NON C'E' MAGGIOR SORDO DI CHI NON VUOL SENTIRE
di FILIPPO GIANNINI
Questo articolo è indirizzato alla folta schiera di italiani truffati da questo regime di incapaci, di corrotti i quali per sopravvivere hanno la necessità di stravolgere la storia dell'unico Governo, dall'Unita' ad oggi, che abbia governato in modo efficiente, senza ruberie e realmente rivoluzionario tutto teso a portare il vero socialismo, quello che non aveva bisogno di Karl Marx.
Fra le menzogne più care da addossare a Benito Mussolini, c'e' quella di essere stato complice dello sterminio di 6 milioni di ebrei, sempre che questo avvenimento corrisponda alla verità storica.
Ebbene su questo argomento ho raccolto una tale massa di documenti da tacitare i vari casti divi e, di conseguenza il piccolo Badoglio, oggi circonciso e sindaco di Roma e chiunque altro che ne dubitasse l'asserto. Non Roosevelt (che inviò la sua fleet per cannoneggiare un piroscafo carico di ebrei fuggiti nel 1939 da Amburgo), non Churchill che ordinò di silurare a Salinas un'altro carico di ebrei qualora non avesse invertito la rotta, non Stalin che, secondo quanto ha scritto lo storico russo Arkaly Vaksberg, "Stalin against Jews", un libro particolarmente importante nel quale l'Autore sostiene "dopo accurate ricerche in archivi riservati, che il numero degli ebrei eliminati
da Stalin è stato presumibilmente 5 milioni", solo Mussolini. Sì, solo lui..
Ai lettori non sembra, perlomeno sospetto, che si citino costantemente
quegli ebrei che sarebbero stati sterminati da Hitler e mai quelli eliminati
per ordine di Stalin? Perché? D'altra parte anche le cifre si equivalgono.
E allora, citando due sentenze, l'una di Pacifici della Comunità ebraica che
ha dichiarato: “Mussolini faceva parte della macchina della soluzione
finale”, giudizio particolarmente pesante e infamante, e l'altra di Giorgio
Pisanò ("Noi fascisti e gli ebrei", pag. 19) che ha scritto: “Si giunse così
al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che, all'insaputa
di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora
sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne
sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei
che lo sviluppo degli avvenimenti bellici aveva portato sotto il controllo
delle forze armate tedesche”.
Sono due giudizi contrapposti espressi da due personaggi chiaramente
schierati, quello di Pacifici sorretto da tutta una Comunità; quello di
Pisanò al quale non possiamo non riconoscere la capacità di indagine e la
capacità di presentare la storia corroborata da ricca documentazione.
Chi dei due ha ragione?
Per questa indagine cercheremo di seguire una certa logica per rientrare in
uno spazio ragionevole. In caso contrario saremo costretti a scrivere un
altro libro, data l'ampiezza dell'argomento. Anche in questo caso,
ripetiamo, come è nostro costume ci avvarremo di scritti di autori non
certamente fascisti.
Già il 13 ottobre 1937 Bernard Show nel corso di una intervista al
Manchester Guardian profetizzò: “Le cose da Mussolini già fatte lo
condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo”. Infatti
le nuove idee che partivano dall'Italia fascista si stavano espandendo in
tutto il mondo; nascevano ovunque movimenti o partiti di ispirazione
fascista, dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna (con oltre 100
mila iscritti) all'Australia, dall'Argentina alla Norvegia e così di
seguito. Sembrava che, una volta ancora, l'Italia fosse ispiratrice di un
nuovo messaggio universale di sapore rinascimentale: il Rinascimento del
lavoro. Queste nuove idee, portavano in sé un difetto: mettevano in pericolo
il sistema capitalistico allora vigente e padrone. Quindi l'Italia fascista
doveva scomparire.
Secondo Rutilio Sermonti ("L'Italia nel XX secolo"), “la risposta poteva
essere una sola: perchè esse (le "Democrazie", nda) volevano un generale
conflitto europeo, quale "unica risorsa" per liberarsi della Germania -
formidabile concorrente europeo - e, soprattutto dell'Italia. Questo è
necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: "soprattutto dell'Italia"”.
Era necessario, pertanto, portare l'Italia a fianco della Germania e,
quindi, eliminare in un colpo i due "pericoli".
Conclude Sermonti: “Esattissima si dimostrò l'altra convinzione degli alleati occidentali, secondo cui l'uomo Hitler era assai meno smaliziato e più proclive a farsi "saltare i nervi" che non Mussolini, e quindi il punto debole" psicologico dell'Asse era lui, al fine di coinvolgere anche il secondo e l'Italia”.
Esaminiamo ora le opinioni di alcuni personaggi che vissero quell'epoca e che non è possibile definirli fascisti.
