” guerre (quante false flag hanno
determinato il casus belli!). La verità oggettiva dei fatti e degli
eventi storici però non è riducibile ad un fattore di semplice diritto e del resto la stessa verità non può essere strumentalizzata per consolarsi, assolvere o accusare visto che la guerra trascende in assoluto tutti questi aspetti morali.
La versione addomesticata della Seconda Guerra mondiale
Semplificando e sintetizzando quanto viene spacciato dalla storiografia ufficiale, la Seconda Guerra Mondiale sarebbe dipesa dalle velleità di dominio planetario
di un esaltato, Hitler che, sostenuto dal militarismo (inizialmente
titubante, ma poi sempre più convinto dai ricorrenti successi
hitleriani) e dalla grande industria tedesca (bramosa di espansione),
aveva avuto per anni, con la sua spregiudicatezza, buon gioco sulle
nazioni democratiche, grazie anche all’ingenua politica inglese diappeasement negli anni ’30.
Ma
Hitler, prosegue questa storiella per ingenui, inebriato dai successi
conseguiti con i suoi colpi di mano: rimilitarizzazione della Renania,
anschluss in Austria (tra l’altro desiderato dalla stragrande
maggioranza degli austriaci), Sudeti e occupazione della Cecoslovacchia,
ecc., non riuscendo più a controllarsi nelle sue conquiste ai danni dei
paesi limitrofi (che poi non erano “conquiste” ma semmai
riappropriazioni di quanto precedentemente rapinato alla Germania),
arrivò all’invasione della Polonia, provocando la legittima reazione
armata delle grandi democrazie.
Uno scenario analogo viene disegnato per gli USA alle prese, si dice, con i fanatici militaristi che
avevano preso il potere in Giappone e minacciavano i mercati ed i
commerci nel sud est asiatico tendendo ad assoggettare ed occupare le
nazioni asiatiche a cominciare dalla Cina. Una versione questa che
capovolge fatti e responsabilità ed arriva a legittimare le ingerenze,
le prepotenze e le pretese americane per quei luoghi a loro lontani che,
semmai, avrebbero dovuto costituire materia riservata agli asiatici.
L’Italia
infine, ci illustra ancora questa storiografia mendace, grazie ad un
dittatore megalomane e nonostante non fosse in condizioni di sostenere
una guerra, fece il classico passo più lungo della gamba, illusa dalle
stupefacenti vittorie tedesche e si gettò a capofitto nel baratro del
conflitto.
Insomma, da anni, ci viene riproposta niente altro che la vecchia propaganda di guerra Alleata con la solita distinzione tra buoni e cattivi, tra guerrafondai aggressori e smaniosi di dominare il mondo epacifiche nazioni democratiche aggredite.
Niente
di tutto questo, però, corrisponde alla verità ed a come sono
effettivamente andate le cose, perché le cause della guerra, gli eventi
che la determinarono e la sua dinamica complessiva avevano altre
motivazioni e si erano svolti in ben altro modo.
Oggi,
anche alla luce di quanto è avvenuto nel dopoguerra, con gli assetti e
gli Istituti mondialisti, conformi ad un dominio dell’Alta finanza sugli
Stati, che sono stati imposti a quasi tutti le nazioni del mondo, si
può individuare il momento di “rottura” dei sottili equilibri mondiali,
che determinò definitivamente la decisioni di scatenare una guerra
contro gli stati fascisti europei. Questo avvenne, più o meno, attorno
al 1937 quando la Germania, priva di oro e di moneta, cercò di impostare
gli scambi internazionali anche sulle basi del “baratto”, ovvero
prendere le materie prime dai paesi produttori e pagarle con prodotti
finiti di alta tecnologia. In pratica si cercava, in prospettiva, di
sostituire l’oro e la moneta con la “forza e tecnologia del lavoro”,
eliminando oltretutto i profitti delle intermediazioni bancarie.
A
questo tipo di traffici commerciali che si iniziarono con alcune
nazioni, anche del sud America ed a cui altre nazioni sembravano volerne
seguire l’esempio, si aggiunse in Germania, nel giugno del 1939, una
Legge che sottopose la Reichsbank tedesca sotto l’egida dello Stato
(avrebbe risposto direttamente al Führer) e lo Stato si riappropriava
anche del controllo monetario.
Era
l’inizio della fine del cosiddetto “signoraggio” ovvero della
commissione data dai singoli Stati alle Banche centrali, in mani
private, di emettere moneta praticandoci sopra un interesse. Un sistema
che si era ulteriormente perfezionato quando, nel 1913, negli Stati
Uniti, venne varato il Federal Reserve System ponendo l’immenso e ricchissimo stato americano sotto dittatura bancaria.
Ecco
allora venir fuori uno dei motivi veri di quella guerra: una nazione
che rifiuta di indebitarsi, che cerca di tagliare fuori le
intermediazioni bancarie negli scambi internazionali, che oltretutto
interrompe il signoraggio delle cosiddette Banche Centrali, è una minaccia mortale per i banksters.
Lo stesso Winston Churchill nel 1960 ebbe a dichiarare:
«Il
delitto imperdonabile della Germania prima della Seconda Guerra
Mondiale fu il suo tentativo di sganciare la sua economia dal sistema di
commercio mondiale, e di costruire un sistema di cambi indipendente di
cui la finanza mondiale non poteva più trarre profitto».
Ma anche il generale J. P. C. Fuller, storico di quella guerra intuì che:
«Quel
che ci spinse in guerra contro Hitler non fu la sua dottrina politica;
la causa stavolta fu il suo tentativo coronato da successo di dare vita a
una nuova economia. La prosperità della finanza internazionale dipende
dall’emissione di prestiti a interesse a nazioni in difficoltà
economica. L’economia di Hitler significava la sua rovina. Se gli fosse
stato permesso di completarla con successo, altre nazioni avrebbero
certo seguito il suo esempio, e sarebbe venuto il momento in cui tutti
gli stati senza riserve auree si sarebbero scambiati beni contro beni;
così non solo la richiesta di prestiti sarebbe cessata e l’oro avrebbe
perso valore, ma i prestatori finanziari avrebbero dovuto chiudere
bottega. Questa pistola finanziaria era puntata in modo particolare alla
tempia degli Stati Uniti».
Considerazioni alle quali fece eco, nel 1992, James Baker, segretario agli esteri statunitense che dichiarò: «[La seconda guerra mondiale] era solo una misura economica preventiva».Furono probabilmente proprio questi nuovi indirizzi politico finanziari che si stavano attuando in Europa, la vera goccia che fece traboccare il vaso ed accelerarono gli avvenimenti verso la guerra. Queste intrusioni dello Stato, nei domini dell’Alta finanza, infatti, non potevano essere assolutamente tollerati perchè avrebbero letteralmente smantellato e “rovinato” il potere mondiale dellaInternational Banking Fraternity, che tanto aveva faticato negli ultimi tre secoli per raggiungere le posizioni di potere e signoraggio a cui era giunta. Oramai la parola doveva passare al cannone!
Considerazioni alle quali fece eco, nel 1992, James Baker, segretario agli esteri statunitense che dichiarò: «[La seconda guerra mondiale] era solo una misura economica preventiva».Furono probabilmente proprio questi nuovi indirizzi politico finanziari che si stavano attuando in Europa, la vera goccia che fece traboccare il vaso ed accelerarono gli avvenimenti verso la guerra. Queste intrusioni dello Stato, nei domini dell’Alta finanza, infatti, non potevano essere assolutamente tollerati perchè avrebbero letteralmente smantellato e “rovinato” il potere mondiale dellaInternational Banking Fraternity, che tanto aveva faticato negli ultimi tre secoli per raggiungere le posizioni di potere e signoraggio a cui era giunta. Oramai la parola doveva passare al cannone!
In
definitiva, girando e rigirando, i particolari e i veri presupposti
storici che determinarono la Prima e la Seconda guerra mondiale
troviamo, senza ombra di dubbio, due motivi fondamentali, mai espressi
esplicitamente, ma che sono facilmente riconoscibili ad una attenta
disamina e osservazione storica:
1. il possesso o il controllo delle risorse energetiche, in particolare il petrolio.
2.
il potere, oramai da configurarsi in ambito planetario che consentiva
le speculazioni della finanza mondiale. Una ingerenza questa, rispetto
agli Stati sovrani e alle Nazioni e dinastie appositamente indebitate,
da difendere e ampliare con ogni mezzo, specialmente dopo il varo del Federal Reserve Sistem (1913)
che aveva garantito un diabolico meccanismo speculativo, di controllo e
potere bancario trans e over nazionale, messo nelle mani delle grandi
banche private.
Queste
due specifiche condizioni geopolitiche, tradotte in termini concreti e
in nomi, possono configurarsi in tre nominativi: i Rothschild innanzi
tutto, quindi i Rockefeller e i Morgan, che sono le grandi dinastie
finanziarie che controllavano la finanza mondiale e la proprietà dei
grandi giacimenti di petrolio. Attorno ad essi ruotano un pugno di altre
grosse famiglie che avevano il controllo di grandi banche e istituti di
credito.
Furono
questi “poteri” che progettarono e determinarono la Prima e la Seconda
guerra mondiale, quale un unico atto da realizzarsi in due tempi, e che
avrebbe dovuto portare tutto il pianeta nella condizione di realizzare i
presupposti ideologici mondialisti, che oggi vediamo attuarsi
dappertutto.
Insomma,
traducendo in termini politici tutto questo, non possiamo che ripetere
un passaggio in una celebre intervista al professor Antonio Pantano,
nella quale così si esprimeva:
«La
seconda guerra mondiale fu attuata per cancellare il vero concetto di
“Stato”, sorto in Italia sulle ceneri del tentativo di “stato liberale”
generato dalla “nomenclatura” oligarchica del “vecchio regime
settecentesco”: un paternalismo elitario condito con l’acqua santa del
cristianesimo e l’incenso delle logge massoniche. Il nuovo “Stato”
moderno e sociale fu intuizione maturata nell’animo di pochi, che
Mussolini concretò. Stato moderno. Popolo e governo in unico spirito».
Ed in effetti, se consideriamo il modello di Stato che si impose con i regimi fascisti in Europa, uno Stato sovrano, dove gli aspetti etici e politici, avevano assoluta preminenza su gli aspetti e gli interessi economico-finanzari, vediamo come questo modello sia l’esatta antitesi, il pericolo mortale per gli interessi dell’Alta Finanza.
Ed in effetti, se consideriamo il modello di Stato che si impose con i regimi fascisti in Europa, uno Stato sovrano, dove gli aspetti etici e politici, avevano assoluta preminenza su gli aspetti e gli interessi economico-finanzari, vediamo come questo modello sia l’esatta antitesi, il pericolo mortale per gli interessi dell’Alta Finanza.
I presunti sogni di dominio mondiale di Hitler
Senza
voler considerare gli assetti postbellici, vessatori e pesantemente
iniqui imposti alla Germania con la conferenza di Versailles del 1919,
tali da configurarsi in una vera e propria rapina ai danni del popolo
tedesco, i quali già da soli davano il diritto ed il dovere a
questo popolo di riprendersi quanto gli era stato derubato e di
rifiutare, non appena le forze lo avessero permesso, quanto gli era
stato imposto con la prepotenza delle armi (perché altrimenti
sconfineremmo in valutazioni idealistiche qui non pertinenti),
occorre senz’altro affermare che già da una semplice, ma esauriente e
obiettiva osservazione della struttura militare tedesca (attrezzata con
delle forze armate di tipo continentale) e degli obiettivi
strategici della sua politica internazionale (espansionismo ad Est) si
riscontra, inequivocabilmente, che non c’era in atto alcun progetto per
un possibile dominio mondiale da parte di Hitler.
La
visione geopolitica di Hitler era quella di raggiungere la supremazia
politica, economica e militare nel continente europeo (dominio del
centro Europa) e di conseguire una espansione geografica nei territori
dell’ Est (Russia sovietica). Egli, risoluto ad usare all’occorrenza
anche la forza delle armi, pensava o sperava, anzi era questa la
condizione principale del suo progetto, di poter conseguire e
soprattutto mantenere questi obiettivi attraverso un accordo globale con
la Gran Bretagna. Agli inglesi avrebbe garantito l’Impero, il cui ruolo
geopolitico riteneva fosse anche funzionale alla protezione dell’Europa
ed anzi, per l’estremo oriente, vedeva persino di buon occhio il ruolo
di “guardiano” che vi esercitava la Gran Bretagna.
Al
contempo e fino a quando gli Stati Uniti non fossero assurti ad una
politica di egemonia e di ingerenza nel contesto europeo, Hitler pensava
di mantenere un rapporto di reciproco interesse commerciale e reciproco
disinteresse politico con questa immensa nazione, disinteressandosi
della loro egemonia nel continente latino americano e nel pacifico.
Al
di là di quanto a tutt’oggi pur si conosce, su la politica hitleriana e
su le relazioni internazionali di quel periodo tutto questo, come
accennato, è altresì indicato inequivocabilmente, proprio dal tipo di
riarmo tedesco e dalla conseguente composizione delle sue forze armate
di terra, di mare e di cielo, alla vigilia della guerra. Addirittura non
era stato neppure programmato o previsto un adeguato arsenale bellico
atto a sostenere una guerra europea su più fronti e di lunga durata,
figuriamoci se di portata mondiale per una nazione, oltretutto, non
talassocratica.
A
meno che Hitler non fosse stato letteralmente pazzo e con lui
altrettanto folle tutta la classe politica e militare tedesca, sarebbe
stato ridicolo e sciagurato progettare piani di egemonia mondiale ed al
contempo attrezzarsi militarmente per una guerra di stampo continentale e
di breve respiro con programmi di riarmo sul mare (presupposto
indispensabile per una strategia planetaria) limitati ad un contesto
locale e che, al limite, avrebbero potuto, forse, essere incentivati nel
futuro per garantire alla Germania il recupero delle sue ex colonie
sottrattegli con il precedente conflitto. Ma in ogni caso una politica
coloniale tedesca, neppure era, in quel momento, nei pensieri del
Führer.
Che
poi, giocando con il fuoco, Hitler spinse le cose fino ai limiti dello
scontro bellico è un altro discorso, ma resta il fatto che “quello
scontro” venne scientemente programmato e predisposto proprio dalle
grandi democrazie occidentali, dietro cui agiva quella International Banking Fraternity,supportata
dalla Massoneria internazionale le cui strategie di distruzione e
predominio in Europa erano da tempo in atto, tanto da far ritenere che
le due guerre mondiali, Prima e Seconda, non erano altro
che i due atti di una unica conflagrazione divisa da un armistizio
ventennale (simbolo vivente di questa continuità strategica lo si
poteva ravvisare in quel Bernard Baruch, onnipontente finanziere ebreo,
consigliere privato di ben sei presidenti americani a partire da Wilson
e creatore di quellaWar Industry Board, organo di pianificazione centralizzata della produzione bellica).
Fatta
questa constatazione devesi anche osservare come poi si finisca
oltretutto nella farsa, perché chi effettivamente aveva un Impero da
sfruttare e difendere ai quattro angoli della terra, e quindi doveva
giocoforza muoversi in un ottica planetaria, era proprio la Gran
Bretagna (ma anche la Francia non scherzava come possedimenti coloniali e
altrui aree dove esercitava ingerenze), mentre l’altra potenza, gli
USA, stavano già pensando (lo misero in atto nel 1939) al varo di un
costosissimo e immenso piano di riarmo – sui due oceani – con scopi proiettati ad un vero e proprio dominio mondiale.
La
stessa Russia sovietica poi, pur essendo di fatto una forma di
burocratico capitalismo di Stato, mascherato da comunismo, era comunque
animata da una ideologia internazionalista e quindi suo presupposto
logico era la esportazione del comunismo in ogni angolo della terra e la
ricomposizione mondiale di stati e nazioni, conquistati al socialismo e
posti sotto la guida della Grande Madre URSS che però mostrava chiaramente di riprendere, ampliandoli, i sogni di espansione degli Zar.
Quando
infatti la crisi europea cominciò a raggiungere stati di tensione
notevole, l’Urss mostrò di voler intraprendere un evidente espansionismo
dinamico a cui Stalin non rinunciò mai, tanto che oggi viene ben
supposto che gli aiuti, più o meno segreti, ma evidenti, dati in
qualche modo alla rinascita delle forze armate tedesche negli anni ’20,
portavano in sè anche la nascosta e sottile strategia di usare la
Germania come un ariete, per uno sconvolgimento bellico in Europa, per
poi attaccarla al momento opportuno e quindi occupare il massimo di
estensioni territoriali e punti strategici nel continente.
Non
fu un caso che l’attacco Hitleriano alla Russia del 22 giugno 1941
venne coronato da un incredibile successo iniziale, reso possibile dal
fatto che l’attacco sorprese le armate sovietiche durante l’attuazione
di una loro dislocazione strategica di tipo offensivo (che non fu
possibile correggere in corsa pur essendo i sovietici, all’ultimo
momento, venuti a conoscenza dei piani di invasione dei tedeschi), in
previsione di un imminente attacco alla Germania, venendo così precedute
nell’aggressione, di poche settimane.
Tutta
questa situazione è altresì attestata dalle vicende storiche di quegli
anni che ci mostrano una Gran Bretagna, non solo impegnata ad imporre,
con le buone e le cattive, la sue egemonia in Africa, in Medio ed
Estremo Oriente (in particolare in India) oltre che nel mediterraneo, ma
come sempre anche attiva nella sua atavica politica tesa ad impedire il
coagularsi nel centro Europa di una entità egemonica, militarmente ed
economicamente forte.
Con
questi presupposti, nel biennio ’34 /’35, fu proprio la politica
inglese che, almeno in parte, consentì alla Germania una crescita
politica e militare, visto che, in ogni caso, i tedeschi si erano
impegnati, con l’accordo navale del 1935 e a riprova di una strategia
sostanzialmente non antibritannica, a tenere la loro marina ben al di
sotto di quella di Sua Maestà. Era quella inglese, allora, un politica
mossa dall’ottica di mantenere il continente europeo scompaginato e
diviso, ostacolando al contempo anche un eventuale sviluppo eccessivo
dell'”amica” Francia.
Solo dopo che, nei fatti, questo tipo di politica britannica, tesa alla divisione dell’Europa, era da considerarsi superata e
preso anzi atto delle inaspettate grandi capacità di ripresa tedesca e
della forza dinamica della politica nazionalsocialista, essa venne
ribaltata e dal 1936 in avanti si assistette ad un crescente impegno nel
contrastare la rinascita della Germania e ad una lenta ma decisa
politica di riarmo inglese.
Gli effettivi scenari internazionali nel ’39
Se
osserviamo le cartine dell’Europa, prima e dopo la Grande Guerra 1914 –
1918, ci si rende conto quale stravolgimento di situazioni
geopolitiche, futura e sicura causa di eventi bellici, venne brutalmente
imposto in Europa al termine di quel conflitto. E questi stravolgimenti
vennero tutti architettati in esecuzione di un preciso piano, che si
dispiegò attraverso varie strategie finalizzate all’annientamento della
civiltà europea.
Si riscontra, infatti, da una parte, un piano di natura per così dire massonica, che porta alla creazione della Società delle Nazioni ed ai primi organismi mondialisti quali il CFR, ecc., che si può leggere come anti europeo in senso ideale, perché permeato di un presupposto ideologico mondialista di
superamento delle entità nazionali e, dall’altro, una strategia dai
classici canoni nazionalistici, antitedesca in senso stretto e
contingente, perché tendente ad accerchiare la Germania e impedirne la
rinascita, grazie ad una serie di nazioni, soprattutto slave, create
artificialmente e gonfiate a spese della Germania stessa, dell’ex impero
austro ungarico e dell’ex Russia zarista. Una
creazione talmente iniqua e artificiale e foriera di stati di tensione
non controllabili che si sarebbe potuta reggere solo fino a quando la
Germania e la Russia fossero rimaste nello stato di inferiorità
economico e militare post bellico.
In
qualche caso si vuol far passare questi assurdi rimaneggiamenti posti
in atto dalla pace di Versailles come l’ingenuità del presidente
americano Wilson e le sue utopie pacifiste e le relative tattiche per
l’autodeterminazione dei popoli.
Ma
a parte il fatto che Wilson era il semplice esecutore in una ben
individuata lobby massonica che lo gestiva, le cose non stanno affatto
in questo modo, perché le strategie del 1919 furono attuate con
coscienza di causa ed in vista della progettazione di un programma mondialista, transnazionale,teso al superamento ed alla subordinazione degli Stati e delle identità nazionali all’Alta Finanza Internazionale (che
ovviamente non rappresenta soltanto un aspetto finanziario) il cui
sbocco naturale lo vediamo in quanto avviene oggi con il Nuovo Ordine Mondiale post caduta del muro di Berlino e che si vorrebbe un domani far confluire in una ideale e planetaria “Repubblica Universale”.
Senza considerare poi le migliaia di Km2 di colonie, di possedimenti vari rapinati con la guerra agli Imperi Centrali e quello Ottomano oppure estorti, come mandati, da
quelle democratiche nazioni che, già in possesso di enormi estensioni
coloniali, avevano assicurato di essere entrate nella Grande Guerra,
senza alcun fine di conquiste territoriali!
Se
poi andiamo a considerare tanti altri avvenimenti e sviluppi della
seconda metà degli anni ’30, ci rendiamo anche conto come, la politica
di appeasement degli inglesi espletata in quegli anni, lungi dall’essere stata la politica degli ingenui o degli amanti della pace ad ogni costo (gli inglesi, poi, figurarsi!), costituiva invece una opportuna condotta temporizzatrice, dettata
dalla necessità di mediare con le varie componenti interne al paese
(non tutte schierate su posizioni guerrafondaie ed antitedesche), una
politica verso la Germania accettabile da queste componenti, ma
sopratutto era indispensabile per mantenere una desiderata divisione del
Continente e, se necessario, preparare quel riarmo e quella maturazione
politica e propagandistica finalizzata a colpire e distruggere una
volta per tutte la rinata Germania.