E' noto (per chi conosce l'a,b,c della storia) che i due provvedimenti a favore degli ebrei enunciati nel 1930 e perfezionati nel 1931 risultarono tanto graditi alla comunità ebraica italiana che i rabbini innalzarono preghiere di ringraziamento nelle sinagoghe. E se il 95% degli italiani erano per Mussolni, questa percentuale raggiungeva quasi il totale nella comunità ebraica; senza contare i numerosi ministri ebrei chiamati a collaborare con lui al governo.
E' altrettanto noto l'attacco lanciato dal Duce contro alcune teorie nazionalsocialiste, nel corso della visita alla città di Bari. Nel pomeriggio del 6 settembre 1934, dal balcone del palazzo del Governo Mussolini, dopo aver esaltato la civiltà mediterranea, disse: “Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr'Alpe, sostenute da progenie di gente che ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”.
Pertanto sino ad allora non esisteva alcuna pregiudiziale anti ebraica nell'animo
di Mussolini. E allora, come si giunse alle (certamente) odiose leggi razziali?
Nella guerra d'Etiopia (di cui ci sarebbe da parlare ampiamente) la Società delle Nazioni guidata, incredibilmente, dalla più imperialista delle Nazioni, impose le sanzioni all'Italia. La Germania non si associa e continua ad intrattenere ottimi rapporti con l'Italia. 1936. Scoppia la guerra civile spagnola; ancora una volta i Paesi capitalisti si schierano, con l'Unione Sovietica contro l'Italia che collabora con Francisco Franco.
Di nuovo la Germania è accanto all'Italia. E questo nonostante che Stalin avesse sarcasticamente annunciato che una volta conquistata l'Europa sino alla penisola iberica, avrebbe tolto le croci nei cimiteri e persino nelle bare.
In questa fase storica risulta chiaro che si stavano definendo due schieramenti: uno di carattere democratico-capitalistico, guidato principalmente da Gran Bretagna, da Francia e anche se da lontano e in forma marpiona dagli Stati Uniti di Roosevelt; l'altro da Germania e Italia.
Tuttavia Mussolini non gradiva questa amicizia con il Führer di cui diffidava fortemente la politica e, di conseguenza cercava di svincolarsi; con questo intento il 22 giugno 1936 rilasciò una (molto poco ricordata) intervista all'ex ministro francese Malvy, nella quale ribadiva la propria disponibilità a collaborare con la Francia e con l'Inghilterra:
“La situazione è tale che mi obbliga a cercare altrove la sicurezza che ho perduto dal lato della Francia e della Gran Bretagna. A chi indirizzarmi se non a Hitler? Io vi devo dire che ho avuto con lui dei contati, ma sin qui mi sono riservato di decidere (.). Vi ho fatto venire perché informiate il vostro Governo della situazione. Io attenderò ancora, ma se prossimamente l'atteggiamento del Governo francese nei confronti dell'Italia fascista non si modifica, se non mi si darà l'assicurazione di cui ho bisogno, l'Italia diventerà alleata della Germania”.
Questa preziosissima testimonianza viene riportata da E. Bonnifour nella Histoire politique de la troisième republique.
Altri attestati della volontà dei Paesi liberalcapitalisti di affiancare l'Italia alla Germania per poi annientarli insieme, ci vengono forniti da Winston Churchill e dallo storico inglese George Trevelyan. Il primo (La Seconda Guerra Mondiale", Vol. 2°, pag. 209): “Adesso che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi dall'altra parte, la Germania non era più sola”.
Questo articolo è indirizzato alla folta schiera di italiani truffati da questo regime di incapaci, di corrotti i quali per sopravvivere hanno la necessità di stravolgere la storia dell'unico Governo, dall'Unita' ad oggi, che abbia governato in modo efficiente, senza ruberie e realmente rivoluzionario tutto teso a portare il vero socialismo, quello che non aveva bisogno di Karl Marx.
Fra le menzogne più care da addossare a Benito Mussolini, c'e' quella di essere stato complice dello sterminio di 6 milioni di ebrei, sempre che questo avvenimento corrisponda alla verità storica.
Ebbene su questo argomento ho raccolto una tale massa di documenti da tacitare i vari casti divi e, di conseguenza il piccolo Badoglio, oggi circonciso e sindaco di Roma e chiunque altro che ne dubitasse l'asserto. Non Roosevelt (che inviò la sua fleet per cannoneggiare un piroscafo carico di ebrei fuggiti nel 1939 da Amburgo), non Churchill che ordinò di silurare a Salinas un'altro carico di ebrei qualora non avesse invertito la rotta, non Stalin che, secondo quanto ha scritto lo storico russo Arkaly Vaksberg, "Stalin against Jews", un libro particolarmente importante nel quale l'Autore sostiene "dopo accurate ricerche in archivi riservati, che il numero degli ebrei eliminati
da Stalin è stato presumibilmente 5 milioni", solo Mussolini. Sì, solo lui..
Ai lettori non sembra, perlomeno sospetto, che si citino costantemente
quegli ebrei che sarebbero stati sterminati da Hitler e mai quelli eliminati
per ordine di Stalin? Perché? D'altra parte anche le cifre si equivalgono.