Chamberlain
e Churchill, la “colomba” e il “falco”, in definitiva, se si osserva
sopra gli aspetti contingenti e propagandistici della loro politica,
rappresentano due diverse facce di una stessa medaglia ed entrambi sono
espressione di situazioni storiche, politiche e militari, affatto
diverse, ma con lo stesso fine da raggiungere seppur in modi difformi e
secondo le necessità del momento: la distruzione dell’egemonia tedesca
in Europa.
Gli
accordi di Monaco (settembre 1938) furono il limite temporale della
politica di appeasement: da quel momento in poi, essendo l’Inghilterra
sufficientemente in grado di sostenere un conflitto, i suoi
atteggiamenti cambiarono improvvisamente direzione e presero a far soffiare i venti di guerra al
fine di conseguire gli obiettivi strategici da tempo prefissati.
L’incredibile, ipocrita e pericolosissima “garanzia” offerta a marzo del
1939 e confermata ad agosto, alla Polonia, rispecchia perfettamente
l’oramai avvenuto cambiamento di strategia britannica.
La Germania verso la guerra
La Germania di
Hitler, in ogni caso, aveva voluto con tutte le sue forze un riscatto
nazionale dopo le umiliazioni e le privazioni succedute alla Grande
Guerra ed ora, assurta di fatto e di diritto, alla dimensione di grande
potenza, coltivava l’obiettivo di un dominio nell’Europa centrale ed il
sogno di una sua espansione nei ricchi territori dell’Est sovietico che
soli gli avrebbero consentito quella economia autarchica in grado di
sostenere e mantenere, anche in futuro, un ruolo di grande potenza in
tutta sicurezza.
Se
gli inglesi avevano in piedi un vasto impero mondiale, per altro ben
accettato da Hitler, che vi trovava un interesse reciproco per una
barriera di fronte all’oriente, Impero accumulato e strenuamente difeso
nei secoli attraverso guerre, violenza, inganni e stragi; se i francesi
possedevano ampie estensioni coloniali e se gli Stati Uniti, già di per
sè stessi ricchi di ogni risorsa materiale ed energetica, potevano agire
indisturbati nel continente americano e negli scacchieri oceanici, la
Germania a quegli obiettivi geopolitici continentali appena accennati
non vi avrebbe rinunciato per nessun motivo al mondo.
Hitler
era comunque conscio che il fattore tempo giocava un ruolo nefasto
contro le aspirazioni germaniche, perché questo avrebbe consentito,
entro pochi anni, alle nazioni occidentali di raggiungere una
superiorità economica e militare schiacciante sui tedeschi, mentre al
contempo la stessa Unione Sovietica, colosso indecifrabile e minaccioso
mostrava un evidente ed inevitabile espansionismo verso gli Stato
Baltici e nei Balcani e non si poteva di certo scartare un possibile
attacco alla Germania.
Per
il Führer la scelta era obbligata: o soprassedere e rinunciare quello
che riteneva l’indispensabile espansionismo ad Est, visti in prospettiva
i pericoli militari che questo presentava (addirittura una guerra sui
due fronti) o tentare il tutto per tutto, correndo il risch+io di
ritrovarsi, come infatti accadde, proprio in un conflitto che ben presto
divenne di portata planetaria.
Ma
oggi sappiamo perfettamente che, in un caso o nell’altro, qualunque
fosse stata la sua scelta, in un futuro più o meno prossimo e
sicuramente in condizioni per lui più deboli, non avrebbe potuto evitare
lo scontro con l’Inghilterra e/o l’attacco sovietico.
La Germania nazionalsocialista
e l’Italia fascista, anche a prescindere da questi aspetti e contrasti
geopolitici contingenti, dovevano comunque essere prima o poi distrutte
perchè la loro conformazione non democratica delle Istituzioni,
accettata ed esaltata dai rispettivi popoli tanto da configurarsi, come
già accennato, in una sorta di Stato Nazional popolare, la preminenza
data per principio ai loro Stati, agli aspetti etici e politici su
quelli economici e finanziari, la salvaguardia e la valorizzazione dei
loro patrimoni culturali, razziali, ecc., non potevano a lungo termine
essere tollerati dalle grandi Confraternite e Lobby internazionali che
controllavano la politica mondiale, proprio come oggi, quando il
“mondialismo” e la sua ideologia possono dirsi oramai trionfanti, non
viene tollerato nessun tipo di Stato che tende a muoversi su basi di
indipendenza nazionale e proponga anche un timido accenno di politica
eugenetica e antimultietnica.
Come
noto Hitler volle correre il rischio di procedere comunque su quegli
obiettivi che si era preposto, sperando che la prima fase, quella del
conflitto con la Polonia, che avrebbe oltretutto dovuto eliminare
l’assurdità del territorio di Danzica separato dalla madre patria e le
violenze, divenute incontenibili, dei polacchi verso i tedeschi rimasti
intrappolati nei confini arbitrariamente divisi a Versailles, potesse
rimanere localizzata.
In
questo caso, il suo progetto prevedeva che, dopo aver rimodellato la
situazione geografica ad est, Hitler avrebbe potuto pensare al
“problema” sovietico. Non calcolò bene, invece, che ora era interesse
degli occidentali spingere le cose fino allo scontro bellico, anche
perchè psicologicamente, dopo la inevitabile occupazione della
Cecoslovacchia da parte tedesca (marzo 1939) e il protettorato sulla
Boemia e la Moravia, la situazione internazionale era cambiata.
Addirittura anche dalla lontana America, si mosse tutta una diplomazia
sotterranea impegnata a strumentalizzare la Polonia per indurre la
Germania alla guerra.
Precedentemente,
infatti, tutti i passi ed i colpi di mano che avevano consentito ad
Hitler di recuperare le posizioni ed i territori sottrattigli nel 1919,
non avevano potuto essere attaccati propagandisticamente di fronte
all’opinione pubblica mondiale, perché erano stati logici e, possiamo
dire legittimi. A marzo del 1939 però Hitler, come inevitabile
conseguenza degli accordi di Monaco, era entrato a Praga, sia pure
dietro un certo accordo estorto al presidente ceco Hácha, ponendo una
enorme ingerenza tedesca su quel che restava della Cecoslovacchia.
Il
passo successivo fu la richiesta di restituzione ai tedeschi di Memel
da parte della Lituania. Adesso quindi tutti sapevano che sarebbe venuto
al pettine il problema di Danzica e del suo corridoio.
Solo
allora, la propaganda occidentale, una volta offerta una subdola
garanzia politico militare alla Polonia, incentivandone al contempo il
suo carattere già di per se stesso bellicista, ebbe le condizioni
favorevoli per fare di tutta un erba un fascio e presentare gli intenti
tedeschi su Danzica, forse i più legittimi di tutti, come una
usurpazione ed una volontà di conquista indefinita e illimitata da parte
della Germania.
Il
fatto che l’Inghilterra fosse ora in grado di affrontare il rischio di
uno scontro militare, fece il resto e portò inevitabilmente alla guerra.
Fiumi
di inchiostro sono stati versati per rievocare quei giorni di fine
agosto primi di settembre del 1939, ricostruire gli incontri frenetici, i
passi diplomatici dell’ultim’ora, ecc. e magari per voler dimostrare la
volontà bellicista della Germania che portò alla guerra in Europa,
quando l’esatto andamento dei fatti è perfettamente attestato in un
aneddoto tramandatoci da Paul Carrell alias Paul Otto Schmidt,
interprete ufficiale alla Cancelleria del Reich a Berlino. Alla
cancelleria, quando con la guerra che oramai divampava in Polonia,
pervenne ai tedeschi l’ultimatum inglese che intimava il ritiro delle
loro divisioni che avevano passato la frontiera polacca l’interprete, in
piedi, ad una certa distanza dallo scrittoio di Hitler, tradusse
l’ultimatum britannico ad un Hitler impietrito:
«Dopo
un istante che mi parve un eternità, si rivolse a von Ribbentrop,
rimasto immobile davanti alla finestra. “Ed ora?” Chiese Hitler con
sguardo irato, come se volesse far intendere che Ribbentrop l’aveva
informato male sulle probabili reazioni inglesi. A bassa voce von
Ribbentrop rispose: “Prevedo che nelle prossime ore i francesi ci
faranno pervenire un ultimatum negli stessi termini”».
Si
palesava così l’azzardo con cui aveva giocato il Führer il quale,
nonostante avesse modificato, o comunque dilazionato nel tempo i suoi
progetti verso la Russia, addivenendo ad un patto con questa
(Molotov-Ribbentrop 23 agosto 1939) per coprirsi le spalle e sperando
che fungesse anche da deterrente nei confronti degli occidentali, aveva
finito per far saltare il banco, ma era la dimostrazione che la guerra
totale in Europa era stata caparbiamente voluta e cercata dagli
occidentali, non dai tedeschi.
La falsa neutralità di Roosevelt
Dall’altra
parte dell’oceano l’amministrazione americana di Roosevelt,
strettamente controllata dalle lobby massoniche e finanziarie (a
dimostrazione dei sottili e occulti fili che la riallacciavano alle
strategie in atto in Europa), già da allora inaugurava quella politica sporca fatta
di propaganda ipocrita e mendace, di falso pacifismo, di ricatti e
provocazioni continue, di interventi paramilitari in ogni tempo e luogo
(Cina), che doveva portare il paese, per altro psicologicamente restio
se non addirittura contrario, ad imbarcarsi in un altra sanguinosa crociata per la difesa del cosiddettomondo libero contro la barbarie e la tirannide, in una guerra mondiale insomma,
per meglio dire una carneficina premeditata e progettata oltreoceano e
dispiegatasi su quell’asse Londra-New York a cui abbiamo più volte
accennato. Una carneficina che avrebbe oltretutto risolto negli States,
grazie all’industria di guerra, la grave crisi economica e
occupazionale, mai sanata dopo il crollo speculativo delle borse del
1929.
Nonostante
il sequestro delle documentazioni, fatto dalle potenze vincitrici, ben
documentato è il lavorio sottobanco che fece la diplomazia americana, in
particolare nella Polonia alla vigilia della guerra, per scatenare il
conflitto in Europa e non era neppure un caso che a Parigi,
l’ambasciatore americano William Bullitt, rooseveltiano di ferro, aveva
palesemente gioito allo scoppio del conflitto tanto desiderato.
A
guerra in corso, poi, è noto che Roosevelt spedì in Europa il suo
sottosegretario agli esteri Benjamin Summer Welles, con un mandato
esplorativo finalizzato alla ricerca di una soluzione al conflitto. Era
una evidente impostura, un artificio valido ai soli fini interni e
propagandistici per mostrare al mondo la volontà di pace di Roosevelt
(che sottotraccia invece lavorava per la guerra e ad uso e consumo
dell’opinione pubblica faceva l’angelo della pace) e additare al contempo l’ostinazione guerrafondaia di Hitler.
Summer
Welles arrivò anche in Italia, alla vigilia della partenza di Mussolini
per l’incontro con Hitler al Brennero, e venne ricevuto il 16 marzo
1940 dal Duce. L’americano, senza tema di rasentare il ridicolo,
prospettò la possibilità di rimuovere le cause belliche ammettendo, al
momento opportuno, i Paesi meno provvisti alla partecipazione alle
materie prime in cui abbondano invece gli altri.
Mussolini
ovviamente cercò di trasformare quell’insulso tentativo pacifista degli
americani in una concreta missione di pace e, in buona parte il
sottosegretario si mostrò propenso. Ebbene, il giorno successivo,
Roosevelt, con una telefonata intercontinentale, gli impose di non
proseguire in quel senso. A lui bastava mostrare agli americani, nelle
delicate e successive elezioni presidenziali di novembre 1940, dove
aveva preso il solenne impegno a non mandare in guerra gli americani,
che con la spedizione del suo sottosegretario agli esteri in Europa,
aveva “fatto tutto il possibile” per trovare un accordo di pace.
Di
legge in legge, appositamente varata per vendere e trasferire armi agli
anglo francesi, da un atto proditorio all’altro, da violazioni palesi o
mascherate della neutralità, ecc., tutto fu escogitato negli USA, per
arrivare ad entrare in guerra.
E
così la grande stampa e la cinematografia, in mano a certe Lobby e
perfino i cartoni animati di Walt Disney e della Warner Bross, furono
mobilitati per mostrare all’opinione pubblica i “mostri” del fascismo,
l’America in pericolo di essere invasa e stimolare gli americani ad
annientarli.
Si
dovette alla decisa imposizione di Hitler, su la marina e la luftwaffe,
di non rispondere alle provocazione statunitensi, anche quando erano
costituite da proditorii attacchi navali, se gli USA, per entrare in
guerra dovettero aspettare il dicembre 1941 e provocare l’attacco
giapponese, grazie ad un “11 settembre” ante litteram, che fu Pearl Harbour.
Tutti
i ricercatori storici che hanno analizzato l’atteggiamento politico e
militare degli USA dal 1939 fino al momento della loro effettiva entrata
in guerra (7 dicembre 1941) hanno dovuto prendere atto che, di fatto,
gli americani, autodefinitesi l’arsenale delle democrazie, erano già in guerra con l’Asse e sostenevano in ogni modo inglesi e francesi pur continuando a dichiararsi “neutrali”.
L’Italia costretta alla guerra
E
veniamo infine all’Italia (la cui entrata in guerra è l’oggetto del
nostro saggio), vaso di coccio tra vasi di ferro costretta, volente o
nolente, a scendere prima o poi in guerra a causa della sua natura
geografica, dei suoi minacciati interessi mediterranei ed africani, del
suo assetto di regime anni prima ammirato per aver debellato il
bolscevismo, ed ora improvvisamente non più tollerato per la sua
impostazione dirigistica del governo e dello Stato dove come abbiamo
accennato primeggiavano gli aspetti etici e politici su quelli economici
e finanziari, una vera jattura questa per la grande Finanza
internazionale.
L’Italia
fu letteralmente trascinata nel conflitto attraverso la chiusura di
ogni spazio diplomatico, le minacce ed i ricatti ed infine, come
vedremo, invogliata anche dall’inganno inglese. La pretesa
inglese, durante il periodo della nostra non belligeranza fu, fino ad un
certo punto, quella di tenerci a freno, con vuote promesse, poi di
minacciarci, colpendoci nei traffici sul mare con il sequestro della
navi mercantili (soprattutto, quelle carbonifere che creavano un
gravissimo danno alla nazione).
A
febbraio 1940, dopo che la diplomazia britannica aveva forzato l’Italia
per vendere agli inglesi armi e munizioni, uscendo di fatto dalla
neutralità, dopo il rifiuto del nostro governo, l’ambasciatore inglese
ci “informava” che la flotta inglese avrebbe bloccato e confiscato le
nostre navi mercantili carbonifere già oggetto di fermo e ispezioni
alquanto arbitrarie.
E
così avvenne a partire dal 5 marzo, mentre poi il 1 maggio 1940 gli
inglesi ebbero addirittura la spudorata sfacciataggine di proclamare un
“blocco navale” delle coste italiane, con la scusa di una prevenzione,
del tutto campata in aria, di eventuali attacchi italiani alla marina
britannica (solo il 23 maggio 1940, con il precipitare della loro
situazione militare, arrivò a Roma una spedizione inglese tesa ad
informare gli italiani della sospensione del blocco navale e mostrarsi
più accomodanti. Troppo tardi).
Anche
il filo occidentale e antitedesco Ciano, che nei mesi precedenti aveva
sperato in un ribaltamento delle alleanze, tanto da imprecare contro le
prove notturne di coprifuoco che si esercitavano nel paese e che lui
vedeva come un ostacolo ad un riavvicinamento con Francia e Inghilterra,
rimase costernato dall’atteggiamento inglese contro le nostre navi che,
di fatto, spingeva l’Italia in guerra.
Il 2 marzo del ’40 Ciano scrisse nel proprio diario: «Ricevo
Sir Noel Charles. Colgo l’occasione per dirgli che il controllo sul
carbone appartiene a quella categoria di decisioni che spingono l’Italia
nelle braccia della Germania».
Atti
ostili che non avevano analogie in un analogo atteggiamento inglese
verso altri paesi in quel momento neutrali, tanto che non pochi hanno
supposto che, in realtà gli inglesi, almeno da un certo momento in poi,
si riproponevano, per misteriosi motivi, di forzare una nostra entrata
in guerra.
Persino
lo storico resistenziale, di formazione marxista, Ernesto Ragionieri,
ha sottolineato che la decisione di Mussolini di portare in guerra
l’Italia, nel giugno del 1940, fosse strettamente legata ad una politica
inglese che egli stesso definisce di autentico “ricatto”. Scrive il
Ragionieri nel suo “La Storia d’Italia”, Einaudi:
«La decisione dell’intervento a fianco della Germania maturò tra il febbraio e il marzo del 1940. In quel breve arco di tempo l’Italia fu oggetto di una triplice e concentrica pressione: di natura economica da parte dell’Inghilterra, di natura politica da parte degli Stati Uniti, di natura politico-economica da parte della Germania; fu quest’ultima a prevalere e ad orientare definitivamente la scelta di Mussolini. Mentre volgeva al termine la guerra russo-finlandese, l’Inghilterra accelerò la realizzazione di tutte le misure di blocco economico che, nel quadro della “drôle de guerre”, potevano costituire uno strumento di pressione decisivo. Tra queste figurò anche l’embargo sulle navi che trasportavano il carbone dalla Germania all’Italia e che assicuravano i due terzi della fornitura tedesca. L’Inghilterra, dal canto suo, si dichiarava disposta a coprire gran parte del fabbisogno italiano di carbone, ma, poiché l’Italia difettava delle divise straniere occorrenti, esigeva in cambio materiale bellico per un valore complessivo di 15 milioni di sterline. Il blocco inglese veniva dunque a porre l’Italia di fronte all’alternativa senza vie d’uscita in cui la politica condotta da Mussolini l’aveva guidata: accettare il ricatto inglese avrebbe comportato una drastica riduzione del già precario potenziale bellico dell’Italia e avrebbe significato in pratica deporre ogni ambizione di politica di grande potenza, respingerlo voleva dire rinunziare anche a quel ristretto margine di manovra che la politica italiana si era ritagliato con la dichiarazione di non belligeranza».Comunque sia l’alternativa che ci si poneva chiaramente era quella di tradire l’alleanza con la Germania e schierarci apertamente con gli anglo francesi, ovviamente rinunciando alle nostre pretese geopolitiche, oppure restare a “bagnomaria” in attesa di essere prima o poi colpiti.
«La decisione dell’intervento a fianco della Germania maturò tra il febbraio e il marzo del 1940. In quel breve arco di tempo l’Italia fu oggetto di una triplice e concentrica pressione: di natura economica da parte dell’Inghilterra, di natura politica da parte degli Stati Uniti, di natura politico-economica da parte della Germania; fu quest’ultima a prevalere e ad orientare definitivamente la scelta di Mussolini. Mentre volgeva al termine la guerra russo-finlandese, l’Inghilterra accelerò la realizzazione di tutte le misure di blocco economico che, nel quadro della “drôle de guerre”, potevano costituire uno strumento di pressione decisivo. Tra queste figurò anche l’embargo sulle navi che trasportavano il carbone dalla Germania all’Italia e che assicuravano i due terzi della fornitura tedesca. L’Inghilterra, dal canto suo, si dichiarava disposta a coprire gran parte del fabbisogno italiano di carbone, ma, poiché l’Italia difettava delle divise straniere occorrenti, esigeva in cambio materiale bellico per un valore complessivo di 15 milioni di sterline. Il blocco inglese veniva dunque a porre l’Italia di fronte all’alternativa senza vie d’uscita in cui la politica condotta da Mussolini l’aveva guidata: accettare il ricatto inglese avrebbe comportato una drastica riduzione del già precario potenziale bellico dell’Italia e avrebbe significato in pratica deporre ogni ambizione di politica di grande potenza, respingerlo voleva dire rinunziare anche a quel ristretto margine di manovra che la politica italiana si era ritagliato con la dichiarazione di non belligeranza».Comunque sia l’alternativa che ci si poneva chiaramente era quella di tradire l’alleanza con la Germania e schierarci apertamente con gli anglo francesi, ovviamente rinunciando alle nostre pretese geopolitiche, oppure restare a “bagnomaria” in attesa di essere prima o poi colpiti.
Cosciente
della nostra intrinseca debolezza strutturale e di conseguenza anche
militare, Mussolini tutto si era potuto augurare, tranne un conflitto
bellico di portata Europea.
Facciamo
un passo indietro e constatiamo che tutta la politica Mussoliniana,
dopo le parentesi belliche settoriali in Africa settentrionale e in
Spagna, che avevano dissanguato le nostre finanze, una politica
oltretutto proiettata alla costosa e pacifica esposizione E42,
era sempre stata tesa alla ricerca di un quadro di sicurezza
internazionale per proteggere gli enormi sforzi fatti in tutti campi dal
regime al fine di accelerare la crescita, la potenza ed il prestigio
dell’Italia.
Non
è azzardato affermare che se non fosse stato per lo sforzo delle
riforme sociali e delle grandi opere del ventennio, pur con tutte le
loro carenze, contraddizioni e in certi casi patetiche manifestazioni di
retorica, l’Italia sarebbe probabilmente rimasta un paese
sottosviluppato e arretrato come certi paesi del sud Europa o dei
Balcani.
Alle
prese con questi problemi Mussolini, che poi si indirizzò
definitivamente verso l’alleanza con la Germania, non lasciò nulla di
intentato, percorrendo anche sondaggi verso Roosevelt (si parla
giustamente di uno scottante carteggio con Churchill, ma occorrerebbe
anche considerare la presenza di importati documentazioni rispetto ai
rapporti USA – Italia). La presenza di molti immigrati negli States, a
cui Roosevelt era sensibile per ragioni elettorali e il prevedibile
interesse americano a scalzare e occupare posizioni della Gran Bretagna
in Europa e in Africa, potevano costituire per Mussolini una carta da
giocare.
Ma
Roosevelt non era altro che l’arma, neppure troppo segreta, che l’Alta
Finanza cosmopolita e massonica, con solide radici in America, aveva in
serbo per procedere allo smantellamento degli stati Fascisti in Europa e
alla distruzione dell’Europa stessa e quindi la “carta America”, venne a
vanificarsi da sola.
Il Patto d’Acciaio e quello Moltov-Ribbentrop
E
fu così che l’Italia, contando sull’assicurazione tedesca che avrebbe
contenuto la sua politica fino “al rischio bellico” per almeno tre anni,
arrivò all’alleanza con la Germania, sancita nel Patto d’acciaio (22
maggio 1939). Un patto trattato da Ciano con troppa leggerezza e
oltremodo “pericoloso”, perché prevedeva l’intervento automatico
dell’Italia al fianco della Germania in caso di guerra comunque
determinatasi.
Per
Mussolini quel patto doveva rappresentare un ulteriore arma di
pressione verso la politica ostile degli anglo francesi, un aumento
della sua forza contrattuale, facendosi forte della copertura “militare”
tedesca e ritenendo che i contrapposti schieramenti potessero rimanere
in equilibrio statico. Non a caso, alla vigilia di sottoscrivere quel
patto, Mussolini fece sapere a inglesi e francesi si dichiarò
disponibile a trattare anche con loro e in questo senso incoraggiò una
iniziativa del Vaticano per una conferenza globale in Europa.
Ma
il Duce non potè tenere conto o non previde che i tempi erano oramai
ristretti e che dietro le quinte soffiavano i venti bellici, perché i
tedeschi a qualunque costo volevano conseguire gli obiettivi
dell’espansionismo ad Est e gli occidentali, ancor più ad ogni costo
volevano distruggere la Germania, liquidare i fascismi e sottomettere
l’Europa.
Anche uno storico non certo “tenero” con l’Italia come David Irving va a riconoscere che:
«Avendo Hitler evitato di informare Mussolini dell’operazione ‘Bianco’ (l’attacco alla Polonia, n.d.r.)gli italiani apparivano ben lieti di firmare con lui un formale patto di alleanza. Il 6 maggio (1939, n.d.r.) Ribbentrop
assicurò al ministro degli esteri italiano, Ciano, che l’Italia poteva
contare su un periodo di pace di almeno tre anni. Il 22 Ciano venne a
Berlino per firmare il patto d’Acciaio e due giorni più tardi, a Roma,
il generale Milch firmò un patto separato per l’aviazione. Milch,
tuttavia, tornò da Hitler con l’avvertimento che Mussolini aveva
sottolineato che l’Italia non sarebbe stata pronta per la guerra fino al
1942. In un memorandum al Fuehrer, anzi, il Duce parlò persino del
1943».
Avvenne così che verso la fine di agosto, quando Hitler, grazie
al fresco patto tedesco sovietico Molotov-Ribbentrop che gli copriva le
spalle e gli assicurava gli indispensabili rifornimenti di
materiale, aveva predisposto l’attacco alla Polonia, contando anche sul
fatto che la presenza dell’Italia al suo fianco, seppur debole
militarmente, ma costituente pur sempre una vasta area strategica da
controllare, avrebbe frenato gli anglo francesi dall’attaccarlo onorando
la “garanzia” data ai polacchi, l’Italia si sottrasse agli obblighi che
il Patto d’acciaio prevedeva, nella fattispecie all'”esplosivo” art. 3
che stabiliva l'”automatismo dell’intervento italiano a fianco della
Germania.
Aveva
praticamente prevalso, nelle due nazioni il medesimo interesse
nazionale: in Hitler nel non tener conto degli impegni a rispettare le
necessità italiane a non essere trascinati in guerra prima di tre anni,
come pur si era impegnato a fare, e in Mussolini a non rispettare alla
lettera il Patto d’acciaio e quindi scendere in guerra, a prescindere,
al fianco della Germania.
Come
noto l’Italia, per dichiararsi pronta ad affrontare la guerra, presentò
ai tedeschi una pretestuosa richiesta di fornitura di materiali
talmente esagerata, tale da “ammazzare un toro”, come venne
definita, ben sapendo che l’impossibilità ad esaudirla gli avrebbe
consentito di rifugiarsi nella formula, sia pure poco edificante, della
“non belligeranza”.
Una
disamina obiettiva in merito alla “inadempienza” degli obblighi
previsti dal Patto d’Acciaio, non può comunque che costatare che tale
inadempienza fu reciproca visto che i tedeschi sottoscrivendo il 23
agosto 1939 il Patto di non aggressione con i sovietici (oltretutto comprensivo di pesanti clausole segrete) a cui seguì il Trattato di amicizia e
gli accordi commerciali, avevano derogato dagli impegni del “Patto” con
l’Italia che in casi come questi prevedevano una preventiva
consultazione. Tanto più che anche l’Italia aveva i suoi interessi
nell’est europeo.
Anzi a guardar bene i tedeschi, con quella “alleanza” con i sovietici avevano anche aggirato il pattoantikomintern, eludendo
gli interessi non solo italiani, ma anche spagnoli e giapponesi.
Sopratutto a Tokio ne rimasero fortemente scossi visto che ancora non si
erano esauriti quegli scontri militari, ovvero una specie di “guerra
non dichiarata”, dell’armata giapponese del Kwantung, in Manciuria
contro i sovietici al confine con la Mongolia dove i giapponesi subirono
pesanti perdite.
Ma
questi aspetti li considereremo meglio più avanti, quando analizzeremo
le necessità geopolitiche delle nazioni in campo e capiremo perché
Mussolini dovette giocoforza destreggiarsi in un certo modo.
In
ogni caso, il vero appunto che può essere elevato al Duce non è quello
di averci alla fine portato in guerra, dato che questa era inevitabile,
ma quello di aver forse preteso troppo da un popolo dispaghettari e mandolinari,
aduso da secoli al servilismo verso lo straniero. Ci si chiede infatti
se era in grado l’Italiano di sostenere un minimo di ambizione politica
per la sua patria e di anelito ad una certa indipendenza, affrontando i
compiti e i rischi che questa strada avrebbe presentato, o se invece non
fosse stato meglio lasciare tutto il paese ridotto al rango di località
turistica, immensa stazione termale di sole e mare, alla servile
disposizione dei padroni del mondo, offrendo a costoro 40 milioni di camerieri, prostitute e pulcinella.
Per
concludere, oggi, con il senno del poi, possiamo dire che la visione
geopolitica “euro atlantica” di Hitler era impraticabile perchè, pur
conscio del potere massonico e dell’ebraismo internazionale, egli
sottovalutava il fatto che dietro gli interessi geopolitici dei singoli
Stati, dietro l’asse Londra-New York con il corollario di Parigi, si
muovevano forze, in particolare di natura finanziaria che, consolidate
nell’uso del potere nei secoli, miravano alla distruzione dell’Europa e
della sua civiltà (quindi non solo degli stati fascisti).
Mussolini,
invece, che forse ancor più sottovalutava l’incidenza di queste forze
di carattere “mondialista”, cercava di praticare una geopolitica di tipo
“euro asiatico” forse più consona al momento storico e certamente più
confacente per i nostri interessi nazionali.
Germania
e Italia però andavano ognuno per conto suo, seguivano i propri
interessi nazionali, sottovalutando il fatto che il “nemico” non gli
avrebbe mai e per nessun motivo consentito di sopravvivere.
Esposto,
sia pure sommariamente, quanto sopra e partendo da questa introduzione
entriamo nell’argomento dell’entrata in guerra dell’Italia.
* * *
LE VERE MOTIVAZIONI DELL’INTERVENTO ITALIANO
Risalire
oggi, a 70 anni dal 10 giugno 1940, alle vere motivazioni dell’entrata
in guerra dell’Italia, dopo che le potenze Alleate hanno sequestrato i
nostri archivi di Stato e militari, mentre al contempo non hanno reso
accessibili i propri, non è certo un compito agevole. Oltretutto, come
abbiamo visto nell’introduzione, si è anche costretti a lavorare a
fronte di una “storiografia addomesticata” che cerca di presentare la
seconda guerra mondiale come il risultato dei sogni di dominio mondiale
della Germania hitleriana quando, viceversa, è indubbio che se Hitler
giocò con il fuoco, portando il punto di crisi in Europa fino alle
soglie della guerra, è altrettanto vero che furono invece le
“democrazie occidentali”, forti di un futuro appoggio statunitense, che
dopo aver conseguito con la prudente politica dell’appeasement, il tempo
necessario per un riarmo bellico, fecero soffiare i venti di guerra
strumentalizzando la Polonia e puntando decisamente allo scontro.
Partendo
da questo presupposto, palesemente sottaciuto, ma storicamente
inoppugnabile, occorre tener presente che qualunque analisi storica che
voglia risalire alle cause di un conflitto di portata mondiale, deve
trovare in qualche modo anche conferma nelle grandi linee geopolitiche
della Storia.
Gli
storici basano le loro ricostruzioni storiche sui “documenti”,
relazioni e riscontri di varia natura, tenendo in gran conto anche i
“Diari” personali dei protagonisti. Ma questo non basta. I diari poi, si
sa benissimo che già sono alterati alla fonte, in quanto chi li scrive
sa benissimo che un giorno saranno utilizzati per dare un giudizio sul
suo operato, ma spesso sono anche contraffatti all’atto della loro
pubblicazione. I diari di Ciano, per esempio, si sa benissimo che ebbero
alcune pagine riscritte, intorno all’estate del 1943, dallo stesso
autore, che evidentemente voleva dare una certa interpretazione, a sua
difesa, degli avvenimenti del 1939 – 1940 esagerando le inadempienze dei
tedeschi.
Se
portiamo lo sguardo oltre i particolari contingenti, dalle ideologie,
dagli interessi economici divergenti, ecc., troveremo che il “motore”
della Storia è quello della Geopolitica, laddove Stati e Nazioni si
dividono, si scontrano, e si compattano dietro i grandi interessi
geopolitici, gli unici che possono garantire nel tempo lo sviluppo
futuro e la sicurezza militare ai poli antagonisti della terra: le
realtà continentali e quelle talassocratiche.
Valutazione
questa, assolutamente vera per il passato, forse un pò meno vera da
quando, nel secolo XX, un secolo dagli enormi progressi soprattutto nel
campo dei trasporti e delle comunicazioni che hanno “globalizzato” le
economie, le comunicazioni e le culture del pianeta, sono entrate
pesantemente in gioco Lobby e Consorterie transnazionali, tendenti al
dominio mondiale svincolato da un riferimento etnico e geografico,
perché forti di una potenza finanziaria cosmopolita mai vista in
passato.
In
ogni caso la corrispondenza tra gli sviluppi e le tendenze militari,
economiche ed ideologiche e la geopolitica resta sempre un presupposto
irrinunciabile per avere la controprova della giustezza delle analisi
storiche. Ed è appunto su questi presupposti che cercheremo di spiegare molti aspetti oscuri della nostra partecipazione alla guerra.
Come
noto l’Italia nel 1940 entrò in guerra con una formula, coniata da
Mussolini, di “guerra parallela”, quindi sostanzialmente sganciata dalle
strategie dei tedeschi (questa la formula che il Duce ebbe anche ad
illustrare al Re: «non per la Germania, né con la Germania, ma per l’Italia a fianco della Germania»).
Era
evidente che quella “guerra parallela” prescindeva dagli interessi e
dagli obiettivi tedeschi e come vedremo, nonostante l'”intesa” segreta
che sarà raggiunta con Churchill all’ultimo momento, aveva una sua
strategia antibritannica e non necessariamente antifrancese.
L’evidente
e segreta “intesa”, infatti, che poi intercorse all’ultimo momento tra
Mussolini e Churchill (accordo nascosto nel famoso “Carteggio” fatto
sparire dal britannico) che determinò un inizio blando delle nostre
operazioni belliche, ha fatto avanzare da molti il sospetto che tutto
sommato, l’entrata in guerra di Mussolini era, paradossalmente, più
contro la Germania che contro l’Inghilterra e del resto, svariate
esternazioni del Duce farebbero sospettare anche l’ipotesi di un
Mussolini “segreto nemico” di Hitler.
In
realtà, che Mussolini possa essere stato un “segreto nemico di Hitler” è
una forzatura interpretativa di alcuni fatti, analizzati senza
conoscere i retroscena geopolitici, perché le cose non stanno affatto in
questi termini, come del pari non è neppure vero il contrario, ovvero
che Mussolini fu uno strumento nelle mani di Hitler. Sono tutte
congetture di chi parla a vanvera senza conoscere i retroscena e il
contesto geopolitico di quegli anni.
Vero
invece che l’Italia giocò le sue carte strategiche, fino ad entrare in
guerra e anche oltre, indipendentemente dagli interessi tedeschi e
Mussolini aderì all’ultimo momento alle “proposte segrete” di Churchill,
non per sabotare la guerra tedesca, anche se poi in effetti ne derivò
un danno per una possibile vittoria, ma semplicemente perché
quell’intesa sembrava risolvere di colpo tutti i nostri problemi.
Le
linee geopolitiche ed i retroscena strategici che stanno dietro i
grandi avvenimenti internazionali non sono facilmente percepibili
all’esterno e non possono essere usati per tranciare giudizi di ordine
morale. Per fare un esempio, quando nel 1936 l’Italia si trovò isolata
nella sua guerra Africana e venne posta nell’angolo dalla coalizione
franco inglese che portò alle sanzioni e quel che segue, non tutti sanno
che, al contempo, si svolsero dietro le quinte della diplomazia tutta
una serie di iniziative e patteggiamenti. Fu così che l’intervento
militare italiano venne in parte attuato attraverso accordi
segreti con i francesi (preoccupati che l’Italia, presa da altri
impegni, si defilasse da un ruolo di vigilanza sulla Germania), ma anche
con gli inglesi che finirono per concedere un mezzo consenso a
condizioni, che contribuì ad evitare lo scontro con i britannici.
La
Germania invece sostenne apertamente l’Italia e questo appoggio fu di
notevole portata perchè consentì al nostro paese di uscire
dall’isolamento. Ma anche qui non tutti sanno che la Germania non stava
facendo opera di carità nei nostri confronti o di solidarietà
ideologica, ma stava semplicemente sfruttando la ghiotta occasione che
si presentava sullo scacchiere internazionale, laddove la guerra
ethiopica, rimescolava le carte e spostava il baricentro della politica
nello scacchiere mediterraneo e africano, consentendo alla Germania di
azzardare le progettate azioni politiche e militari che dovevano
portarla a ribaltare le pesanti condizioni e i legami che gli erano
stati imposti a Versailles. A questo fine, l’interesse tedesco, era
essenzialmente quello che la nostra “guerra africana” durasse il più a
lungo possibile e fu per questo che se da una parte i tedeschi ci
appoggiavano politicamente, economicamente e diplomaticamente,
dall’altra segretamente rifornivano di armi l’esercito del Negus. Le
mitragliatrici che ci sparavano addosso erano anche tedesche e questi
“rifornimenti” non corrispondevano solo ad un traffico di natura
commerciale, consueto in questi casi, ma erano anche finalizzati a
mantenere in vita il più possibile quella guerra.
LA GEOPOLITICA DI MUSSOLINI
La
strategia geopolitica di Mussolini, in ogni caso, restò sempre,
nonostante gli alti e bassi di una difficile alleanza tra partner di
sbilanciata potenzialità economica e militare, una geopolitica
antibritannica, e non poteva essere diversamente vista la irriducibile
avversità inglese nei nostri confronti e i loro interessi diametralmente
opposti ai nostri nei balcani, nel mediterraneo ed in Africa (le
posizioni italiane in Africa, potevano costituire in prospettiva una
vera mina vagante per gli equilibri inglesi in quella loro parte di
Impero), mantenendosi però, al contempo, distinta e guardinga nei
confronti dei tedeschi.
Oggi,
finalmente, gli storici stanno, a poco a poco, arrivando a individuare i
veri contenuti del Carteggio Churchill Mussolini, tranne che, magari,
ancora non possono dire certe cose con chiarezza (non si fa carriera,
divergendo troppo dalle linee ideologiche che sono alla base del
“regime”). Per le vicende del “Carteggio”, comunque, ci sono due testi
che bisogna assolutamente conoscere e ai quali rimandiamo: F. Andriola: Mussolini Churchill il carteggio segreto, SugarCo 2007 e U. Giuliani Balestrino: “Il carteggio Churchill Mussolini alla luce del processo Guareschi”, Ed. Settimo Sigillo 2010.
In
realtà, quello che avvenne tra il Duce e Churchill, a livello di
diplomazia sotterranea, più che un “accordo” fu un reciproco stato di
necessità intercorso proprio al momento della nostra entrata in guerra.
Gli
storici sono ancora sostanzialmente divisi tra chi, ingenuamente o in
male fede, continua a negare l’esistenza di questo “Carteggio”, mentre
altri vanno anche al di là di ogni immaginazione e prospettano
addirittura un preciso connubio italo inglese contro la Germania. In
realtà si trattò invece di un “accordo” en passant, in un momento
particolare, redditizio e funzionale (sebbene poi si rivelò
catastrofico) per la nostra politica di guerra e, all’opposto, un
artificio di Churchill per realizzare una inconfessata strategia bellica
e quindi, una volta conseguito, non doveva assolutamente essere
rivelato.
Tutto
scaturisce dalla nostra situazione storica e geopolitica, laddove è
noto che Mussolini lavorava per elevare l’Italia al rango di una media
potenza nel Mediterraneo e nel Sud Europa, trovando la soluzione
demografica e degli approvvigionamenti di materie prime (atavica nostra
deficienza strutturale) nelle colonie africane. In queste condizioni,
stabilite dalla geografia, la sola via obbligata, per salvaguardare la
propria indipendenza era appunto quella di recitare un ruolo di media
potenza.
Il
dramma era che la nostra geopolitica non poteva che essere espressione
di una potenza marittima, ma contemporaneamente con uno sguardo al
continente: insulare e peninsulare.Il
che per una nazione economicamente debole, priva di risorse energetiche
e militarmente scarsa e per di più con l’Africa settentrionale
scollegata, era un vero e proprio dramma. Ma il dramma più grosso era
l’irriducibile avversione degli inglesi.
Fotografando la situazione, così si espresse Mussolini, durante la RSI, con il suo medico Georg Zachariae: «L’Inghilterra [che] ha
molti interessi nel mediterraneo, quale via di comunicazione con
l’Egitto e l’India, era invidiosa dell’influenza che l’Italia andava
prendendo nel bacino mediterraneo, nei Balcani, nel vicino Oriente e in
Africa. L’ostilità britannica non poteva certo farmi desistere dai miei
piani, perché tanto valeva che me ne andassi abbandonando l’Italia al
suo destino».
Scrive Franco Cardini, riassumendo perfettamente la situazione dell’epoca:
«Se
si considera che l’Italia unitaria era stata fondata, ottant’anni prima
di allora, con l’appoggio non disinteressato di una Francia prima e di
un’Inghilterra poi che ambivano a piazzare le loro pedine commerciali e
portuali in una penisola che, con l’apertura del canale di Suez, sarebbe
divenuta un molo mediterraneo importante sulla via degli oceani,
l’entrata in guerra del ’40 acquista una prospettiva sulla quale di
solito non si riflette: quella della definitiva liberazione del paese da
un ruolo subalterno nel panorama politico europeo.
Il tragico era che tale disegno era destinato a inquadrarsi nel contesto del profilarsi di una subordinazione ancora più forte e tragica: quella alla Germania nazista. Qui l’abile giocoliere Mussolini, che aveva avuto fino ad allora la fortuna e l’abilità di costruire il mito della potenza italiana su una serie di colpi di mano e di bluff ben giocati – l’ultimo dei quali era quello di mediatore degli accordi di Monaco del ’38 -, si trovava adesso a doversi confrontare con il vero nodo irrisolto della sua politica» (F. Cardini: Una riflessione nel settantesimo dell’entrata dell’Italia in guerra). Mussolini quindi, partendo dai nostri interessi nazionali, sostanzialmente antibritannici, scelse giustamente di diventare junior partner della Germania, sperando in tal modo di proiettare il futuro della sua geopolitica in una prospettiva euroasiatica.
Il tragico era che tale disegno era destinato a inquadrarsi nel contesto del profilarsi di una subordinazione ancora più forte e tragica: quella alla Germania nazista. Qui l’abile giocoliere Mussolini, che aveva avuto fino ad allora la fortuna e l’abilità di costruire il mito della potenza italiana su una serie di colpi di mano e di bluff ben giocati – l’ultimo dei quali era quello di mediatore degli accordi di Monaco del ’38 -, si trovava adesso a doversi confrontare con il vero nodo irrisolto della sua politica» (F. Cardini: Una riflessione nel settantesimo dell’entrata dell’Italia in guerra). Mussolini quindi, partendo dai nostri interessi nazionali, sostanzialmente antibritannici, scelse giustamente di diventare junior partner della Germania, sperando in tal modo di proiettare il futuro della sua geopolitica in una prospettiva euroasiatica.
Nel
contingente, come tutti gli junior partner, egli non poteva che
augurarsi che in Europa permanesse uno stato di equilibrio, senza
dominatori assoluti ed evitando il più possibile la guerra.