E allora, citando due sentenze, l'una di Pacifici della Comunità ebraica che
ha dichiarato: “Mussolini faceva parte della macchina della soluzione
finale”, giudizio particolarmente pesante e infamante, e l'altra di Giorgio
Pisanò ("Noi fascisti e gli ebrei", pag. 19) che ha scritto: “Si giunse così
al 1939, vale a dire allo scoppio della guerra e fu allora che, all'insaputa
di tutti, Mussolini diede inizio a quella grandiosa manovra, tuttora
sconosciuta o faziosamente negata anche da molti di coloro che invece ne
sono perfettamente a conoscenza, tendente a salvare la vita di quegli ebrei
che lo sviluppo degli avvenimenti bellici aveva portato sotto il controllo
delle forze armate tedesche”.
Sono due giudizi contrapposti espressi da due personaggi chiaramente
schierati, quello di Pacifici sorretto da tutta una Comunità; quello di
Pisanò al quale non possiamo non riconoscere la capacità di indagine e la
capacità di presentare la storia corroborata da ricca documentazione.
Chi dei due ha ragione?
Per questa indagine cercheremo di seguire una certa logica per rientrare in
uno spazio ragionevole. In caso contrario saremo costretti a scrivere un
altro libro, data l'ampiezza dell'argomento. Anche in questo caso,
ripetiamo, come è nostro costume ci avvarremo di scritti di autori non
certamente fascisti.
Già il 13 ottobre 1937 Bernard Show nel corso di una intervista al
Manchester Guardian profetizzò: “Le cose da Mussolini già fatte lo
condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo”. Infatti
le nuove idee che partivano dall'Italia fascista si stavano espandendo in
tutto il mondo; nascevano ovunque movimenti o partiti di ispirazione
fascista, dalla Francia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna (con oltre 100
mila iscritti) all'Australia, dall'Argentina alla Norvegia e così di
seguito. Sembrava che, una volta ancora, l'Italia fosse ispiratrice di un
nuovo messaggio universale di sapore rinascimentale: il Rinascimento del
lavoro. Queste nuove idee, portavano in sé un difetto: mettevano in pericolo
il sistema capitalistico allora vigente e padrone. Quindi l'Italia fascista
doveva scomparire.
Secondo Rutilio Sermonti ("L'Italia nel XX secolo"), “la risposta poteva
essere una sola: perchè esse (le "Democrazie", nda) volevano un generale
conflitto europeo, quale "unica risorsa" per liberarsi della Germania -
formidabile concorrente europeo - e, soprattutto dell'Italia. Questo è
necessario comprendere se si aspira alla realtà storica: "soprattutto dell'Italia"”.
Era necessario, pertanto, portare l'Italia a fianco della Germania e,
quindi, eliminare in un colpo i due "pericoli".
Conclude Sermonti: “Esattissima si dimostrò l'altra convinzione degli alleati occidentali, secondo cui l'uomo Hitler era assai meno smaliziato e più proclive a farsi "saltare i nervi" che non Mussolini, e quindi il punto debole" psicologico dell'Asse era lui, al fine di coinvolgere anche il secondo e l'Italia”.
Esaminiamo ora le opinioni di alcuni personaggi che vissero quell'epoca e che non è possibile definirli fascisti.
E' noto (per chi conosce l'a,b,c della storia) che i due provvedimenti a favore degli ebrei enunciati nel 1930 e perfezionati nel 1931 risultarono tanto graditi alla comunità ebraica italiana che i rabbini innalzarono preghiere di ringraziamento nelle sinagoghe. E se il 95% degli italiani erano per Mussolni, questa percentuale raggiungeva quasi il totale nella comunità ebraica; senza contare i numerosi ministri ebrei chiamati a collaborare con lui al governo.
E' altrettanto noto l'attacco lanciato dal Duce contro alcune teorie nazionalsocialiste, nel corso della visita alla città di Bari. Nel pomeriggio del 6 settembre 1934, dal balcone del palazzo del Governo Mussolini, dopo aver esaltato la civiltà mediterranea, disse: “Trenta secoli di storia ci permettono di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr'Alpe, sostenute da progenie di gente che ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto”.
Pertanto sino ad allora non esisteva alcuna pregiudiziale anti ebraica nell'animo
di Mussolini. E allora, come si giunse alle (certamente) odiose leggi razziali?
Nella guerra d'Etiopia (di cui ci sarebbe da parlare ampiamente) la Società delle Nazioni guidata, incredibilmente, dalla più imperialista delle Nazioni, impose le sanzioni all'Italia. La Germania non si associa e continua ad intrattenere ottimi rapporti con l'Italia. 1936. Scoppia la guerra civile spagnola; ancora una volta i Paesi capitalisti si schierano, con l'Unione Sovietica contro l'Italia che collabora con Francisco Franco.