Precedentemente, infatti, proprio così si era mosso a Locarno 1925, con
il Patto a quattro 1933 (in pratica Mussolini proponeva un direttorio
Europeo dei “quattro grandi”, Inghilterra, Germania, Francia, Italia,
escludendo la Russia, ma questa costruzione fu silurata proprio dagli
anglo francesi), Stresa 1935, la ricerca della Piccola intesa e di una Intesa balcanica, tale
da stemperare la crescita militare della Germania oltre certi
limiti (sabotata dagli inglesi) e Monaco 1938 (dove di fatto si
concretizzò il “direttorio europeo dei quattro grandi”, ma di breve
respiro perchè realizzato solo dietro straordinarie necessita
contingenti).
Tutto
questo è storicamente indiscutibile e gli studi più recenti in campo
storiografico attestano che Mussolini, pur giocando d’azzardo, cercò
sempre e fino all’ultimo una via negoziabile per una ricomposizione del
quadro Europeo, forzando inglesi e francesi ad accettare un riequilibrio
dei rapporti di forza nel mediterraneo nel nostro interesse.
Il
fine ultimo di questa politica era quello di arrivare ad una vera e
concreta Conferenza internazionale che potesse anche stemperare o
diversamente indirizzare la crescente crescita della potenza germanica.
Sempre con questi fini egli si barcamenò poi, a guerra purtroppo
iniziata (settembre 1939), con la formula della “non belligeranza”.
Quanto dovette pesargli quella “non belligeranza”, di fatto, un evidente disimpegno dagli obblighi previsti dal Patto d’Acciaio e
da quella “propaganda combattentistica” che il fascismo aveva sempre
propugnato, è risultato a tutti evidente. Ma non c’era altra scelta.
Durante
la nostra belligeranza, oltretutto, quando a tutti parve evidente che
particolari accordi tra tedeschi e sovietici, consentivano a questi
ultimi di espandersi verso gli stati baltici, mettendo in pericolo anche
quelli danubiani e balcanici, se non le stesse zone di influenza
turche, Mussolini, accogliendo il desiderio di questi stati, tentò di
mettere in piedi un progetto politico internazionale detto “blocco dei neutrali“.
Praticamente l’Italia avrebbe rappresentato gli interessi dei paesi
neutrali in un area che era sempre stata anche di nostro interesse.
Hitler, che nell’ottica di esperire ogni possibilità per ricomporre lo
scontro con i britannici, in un primo momento sembrava favorevole, ma si
rese però quasi subito conto che in tal modo l’Italia avrebbe assunto
una certa egemonia in quei settori legandogli le mani e quindi stroncò
decisamente questa iniziativa.
Il
3 gennaio del 1940, in una lettera inviata all’alleato tedesco
vincitore in Polonia, lettera che seguiva al discorso di dicembre di
Ciano alla Camera, intriso di spirito anti tedesco, Mussolini, dopo aver
stigmatizzato l’alleanza dei tedeschi con i sovietici e ammoniti i
primi a non andare ancora oltre su quel piano, cercò anche di indurlo a
preservare uno Stato polacco indipendente, quale ragionevole via di
uscita con gli anglo francesi, anche nel presupposto, scriveva con
lungimiranza il Duce, che gli Stati Uniti, in futuro, sarebbero
sicuramente intervenuti, non potendo consentire la sconfitta delle
democrazie europee. Hitler, irritato, non rispose, e si chiuse in un
cupo silenzio per oltre due mesi.
Ma
se Mussolini era stato logico e lungimirante la sua analisi era però
errata, perchè l’accordo, sia pure gravido di enormi implicazioni, tra
Ribbentrop e Molotov non era certo in un ottica filo sovietica, ma anzi
costituiva una fase transitoria per prevenire la guerra ad occidente o,
al limite, se questa fosse stata inevitabile, quella sui due fronti,
attingendo oltretutto alle risorse che l’accordo con i sovietici
consentiva. Ma in realtà la strategia tedesca, finalizzata ad una
spinta espansionista ad Est e quindi antisovietica, pur nascosta,
rimaneva sempre in auge, così come, allo stesso modo, Stalin aveva
aderito immediatamente a quel patto con il “diavolo”, non soltanto per i
vantaggi di ogni tipo che questo prevedeva, ma anche perchè
presupponeva che in tal modo Hitler si sarebbe sicuramente gettato a
capofitto in guerra contro gli anglo francesi.
Oltretutto,
oggi a posteriori, possiamo ben dire, che questi intenti “pacificatori”
di Mussolini erano fuori della realtà, perché gli occidentali a tutto
pensavano meno che ad una pace ed avevano un unico e pervicace scopo: la
liquidazione degli Stati fascisti e la disintegrazione dell’Europa (che
realizzeranno a Jalta) e per di più, dietro gli Occidentali c’erano le
grandi Consorterie internazionali che da tempo perseguivano un dominio
finanziario mondiale, supportato da quella visione ideologica che oggi
chiamiamo “mondialismo”. Ma queste sono tutte considerazioni che
noi oggi possiamo facilmente fare “a posteriori”, mentre all’epoca di
quei fatti, ben più difficile era il potergli dare il giusto valore e
importanza.
Quando
Hitler, dopo lunga e adirata pausa, in un contesto militare che stava
cambiando, rispose a Mussolini, fece osservare al Duce che il “trattato
commerciale” che aveva conseguito con i sovietici era indispensabile
nella situazione in cui si trovava la Germania. Quindi, seppur prolisso,
ma con molta lucidità ebbe ad affermare:
«L’esito
di questa guerra decide anche sul futuro dell’Italia! Se questo futuro
viene considerato nel Vostro paese soltanto come il perpetuarsi di un
esistenza di Stato europeo di modeste pretese, allora io ho torto. Ma se
questo futuro viene considerato alla stregua di una garanzia
dell’esistenza del popolo italiano da un punto di vista storico,
geopolitico e morale, ossia secondo le esigenze imposte al diritto di
vita del Vostro popolo, gli stessi nemici che combattono oggi la
Germania vi saranno avversari».
LA GEOPOLITICA DI HITLER
Resta
il fatto che Mussolini, oltre all’estendersi del conflitto, paventava
anche che inglesi e tedeschi si mettessero d’accordo tra loro su
dimensioni globali (cosa ben diversa da un accordo Europeo, auspicato
anche dall’Italia, che evitasse o che interrompesse il conflitto oramai
in corso).
In
effetti la Germania di Hitler aveva una visione geopolitica classica,
per così dire semplice, finalizzata ad uno spazio ad Est, unico modo per
una potenza continentale di dominare il continente e garantirsi le
fonti energetiche e alimentari. In quest’ottica l’Italia era considerata
un alleata indispensabile per coprire il sud Europa ed in questo senso
Hitler era anche disposto a rinunciare definitivamente all’Alto Adige
(pomo di discordia con gli italiani).
Questa
geopolitica però era complicata dal pangermanesimo del Führer,
oltretutto impostato su basi razziali dai contenuti in buona parte
“biologici” e quindi più che altro confacente al popolo tedesco (e
sappiamo quante complicazioni questa visione razzista causò nei
territori occupati in Russia), ma sopratutto coltivava anche un sogno
ambizioso, anzi un fine preciso, quello di addivenire ad un accordo su
larga scala con gli inglesi, considerati “fratelli di razza”: alla
Germania il continente, all’Inghilterra l’Impero, garantendogli anche i
suoi punti strategici come Gibilterra, Suez, Aden, Singapore, Hong Kong,
Città del Capo e le Isole Falkland.
Ricorda l’aiutante personale di Hitler, Fritz Wiedemann che il Fuerer ebbe a dire:
«Se
dovessi scegliere tra la Gran Bretagna e Mussolini la scelta sarebbe
chiara: l’Italia ci è certo ideologicamente più vicina, ma politicamente
vedo un futuro solo a fianco della Gran Bretagna».
Ed
erano queste delle scelte che partivano da lontano ed a cui il Führer
si attenne sempre. Nel 1928 Hitler scriveva chiaramente che occorreva
favorire una intesa con la Gran Bretagna e con il suo Impero, per poter
dettare insieme la Storia del’intero pianeta.
Una
intesa con la Gran Bretagna, proprio il nemico principale e
irreversibile dell’Italia, quello che osteggiava in ogni modo la nostra
presenza in Africa, ci contendeva la “quarta sponda”, pretendeva di
dettare legge nel Mediterraneo, area di vitale interesse e competenza
del nostro paese e ci osteggiava parimenti nei Balcani.
Vi
è un dato di fatto storico indiscutibile: gli inglesi nell’ottica del
controllo del Mediterraneo e del Sud Europa e dietro i maneggi
massonici, avevano contribuito al nostro Risorgimento, ponendo al
contempo una pesante ipoteca sulla autonomia della nostra politica
estera, ma soprattutto dopo l’apertura del canale di Suez, nel novembre
del 1969, l’Italia era diventata strategicamente determinante per gli
interessi britannici.
Ma
tanta era la volontà di Hitler di accordarsi con gli inglesi, che
nell’agosto del 1940, in piena guerra comune, il generale Leeb, dopo una
conferenza di Hitler ai feldmarescialli di nuova nomina, ebbe a
scrivere: «…la Germania non vuole schiacciare la Gran Bretagna perché
significherebbe concedere al Giappone l’intero continente, all’Unione
Sovietica l’India, all’Italia il Mediterraneo e agli Stati Uniti il
commercio globale».
Tanto
è vero che un giorno Hitler, nel 1941, ebbe a sottolineare come le
alleanze in atto erano più che altro alleanze di convenienza ed
aggiunse:
«Il
popolo tedesco sa che la nostra alleanza con l’Italia è solo un
alleanza tra me e Mussolini. Noi tedeschi abbiamo simpatie solo per la
Finlandia. Potremmo trovare qualche simpatia per la Svezia e
naturalmente per la Gran Bretagna. Un alleanza tedesco britannica
sarebbe un alleanza tra due popoli! La Gran Bretagna dovrebbe soltanto
tener giù le mani dall’Europa, potrebbe tenersi il suo Impero, e se lo
vuole tutto il mondo».
In
definiva la geopolitica hitleriana assumeva un carattere euro atlantico
profondamente diverso da quello euro asiatico perseguito dal Duce.
E
questo “accordo globale” Hitler perseguì fino all’ultimo, contando sul
fatto che l’apparire all’orizzonte di due superpotenze planetarie, gli
USA e l’URSS, assurte in pochissimo tempo al rango di potenze
talassocratiche (gli USA) o di genere misto (i sovietici), con mire di
dominio mondiale, costringesse l’Inghilterra a rivedere la sua
ricorrente politica, quella di attaccare e distruggere la nazione
europea emergente nel continente: da Luigi XIV, a Napoleone a Guglielmo
II, l’Inghilterra, nazione talassocratica, si era sempre mossa, e non
poteva fare diversamente, in questo senso: dividendo gli avversari,
attaccandoli o alleandosi con nazioni continentali o marittime (come
l’Italia nella prima guerra mondiale).
In
questa situazione l’Italia, seppur alleata della Germania, qualora
l’accordo globale anglo tedesco, fosse andato in porto, avendo gli
inglesi tutti i loro interessi in opposizione ai nostri, tale accordo
non poteva che essere contro gli interessi italiani (è una legge storica
inevitabile).
IL DRAMMA DI MUSSOLINI
Si
immagini in quale difficile situazione venne a trovarsi Mussolini:
alleato della Germania non poteva che augurarsi il successo militare
della stessa, ma al tempo stesso che questo successo non fosse troppo
eccessivo (soprattutto sperava che la Francia fosse ridimensionata, ma
non totalmente sconfitta ed occupata); interessato alla pace in Europa,
non poteva che sollecitare un accordo – armistizio tra gli anglo
francesi e i tedeschi, ma al tempo stesso che questo “accordo” non fosse
monopolio anglo tedesco e proiettato su scala planetaria; dover infine
essere presente nel teatro bellico, per evitare l’esclusione dell’Italia
dalla definizione degli esiti bellici, ma al tempo stesso non essere in
grado di affrontare una guerra di quella portata, e così via.
Così Mussolini aveva riassunto la nostra situazione a Giuseppe Bottai:
«Qui
ci sono due imperi in lotta, due leoni. Non abbiamo interesse che
stravinca nessuno dei due. Se vincesse l’Inghilterra, non ci lascerebbe
che il mare per fare i bagni. Se vincesse la Germania, ne sentiremmo il
peso. Si può desiderare che i due leoni si sbranino, fino a lasciare a
terra le code, e caso mai, andare a raccoglierle».
Questo
il dramma che al tempo viveva il Duce, oltretutto a capo di una nazione
“riottosa” a certe scelte impegnative anche perché, erede del
Risorgimento massonico, aveva una industria, una finanza e buona parte
di una cultura (tranne quella cattolica) in sintonia con gli anglo
francesi e si aggiungano poi gli interessi non certo “italiani” di Casa
Savoia e del Vaticano!
E
le conseguenze di questa complessa e precaria situazione si palesarono
quasi subito, già dall’autunno del 1940, a pochi mesi dal nostro
intervento, quando Mussolini, dopo i primi rovesci dell’esercito
italiano, si trovò praticamente solo, a difendere gli interessi della
nazione. Basta leggere quanto poi egli ebbe a dire ad Hitler nel corso
di un loro incontro presso la “Tana del Lupo”,nell’agosto del 1941 nel pieno dell’offensiva contro la Russia.
In quell’occasione il Duce confidò al Führer che ne rimase sconvolto:
«Mi
dica cosa farebbe lei se avesse degli ufficiali che hanno dei dubbi sul
regime e sulle sue ideologie… e che dicono, mentre lei parla della sua
ideologia o della ragion di Stato, che loro sono monarchici e che
devono lealtà solo al Re?».
Si
spiega così il comportamento contraddittorio e ondivago di Mussolini
durante la precedente non belligeranza e tutto il resto.
Eppure
sarebbe forse bastato un intervento offensivo, deciso e a tutto campo
della nostra marina, in quel momento (estate 1940) certamente in
superiorità nel mediterraneo, per creare una situazione oltremodo
favorevole alle operazioni belliche dell’Asse e garantire nel futuro i
nostri rifornimenti in Africa.
Scriverà
significativamente, anche se forse esagerando un poco l’entità delle
nostre forze navali, l’ammiraglio Andrew Cunningham, comandante in capo
della flotta britannica nel mediterraneo:
«Se
la forza italiana avesse agito con maggior decisione ed avesse
attaccato le navi inglesi certamente si sarebbe assicurata il dominio
del mediterraneo…. Sarebbe bastato che alcuni mercantili carichi di
cemento o di esplosivo si fossero affondati nel canale di Suez o davanti
al porto di Alessandria, per paralizzare le operazioni navali
britanniche…. Ma poi se dopo la disfatta della Francia gli italiani
avessero attaccato con le corazzate e con gli incrociatori noi avremmo
dovuto ritirarci».
Ma
come vedremo, in parte l'”accordo” con Churchill del giugno 1940 e poi
soprattutto l’operato di ambienti anglofili, di quelli massoni destati
dal “sonno” nel quale li aveva relegati il fascismo nel ventennio e
generali felloni, impedirono tutto questo.
Per
tornare alla nostra politica, come abbiamo visto giocoforza “guardinga e
ondivaga”, ad aprile 2010 il giornalista storico Fabio Andriola nella
rivista Storia in Rete ha pubblicato un articolo (“Dai nemici mi salvi Dio che dagli amici mi guardo io”)
che mostra come Mussolini, ancora in piena guerra, si premuniva anche
rispetto ad una possibile aggressione dei tedeschi (che aveva messo in
conto e pur paventava) e comunque si teneva circospetto ed ambiguo
rispetto alla politica dell’Asse.
Una
storia tutta da riscrivere e che dimostra come l’ Asse era nella
propaganda, ma non nei fatti, ed in effetti se la geopolitica di
Mussolini era sostanzialmente antinglese, al contempo il Duce temeva
l’affermarsi in Europa di una egemonia tedesca e quindi agiva di
conseguenza.
Andriola, infatti, ha rievocato lo “strano” (a dir poco) comportamento dell’Italia, non solo durante il periodo della nostra non belligeranza (dove,
presi per il collo da una disastrosa situazione finanziaria, si ebbe
perfino una sia pur limitata vendita di materiale bellico agli anglo
francesi), ma addirittura fino al 1942 inoltrato, quando si
procedeva alacremente a costruire imponenti fortificazioni
(confidenzialmente soprannominate la “linea non mi fido“) in
Cadore, Carnia e al Tarvisio, quel “vallo Littorio” al nord, nord est a
protezione dell’Italia da una eventuale invasione tedesca.
Incredibilmente,
mentre si combatteva una guerra a fianco della Germania, al contempo
l’Italia, che aveva iniziato a ritmo frenetico i lavori a fine novembre
1939 durante la sua non belligeranza, si premuniva e si attrezzava come
se, prima o poi, dovesse far fronte alla nazione amica.
Il
gerarca Tullio Cianetti che andò in visita a quei cantieri nell’estate
del 1940, scrisse nel suo diario che gli era venuto il dubbio se si
stava lavorando per la guerra dell’Asse oppure contro.
Cosa
stava accadendo? Quali furono le conseguenze di questa politica dal
“doppio binario” che, per esempio, il 16 dicembre del 1939, dopo il
discorso di Ciano alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni (ispirato
da Mussolini), con il quale si presero le distanze dalle ragioni di
guerra dei tedeschi e si ricordarono i loro impegni (purtroppo non messi
per iscritto), non mantenuti a non forzare eventi bellici in Europa per
almeno altri tre anni, si rischiò seriamente di incrinare l’alleanza
con la Germania?
La risposa stava semplicemente in quella massima degli antichi romani, per cui: «la salvezza della Patria è la legge suprema» e per le conseguenze, purtroppo, oggi possiamo dire che furono nefaste.
Mussolini,
intanto, sapeva bene che, specialmente dopo la nostra non
partecipazione di fine agosto ’39 al fronte bellico con i tedeschi, in
deroga al Patto d’Acciaio, l’alleanza con la Germania era sprofondata ai
livelli minimi ed anzi, in quel momento, in Germania, forse una
campagna militare contro l’Italia, con discesa fino all’Alto Adige,
sarebbe stata la più popolare di tutte. E non gli si può neppure dare
torto se andiamo a leggere le pagine del diario di Joseph Goebbels,
scritte ancor prima, il 10 magio 1938, quando con Hitler ebbero a
passare per Merano. Scrive Goebbels: «Sullo sfondo scorgiamo alcuni sudtirolesi in lacrime. Ci si sente stringere il cuore. Addio. Per sempre?».
E in quell’interrogativo, c’era tutto un futuro che nessuno poteva garantire.
Ma
oltretutto nei primi mesi della nostra belligeranza, un nostro
intervento in guerra non era ancora stato deciso e pertanto,
protraendosi la nostra neutralità nella situazione esplosiva e dai
prevedibili cambiamenti strategici e militari in Europa, non si poteva
del tutto escludere che gli stessi tedeschi, avessero la necessità di
invadere ed occupare il nostro territorio.
Per questo il vallo Littorio ebbe priorità di esecuzione e ingenti stanziamenti finanziari.
La
storia, in definitiva, si può analizzare nei suoi particolari
svolgimenti contingenti, oppure riassumerla ed inquadrarla “fuori dal
tempo e dallo spazio” ovvero in una dimensione metastorica.
In
quest’ultimo caso, per stare in argomento, è perfettamente legittimo
inquadrare il fascismo ed il nazionalsocialismo come un portato della
civiltà europea, una manifestazione della “Tradizione” neitempi ultimi, confacente al secolo delle masse laddove, una comune visione della vita e del mondo portarono l’Italia e la Germania ad intraprendere una “guerra del sangue contro l’oro“, contro le democrazie dell’occidente liberista ed il bolscevismo sovietico.
Questo
però è appunto un discorso metastorico che investe il campo ideologico,
mentre invece nel campo storiografico gli avvenimenti vanno visti da un
altra prospettiva, laddove i fattori ideologici e gli ideali di
partito, spesso non vanno di pari passo con gli interessi geopolitici e
la ragion di Stato, vale a dire che le similitudini ideologiche tra
fascismo e nazionalsocialismo non ebbero affatto un peso prevalente
nelle evoluzioni belliche.
Una guerra che, come abbiamo visto, fu condizionata dall’ossessione tedesca di addivenire ad una intesa con gli inglesi.
Su
questi presupposti nella politica tedesca non ci sono dubbi, sia
considerando le loro strategie geopolitiche e i tentati approcci
diplomatici del tempo, fino a guerra inoltrata, e sia le tante
testimonianze che se ne hanno in proposito.
Anche Schwering Von Krossing ricorda che Hitler teneva in conto le parole di un morente maresciallo Hindenburg : “Non si fidi degli italiani”, parole
che, come sottolinea lo storico David Irving, sarebbero state alla base
di una sua eventuale scelta tra Gran Bretagna e Italia.
Comunque
sia tutto questo non toglie che, nella considerazione storica, che
trascende i particolari e le contingenze, in definitiva il 10 giugno
1940 fu proprio quello che affermarono gli ex combattenti della FNCRSI
in un loro volantino: «Il sangue contro l’oro; il lavoro contro la
speculazione e l’intrigo; schiavisti anglossassoni e sovietici contro
proletari che volevano i frutti del proprio lavoro».
Scrive ancora Franco Cardini: «Quell'”Italia
proletaria e fascista” evocata in termini al tempo stesso tanto
laconici e tanto retorici non veniva affatto presentata come vittoriosa e
potente. Al contrario: essa si metteva dalla parte dei poveri, dei
“dannati della terra”, degli sfruttati.