Di nuovo la Germania è accanto all'Italia. E questo nonostante che Stalin avesse sarcasticamente annunciato che una volta conquistata l'Europa sino alla penisola iberica, avrebbe tolto le croci nei cimiteri e persino nelle bare.
In questa fase storica risulta chiaro che si stavano definendo due schieramenti: uno di carattere democratico-capitalistico, guidato principalmente da Gran Bretagna, da Francia e anche se da lontano e in forma marpiona dagli Stati Uniti di Roosevelt; l'altro da Germania e Italia.
Tuttavia Mussolini non gradiva questa amicizia con il Führer di cui diffidava fortemente la politica e, di conseguenza cercava di svincolarsi; con questo intento il 22 giugno 1936 rilasciò una (molto poco ricordata) intervista all'ex ministro francese Malvy, nella quale ribadiva la propria disponibilità a collaborare con la Francia e con l'Inghilterra:
“La situazione è tale che mi obbliga a cercare altrove la sicurezza che ho perduto dal lato della Francia e della Gran Bretagna. A chi indirizzarmi se non a Hitler? Io vi devo dire che ho avuto con lui dei contati, ma sin qui mi sono riservato di decidere (.). Vi ho fatto venire perché informiate il vostro Governo della situazione. Io attenderò ancora, ma se prossimamente l'atteggiamento del Governo francese nei confronti dell'Italia fascista non si modifica, se non mi si darà l'assicurazione di cui ho bisogno, l'Italia diventerà alleata della Germania”.
Questa preziosissima testimonianza viene riportata da E. Bonnifour nella Histoire politique de la troisième republique.
Altri attestati della volontà dei Paesi liberalcapitalisti di affiancare l'Italia alla Germania per poi annientarli insieme, ci vengono forniti da Winston Churchill e dallo storico inglese George Trevelyan. Il primo (La Seconda Guerra Mondiale", Vol. 2°, pag. 209): “Adesso che la politica inglese aveva forzato Mussolini a schierarsi dall'altra parte, la Germania non era più sola”.
Quasi con le
stesse parole George Trevelyan nella sua "Storia d'Inghilterra", a pag. 834, ha scritto: “E l'Italia che per la sua posizione geografica poteva impedire i nostri contatti con l'Austria e con i Paesi balcanici, fu gettata in braccio alla Germania”.
La storia stava così trascinando l'Italia alla “ineluttabilità dell'alleanza con Hitler e quindi della necessità di eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di disparità con la Germania” (R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, pag. 137).
La storia stava così trascinando l'Italia alla “ineluttabilità dell'alleanza con Hitler e quindi della necessità di eliminare tutti i motivi non solo di frizione, ma anche solo di disparità con la Germania” (R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, pag. 137).
Mussolini era
conscio che l'antisemitismo occupava uno spazio preminente nell'ideologia
nazionalsocialista, di conseguenza se voleva eliminare le ultime diffidenze
tedesche, anche nel ricordo del "tradimento italiano del 1915" e
giungere ad una reale alleanza militare, doveva adeguarsi alle circostanze.
Riteniamo che fosse questa e non altre la ragione della scelta del Duce. E
questo viene confermato dal più attento studioso del fascismo che osserva: “Una
volta che Mussolini fu gettato nelle braccia della Germania di Hitler, era impensabile che anche
l'Italia non avesse le sue leggi razziali”.
Oppure come ha scritto Meir Michaelis: “Non si trattava dunque di un problema interno, bensì di un aspetto di politica estera”.
Anche se quanto sin qui scritto è solo una parte del percorso che portò l'Italia
di Mussolini all'emanazioni delle leggi razziali, il Duce per renderle il
meno dolorose possibili, fra l'altro impose di "discriminare non perseguire,
oltre a lasciar aperte numerose scappatoie per cui si giunse a situazioni
paradossali, come il caso denunciato dal giornalista Daniele Vicini su "L'Indipendente" del 20 luglio 1993: “Ebrei e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica,
ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze”. Vicini dopo aver
elencato decine e decine di nomi di ebrei (e non solo ebrei, ma anche di
comunisti) che fuggivano in Italia, cita anche un nome che dovrebbe essere
ben conosciuto ai telespettatori italiani, perché spessissimo presente nelle
trasmissioni televisive: quello di Edward Luttwak. Una domanda si presenta
spontanea: "Erano tutti pazzi a rifugiarsi in un Paese dove vigevano le
leggi razziali, oppure i fuggitivi ben sapevano che quelle leggi erano poco
meno che una farsa"? Alla fine dell'articolo il giornalista Vicini
esclama:”Strana democrazia quella americana, strana dittatura quella
fascista”.
I lettori che volessero approfondire l'argomento, ma l'invito va esteso anche all'"imprevedibile" ex fascista Gianni Alemanno, possono leggere il
nostro libro "Uno scudo protettore".
Oppure come ha scritto Meir Michaelis: “Non si trattava dunque di un problema interno, bensì di un aspetto di politica estera”.