Dietro al Duce chiuso nell’orbace dalle spalline dorate si profilava ancora e nonostante tutto l’ombra del giovane Benito Mussolini agitatore socialista-interventista: la guerra destinata a rovesciare i destini del mondo, a rovesciare i troni dei potenti e ad esaltare il destino dei diseredati. Una guerra ch’era davvero la prosecuzione di quella del ’14-’18, il saldo dei conti ch’essa non aveva saputo chiudere, la reazione contro gli inganni e le ingiustizie della “pace ingiusta” di Versailles. Una guerra il conclamato scopo della quale era la rottura della prigione geopolitica mediterranea che rinserrava una giovane potenza entro il lago sorvegliato dalle due porte di Gibilterra e di Suez, saldamente in mano britannica».
Dietro al Duce chiuso nell’orbace dalle spalline dorate si profilava ancora e nonostante tutto l’ombra del giovane Benito Mussolini agitatore socialista-interventista: la guerra destinata a rovesciare i destini del mondo, a rovesciare i troni dei potenti e ad esaltare il destino dei diseredati. Una guerra ch’era davvero la prosecuzione di quella del ’14-’18, il saldo dei conti ch’essa non aveva saputo chiudere, la reazione contro gli inganni e le ingiustizie della “pace ingiusta” di Versailles. Una guerra il conclamato scopo della quale era la rottura della prigione geopolitica mediterranea che rinserrava una giovane potenza entro il lago sorvegliato dalle due porte di Gibilterra e di Suez, saldamente in mano britannica».
E VENNE LA GUERRA
Arriviamo
così alla guerra (1- 3 settembre 1939), conflitto dove l’Italia non
poteva rimanere neutrale all’infinito senza rinunciare a tutto, anzi
correndo addirittura grossi rischi. Sia che prevalesse uno dei due
contendenti e sia che, invece, fossero addivenuti ad un accordo su larga
scala l’Italia, senza aver combattuto, avrebbe di colpo dovuto
rinunciare a tutte le sue mire. Proseguendo ed estendendosi il
conflitto, invece, c’era anche il reale rischio che uno dei contendenti,
per ragioni strategico militari, poteva invadere la nostra penisola per
utilizzarla quale ideale portaerei nel mediterraneo.
Quel 1° settembre del 1939 quando già dall’alba la nave scuola tedesca Schleswing Holstein aveva aperto il fuoco contro la fortezza polacca della Westerplatte, le
truppe tedesche avevano varcato la linea di confine e la luftwaffe si
accingeva ad alzarsi in volo per bombardare Varsavia Mussolini, teso in
volto, alle 15 a Palazzo Venezia presiedette il Consiglio dei Ministri e
praticamente attuò la decisione, precedentemente comunicata
al Führer (e ovviamente mal digerita), che l’Italia non sarebbe scesa in
guerra.
Era la non belligeranza, decisione
inevitabile, che riscosse l’applauso e il sollievo di ministri e
fascisti presenti, ma che ci espose ai sorrisi ironici di nemici e
alleati che rinvangavano i nostri “giri di Valzer” del 1914, ma
si guardavano bene dall’evidenziare: per i tedeschi, i loro progetti
strategici e segreti nei tempi e nei fini militari di attuazione del
lebersraum, strafregandosene dei tempi e delle necessità italiane,
mentre per gli occidentali, lo sporco e palese utilizzo della Polonia
come un espediente, una miccia unicamente atta a scatenare la guerra
alla Germania, tanto che poi si guardarono bene dal mandare un sol uomo a
“morire per Danzica”!
Mussolini, che come aveva già avuto modo di dire al giornalista Bruno Spampanato: «solo un interesse italiano, vale il sangue di un italiano», procrastinò
il nostro intervento fino all’impossibile, pur avendolo poi
definitivamente deciso a fine marzo 1940 (come ampiamente documentato),
ma operativamente considerato, salvo sviluppi imprevisti del momento,
all’incirca per il settembre di quell’anno (anzi la precedente
previsione era stata per la primavera del 1941). Oltre, specialmente se
la guerra si fosse intensificata, sarebbe stato un suicidio.
Praticamente la politica di Mussolini, perfettamente aderente ai nostri
interessi ed alle nostre necessità si era mossa fino a quel momento sia
per evitare l’intervento in guerra e sia, allo stesso tempo, per evitare
uno sganciamento dall’alleanza con la Germania che sarebbe stato un
salto nel buio e ci avrebbe gettato allo sbaraglio.
Ma
anche ora che Mussolini aveva “deciso” l’intervento, in cuor suo si
augurava che “qualcosa” potesse alla fin fine evitare questo passo
estremo.
Successivamente
al vertice del Brennero con Hitler, di metà marzo 1940, quando la
guerra ancora non aveva investito lo scacchiere occidentale, Mussolini
con un riservato “Memoriale panoramico al Re” del 31 marzo 1940, scrisse:
«Se
si avverrà la più improbabile delle eventualità, cioè una pace
negoziata nei prossimi mesi, l’Italia potrà, malgrado la sua non
belligeranza, avere voce in capitolo e non essere esclusa dalle
negoziazioni: ma se la guerra continua credere che l’Italia possa
rimanere estranea fino alla fine. È assurdo e impossibile. L’Italia non è
accantonata in un angolo di Europa come la Spagna, non è semiasiatica
come la Russia, non è lontana dai teatri di operazione come il Giappone o
gli Stati Uniti; l’Italia è in mezzo ai belligeranti, tanto in terra,
quanto in mare,. Anche se l’Italia cambiasse atteggiamento e passasse
armi e bagagli ai franco-inglesi, essa non eviterebbe la guerra
immediata con la Germania, guerra che l’Italia dovrebbe sostenere da
sola.
E’
solo l’alleanza con la Germania, cioè con uno Stato che non ha ancora
bisogno del nostro concorso militare e si contenta dei nostri aiuti
economici e della nostra solidarietà morale, che ci permette il nostro
attuale stato di non belligeranza…. L’Italia non può rimanere neutrale
per tutta la guerra, senza dimissionare dal suo ruolo, senza
squalificarsi, senza ridursi al livello di un Svizzera moltiplicata per
dieci.
Il
problema non è quindi sapere se l’Italia entrerà in guerra o non
entrerà in guerra, perché l’Italia non potrà fare a meno di entrare in
guerra. Si tratta soltanto di sapere quando e come: si tratta di
ritardare il più a lungo possibile, compatibilmente con l’onore e la
dignità, la nostra entrata in guerra: a) per prepararci in modo tale che
il nostro intervento determini la decisione; b) perché l’Italia non
può fare una guerra lunga, non può cioè spendere centinaia di miliardi,
come sono costretti a fare i paesi attualmente belligeranti».
Quindi
Mussolini affermava che, escluso un nostro voltafaccia dell’alleanza
con i tedeschi, non ci rimaneva che la possibilità di una “guerra
parallela” con la Germania ed in funzione dei nostri interessi che si
potevano riassumere in questi obiettivi:
«Libertà
sui mari, finestra sull’oceano, L’Italia non sarà mai una nazione
indipendente sino a quando avrà a sbarre della sua prigione mediterranea
la Corsica, Biserta, Malta e, a mura della stessa prigione, Gibilterra e
Suez. Risolto il problema della frontiere terrestri, se l’Italia vuole
essere una Potenza veramente mondiale deve risolvere il problema delle
sue frontiere marittime: la stessa sicurezza dell’Impero è legata alla
soluzione di questo problema».
Quindi una “guerra parallela” con la Germania e sostanzialmente contro l’Inghilterra.
La
disamina di Mussolini rispecchiava con molto realismo la delicata
situazione del momento, una fotografia senz’altro valida fino
all’invasione tedesca della Scandinavia (primi di aprile 1940), che
portò la guerra direttamente in occidente, ma che non sarà più attuale
dopo il dirompente successo delle operazioni contro la Francia.
Infatti,
quella pace negoziata che Mussolini, teoricamente, a fine marzo
escludeva, adesso dopo il crollo francese che rompeva gli equilibri
militari e lo scarso interesse tedesco a proseguire la guerra contro la
Gran Bretagna, con quest’ultima venutasi a trovare in gravi difficoltà,
sempre teoricamente, sarebbe forse potuta divenire possibile.
Ma
in ogni caso l’arrivo della guerra alle nostre frontiere avrebbe reso
necessario rivedere i tempi del nostro intervento, non solo per non
perdere posizioni nelle aree di nostra ingerenza, ma anche perchè se i
tedeschi fossero entrati a Parigi, il nostro intervento non avrebbe
avuto più senso ed anzi sarebbe forse stato dannoso.
Fatto
sta che il 9 aprile i tedeschi entravano in Danimarca e Norvegia,
precedendo di un soffio l’invasione inglese della Norvegia e della
Scandinavia, ma soprattutto mostravano di poter battere gli inglesi
anche in operazioni sul mare.
Quando
il mese dopo, nei giorni successivi al 10 maggio, inizio dell’offensiva
tedesca sul fronte occidentale, la Francia crollò inaspettatamente ed
in quella misura poi, il nostro intervento non poteva più essere
rinviato perché i tedeschi che dal 1938, senza colpo ferire, erano
arrivati al Brennero e si erano riaffacciati anche nell’Adriatico (chi
poteva escludere possibili nostalgie, seppur ancora non espresse, oltre
che per l’Alto Adige, addirittura per l’asburgico lombardo/venuto, tutte
aree geografiche e storiche di vitale interesse italiano che, fatto
salvo Hitler, a Vienna e Berlino non avevano mai dimenticato?) adesso,
spazzata via la Francia, minacciavano una ingerenza anche sul Tirreno,
ponendo in forse quegli equilibri che garantivano la nostra geopolitica
sul continente (non si dimentichi che l’Alto Adige e lo stesso
territorio francese erano per l’Italia una necessaria antemurale a
protezione).
Anche
in questo caso le leggi storiche dimostrano che alleanze ideologiche ed
eventuali accordi, da soli, senza esercitare una influenza sul
territorio, non sono mai una garanzia e i tedeschi avevano sempre agito
senza tener troppo in conto i nostri interessi nella mitteleuropa e
soprattutto nei Balcani, aree di interesse italiano.
Dovevamo
quindi entrare in guerra subito, pur senza copertura finanziaria e con
un esercito non all’altezza. Solo la marina avrebbe potuto svolgere una
sua parte (ma non lo fece).
Il
27 maggio 1940 il Corpo di Spedizione britannico, ignorati i disperati
appelli francesi e lasciati qust’ultimi nei guai, iniziava sulla
spiaggia di Dunkerque le operazioni di reimbarco.
Il
29 maggio 1940, all’indomani della resa del Belgio e con i franco –
inglesi in totale rotta, Mussolini ottenne su delega del Re il comando
delle forze armate. Si investiva quindi di un comando più che altro
“formale”, di grande prestigio se le cose fossero andate bene, ma la
conduzione strategica ed operativa della guerra, con tutte le sue
deficienze (e tradimenti) era di fatto nelle mani di Pietro Badoglio
Capo di Stato Maggiore Generale a sua volta coadiuvato dei capi di stato
Maggiore della Marina Domenico Cavagnari, dell’Aeronautica Francesco
Pricolo e dell’Esercito Rodolfo Graziani.
E
proprio a questi responsabili delle imminenti operazioni quello stesso
giorno Mussolini disse che inizialmente aveva previsto l’ingresso in
campo dell’Italia all’incirca per la primavera del 1941, ma poi
l’incalzare delle vicende belliche travolse ogni previsione. Infatti i
tedeschi avevano in poco tempo vinto in Norvegia e Danimarca (aprile
1940) e Mussolini fu costretto ad anticipare il progettato intervento
per il settembre di quello stesso anno, ma adesso:
«La
situazione attuale non permette ulteriori indugi, perché altrimenti noi
corriamo dei pericoli maggiori di quelli che avrebbero potuto essere
provocati con un intervento prematuro… D’altra parte se tardassimo due
settimane o un mese, non miglioreremmo la nostra situazione, mentre
potremmo dare alla Germania l’impressione di arrivare a cose fatte,
quando il rischio è minimo…».
Era
questa la famosa riunione, tenuta nella stanza del Duce, in cui si
decise ufficialmente la nostra entrata in guerra. Il resoconto
stenografico ci informa anche che non ci furono assolutamente obiezioni
di sorta da parte dei generali presenti!
Chi,
ancora oggi, di fronte all’evidenza dei fatti, accusa Mussolini di
megalomania e avventatezza, dovrebbe invece riflettere che le decisioni
di Mussolini furono tutte ponderate, soppesate e impostate sull’eccesso
di prudenza, addirittura a scapito della stessa opinione pubblica della
nazione.
Nel
1939 un rapporto riservato dell’OVRA, aveva infatti rilevato un
generale dissenso verso una nostra entrata in guerra, ma ora nella
primavera del 1940, la situazione si era letteralmente capovolta:
opinione pubblica e classi dirigenti, comprese quelle tendenzialmente
anglofile, avevano tutti il timore di “arrivare tardi“, a cose fatte, di perdere prestigio e posizioni (e ovviamente affari e interessi).
Anche Vittorio Emanuele III confidava al suo aiutante di campo, generale Puntoni, che “Il più delle volte gli assenti hanno torto” e non lesinava neppure qualche battuta sul troppo esitante Mussolini.
Solo
Mussolini, invece, di fronte ai fenomenali successi tedeschi, e
nonostante l’intensificarsi delle provocazioni britanniche ai nostri
danni, pur con la pressione “guerrafondaia” montante nel paese, cercava
di rimanere il più razionale possibile.
Eppure
a causa del blocco navale inglese ai nostri danni il presidente della
Montecatini Guido Donegani era corso a Roma a sottolineare come la
sospensione dei rifornimenti di carbone stava per causare l’arresto
dell’industria determinando la catastrofe nella produzione e serie
conseguenze sociali.
«Tra poco i cannoni spareranno da soli» inveì Mussolini, ed aggiunse costernato: «non è possibile che io, proprio io, sia diventato il ludibrio dell’Europa. Non faccio che subire umiliazioni».
Quando
poi i travolgenti successi tedeschi stavano ubriacando tutti gli
italiani e la Germania ci era anche venuta incontro sopperendo alla
carenza delle forniture di carbone provocata dal blocco inglese, il Duce
così, significativamente, confidò a suo figlio Vittorio:
«Adesso
tutti desiderano sparare il primo colpo di fucile. Il Re, lo Stato
Maggiore, i gerarchi. Per quanto paradossale sembri, l’unico pacifista
sono rimasto io, io solo!».
Il
30 maggio, infine, Mussolini comunicava a Hitler la decisione di
entrare in guerra indicando il giorno 5 giungo che fu poi, per richiesta
tedesca, spostato al 10.
Dobbiamo
doverosamente sottolineare un importante articolo di Michele Rallo, che
su Storia in Rete di giugno 2010, con l’articolo “Ecco perchè l’Italia andò in guerra” ha
sufficientemente ricostruito queste situazioni e riconosciuto a
Mussolini quanto anche da noi attestato, ricordando persino che la
speranza e l’intento di Mussolini, nel fare necessità virtù, era quella
di mettere in pratica la furbizia di Bertoldo che accettò di essere
impiccato a patto di scegliere lui stesso l’albero: che ovviamente non
trovava mai. E così Mussolini, conveniva di entrare in guerra a patto di
scegliere lui il momento, nella speranza che questo momento non avesse
dovuto mai trovarlo.
Riassumiamo ora cosa accadde, dietro le quinte, in quel periodo precedente la nostra entrata in guerra.
IL CRIMINALE PROGETTO DI CHURCHILL CELATO NEL SEGRETO DEL CARTEGGIO
Sir
Winston Leonard Spencer-Churchill dopo il marzo 1939, sostenuto dalle
lobby che volevano imporre una guerra ad oltranza alla Germania, venne
portato da Chamberlain nel governo e fatto entrare nel gabinetto di
guerra (War Gabinet), nominandolo Primo Lord dell’Ammiragliato.
Fu
proprio verso quest’uomo, fino a poco tempo prima screditato, che si
focalizzarono e si appuntarono le strategie delle Lobby occidentali
risolute ad una guerra ad oltranza.
Esse
trovarono in lui quegli elementi idonei a strumentalizzarlo per i
propri fini. Anzi, nella delicatezza della politica britannica, con
vaste e forti realtà sicuramente avverse ad una nuova guerra contro i
tedeschi, proprio le sue doti di cocciutaggine, ostinazione, impulsività
e stravaganza, costituivano le condizioni favorevoli ad investire su di
lui.
Forti
pressioni, attuate dietro interessi trasversali, a cui il venale
Churchill non era insensibile, avrebbero inoltre consentito di
condizionarlo nonostante il suo noto carattere da cane sciolto.
Dall’aprile
del 1940, quindi a guerra in corso, Churchill presiedette il Comitato
di Coordinamento militare che comprendeva i capi di Stato Maggiore.
In
questa veste fu anche responsabile dell’insuccesso militare
dell’intervento inglese abortito in Norvegia, ma nonostante questo
infortunio, tanto erano forti le correnti che lo sostenevano e puntavano
su di lui, che il suo prestigio venne scosso, ma non intaccato.
Il 10 maggio del 1940, infine, diventò Primo Ministro.
Tutto
questo per sottolineare come, anche prima di diventare capo del
governo, Churchill era in grado, se non di trattare, almeno di
intercedere attraverso una diplomazia sotterranea con l’Italia, durante
il periodo della nostra non belligeranza.
E’
ovvio però che possono costituire oggetto di trattativa concreta e
forte compromissione, con implicazioni di portata internazionale, solo
gli impegni da lui presi ed effettivamente sottoscritti dal momento in
cui divenne Premier.
In
ogni caso è indubbio che Churchill ebbe in mano le leve di potere
dell’impero britannico proprio in uno dei suoi momenti più difficili e
delicati. Giova solo ricordare:
a
fine maggio c’era stata Dunkerque con l’abbandono del vecchio
continente da parte delle forze inglesi; con la prima settimana di
giugno 1940, mentre la Francia è oramai avviata verso la capitolazione,
gli inglesi anche in Norvegia furono costretti a reimbarcarsi
definitivamente a seguito del fallimento delle loro operazioni militari;
infine l’8 giugno avvenne, a largo di Narvik, il non indifferente
affondamento della portaerei Glorius.
E’ chiaro che, in una situazione drammatica come questa, in cui anche la prudente Spagna
dichiarò una propria “non belligeranza attiva”, Churchill non si
facesse di certo scrupolo ad intraprendere ogni più spregiudicata,
ignobile e rischiosa operazione che tornasse utile alla salvezza
dell’Inghilterra ed agli obiettivi strategici finalizzati al
proseguimento della guerra ad ogni costo. Churchill aveva avuto mano
libera dopo la drammatica riunione segreta del gabinetto di guerra,
tenuta nel pomeriggio del 28 maggio ’40, dove riuscì definitivamente ad
imporre la sua strategia che in quel momento prevedeva di separare i
destini inglesi da quelli francesi e di rigettare ogni profferta di pace
da parte tedesca. E’ da quel momento in poi che Churchill giocò le
carte più spregiudicate della sua strategia bellica che prevedeva
l’allargamento del conflitto con il coinvolgimento dell’Italia.
Praticamente
Churchill, fino a circa la metà del maggio 1940, nei suoi contatti
segreti con il Duce (la classica “diplomazia sotterranea” tipica di
tutte le nazioni), ha cercato di tenere l’Italia fuori della guerra,
minacciandola e al contempo promettendo in cambio ampie concessioni
territoriali a spese della Francia (e poi consenziente la Francia
stessa, quando cominciò a trovarsi in difficoltà). E anche questo è
abbastanza documentato.
Ma
non è tutto, perché poi la situazione internazionale e militare
precipitò in pochi giorni, quando, a causa dell’improvviso e imprevisto
crollo militare dei francesi, Churchill sostenuto, sull’asse Londra –
New York, da certe Consorterie guerrafondaie, si trovò nella necessità
di fronteggiare un eventuale assalto delle correnti pacifiste che
potevano ora ritenere vantaggiose le generose offerte di pace avanzate
da Hitler e forse opportuno conseguire quell’ “accordo globale” anglo
tedesco, che Hitler aveva sempre prospettato.
Pertanto
adesso (siamo ai primi di giugno ’40) in attesa di un sicuro, ma ancora
lontano nel tempo, intervento americano, Churchill aveva la assoluta
necessità di allargare il teatro bellico e rendere la guerra
irreversibile.
Era
una strategia, nella sua ottica guerrafondaia, rischiosa, ma
necessaria, una strategia che lo portò a massacrare la flotta francese a
Mars el Kebir i primi di luglio, anche al fine di mandare un messaggio
di “guerra a oltranza” ad Hitler e, prima ancora, di giocare di furbizia
e d’audacia con Mussolini, invitandolo a scendere subito in guerra
(sia pure contro gli inglesi), proponendo un accordo a “non farsi
troppo male” (cosa che in effetti è avvenuta nei primi tempi) in vista
di un garantito prossimo tavolo della pace dove l’Italia, sostenne
probabilmente e in mala fede Churchill, avrebbe avuto tutto da
guadagnare e la sua presenza sarebbe stata anche utile per gli stessi
britannici.
Oltretutto
Churchill sapeva benissimo che oramai Mussolini non poteva più rimanere
neutrale, quindi tanto valeva che egli “mediasse” in qualche modo il
nostro “inevitabile” intervento, un
uscir fuori dell’Italia dalla “neutralità” che in Gran Bretagna non
pochi gradivano, anche sotto il profilo tattico – strategico, non
temendo affatto il nostro potenziale offensivo, contando su molti
“canali” e “contatti” favorevoli e compiacenti che avevano nel nostro
paese, e ritenevano quindi molto più utile affrontarci direttamente che
dover tenere immobilizzate navi e truppe per controllare le aree
geografiche dove era possibile la presenza italiana.
Non
è azzardato ipotizzare che le basi di questa “intesa a non farsi
troppo male” erano idealmente una estensione bellica di un altra intesa
che già era avvenuta alla vigilia della seconda guerra mondiale,
quando, intorno al 28 agosto 1939, Mussolini ebbe ad inviare questo
telegramma segreto al Re:
«Desidero
Maestà, nell’attesa di mandarvi tutto l’epistolario scambiato con il
Führer, anticiparvene le conclusioni. E cioè l’Italia si limiterà almeno
nella prima fase del conflitto ad un atteggiamento puramente
dimostrativo. Francesi e inglesi ci hanno fatto sapere che faranno
altrettanto».
In
pratica, sperava Mussolini, con tale intesa si sarebbe potuto ripetere
nel 1940 ai nostri confini e nel mediterraneo quella stessa situazione
di “finto conflitto” che si determinò per mesi, dopo la conquista della
Polonia, tra tedeschi ed occidentali, tanto da essere definita una drôle de guerre (una guerra “buffa”, “finta”),
Questo è il “terribile segreto” del Carteggio, ovvero Churchill che aveva chiesto e ottenuto, il nostro intervento in guerra!
Lo
si evince chiaramente dalla lettura delle intercettazioni telefoniche
ed epistolari carpite di nascosto dai tedeschi su Mussolini, i cui
contenuti mostrano l’enorme l’importanza del “Carteggio” e l’intenzione
del Duce di utilizzarlo nell’interesse nazionale.
Vale
per tutti questa registrazione telefonica tra Mussolini e Claretta
Petacci del 22 marzo 1945 (si sta parlando di Pavolini, in quel momento
ignaro del “Carteggop”, ne sarà messo al corrente pochi giorni dopo,
n.d.r.):
«…
lui non può capire la situazione, non può collaborare. Perciò io devo
rispettare il suo punto di vista di parte. Lui non conosce gli
avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra.
Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi ? In tutto la conoscono cinque persone!».
Ma non da meno è anche una lettera, precedentemente, inviata da Mussolini a Graziani il 9 gennaio 1945:
«[Scrive Mussolini]: “Ho una lettera di Hitler, datata 2 gennaio 1945.
Il
suo comportamento mi convince poco. La sua pretesa di ritirarci in caso
di bisogno al Nord, molto al Nord, è un sintomo chiaro. Il suo
consiglio di portare con me tutti gli incartamenti della cui esistenza gli feci cenno e che proposi di sfruttare, parlano chiaro. Sono seriamente preoccupato.
Le vicende della guerra non mi illudono più. Io
non faccio questione della mia persona, ma quello che mi preoccupa è il
pensiero di vedere in un prossimo futuro l’Italia interamente occupata
dagli anglo-americani.
Al momento ritengo di grande importanza portare in salvo questi incartamenti, in primo luogo lo
scambio delle lettere e gli accordi con Churchill. Questi saranno i
testimoni della malafede inglese. Questi documenti valgono più di una
guerra vinta, perché spiegheranno al mondo le vere, le sole ragioni del
nostro intervento a fianco della Germania. Ho bisogno di vedervi. Vi attendo per stasera”».
Interessante
anche leggere questa lettera inviata da Mussolini a Graziani il 3
aprile 1945, evidentemente a seguito di una proposta, a dir poco
ingenua, per non dire altro, di Graziani di trattare i preziosi
documenti in mano a Mussolini attraverso la mediazione del Re:
«[Mussolini]: …”La vostra proposta è assolutamente insensata! Affidare al Savoia i documenti per vincere la pace ? Vittorio Emanuele mi ha rinnegato e continuerà a tradire uno dopo l’altro i suoi compari, liquidandoli dopo averli sfruttati….
Mai
il Savoia potrà servirsi delle nostre carte. Se tentasse ne sarà
impedito! Il Savoia vuol portare l’Italia alla disfatta, alla
capitolazione incondizionata, solo per seppellire il Fascismo”».
Per il contenuto e la grande importanza che rivestono queste, ed altre, intercettazioni si veda: R. Lazzero: Il sacco d’Italia, Mondatori 1994.
Ricorda Pino Romualdi, al tempo vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano:
«Ero
a conoscenza dell’esistenza di un carteggio intercorso tra Mussolini e
Churchill fin dall’inizio del 1945 per esserne stato informato da
Mussolini stesso, ma non ho mai preso visione direttamente di qualcuna
delle lettere pubblicate Il vero carteggio, invece quello a cui
Mussolini attribuiva il potere di giustificare la condotta della nazione
italiana, era di tenore molto diverso. In esso infatti, lo so
personalmente… sarebbe risultato che l’entrata in guerra dell’Italia
avvenne con un larvato consenso inglese».
In
sostanza Mussolini, non fu né furbo, né ingenuo e neppure dovette
credere a tutte le sciocchezze del britannico (tra l’altro non poteva
ignorare che ad un eventuale “tavolo della pace” gli inglesi non avevano
di certo bisogno del nostro appoggio per mitigare Hitler anzi, l’Italia
addirittura, con i suoi interessi in contrasto con quelli inglesi
sarebbe stata un ulteriore carico su la Gran Bretagna), ma si trovava
nella tremenda situazione di dover ora e subito entrare in guerra. Una
guerra che, è bene ripeterlo, non rifiutava per principio, ma paventava
per la nostra debolezza e per il possibile risultato che ne uscisse
fuori un solo vincitore dominante assoluto. Più che altro il Duce, e su
questo gli storici sono abbastanza d’accordo, ritenne che l’entrata in
guerra dell’Italia avrebbe affrettato la conclusione del conflitto con
un risultato che non avrebbe troppo indebolito gli Occidentali, rendendo
così possibili dei negoziati di pace.
In
questa prospettiva, il Duce non si lasciò sfuggire l’occasione della
proposta segreta, chiamiamola di “accordo” transitorio, che gli avanzava
Churchill e che apparentemente gli consentiva di ottenere il massimo
rischiando pochissimo.
Non
quindi una trama anglo italiana ai danni della Germania, ma di una
reciproca convenienza (per noi reale, per il britannico falsa e con
altri obiettivi) devesi parlare.
Il
tutto probabilmente venne formalizzato, pochi giorni prima del nostro
intervento del 10 giugno 1940, forse in un paio di lettere che
Mussolini, come attesta Elena Curti, portava indosso al momento che
venne catturato a Dongo. Scrive la Curti:
«Prima di sedersi (Mussolini era giunto nell’autoblinda, n.d.r.) sistemò ordinatamente il suo bel giubbotto bianco e una ‘machine-pistole’ a canna corta, senza mai abbandonare una busta di pelle di 25 – 28 cm. per 18 circa che
teneva tra le mani. Una volta seduto si mise la busta su le ginocchia,
vi appoggiò sopra le mani incrociate con fare possessivo.
Mi guardava. “Qui
ci sono dei documenti di estrema importanza. Qui c’è la verità di come
sono andate le cose e chi sono i veri responsabili della guerra. Il
mondo deve saperlo e si sorprenderà“…
Quando il Duce scese dalla blindo (per recarsi nel camion tedesco, n.d.r.) portava la busta con sé.Le sue dimensioni gli permettevano di nasconderla sotto la giacca» (Elena Curti, Il chiodo a tre punte, Juculano editore Pavia 2003).
E
questa affermazione circa “documenti di estrema importanza” legati ai
destini dell’Italia, ebbe a farla precedentemente al suo attendente, il
brigadiere Pietro Carradori e poi al partigiano Bill alias Urbano Lazzaro che lo prese in custodia a Dongo.
Due altre valige invece contenevano un Carteggio precedente alla
nostra entrata in guerra, quindi meno importante. Probabilmente si
trattava di quei 62 fogli che in qualche modo riuscì a leggere Luigi
Carissimi-Priori, al tempo a capo dell’ufficio politico della questura
di Como.
Così
ha raccontato il Carissimi-Priori, ricordando le peripezie di questa
borsa di documenti, praticamente finita nelle mani dei comunisti di Como
e poi anche fotografata da un giornalista fotografo (tale Ugo Arcuno)
dell’Unità e poi, a quanto sembra, venduta agli inglesi:
«E questa copia c’è. Esiste ancora, sono appunto le 62 lettere [in realtà sembra che fossero 62 fogli per un numero imprecisato di lettere, n.d.r.] di
una corrispondenza intercorsa tra Mussolini e Churchill solo prima, e
sottolineo prima, che l’Italia entrasse in guerra il 10 giugno 1940. Non
vi sono lettere del periodo successivo. Io so, ho avuto fra le mani
quei documenti, li ho letti e dunque so cosa c’era scritto…
Credo
che potessero essere importanti in quel momento, quando l’Italia ha
trattato la pace. Perché prima dell’entrata in guerra Churchill,
affinché Mussolini non entrasse nel conflitto al fianco della Germania,
gli garantiva che poteva avere anche la Corsica, anche Nizza, anche la
Tunisia. Questo è certo…» (vedesi: Nuova Storia Contemporanea N. 5 del 2004, e R. Festorazzi Mussolini Churchill Le carte segrete Datanews 1998).
Ovviamente sparì tutto!
LE FAVOLETTE DI UN GIORNALISMO STORIOGRAFICO DI REGIME
È
penoso constatare come il giornalismo storiografico, in tutti questi
anni, per non dover ammettere o almeno ipotizzare la strategia
guerrafondaia di Churchill, in presenza di vari indizi e alcune prove
che attestavano chiaramente l’esistenza di un compromettente
“Carteggio”, si è più che altro aggrappato proprio a questa congettura,
ovvero che il “peccato” del britannico consistette probabilmente
nell’offerta di un pingue bottino territoriale all’Italia ed a spese
della Francia, affinché l’Italia rimanesse neutrale.
Una
favoletta questa per ingenui. In realtà le precedenti “offerte” e
proposte di Churchill, del tutto transitorie e che pur contemplavano
questo tipo di concessioni, rispondevano ad altre esigenze diplomatiche,
erano interne a tutto un discorso di lunga data che evidentemente tra
Mussolini e Churchill si analizzava e si prendeva in considerazione.
E’
indubbio però che a Churchill non stava a cuore la “neutralità”
italiana, egli aveva altri e ben più devastanti obiettivi ed allo stesso
tempo Mussolini ben sapeva che non gli sarebbe assolutamente stato
possibile “ingozzarsi” di territori e mandati a spese della Francia,
senza aver combattuto.
Consideriamo
comunque questa interpretazione di comodo che proprio nella sua
assurdità e inconsistenza mostra il pressapochismo, la superficialità,
se non la malafede, di certo giornalismo storico.
Dunque,
si viene a sostenere che Churchill, ad un certo punto, avrebbe buttato a
mare la Francia, quando ancora non si era arresa ed avrebbe addirittura
offerto all’Italia l’intera Dalmazia e l’Istria, il possesso definitivo
delle isole del Dodecaneso, la Tunisia, la Corsica, Nizza, e
quant’altro pur di evitare questo tanto paventato intervento italiano.
Logico quindi, affermano i sostenitori di questa tesi, che non volesse
far conoscere la natura delle proposte di baratto che poi, in
definitiva, non si concretizzarono neppure, nonostante le favolose
offerte, proprio in virtù del fatto che l’Italia scese, nonostante
tutto, in guerra.
Tanto
per cominciare, non è credibile che Churchill possa aver concretamente
avanzato offerte di questa natura e compensi di questo genere quando non
era ancora entrato a far parte del Comitato di Coordinamento militare
(ovvero prima di aprile 1940).
E’
vero che in quel periodo, per gli inglesi, poteva essere conveniente
evitare una entrata in guerra dell’Italia, ma in effetti l’Inghilterra
era pur convinta di una relativa resistenza del fronte francese e quindi
delle possibilità di controffensiva militare non appena ne fossero
maturate le condizioni. In quella contingenza, tutto al più, si può
parlare di generici e propagandistici inviti alla neutralità, da parte del governo di sua Maestà britannica, all’Italia, che lasciano però il tempo che trovano.
E
questo è anche attestato, in quel periodo, dall’atteggiamento di
chiusura della diplomazia inglese nei confronti di quella italiana e dal
comportamento aggressivo della marina britannica verso i nostri
traffici mercantili: chi persegue effettivamente l’obiettivo essenziale
di escludere l’Italia dalla guerra, si muove ed agisce diversamente!
Più
credibile sarebbe invece sostenere che si sia potuto trattare tra
Italia e Inghilterra su queste basi, nei primi giorni in cui Churchill
divenne Premier (inizi di maggio 1940), quando delineandosi il crollo
della Francia la situazione si fece critica per gli inglesi e poteva
quindi esserci una effettiva necessità a procrastinare la neutralità
italiana.
Resta
però il fatto che, sia nel primo caso che nell’altro (più probabile), è
estremamente complicato credere alla finalizzazione di vere e proprie
trattative con una posta di ricompensa così esagerata, e questo per il
semplice motivo che, non vediamo come avrebbe poi potuto l’Italia,
restando fuori dal conflitto, impinguarsi in quel modo a spese della
Francia. Non è pensabile infatti che l’Italia, per incassare quelle
spropositate promesse, avesse dovuto aspettare e sperare in una vittoria
(tra l’altro in quel momento ritenuta improbabile, dell’Inghilterra),
né la Germania gli avrebbe consentito, in caso di una sua solitaria
vittoria, di annettersi quei territori. È noto
che i tedeschi al momento delle trattative di pace con la Francia (che
tra l’altro non videro quelle tremende imposizioni e spoliazioni che si
temeva), attesero si, in segno di rispetto, che anche l’Italia fosse
pronta per sedersi al tavolo dei negoziati, ma agirono risolutamente da
freno verso le richieste italiane. E questo sia per motivi di
opportunità politica verso i francesi e sia perché non ritenevano
l’Italia degna di avanzare eccessive pretese dato il limitato apporto
alla guerra. Con la creazione del governo di Vichy e gli obblighi
germanici ad esso correlati, i tedeschi rispettarono tutti gli accordi
ed i trattati stipulati e non c’era quindi spazio per eventuali ed
ulteriori rivendicazioni italiane verso la Francia e questo nonostante
che l’Italia era comunque scesa in guerra: figuriamoci se fosse rimasta
fuori dal conflitto!
La
faccenda, se la si osserva bene, avrebbe assunto i contorni del
ridicolo perché, in pratica, Mussolini a guerra conclusa avrebbe dovuto
“affacciarsi” al tavolo delle trattative di pace con un discorso di
questo genere:
“Cari
camerati germanici, mentre vi facciamo i complimenti per aver concluso
vittoriosamente la guerra, noi italiani, che non abbiamo potuto aiutarvi
per via di una intesa con i vostri nemici, siamo qui per intascare,
senza aver mosso un dito, quanto dagli inglesi ci venne promesso e
sottoscritto!”
Ogni ulteriore commento è superfluo.
Quindi,
offerte di questo tipo, da parte di Churchill, non generiche, ma
concrete, possono invece essere state riproposte, in tutt’altro
contesto, proprio nell’imminenza dell’entrata in guerra dell’Italia
(primi di giugno 1940) in quanto, per una audace e spregiudicata
strategia bellica dell’ultima ora, questo intervento fu anche
sollecitato proprio dagli inglesi e quindi le offerte vanno viste adesso
non come ricompensa a stare fuori dal conflitto, ma come incentivo per
entrarci e per addivenire ad unaintesa reciproca sul come comportarsi militarmente nella fase di inizio bellico in vista di una millantata pace imminente.
In
questo caso e solo in questo caso, le offerte di Churchill forse
sarebbero state un domani esigibili ed inoltre, essendo veramente scottanti, se fossero venute alla luce avrebbero messo in grosse difficoltà lo statista inglese.
Il
solo e semplice mercanteggiare, infatti, attraverso offerte allettanti
all’Italia, a spese delle Francia, perché resti neutrale è sempre
possibile che ci sia stato ai primi di maggio ’40 nel momento del crollo
della Francia, ma è oltretutto pressoché ininfluente per l’importanza
del carteggio rispetto a gravi responsabilità e colpe da addossare agli
inglesi. Oltretutto è molto probabile e logico che il premier inglese
sapeva di poter fare certe offerte anche con il consenso di una Francia
alla disperazione, tanto che, nella testimonianza di Carissimi-Priori,
precedentemente riportata, si ebbe anche modo di affermare che: «la
rilevanza della partita a spese della Francia, dimostra che Churchill
garantiva personalmente per l’atteggiamento favorevole di Parigi».
E’ decisiva, infatti, la constatazione che se anche il contenuto di queste offerte così poco gentili per
la Francia, fatte per tenerci fuori dal conflitto, fosse venuto a
conoscenza dell’opinione pubblica e della diplomazia internazionale,
Churchill a guerra finita (e vinta!), anche se con una certa vergogna, si sarebbe difeso brillantemente adducendo la ragion di stato ed il
momento di pericolo che correva l’Inghilterra in quel periodo e che lo
costringeva a gettare a mare la Francia per evitare l’intervento
dell’Italia.
D’altronde
poi, questo genere di accusa, avrebbe lasciato il tempo che trova in
quanto, di fatto, non si era concretizzata alcuna cessione di territorio
francese, né l’Italia si era astenuta dall’intervenire e Churchill
stesso avrebbe anche potuto sostenere di aver fatto verso Mussolini
niente più che un bluf firmando una cambiale che mai avrebbe onorato!
Non
ebbe forse Churchill un atteggiamento cinico e spregiudicato anche ai
primi di luglio del 1940, quando affondò la flotta francese a
Mers-el-Kebir procurando quasi 1300 morti e centinaia di feriti tra i
suoi ex alleati ? E come si difese Churchill, nelle sue memorie,
riportando questo ignobile gesto?
«Fu una decisione odiosa – egli scrisse – la
più inumana, la più penosa che mi sia capitato di condividere. Ancora
il giorno prima i francesi erano nostri carissimi alleati,… ma la nostra
esistenza nazionale e la sopravvivenza della nostra causa erano in
gioco».
Ebbene,
rispetto, a questi avvenimenti, come è possibile ipotizzare che delle
proposte di offerte territoriali, a spese della Francia (oltretutto
probabilmente consenziente), mai concretizzatisi, potevano costituire
per lo statista inglese, causa di estrema preoccupazione?!
Ma
oltretutto poi, lo ripetiamo ancora una volta, non si comprende come
Mussolini ed il Re, nonostante qualsiasi tipo di garanzia fosse stata
fornita all’Italia e a meno che non fossero dei perfetti idioti,
potevano fidarsi di un impegno del genere e di come potesse essere
eventualmente onorato, visto che una vittoria dell’Inghilterra era in
quel momento ritenuta improbabile e se pur si fosse verificata mai gli
inglesi avrebbero pagato un tale prezzo, mentre nel caso di una pace o
di una vittoria tedesca, sarebbe stato impossibile per l’Italia, senza aver combattuto, potersi impinguarea spese della Francia !
In
ogni caso, e questa è una ulteriore osservazione decisiva, a cosa
poteva servire una documentazione di questo genere a Mussolini, se essa
pur attestando favolose offerte all’Italia a spese della Francia aveva,
nonostante questo, spinto il Duce ad entrare in guerra? Questo, anzi,
pur essendo un relativo sputtanamento per il britannico, era un
aggravante per l’Italia ed un chiaro esempio di inettitudine di
Mussolini!
Altro che materiale pregno di possibilità da giocarsi al tavolo della pace!
E’
talmente evidente che se il Duce, per difendersi di fronte ad un
ipotetico tribunale internazionale, avesse tirato fuori la sola offerta
di Churchill di grosse promesse territoriali per star fuori dalla
guerra, avrebbe peggiorato la sua situazione, non avrebbe recato alcun
vantaggio alla propria nazione e tutto al più avrebbe gettato un certo
discredito sul premier inglese, il quale, come abbiamo appena visto, si
sarebbe difeso con una certa facilità !
Quindi
in quel famigerato carteggio, negli scambi epistolari dell’ultim’ora,
c’era ben altro che delle sia pur onerose offerte di bottino per star
fuori dalla guerra! Non bisogna fermarsi a qualche indiscrezione,
qualche rigo di lettera dove si possono esprimere queste proposte,
perché quello che conta è la sostanza di ciò che viene poi ratificato
non quello che si discute e si propone in via interlocutoria.
E
quello che eventualmente può trasformarsi in effettiva intesa non può
assolutamente essere ciò che non ha possibilità alcuna di poter poi
essere effettivamente intascato.
Ma
oltretutto siamo logici: se per esempio tutto il “Carteggio” fosse
racchiuso nell’attestazione di Carissimi-Priori, ovvero che egli lesse e
fece tradurre le famose 62 lettere o fogli con la corrispondenza
Mussolini / Churchill fino alla vigilia della guerra, riscontrando
offerte a spese della Francia, fatte all’Italia per rimanere neutrale, è
già esagerato constatare che per riavere questo genere di carteggio,
non eccessivamente compromettente, Churchill si sia dannato l’anima, ma è
totalmente assurdo che la sua esistenza sia stata nascosta e negata,
anche dopo i fatidici 50 anni, agli storici!
Non
vi era alcuna necessità politica e neppure storica nell’impedire con
tanto accanimento che l’opinione pubblica, dopo tanti anni, potesse
prendere atto di fatti e circostanze già supposte ed ipotizzate da
tanti.
E’
ovvio quindi che il “Carteggio” aveva tali contenuti compromettenti da
rovinare irreparabilmente l’immagine e la carriera di Churchill,
compromettere gli assetti che si dovevano imporre all’Europa con la fine
della guerra e ribaltare totalmente la storiografia di comodo imposta
dai vincitori.