Anche se quanto sin qui scritto è solo una parte del percorso che portò l'Italia
di Mussolini all'emanazioni delle leggi razziali, il Duce per renderle il
meno dolorose possibili, fra l'altro impose di "discriminare non perseguire,
oltre a lasciar aperte numerose scappatoie per cui si giunse a situazioni
paradossali, come il caso denunciato dal giornalista Daniele Vicini su "L'Indipendente" del 20 luglio 1993: “Ebrei e comunisti sciamano verso il Brennero, frontiera che possono varcare senza visto a differenza di altre (americana, sovietica,
ecc.) apparentemente più congeniali alle loro esigenze”. Vicini dopo aver
elencato decine e decine di nomi di ebrei (e non solo ebrei, ma anche di
comunisti) che fuggivano in Italia, cita anche un nome che dovrebbe essere
ben conosciuto ai telespettatori italiani, perché spessissimo presente nelle
trasmissioni televisive: quello di Edward Luttwak. Una domanda si presenta
spontanea: "Erano tutti pazzi a rifugiarsi in un Paese dove vigevano le
leggi razziali, oppure i fuggitivi ben sapevano che quelle leggi erano poco
meno che una farsa"? Alla fine dell'articolo il giornalista Vicini
esclama:”Strana democrazia quella americana, strana dittatura quella
fascista”.
I lettori che volessero approfondire l'argomento, ma l'invito va esteso anche all'"imprevedibile" ex fascista Gianni Alemanno, possono leggere il
nostro libro "Uno scudo protettore".
"Scudo
protettore" è una espressione dello storico ebreo Léon Poliakov per
indicare la protezione posta in essere da Benito Mussolini a favore degli
ebrei. Ebrei non solo italiani, ma:
“Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (.). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (.). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (.)” (Léon Poliakov, "Il nazismo e lo sterminio degli ebrei", pagg. 219-220).
Questo scudo si ergeva, quindi, non solo in Italia, ma in Croazia, in Grecia, in Egeo, in Tunisia, in poche parole ovunque penetrassero le truppe fasciste.
Il libro contiene un centinaio di documenti di come venne messo in atto lo scudo, nonché studi di storici che attestano la validità dei documenti. Nomi come Rosa Paini (ebrea) ("Il Sentiero della Speranza", pag. 22): “Quel colloquio lo aveva voluto Mussolini ancora più favorevole agli ebrei, in modo da essere indotto a concedere tremila visti speciali per tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi nel nostro Paese”.
Come Mordechai Poldiel (israelita): “L'Amministrazione fascista e quella
politica, quella militare e quella civile, si diedero da fare in ogni modo
per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero
lettera morta”.
Israel Kalk (ebreo) "Gli ebrei in Italia durante il Fascismo": “(.). Siamo stati trattati con la massima umanità” e, ricordando gli altri internati: “Credo di non temere smentite affermando che con voi la sorte è stata benigna e che la vostra situazione di internati in Italia è migliore di quella dei nostri fratelli che si trovano in libertà in altri paesi europei”.
O anche Salim Diamand (Internment in Italy - 1940-1945), ebreo. “Non ho mai
trovato segni di razzismo in Italia. C'era del militarismo, è ovvio, ma io
non ho mai trovato un italiano che si avvicinasse a me, ebreo, con l'idea di
sterminare la mia razza (.). Anche quando apparvero le leggi razziali, le
relazioni con gli amici italiani non cambiarono per nulla (.). Nel campo
controllato dai carabinieri e dalle Camicie nere gli ebrei stavano come a
casa loro”.
Oppure l'opinione dell'autorevole docente dell'Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse (ebreo), nel suo libro "Il razzismo in Europa", a pag. 245 ha scritto: “Il principale alleato della Germania, l'Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo (.). Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio "discriminare non perseguire".
Tuttavia l'esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (.). Ovunque, nell'Europa occupata dai nazisti, le ambasciate
italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere la nazionalità italiana.
Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini,
quando i tedeschi occuparono l'Italia”.
Si giunse, così, al 25 luglio 1943, e seguì il crucked deal (lo sporco affare, termine usato da Eisinhower per indicare l'armistizio dell'8 settembre), ma anche in quei poco più di 40 giorni del governo Badoglio le leggi antiebraiche non furono annullate. Seguì la fuga del re, di Badoglio e dello Stato Maggiore lasciando gli italiani, l'esercito ed è ovvio, anche gli ebrei in balia dell'ira tedesca. Fu una fortuna per l'Italia tutta che Mussolini subentrò formando un nuovo Governo e pararsi di nuovo come scudo
tra la rabbia dell'alleato tradito e gli italiani tutti. Ma la presenza tedesca era pressante specialmente agli inizi quando, cioé Mussolini stava organizzando la nuova struttura del suo Governo. Fu in quei giorni, ed esattamente il 16 ottobre 1943 che i tedeschi effettuarono un rastrellamento nel ghetto di Roma catturando più di mille ebrei che, ripetiamo, sino ad allora erano stai protetti dallo scudo. Ebbene, finalmente i tedeschi ebbero la possibilità di mettere in atto quanto sino ad allora era stato proibito.