Mussolini,
non a caso, nei suoi ultimi tempi assegnò una grande importanza ai
documenti in suo possesso e, come abbiamo visto dalle intercettazioni
fatte dai tedesche, gli uomini del suo entourage che ne sono al corrente
e con i quali ne parla spesso mostrano chiaramente di condividere
questa importanza. Inoltre cerca di fare in modo di metterlo al sicuro,
lo duplica fotocopiandolo ed esplicitamente, afferma che: quelle carte attestano le “vere ragioni per le quali l’Italia è entrata in guerra” quindi -si badi bene- non del perché non è entrata in guerra!
Questa affermazione, in ogni caso, lascia inequivocabilmente intravedere molto, ma molto di più disemplici offerte di bottino per restare neutrali, come per esempio le stesse offerte, ma fatte per invitare l’Italia a scendere in guerra!
Quella
tra Mussolini e Churchil, quindi, fu più che altro una “intesa”
dell’ultimo momento, resa possibile dalla inconfessata esigenza inglese
di allargare il teatro bellico e dalla reale necessità italiana di
scendere in guerra facendo finta di farla. Di fatto una convergenza di
interessi. Il do ut des, di questa intesa è più che altro qui, ed
eventuali offerte di future concessioni all’Italia (che in qualche modo
non mancavano) sono del tutto secondarie, anche perché avrebbero dovuto
fare i conti con la Germania.
Mussolini oltretutto non si preoccupò di fare il gioco degli inglesi, non solo perché egli dovevacomunque scendere
in guerra, così come già comunicato a fine maggio a Hitler, ma anche
perché il suo interesse era quello che dalla guerra non uscisse fuori un
vincitore assoluto e quindi, accogliere il “desiderio” di Churchill,
venendo incontro alle sue esigenze, poteva rientrare benissimo in questa
strategia.
Franco Bandini, nel suo interessante “Vita e morte segreta di Mussolini” Mondadori
1978, riporta che l’industriale Alberto Pirelli, nel maggio del 1940,
commentando con il suo medico, l’endocrinologo milanese prof. Alcide
Fraschini, la situazione internazionale che in quel momento vedeva la
sconfitta francese oramai quasi definitiva e l’Italia ancora alla
finestra, di fronte alle preoccupazioni del medico, Pirelli lo
tranquillizzò:
“Niente
paura, caro professore! Il ‘testone’ si è già messo d’accordo con
Churchill. Qualche mese fa ho fatto io stesso la spola con Londra, come
‘corriere segreto’, e le posso garantire che non succederà nulla. E’ già
tutto stabilito”.
Nota giustamente il giovane ricercatore storico Emilio Gin: «Il
fatto che uno stato dichiari una guerra, preavvisando per di più gli
ambasciatori dei paesi nemici con una settimana di anticipo, senza fare
assolutamente nulla dopo, appare un enigma che non è possibile spiegare
unicamente con l’impreparazione bellica».
È
questo a dimostrazione di come Mussolini, di fronte alla tremenda
situazione, militare e geopolitica, in cui si trovava, dubbioso che gli
inglesi potessero mai essere definitivamente sconfitti e comunque
timoroso che i tedeschi stravincessero e diventassero i dominatori
assoluti della situazione, andava da tempo cercando un accordo del
genere con gli inglesi, ovvero la possibilità di fare una guerra
“finta”, senza particolari rischi, che ci garantisse quel minimo
indispensabile alle nostre esigenze politiche post belliche e che
possibilmente fosse l’anticamera della pace in Europa, mantenendo i
vecchi equilibri delle forze in campo. L’occasione gliela offrì
Churchill i primi di giugno del 1940.
LO STRANO INIZIO DELLE NOSTRE OPERAZIONI BELLICHE
Comunque,
come sappiamo, l’Italia scese effettivamente in guerra senza impartire
direttive strategiche offensive e le stesse indicazioni di Mussolini
erano state quelle di attendere gli sviluppi politici e militari, magari
considerando un offensiva nel Mediterraneo, ma il Capo di Stato
Maggiore della marina Cavagnari si preoccupò subito di notare che tale
direttiva doveva “essere interpretata e precisata”.
Le
uniche operazioni erano quelle verso la Francia, oltretutto di non
ampio respiro strategico e qualche “movimento” sul mare, tanto è vero
che, addirittura alla Regia Aeronautica venne impedito il sorvolo del
territorio francese anche come semplice ricognizione.
Il
Capo di Stato Maggiore Generale, il massone Badoglio, ovviamente, diede
la sola consegna di “chiudere le porte di casa” sia ai confini italiani
che in Libia e in Africa Orientale.
In pratica si venne a fare, purtroppo, proprio il gioco in malafede di Churchill.
Scrisse Dino Campini, già segretario del ministro RSI Carlo Alberto Biggini:
«Se
i fatti consentono interpretazioni, se è valida la catena delle cause e
degli effetti, si deve ammettere che l’Italia cominciò la guerra non
per farla, ma soltanto per inserirsi in un gioco politico» (D. Campini, Piazzale Loreto, Il Conciliatore 1972).
Ma altrettanto interessante è questa valutazione del giornalista storico Franco Bandini:
«Esiste
una speciale continuità tra la politica ‘non belligerante’ di Mussolini
e quella che si definisce ‘bellica’, senza che lo sia davvero,
posteriore al 10 giugno 1940. Egli entrò in guerra del tutto persuaso
che al crollo della Francia sarebbe inevitabilmente seguito quello della
Gran Bretagna, o che comunque si sarebbe giunti ad una pace di
compromesso, al massimo entro l’agosto – settembre di quello stesso
anno.
Uniformò
la sua condotta politica e militare, interamente su questo presupposto:
ma nel farlo sembrò aggirarsi in un perimetro ben definito, il cui
aspetto storicamente più curioso è che non venne condotta alcuna azione
militare contro le posizioni inglesi, tranne una, e cioè la conquista
della Somalia, nell’agosto del 1940.
Dovrebbe
essere evidente ormai, che fino al settembre 1940 le forze armate
italiane vennero cautamente mosse sul presupposto della pace di
compromesso, e sulle linee di un programma che era già stato definito.
In
altre parole occorrerebbe spiegare, se questo non fosse vero, in qual
modo e per qual motivo Mussolini avrebbe potuto pretendere qualcosa al
tavolo della pace britannica, senza esserselo conquistato, almeno
formalmente, con un minimo di sacrifici.
Sostenere
che egli entrò in guerra per ‘arraffare la parte di bottino’, e non
trarre le dovute conseguenze dal fatto, incontestabile, che egli non si
mosse per prenderlo, o ne prese uno piccolissimo, significa cadere in
una contraddizione di termini, e attribuire a Mussolini un grado di
incoerenza eccessivo, almeno per quel periodo» (F. Bandini: Tecnica della sconfitta, Sugar 1963 e Longanesi 1969).
E ancora il Bandini fa una giusta considerazione:
«Chiediamoci
quali tresche vennero intrecciate nel periodo della nostra ‘non
belligeranza’: soltanto un ingenuo potrebbe credere che non ve ne furono
affatto. Generali e gerarchi tedeschi complottarono non meno di sette
od otto volte con gli inglesi per sopprimere Hitler e porre termine alla
guerra.
Vi
furono un ala integralista e una conciliante in Gran Bretagna, negli
Stati Uniti, in Francia e persino nella Russia Sovietica, e perché non
in Italia?…» (F. Bandini: “Appuntamento sul lago, in Il Tempo 26.4.1985).
Con estrema lucidità e inappuntabile analisi l’addetto navale giapponese a Roma, il capitano di vascello Toyo Mitunobo, scrisse:
«Dal
mio punto di vista l’Italia doveva essere pronta a conquistare Malta e
la Tunisia, che sono i punti chiave per il controllo del Mediterraneo.
Giudicando dalla propaganda interna italiana, dalla seconda metà di
maggio sino all’intervento in guerra del giugno 1940, io pensavo che
ciò si sarebbe effettuato subito dopo l’intervento. Ma l’Italia ha
dichiarato nel pomeriggio del 10 giugno che essa sarebbe entrata in
guerra la mattina dell’11 giugno (esattamente alle ore 00,00, n.d.r.).Questo
mi sorprese. E poi l’11, 12, 13 e 14 giugno le operazioni per la
conquista di Malta e della Tunisia non erano ancora cominciate. Ciò era
per me incomprensibile».
Oggi
sappiamo che ci sono state con la Francia intese per evitare ogni
scontro bellico di portata strategica, e conosciamo anche i contatti
avuti tra Badoglio e l’addetto militare, generale Parisot, suo amico
personale, con richieste di non essere attaccati a fondo ed accoglimento
delle stesse. Noto è anche un commento del generale Emilio Faldella:
«Per la prima volta della storia una guerra aveva inizio con l’ordine di non sparare».
Sintomatico l’ordine “28 op.” dello Stato Maggiore Generale (il massone e filo francese Badoglio) circa le operazioni contro la Francia:
«Se
si incontrano forze francesi non essere i primi ad attaccare; non
sorvolare il territorio francese; nessun reparto dovrà varcare il
confine; restare a 10 km. dal confine» (vedesi: P. Sella,L’Occidente contro l’Europa, Ed. Uomo Libero, 1984).
Stranamente
la documentazione, rispetto ad eventuali e simili accordi con
l’Inghilterra è, decisamente carente. E oltretutto, guarda caso nella
documentazione restituita dagli Alleati all’Italia, circa i dispacci
segreti provenienti dalle ambasciate italiane, mancano gli anni 1939 e
’40!
Ma se è incompleta o assente la documentazione parlano i fatti.
Alla
sanguinosa e inconcludente offensiva sulle Alpi occidentali, dove
vennero impiegate due Armate, ventidue Divisioni e notevoli unità
minori, senza che per altro si sarebbero potuti conseguire risultati
strategicamente rilevanti, si era accompagnata una irreale stasi delle
operazioni offensive in Libia verso il confine egiziano, pur trovandosi
gli inglesi in condizioni precarie e inferiori.
Al
confine tunisino la Quinta armata stava praticamente prendendo il sole,
nonostante che i francesi avevano dovuto sguarnire le loro forze,
richiamate in patria da impellenti necessità. Ovvio che il caro Badoglio
nulla aveva predisposto in vista della guerra.
La Marina invece rimase a passeggiare per il Mediterraneo, evitando accuratamente ogni possibile scontro con la Mediterranean Fleet della
Royal Navy britannica, mentre una grossa fetta del nostro naviglio
mercantile, ma non solo mercantile, non avvisato per tempo dell’entrata
in guerra venne internato in porti neutrali o sequestrato dal nemico.
Al
colmo della beffa il 14 giugno i moribondi francesi arrivarono,
indisturbati dalla nostra marina, a bombardare con le loro navi Genova,
Savona e Vado ligure tornandosene indietro incolumi e nel frattempo, in
meno di venti giorni, una diecina di sommergibili italiani furono
affondati dal nemico.
Anche
la Regia Aeronautica ebbe le sue beffe, quando apparecchi francesi
lanciarono manifestini su Roma e 36 bombardieri inglesi Whithleys arrivarono a bombardare le nostre industrie a Torino e Genova.
Per tutta l’estate del 1940, nonostante poi i successivi desiderata di Mussolini, nessuna operazione militare venne
messa in atto contro gli inglesi, escludendo l’occupazione effimera
della Somalia Britannica, che, come afferma sempre Piero Sella nel suo
pregevole libro già citato, era comunque stata oggetto di patteggiamenti
nei mesi precedenti.
Eppure
in quel momento di estrema crisi dell’apparato bellico inglese c’era,
nonostante l’inadeguatezza dei mezzi, forse la possibilità di scendere
lungo il Nilo, coordinando le operazioni con l’armata libica del
generale Graziani.
Uscita
la Francia dalla guerra, infatti, e svincolate le nostre truppe al
confine tunisino, gli inglesi si erano trovati a difendere tutto un
enorme distesa di fronte (Kenia, Sudan, Somalia, ecc.) in cui le forze
di Wawel erano ridotte all’osso, ma le nostre forze armate al comando di
Balbo prima e di Graziani dopo non si mossero per almeno tre mesi.
Osserva il ricercatore storico Emilio Gin: «Di
cose che si potevano fare nei primi giorni di guerra per rendere la
vita difficile agli alleati in Mediterraneo ce n’erano: dalla presa di
Malta al bombardamento di Alessandria, d’Egitto».
Certo,
date le enormi estensioni geografiche e la penuria di mezzi, si
potevano concepire delle operazioni militari di breve durata, ma
comunque in quel momento, se decisamente intraprese e con tutto
l’appoggio tattico che la marina poteva dare nel mediterraneo, potevano
essere di estrema importanza bellica e soprattutto con ripercussioni
enormi nel mondo arabo che anelava a scrollarsi di dosso il gioco
inglese.
Ancora lo scrittore Piero Sella, nel suo “L’Occidente contro l’Europa” ci
segnala un episodio marginale, ma significativo, quello del generale di
squadra aerea Santoro a cui venne inflitto, dallo Stato Maggiore, un
severo monito per aver ordinato, all’inizio delle ostilità, che una
grossa formazione di bombardieri attaccasse Malta!
E proprio contro Malta, che gli inglesi in quel momento temevano di perdere, non si fece assolutamente nulla. E questa tregua insperata
per l’isola fortezza britannica la pagammo duramente in seguito, in
termini di navi affondate, quando dovevamo rifornire le forze
dell’Africa Korps di Rommel e quando fece da prezioso punto di appoggio
per lo sbarco anglo americano in Sicilia!
Per
alcuni mesi le forze dell’Asse avevano l’iniziativa ed una certa
superiorità strategica, ma anche di uomini e mezzi rispetto agli
avversari.
Ma
l’Italia trascurò totalmente l’impiego delle sue forze militari per
operazioni di largo respiro. In particolare la Marina, che in quel
momento pur vantava una buona qualità e consistenza di navi da guerra,
fu lasciata tranquillamente a passeggiare nel mediterraneo, fino a
quando non fu seriamente compromessa nella notte di Taranto (novembre
1940) e fini poi per essere ignominiosamente consegnata al nemico a
Malta nel settembre ’43. Eppure, proprio per la guerra sul mare,
Mussolini cercò di sollecitare qualche iniziativa militare, ma fu un
predicare nel deserto.
Certamente
le nostre risorse finanziarie e soprattutto i nostri mezzi non erano
adeguati, per quantità e qualità, ad una guerra lunga ed intensa, ma in
quel frangente un loro deciso e totale impiego avrebbe forse potuto far
pendere la bilancia dalla parte dell’Asse.
Ed
invece non vennero neppure impiegati quei pochi mezzi disponibili, e
neppure la non disprezzabile marina fu utilizzata almeno per un appoggio
tattico a qualche operazione. Conseguenza: nel proseguo del conflitto,
si esaurirono o vennero distrutti quasi tutti i nostri mezzi, senza
possibilità di rimpiazzo!
Oltretutto,
a causa della nostra necessità geopolitica (ma anche gelosie dei
comandi e peggio ancora) che ci “consigliava” di non far arrivare i
tedeschi nel mediterraneo e nel Sud Europa, fu respinta ogni
collaborazione militare con la Wehrmacht, compresa quella di un appoggio
per il teatro nord africano che ci avrebbe consentito di straripare
verso l’Egitto. In pratica rimanemmo con le “armi al piede”.
Il
gioco di Churchill per averci in guerra, a “certe condizioni”, era
riuscito in pieno e subito dopo, pur palesandosi l’inganno, non fu
neppure più possibile capovolgere le nostre intenzioni strategiche. In
troppi, pur non essendo al corrente di certi “accordi” segreti, si erano
trovati a meraviglia in una guerra senza impegni e senza rischi, senza
recare eccessivi danni ai “cari” britannici.
Quel
che accadde nel teatro bellico (o meglio “non accadde”), in quei giorni
del giugno 1940, lasciò sconcertato anche Hitler il quale, seppur
dimentico che anche lui, pochi giorni prima e per analogheragioni geopolitiche, di fatto, aveva risparmiato quasi 350.000 uomini del contingente inglese a Dunkerque, così osservò con il suo addetto militare a Roma che lo ha poi così ricordato:
«Quando
il Duce gli aveva dichiarato di non poter ritardare l’annuncio della
sua entrata in guerra a una data posteriore all’11 giugno, lui aveva
creduto che l’Italia avesse preparato un’azione fulminea contro la
Corsica, Tunisi o Malta e che il segreto militare ne impedisse
naturalmente un rinvio. Di conseguenza, dopo il discorso di Piazza
Venezia, gli era sembrato logico aspettarsi che accadesse qualcosa.
Invece, nessuno si era mosso. Questo, aveva concluso il Führer, gli
aveva ricordato ciò che accadeva nel Medio Evo, quando le città si
scambiavano messaggi di sfida e tutto finiva lì” (S. Corvaja: Mussolini nella tana del lupo, Ed. Dall’Oglio, 1982).
Ma
di questa, “strana”, situazione e delle sue conseguenze, Hitler ebbe a
tornarci su con delle considerazioni nelle sue note segrete a febbraio
del 1945, considerazioni che fanno anche capire meglio quelli che erano
stati gli interessi di Churchill a spingere l’Italia in guerra:
«Ah,
se gli italiani fossero rimasti fuori dalla guerra!. Se fossero rimasti
in stato di non belligeranza.! Gli stessi alleati si sarebbero
rallegrati, perché seppur non avevano un opinione molto elevata della
potenza militare dell’Italia, non potevano immaginare una tale debolezza
da parte di quest’ultima. Avrebbero considerato un guadagno la
neutralizzazione della forza che le attribuivano. Ma siccome non
potevano darle fiducia, ciò li avrebbe obbligati a immobilizzare
numerose truppe in prossimità dei suoi confini, al fine di evitare il
rischio di un intervento sempre minaccioso, sempre possibile, se non
probabile.
Questo
significava, per noi, soldati britannici immobilizzati, i quali non
avrebbero fatto né l’esperienza della guerra né quella della vittoria –
insomma una sorta di ‘strana guerra’ che si sarebbe prolungata a nostro
esclusivo vantaggio» (A. Hitler: Ultimi discorsi, Ed. di AR, 1988).
Oltre al testo base di Renzo De Felice: Mussolini l’alleato, L’Italia in guerra. 1940-’43,
Einaudi, 1990, ci sono alcuni testi, importantissimi che, a saperli
leggere, mostrano molto bene lo strano comportamento militare italiano
nel primo mese di guerra e il “segreto del Carteggio”.
Questi testi sono: Dino Campini, Strano gioco di Mussolini, Editoriale PG – Milano 1952; Franco Bandini, Tecnica della sconfitta, op. cit; Carlo De Risio, La clessidra di Mussolini, Settimo Sigillo 2000, e Pietro Sella, L’occidente contro l’Europa, Ed, Uomo Libero 1985.
Per
concludere occorre aggiungere che Churchill, oramai coinvolta l’Italia
nel conflitto, gettò ben presto la maschera e Mussolini, che certamente
non aveva creduto a tutte le assicurazioni e impegni del britannico,
dovette capirlo subito perché, come documentazioni ci attestano, già i
primi di luglio ’40, cominciò a tempestare Badoglio invitandolo a
spronare Balbo in Libia (e poi, alla morte di questi, Graziani) affinchè
sferrasse un offensiva decisiva verso l’Egitto e lo stesso fece con
Supermarina perché intraprendesse qualche azione di rilievo nel
mediterraneo (il 28 giugno 1940 Badoglio con un telegramma aveva
pressato Balbo in Libia affinchè accelerasse gli studi per l’offensiva,
in quanto “il Duce sta fremendo… fa di tutto per essere pronto per il 15 luglio” e successivamente il 3 luglio confermò al subentrato Graziani nel comando libico: “Duce
mi ordina di comunicarvi che est interesse vitale per l’Italia che voi
siate pronti a sferrare l’offensiva per il giorno 15”.
Tutto
però fu inutile perché, accordo o non accordo, in Italia, a cominciare
dal Re, da Badoglio e da Supermarina e anche da certe gerarchie del
fascismo, come per esempio i filo “occidentali” Grandi e Ciano
(quest’ultimo non aveva forse scritto nel suo diario che preferiva il
golf e il wiskey inglese, alla società marziale dei tedeschi?), ben
pochi avevano la voglia di fare la guerra sul serio agli inglesi, ma
questo è un altro discorso.
La
disamina di tutti quegli avvenimenti quindi, porta alla conclusione che
non fu solo la segreta “intesa” transitoria conseguita con Churchill e
riguardante il momento e il “modo” di entrare in guerra contro gli
inglesi, a determinare l’inettitudine e la stasi delle nostre operazioni
militari, ma fu tutta una serie di concause, al centro delle quali
stava il nostro Stato Maggiore Generale, quello che aveva in mano le
chiavi operative e strategiche della guerra, che da tempo, oltre a non
aver previsto e predisposto piani strategici, stava sottobanco sabotando
lo sforzo bellico.
UN ANEDDOTO SIGNIFICATIVO
Tanto
per avere una più ampia veduta generale delle condizioni in cui fu
costretto ad operare Mussolini nel periodo che precedette la nostra
entrata in guerra e dei cambiamenti strategici che, per vari motivi,
alla fin fine vennero a condizionare il nostro intervento, è altamente
istruttivo attingere ad alcuni ricordi del Maresciallo Rodolfo Graziani.
Verso
la metà del mese di Aprile del 1940, Graziani allora Capo di Stato
Maggiore dell’Esercito ebbe incarico, da parte di Mussolini (il quale a
sua volta voleva dare corso ad una proposta avanzata dallo Stato
Maggiore germanico) di elaborare un progetto strategico altamente
efficace.