Ma non tutto andò secondo le previsioni. Qualche lettore potrebbe pensare che sul posto ci fossero dei partigiani per difendere quegli infelici; ma quando mai! I tedeschi si trovarono di fronte un uomo in camicia nera, Ferdinando Natoni (che la storiografia dimentica di citare). Ecco l testimonianza della figlia Anna; il padre, mentre la retata era in corso, si precipitò in strada e, avvalendosi della qualifica di "fascista", pretese dalle SS la restituzione degli ebrei catturati nel suo edificio. Cosa che avvenne. La Signora Anna ci ha detto che il padre morì a 96 anni e ci ha
pregato di ricordare che "non rinnegò mai la sua fede". Questa testimonianza
potrebbe essere uno schiaffo ai tanti casti divi, Alemanno, Fini fra questi.
Altri nomi meritano di essere citati accanto a quello di Natoni:
Perlasca (fascista), salvò la vita ad alcuni migliaia di ebrei in Ungheria;
Zamboni (fascista) riuscì a far fuggire da Salonicco centinaia di ebrei;
Palatucci (fascista) ne salvò alcune migliaia a Fiume;
Calisse (fascista) operò in Francia e fece fuggire diverse decine di ebrei.
Non dimentichiamo il fascistissimo Farinacci che nascose una famiglia di ebrei nella sua tipografia;
e il futuro segretario del Msi, Almirante che ne nascose alcuni nel Ministero dove lavorava. Potremmo citare altri casi e nomi, ma non possiamo abusare oltre. Mentre si svolgevano questi fatti, gli antifascisti e i partigiani che facevano? Essi tramavano. E Ben Gurion, il fondatore dello Stato di Israele? Questo meriterebbe un articolo a parte: egli aveva bisogno della morte dei suoi correligionari per poi pretendere in cambio la Palestina, fregandosene altamente se in quella terra vivevano da secoli altri esseri umani.
Renzo De Felice osserva (op. cit. pag. 447): “Se si eccettua l'aspetto economico, nei mesi successivi all'emanazione dell'ordine di polizia n° 5, la politica antisemita della Rsi fu in un certo senso abbastanza moderata (.). Il concentramento degli ebrei fu condotto poi dalle prefetture, in relazione al periodo in questione s'intende, con metodi e discriminazioni abbastanza umani ed esso non fu affatto totale, come lascerebbe credere l'ordine del 30 novembre 1943. Oltre a ciò il 20 gennaio 1944 Buffarini Guidi, venuto a conoscenza del fatto che in molte località i tedeschi prendevano in consegna gli ebrei ivi concentrati, diede istruzioni perchè fossero fatti presso le autorità centrali germaniche i passi necessari ad ottenere che, in ottemperanza al criterio enunciato, fossero impartite disposizioni atte a far sì che gli ebrei rimanessero in campi italiani (.)”.
Su questo argomento si trova una nuova interessante testimonianza di Primo Levi le cui memorie vengono in parte riportate su L'Espresso del 27 settembre 2007. Levi ricorda che fu arrestato il 13 settembre 1943 e trasferito ad Aosta nella caserma della Milizia Fascista. Levi e altri suoi correligionari furono affidati al Centurione Ferro, il quale, saputo che “eravamo tutti laureati ci trattò benevolmente; egli poi fu ucciso dai
partigiani nel 1945”. Primo Levi e gli altri furono sospettati di essere partigiani; ecco cosa scrive Levi: “Il Centurione appreso che eravamo ebrei e non dei veri partigiani ci disse: "Non vi succederà nulla di male; vi invieremo al campo di Fossoli, presso Modena". Ci veniva regolarmente distribuita la razione di vitto destinata ai soldati e alla fine di gennaio 1944 ci portarono a Fossoli con un treno passeggeri. In quel campo si stava allora abbastanza bene; non si parlava di eccidi e l'atmosfera era sufficientemente serena; ci permisero di trattenere il denaro che avevamo portato con noi e di riceverne altro da fuori”.
Dobbiamo terminare non certo per mancanza di argomenti, ma per motivi di spazio. Però prima di chiudere desideriamo ricordare un altro fatto mai citato, ovviamente, dai vari casti divi e cioè quella legge del 1938 che concedeva parità di diritti e doveri ai libici. In pratica i libici divenivano cittadini italiani a tutti gli effetti. Erano chiamati "Gli italiani della Quarta Sponda". Fu un caso unico nella storia del colonialismo mondiale, ma fu anche questo uno dei motivi per cui i Paesi imperialisti ci costrinsero alla guerra: questi vedevano le colonie come esclusivo luogo di sfruttamento, al contrario di come il Governo italiano stava impostando la sua politica coloniale.
Questo era il razzismo fascista, o signori!
Quindi, e concludiamo, non ci rivolgiamo ai casti divi Alemanno, Fini e compagni, non vale la pena citarli, ma al rabbino Pacifici: se quanto scritto è vero, perché invece di portare tanti poveri, ignari giovani in giro per l'Europa allo scopo di alimentare odio, non sarebbe invece più onesto portarli a pregare su quella tomba a Predappio?
Un atto di Giustizia. anche se tardivo!
“Ovunque penetrassero le truppe italiane, uno schermo protettore si levava di fronte agli ebrei (.). Un aperto conflitto si determinò tra Roma e Berlino a proposito del problema ebraico (.). Appena giunte sui luoghi di loro giurisdizione, le autorità italiane annullavano le disposizioni decretate contro gli ebrei (.)” (Léon Poliakov, "Il nazismo e lo sterminio degli ebrei", pagg. 219-220).
Questo scudo si ergeva, quindi, non solo in Italia, ma in Croazia, in Grecia, in Egeo, in Tunisia, in poche parole ovunque penetrassero le truppe fasciste.
Il libro contiene un centinaio di documenti di come venne messo in atto lo scudo, nonché studi di storici che attestano la validità dei documenti. Nomi come Rosa Paini (ebrea) ("Il Sentiero della Speranza", pag. 22): “Quel colloquio lo aveva voluto Mussolini ancora più favorevole agli ebrei, in modo da essere indotto a concedere tremila visti speciali per tecnici e scienziati ebrei che desideravano stabilirsi nel nostro Paese”.
Come Mordechai Poldiel (israelita): “L'Amministrazione fascista e quella
politica, quella militare e quella civile, si diedero da fare in ogni modo
per difendere gli ebrei, per fare in modo che quelle leggi rimanessero
lettera morta”.
Israel Kalk (ebreo) "Gli ebrei in Italia durante il Fascismo": “(.). Siamo stati trattati con la massima umanità” e, ricordando gli altri internati: “Credo di non temere smentite affermando che con voi la sorte è stata benigna e che la vostra situazione di internati in Italia è migliore di quella dei nostri fratelli che si trovano in libertà in altri paesi europei”.
O anche Salim Diamand (Internment in Italy - 1940-1945), ebreo. “Non ho mai
trovato segni di razzismo in Italia. C'era del militarismo, è ovvio, ma io
non ho mai trovato un italiano che si avvicinasse a me, ebreo, con l'idea di
sterminare la mia razza (.). Anche quando apparvero le leggi razziali, le
relazioni con gli amici italiani non cambiarono per nulla (.). Nel campo
controllato dai carabinieri e dalle Camicie nere gli ebrei stavano come a
casa loro”.
Oppure l'opinione dell'autorevole docente dell'Università ebraica di Gerusalemme, George L. Mosse (ebreo), nel suo libro "Il razzismo in Europa", a pag. 245 ha scritto: “Il principale alleato della Germania, l'Italia fascista, sabotò la politica ebraica nazista nei territori sotto il suo controllo (.). Come abbiamo già detto, era stato Mussolini stesso a enunciare il principio "discriminare non perseguire".
Tuttavia l'esercito italiano si spinse anche più in là, indubbiamente con il tacito consenso di Mussolini (.). Ovunque, nell'Europa occupata dai nazisti, le ambasciate
italiane protessero gli ebrei in grado di chiedere la nazionalità italiana.
Le deportazioni degli ebrei cominciarono solo dopo la caduta di Mussolini,
quando i tedeschi occuparono l'Italia”.
Si giunse, così, al 25 luglio 1943, e seguì il crucked deal (lo sporco affare, termine usato da Eisinhower per indicare l'armistizio dell'8 settembre), ma anche in quei poco più di 40 giorni del governo Badoglio le leggi antiebraiche non furono annullate. Seguì la fuga del re, di Badoglio e dello Stato Maggiore lasciando gli italiani, l'esercito ed è ovvio, anche gli ebrei in balia dell'ira tedesca. Fu una fortuna per l'Italia tutta che Mussolini subentrò formando un nuovo Governo e pararsi di nuovo come scudo
tra la rabbia dell'alleato tradito e gli italiani tutti. Ma la presenza tedesca era pressante specialmente agli inizi quando, cioé Mussolini stava organizzando la nuova struttura del suo Governo. Fu in quei giorni, ed esattamente il 16 ottobre 1943 che i tedeschi effettuarono un rastrellamento nel ghetto di Roma catturando più di mille ebrei che, ripetiamo, sino ad allora erano stai protetti dallo scudo. Ebbene, finalmente i tedeschi ebbero la possibilità di mettere in atto quanto sino ad allora era stato proibito.