Il
progetto prevedeva che, per il momento in cui i tedeschi avessero
investito la linea Maginot, l’esercito italiano, forte da 10 a 15
divisioni, fornite di armi e di mezzi moderni da parte dei tedeschi, si
sarebbe radunato alla Porta Burgunda per irrompere nella Valle del
Rodano ed aggirare così tutto l’esercito francese, schierato nelle Alpi
Occidentali ed ammontante a circa 25 divisioni. Il progetto era
dirompente ed, in pratica, ricalcava quello in vigore al tempo della
Triplice Alleanza.
In ogni caso, per volere del Duce, ci si sarebbe mossi a guerra con quella che era la strategia politica da tempo indicata: “non per la Germania, né con la Germania, ma a fianco della Germania”.
Di
conseguenza, Graziani ed il suo entourage, avvantaggiati dal fatto che
nei nostri archivi militari già esisteva una traccia di un piano simile,
risalente alla Grande Guerra, redassero una Memoria che venne
consegnata a Mussolini ed ovviamente al Capo di Stato Maggiore Generale
(Badoglio).
Badoglio
però, quando gli fu esposto il progetto, ascoltò senza un commento, ed
invitò Graziani a non interessarsene più visto che prendeva lui stesso
la direzione della cosa!
Tempo
dopo Graziani, convocato dal Duce, lo trovò nervoso ed adirato, perché
evidentemente a quell’importante progetto non era più stato dato un
seguito concreto. Graziani allora espresse dei dubbi circa una condotta
dello Stato Maggiore Generale in sintonia con i voleri di Mussolini.
Il Duce in stato d’ira ed a voce alta gridò: «Se Badoglio non si sente di farlo se ne vada, se ne vada. Qui non si tratta di me, ma degli interessi supremi della Patria!».
E quindi promise di far conoscere decisioni in merito.
Il
29 maggio però, a Palazzo Venezia, durante il rapporto con il Capo di
Stato Maggiore Generale ed i tre capi di Stato Maggiore delle forze
armate, Graziani trovò una atmosfera tranquilla e completamente diversa:
era evidente che Mussolini aveva soprasseduto nei suoi intenti di
costringere Badoglio ad un chiarimento e magari alle dimissioni.
Conoscendo
oggi tutta la situazione nel suo insieme se ne deduce che, dati i
rapporti tra le nostre FF.AA e le istituzioni, in particolare Casa
Savoia, Mussolini non poteva e non volle imporre a Badoglio -a viva
forza- l’esecutività di un progetto ispirato dai tedeschi e comprensivo
di un loro contributo d’armi, e neppure poteva fare a meno del Capo di
Stato Maggiore generale proprio nell’imminenza della guerra.
Ma
oltretutto, probabilmente, una nostra entrata in guerra era stata
ripensata con una condotta bellica, almeno inizialmente, del tutto
diversa da quella non molto prima richiesta a Graziani.
Nel corso della riunione Badoglio tenne anche a precisare:
«Quindi
è inteso che, da oggi, esiste un unico comando operativo, il mio.
Attraverso il quale dovrà passare qualsiasi progetto o piano».
“Certamente” sanzionò Mussolini, avallando quelle disposizioni.
Ma
se Mussolini aveva soppesato tutti i pro ed i contro ed aveva valutato
in questo modo il da farsi (forse anche dietro nuovi e imprevisti
sviluppi della diplomazia sotterranea con gli inglesi), non aveva
però tenuto conto che Badoglio era un traditore già in piena attività e
qualunque cosa facesse la faceva a vantaggio dei suoi “amici” francesi e dei “confratelli“.
La
favorevole occasione strategica fu quindi perduta e sappiamo invece
quello che accadde: gli italiani, già schierati in posizioni difensive,
dovettero poi attaccare, per la fretta che avevano preso gli
avvenimenti, in ordine frontale e senza adeguata preparazione offensiva,
quelle Alpi Occidentali che nessuno aveva pensato potessero superarsi
in tal modo. L’Attuazione del piano della Porta Burgunda, da Badoglio
fatto boicottare, avrebbe invece offerto ben diverse prospettive di
successo.
Ricorda ancora Graziani: «Allorché, dopo la conclusione dell’armistizio con la Francia, mi recai a far visita al Sovrano, egli mi disse: “Badoglio non voleva la guerra con la Francia”».
Le responsabilità di Mussolini
Certamente
la lettura di questi episodi porta a rigettare su Mussolini la grave
responsabilità di aver portato la nazione in guerra con gli altissimi
quadri dirigenti delle forze armate inquinati da tradimento o meglio da
personaggi non all’altezza, dediti più che altro ai propri interessi e
sopratutto, inclini al connubio con gli anglo francesi. Ma allora il
discorso cambierebbe prospettiva e bisognerebbe considerare la mancata
eliminazione nel 1922 dell’Istituto monarchico e la mancata procedura,
negli anni successivi, per attuare veramente una rivoluzione fascista
che avrebbe dovuto rivoltare da capo a piedi tutte le strutture
politiche e militari del paese.
Ma
qui sorgerebbe un altra domanda: era in grado Mussolini di procedere in
questo senso? Di far fuori Casa Savoia popolare tra gli italiani e che
aveva legato il suo nome a Vittorio Veneto? Erano in condizioni le
camice nere, sia nel 1922 o magari nel 1937 – ’38 dopo la proclamazione
dell’Impero, quando Mussolini e il fascismo raggiunsero il massimo delle
adesioni dagli italiani, di prevalere in uno scontro con l’Esercito, i
carabinieri e quant’altro che, fedeli a Casa Savoia, li avrebbero
affrontati? A tutte queste domande, la risposta è sicuramente negativa e
neppure ininfluente è anche il fatto che attorno a Mussolini non
c’erano di certo quei “quadri rivoluzionari” all’altezza di un compito
del genere.
LA GUERRA PARALLELA
Anche
successivamente all’entrata in guerra, almeno fino al 1942, la
strategia bellica italiana, benché non più condizionata dall'”intesa”
segreta celata nel “Carteggio”, seguì una sua linea, quella della guerra
parallela, logica e consequenziale, in considerazione delle nostri
esigenze geopolitiche, ma decisamente nefasta per le sorti della guerra
(in particolare a causa del nostro scriteriato intervento in Grecia
figlio non solo di tutta questa situazione ambigua ed anomala che la
“guerra parallela” e il desiderio a non veder prevalere i tedeschi nelle
aree di nostro interesse, determinava, ma anche di evidenti sabotaggi
massonici).
Andò a finire, come tutti sanno:
– ad ottobre iniziò la scriteriata, sventurata e sabotata campagna di Grecia;
– a novembre ci fu il duro colpo alla nostra marina con la notte di Taranto;
–
ed infine, a dicembre, il contrattacco inglese in Africa che travolse
la Libia e, successivamente, pose fine per sempre al nostro impero coloniale nell’Africa orientale.
Ebbene, come quasi ad un segnale o momento convenuto,
fin da metà autunno 1940 andò formandosi spontaneamente e/o artatamente
il circolo di coloro (Badoglio, Cavagnari, Caviglia, Ciano, Grandi, per
citare i nomi più noti) che già puntavano ad una pace separata gettando
a mare Mussolini, mentre la massoneria in svariati ambiti e settori era
da tempo operativa nell’opera di sabotaggio di tutta la guerra.
Sembra
che proprio dopo questi primi rovesci per le nostre forze armate ed il
disastro subito dalla marina con la notte di Taranto, vi furono anche
alti gradi della Marina che presero contatto con gli inglesi (tra
dicembre ’40 e marzo 1941) non solo per impegnarsi a non consegnare la
nostra flotta ai tedeschi, ma peggio ancora per vendere le nostre
migliori navi ad un prezzo, definito dagli stessi inglesi irrisorio,
richiedendo ovviamente anche un salvacondotto per loro e le proprie
famiglie (su questo abominevole avvenimento Franco Bandini nel N. 287
del 1981 di Storia Illustrata fece un servizio memorabile).
Non a caso, a fine guerra, gli Alleati pensarono bene di inserire nel trattato di pace, imposto all’Italia, con l’art. 16, l’impunità retroattiva per tutti questi traditori che operarono a favore degli Alleati fin da allora, se non prima!
In
ogni caso ebbe ben presto termine anche la nostra “guerra parallela”,
perchè da quel momento in poi i tedeschi presero decisamente in mano la
situazione operativa anche nei settori di nostra competenza.
Prima giunse in Sicilia il Decimo Corpo Aereo tedesco, poi il 19 febbraio 1941 venne formato ilDeutsches Afrika Korps che
venne spedito in Libia e posto al comando di Rommel e oltretutto i
tedeschi dovettero anche intervenire militarmente nei Balcani perchè la
situazione divenuta incandescente in Jugoslavia, dopo il colpo di stato
sfavorevole all’Asse di fine marzo 1941, rischiava di far crollare tutto
un ampio teatro strategico.
Oggi,
perduta la guerra e venuti alla luce episodi e personaggi che vi
giocarono un ruolo sporco, possiamo tracciare un giudizio definitivo su
fatti e uomini di quel periodo storico.
La nostra classe politica, sociale ed istituzionale di quegli anni si può infatti dividere così:
1. in
quelli, come Mussolini, che agirono, magari a volte sbagliando, tenendo
presente esclusivamente gli interessi della Nazione, anche sacrificando
a tal fine, gli aspetti ideologici del fascismo, per altro
identificato con i destini della Patria;
2. in
quelli che, invece, avevano a cuore solo ed esclusivamente i loro
particolari interessi di casta e di bottega (casa Savoia, il Vaticano,
la grande industria e la finanza, le componenti borghesi del paese e nel
partito fascista) e che erano propensi unicamente ad appoggiare azioni sicure, con ilvento a favore, non
comportanti rischi eccessivi e comunque, in caso di pericolo per i loro
privilegi, erano persino disposti a buttare a mare, sicuramente il
fascismo, ma persino la Patria: divennero infatti, tutti -senza
eccezioni- dei traditori. Non a caso erano in stragrande maggioranza
eredi del nostro risorgimento massonico e quindi anglofili e francofili
per inclinazione naturale;
3. ed
infine in quelli che, ideologicamente, deliberatamente e coscientemente
si attivarono, da sempre o in un secondo momento, per operare sabotaggi
ed un autentico tradimento ai danni della Patria (massoneria, gerarchie
delle FF.AA. vendute agli Alleati, antifascisti, ecc.).
A
Mussolini si può forse addebitare la responsabilità di averci portato
in guerra senza essere riuscito ad ottenere il completo controllo del
potere o almeno la certezza che le sue direttive venissero rispettate.
Casa Savoia era di fatto un corpo estraneo alla Nazione a cui era legata solo in virtù dei suoi interessi di casta.
L’industria
nazionale aveva praticamente sfruttato e raggirato il regime per
impinguarsi a dismisura. Gli industriali, in particolare la Fiat e
l’Ansaldo, ovvero le più grosse ditte impegnate nello sforzo bellico,
avevano preteso e goduto di ogni facilitazione: pace sociale in
fabbrica, monopolio nei prodotti rispetto alla concorrenza estera,
protezioni doganali, ecc. E tutto questo senza dare in cambio un
prodotto adeguato, come altresì si erano impegnate, perchè preferirono
incentivare la produzione di apparati bellici che più gli erano
remunerativi, a scapito di quelli più evoluti ed adeguati ad una guerra
moderna. Questo “giochetto” gli fu anche possibile, grazie alla scarsa
conoscenza tecnica degli armamenti da parte di Mussolini e a tutta
quella cernita di manutengoli, anche nel Pnf, che per bassi interessi
gli tennero il gioco. Il danno che gli industriali fecero, rispetto al
nostro sforzo bellico, fu enorme, decisivo e non venne mai colmato.
La
massoneria, vero cancro della nazione, era stata dal fascismo mandata
in “sonno”, ma non certo estirpata definitivamente. E i suoi vecchi,
storici legami con gli anglo francesi e soprattutto con l’Alta
Massoneria internazionale, la risvegliarono al momento opportuno per
fargli sabotare, criminosamente la guerra italiana. I massoni potevano
contare appoggi e contatti in elementi sparsi in tutta la scala
gerarchica delle FF.AA, negli uffici statali, nelle Istituzioni, nel
tessuto sociale, industriale, nella diplomazia, nel partito fascista,
ecc.
Non
gli fu difficile sabotare gli ordinativi di merci e materiali bellici,
nascondere quella disponibilità di mezzi necessari alle campagne
belliche, ritardare o boicottare certe disposizioni, instillare il
disfattismo, insomma sabotare la guerra italiana in tutto e per tutto.
Generali,
Ammiragli, e tanti alti quadri delle nostre forze armate, molti dei
quali massoni, a cominciare da Badoglio, non erano oltretutto preparati
ad una guerra moderna, non parliamo poi delle loro “doti” caratteriali,
ma dimostrarono spesso di essere anche degli approfittatori della
situazione che il regime fascista aveva creato per proiettare l’Italia
ad alti compiti storici e geografici, ponendo loro automaticamente al
massimo interesse dello Stato e della nazione a cui erano
indispensabili. Inutile dire quale fu il risultato.
E
lo stesso PNF, un elefantiaco partito popolare, con milioni di
iscritti, sindacato, colonie, dopolavoro, ecc., poteva dirsi in massima
parte in mano ad elementi che si crogiolavano nella retorica, non certo
nell’impegno rivoluzionario. Il 25 luglio tutti i nodi vennero al
pettine.
Queste, di non aver attentamente vigilato, di non essere intervenuto drasticamente,
sono le “colpe” che possono ascriversi al Duce, sempre che si possa
però dimostrare che Mussolini poteva essere in grado, con quel che
passava il convento (partito, milizia e popolo italiano, di dare quella
spallata, da seconda ondata, per prendere in mano tutto il potere.
A
fine aprile 1945 Mussolini, di fatto abbandonato senza adeguata scorta
militare nel comasco, in quel paesino lacustre di Menaggio, da pseudo
comandanti fascisti desiderosi di arrendersi al più presto agli Alleati e
magari riciclarsi nel dopoguerra come anticomunisti e antisovietici, si
trovò inevitabilmente a passare in un crocevia di morte:
Morto lo volevano gli inglesi,
per nascondere l’intesa con Churchill, una intesa che una volta
svelata, avrebbe rivoltato tutta l’interpretazione storiografia della
seconda guerra mondiale, squalificato il britannico agli occhi del mondo
e complicato la politica internazionale degli inglesi soprattutto
rispetto alla Jugoslavia di Tito.
Morto lo volevano gli americani,
come ben sappiamo da una registrazione telefonica intercontinentale tra
Churchill e Roosvelt del 29 luglio 1943, e questo nonostante che
apparentemente e ufficialmente, gli americani dicevano, ma non facevano
niente!, di volerlo catturare per processarlo e umiliarlo.
Morto lo volevano i sovietici (e
i comunisti italiani, non muovevano foglia che Stalin non voglia),
visto che Stalin voleva tenere nascoste certe “intese segrete” con
l’Italia del ventennio, risalenti fin dal 1924 e che, praticamente,
avevano preservato il nostro paese da attentati delle cellule comuniste
(gli unici attentati furono quelli dei massoni e di Giustizia e
Libertà), ma anche si voleva nascondere certi contatti, avvenuti nel
primo semestre del 1943, quando l’Italia e l’Urss si trovarono concordi a
sondare le possibilità di far uscire i sovietici dalla guerra.
Morto lo voleva il Re che
paventava che venissero fuori le sue responsabilità nella guerra, dove
lui, che aveva tutti gli interessi finanziari della Corona nelle banche
di Londra, aveva condiviso, eccome!, l’ “intesa” con Churchill (il Re
era sicuramente una di quelle 5 persone, indicate da Mussolini e al
corrente degli accordi con il britannico.
Morto infine non dispiaceva neppure ai tedeschi di Wolff, che lo avevano tradito con la loro ignobile resa.
Ci meravigliamo che finì a Piazzale Loreto?
Lo
storico Alessandro De Felice, forse nipote del celebre Renzo (ma non ne
sono certo), ebbe a raccontare una confidenza che gli fece Leo Valiani:
«La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così… Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!».
Non a caso ebbe ad affermare l’altro celebre storico, il Renzo De Felice: «La
documentazione in mio possesso porta tutta ad una conclusione: Benito
Mussolini fu ucciso da un gruppo di partigiani milanesi su
sollecitazione dei servizi segreti inglesi. C’era un interesse a far si
che il capo del fascismo non arrivasse mai ad un processo. Ci
fu un suggerimento inglese: ‘Fatelo fuori’, mentre le clausole
dell’armistizio ne stabilivano la consegna. Per gli inglesi era molto
meglio se Mussolini fosse morto. In gioco c’era l’interesse nazionale
legato alle esplosive compromissioni presenti nel carteggio che il
premier britannico avrebbe scambiato con Mussolini prima e durante la
guerra».
Sono
passati 70 anni da quegli avvenimenti, la guerra fu perduta e l’Italia
venne colonizzata e inserita nel sistema occidentale della Nato. Un
altra parte dell’Europa venne sottomessa al sistema sovietico del Patto
di Varsavia. Per circa 40 anni tutta l’Europa ha avuto confini,
popolazioni, governi, partiti politici e circoli culturali, divisi,
anteposti: i fans della Nato da una parte e i partigiani del Patto di
Varsavia dell’altra: Scemi & più Scemi.
Un
sistema perfetto per tenere sottomessa tutta l’Europa, scompaginarla,
rimodellarla in un Nuovo Ordine Mondiale, diluirla infine in un
miscuglio multietnico.
E
dopo il “crollo del muro” questo Nuovo Ordine Mondiale ha mostrato
definitivamente il suo volto: quello del dominio incontrastato e in ogni
campo dell’Alta Finanza cosmopolita, quegli interessi finanziari che
già furono alla base delle vere cause della Seconda Guerra mondiale.
In un ultimo scritto di Mussolini, si può leggere:
«Tra
le cause principali del tracollo del fascismo io pongo la lotta sorda
ed implacabile di taluni gruppi industriali e finanziari, che nel loro
folle egoismo temevano ed odiano il fascismo come il peggior nemico dei
loro inumani interessi. Devo dire per ragioni di giustizia che il
capitale italiano, quello legittimo, che si regge con la capacità delle
sue imprese, ha sempre compreso le esigenze sociali, anche quando doveva
allungare il collo per far fronte ai nuovi patti di lavoro».
In
una sua sottolineatura a matita, come era uso fare, di un discorso di
Churchill ai Comuni del maggio 1944, Mussolini aveva evidenziato quanto
segue:
«La
giustizia dovrà essere fatta ed il castigo cadrà sui malvagi e sui
crudeli. Gli sciagurati che hanno macchinato per soggiogare prima
l’Europa e quindi il Mondo devono essere puniti. Così dovranno esserlo
anche i loro agenti che in tante nazioni hanno perpetrato orribili
delitti. Essi devono essere condotti ad affrontare il giudizio delle
popolazioni che hanno oltraggiato, sulle stesse scene delle loro
atrocità».
Stiamo ancora aspettando che Giustizia si compia.
* * *
Commiato
Come
abbiamo avuto modo di affermare, le ragioni degli Stati e le necessità
geopolitiche delle nazioni spesso non vanno di pari passo con le
ideologie e gli ideali di partito.
Cosicché
abbiamo visto che nella nostra decisione di scendere in guerra pesarono
decisamente ragioni di ordine geopolitico e necessità contingenti, tra
le quali quella certa “intesa” con Churchill.
Ma
abbiamo anche detto che la Storia può e deve essere vista in una
prospettiva che la trascende e che al di là di certe necessità
internazionali e sotterfugi contingenti, pur si finisce per trovare lo
scontro di “civiltà”.
È
per questo che ci congediamo, riportando il testo della dichiarazione
di guerra di Mussolini, nel suo storico discorso da piazza Venezia, alle
18 del 10 giugno 1940. Qualunque fossero state le vicissitudini che si
ebbero dietro le quinte di quella decisione, non si può che
sottoscrivere, parola per parola, quelle frasi che resteranno per sempre
nella Storia.
Combattenti di terra, di mare e dell’aria.
Camicie nere della rivoluzione e delle legioni.
Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del Regno d’Albania.
Ascoltate!
Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.
Scendiamo
in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie
dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso
insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni
lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi:
promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento
dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue Stati. La
nostra coscienza è assolutamente tranquilla.
Con
voi il mondo intero è testimone che l’Italia del Littorio ha fatto
quanto era umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge
l’Europa; ma tutto fu vano. Bastava rivedere i trattati per adeguarli
alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli
intangibili per l’eternità; bastava non iniziare la stolta politica
delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che
le hanno accettate.
Bastava
non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dell’anno
scorso, dopo finita la campagna di Polonia. Ormai tutto ciò appartiene
al passato.
Se
noi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi ed i sacrifici di una
guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire ferreamente lo
impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i
suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il
corso della storia.
Noi
impugniamo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre
frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime;
noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale e militare che ci
soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni
di anime non è veramente libero se non ha libero l’accesso all’Oceano
Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione.
È
la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori
che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto
l’oro della terra.
È la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto.
È la lotta tra due secoli e due idee.
Ora
che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha bruciato alle nostre
spalle i vascelli, io dichiaro solennemente che l’Italia non intende
trascinare altri popoli nel conflitto con essa confinanti per mare o per
terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di
queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno o
no rigorosamente confermate.
Italiani!
In
una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le
leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui
sino in fondo. Questo abbiamo fatto e faremo con la Germania, col suo
popolo, con le sue meravigliose Forze Armate.
In
questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il
nostro pensiero alla Maestà del re imperatore, che, come sempre, ha
interpretato l’anima della patria. E salutiamo alla voce il Führer, il
capo della grande Germania alleata.
L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai.
La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti.
Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: Vincere!
E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo.
Popolo italiano!
Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!