Ma non tutto andò secondo le previsioni. Qualche lettore potrebbe pensare che sul posto ci fossero dei partigiani per difendere quegli infelici; ma quando mai! I tedeschi si trovarono di fronte un uomo in camicia nera, Ferdinando Natoni (che la storiografia dimentica di citare). Ecco l testimonianza della figlia Anna; il padre, mentre la retata era in corso, si precipitò in strada e, avvalendosi della qualifica di "fascista", pretese dalle SS la restituzione degli ebrei catturati nel suo edificio. Cosa che avvenne. La Signora Anna ci ha detto che il padre morì a 96 anni e ci ha
pregato di ricordare che "non rinnegò mai la sua fede". Questa testimonianza
potrebbe essere uno schiaffo ai tanti casti divi, Alemanno, Fini fra questi.
Altri nomi meritano di essere citati accanto a quello di Natoni:
Perlasca (fascista), salvò la vita ad alcuni migliaia di ebrei in Ungheria;
Zamboni (fascista) riuscì a far fuggire da Salonicco centinaia di ebrei;
Palatucci (fascista) ne salvò alcune migliaia a Fiume;
Calisse (fascista) operò in Francia e fece fuggire diverse decine di ebrei.
Non dimentichiamo il fascistissimo Farinacci che nascose una famiglia di ebrei nella sua tipografia;
e il futuro segretario del Msi, Almirante che ne nascose alcuni nel Ministero dove lavorava. Potremmo citare altri casi e nomi, ma non possiamo abusare oltre. Mentre si svolgevano questi fatti, gli antifascisti e i partigiani che facevano? Essi tramavano. E Ben Gurion, il fondatore dello Stato di Israele? Questo meriterebbe un articolo a parte: egli aveva bisogno della morte dei suoi correligionari per poi pretendere in cambio la Palestina, fregandosene altamente se in quella terra vivevano da secoli altri esseri umani.
Renzo De Felice osserva (op. cit. pag. 447): “Se si eccettua l'aspetto economico, nei mesi successivi all'emanazione dell'ordine di polizia n° 5, la politica antisemita della Rsi fu in un certo senso abbastanza moderata (.). Il concentramento degli ebrei fu condotto poi dalle prefetture, in relazione al periodo in questione s'intende, con metodi e discriminazioni abbastanza umani ed esso non fu affatto totale, come lascerebbe credere l'ordine del 30 novembre 1943. Oltre a ciò il 20 gennaio 1944 Buffarini Guidi, venuto a conoscenza del fatto che in molte località i tedeschi prendevano in consegna gli ebrei ivi concentrati, diede istruzioni perchè fossero fatti presso le autorità centrali germaniche i passi necessari ad ottenere che, in ottemperanza al criterio enunciato, fossero impartite disposizioni atte a far sì che gli ebrei rimanessero in campi italiani (.)”.
Su questo argomento si trova una nuova interessante testimonianza di Primo Levi le cui memorie vengono in parte riportate su L'Espresso del 27 settembre 2007. Levi ricorda che fu arrestato il 13 settembre 1943 e trasferito ad Aosta nella caserma della Milizia Fascista. Levi e altri suoi correligionari furono affidati al Centurione Ferro, il quale, saputo che “eravamo tutti laureati ci trattò benevolmente; egli poi fu ucciso dai
partigiani nel 1945”. Primo Levi e gli altri furono sospettati di essere partigiani; ecco cosa scrive Levi: “Il Centurione appreso che eravamo ebrei e non dei veri partigiani ci disse: "Non vi succederà nulla di male; vi invieremo al campo di Fossoli, presso Modena". Ci veniva regolarmente distribuita la razione di vitto destinata ai soldati e alla fine di gennaio 1944 ci portarono a Fossoli con un treno passeggeri. In quel campo si stava allora abbastanza bene; non si parlava di eccidi e l'atmosfera era sufficientemente serena; ci permisero di trattenere il denaro che avevamo portato con noi e di riceverne altro da fuori”.
Dobbiamo terminare non certo per mancanza di argomenti, ma per motivi di spazio. Però prima di chiudere desideriamo ricordare un altro fatto mai citato, ovviamente, dai vari casti divi e cioè quella legge del 1938 che concedeva parità di diritti e doveri ai libici. In pratica i libici divenivano cittadini italiani a tutti gli effetti. Erano chiamati "Gli italiani della Quarta Sponda". Fu un caso unico nella storia del colonialismo mondiale, ma fu anche questo uno dei motivi per cui i Paesi imperialisti ci costrinsero alla guerra: questi vedevano le colonie come esclusivo luogo di sfruttamento, al contrario di come il Governo italiano stava impostando la sua politica coloniale.
Questo era il razzismo fascista, o signori!
Quindi, e concludiamo, non ci rivolgiamo ai casti divi Alemanno, Fini e compagni, non vale la pena citarli, ma al rabbino Pacifici: se quanto scritto è vero, perché invece di portare tanti poveri, ignari giovani in giro per l'Europa allo scopo di alimentare odio, non sarebbe invece più onesto portarli a pregare su quella tomba a Predappio?
Un atto di Giustizia. anche se tardivo!
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