Il 10 giugno del 1940, Benito Mussolini
dichiarò guerra contro la Gran Bretagna e il suo Impero di
Sua Maestà apportando come motivazione
l'obbligo morale e giuridico dell'Italia di appoggiare e difendere la Germania sua alleata.
Entro poche ore dalla dichiarazione di guerra, le autorità britanniche cominciarono
l'immediato
rastrellamento di migliaia di cittadini italiani civili
che risiedevano e lavoravano nelle isole della Corona.
Questo arresto di civili ebbe luogo senza essere stato previamente annunciato
in alcun modo. Fu spietatamente condotto a termine dalla polizia e dai militari,
per la gran parte nel mezzo della notte o alle prime luci dell'alba, spesso alla fine di una perquisizione che svuotava le loro
abitazioni. Le infelici vittime, per
la maggioranza uomini, non avevano idea di cosa stesse loro capitando, dove venissero
portate e quando avrebbero potuto fare ritorno.
Le famiglie dei deportati, confuse e comunque terrorizzate,
furono abbandonate a se stesse (senza nessuna forma di supporto dalle autorità) nell'affrontare la furiosa violenza che subirono anche sul versante
economico, quando,
essendo per la maggior
parte esercenti o piccole
imprese familiari,
si videro
immediatamente
oggetto di saccheggi
e atti di vandalismo,
e con le loro stesse
vite poste in pericolo da una
popolazione residente di colpo aggressiva e razzista, stimolata in questo da una campagna d'odio perfettamente orchestrata dai mass
media contro i "local Italians". In molte città, negozi ed esercizi furono
danneggiati e distrutti mentre
la polizia e i militari assistevano
impassibili alle scene d'odio e poco facendo per aiutare le donne
e i bambini in preda al panico.
La
gran parte degli italiani arrestati si era stabilita in Gran Bretagna
agli inizi del diciannovesimo secolo. Di questi, molte migliaia avevano prestato servizio nell'esercito inglese (oltre
che in quello italiano) durante la prima guerra mondiale:
fu presto scoperto
che la qual cosa non dava loro
nessuna forma di diritto legale.
Tipico esempio dell'isteria collettiva che andava crescendo
in quegli anni supportata dai mass media ai danni dei pacifici civili italiani, per altro strettamente osservanti della legge
britannica,
fu
l'articolo pubblicato dal The Daily Mirror prima della dichiarazione della guerra, che, con atteggiamento puramente razzista e pieno d'odio, un delirante John Boswell scrisse
per l'edizione del 27 Aprile 1940.
The
Daily Mirror - April 27, 1940
"Ci
sono più di venti mila italiani in
Gran Bretagna. Londra da sola ne
conta più di undicimila. L'italiano
a Londra rappresenta una parte
"indigeribile" della popolazione. In genere si stabilisce qui in forma precaria, giusto per il tempo di accumulare abbastanza denaro per comprarsi un piccolo appezzamento di terra in Calabria, in Campania o in Toscana. Quando anche potrebbe,
spesso e volentieri evita di impiegare forza lavoro britannica. Gli e' evidentemente molto più comodo (e più conveniente da un punto di vista economico) far venire in Inghilterra un paio di parenti dal suo paesello natale.
E dunque le navi scaricano
tutti i generi di Francesca e Maria dagli occhi marroni e di Gino, Tito e Mario dalle sopracciglia a mo' di scarafaggi. Ora, ogni colonia
italiana in Gran Bretagna e in America rappresenta un calderone bollente che fomenta attività politica.
Fascismo nero. Caldo come l'inferno. Anche il pacifico, quanto osservatore della legge, proprietario del caffè in fondo
alla strada ha un sussulto di frenesia patriottica al solo sentire pronunciare il nome di
Mussolini… Ci ritroviamo dunque circondati da una miriade di piccole,
potenziali minacce. Una tempesta si sta abbattendo sul Mediterraneo. E noi, con la nostra ronzante, stupida tolleranza stiamo consentendole di acquistare ancora più forza".
Ai civili arrestati non venne riconosciuto nessun diritto legale che consentisse loro una qualche
protezione. Venivano mantenuti
sotto il Regime di Restrizione, così come previsto dalla Regulation
18b. I civili potevano essere detenuti qualora le autorità britanniche decidessero che un individuo potesse anche solo per ipotesi agire pregiudizialmente contro la sicurezza pubblica o la Difesa del Regno. [I militari, al contrario, godevano di una qualche
garanzia, come prevista dalla Convenzione di Ginevra
e l'accordo di Hague].
Il Regime di Restrizione dava alle autorità ampia libertà
di interpretazione. Durante la guerra, poi, gli italiani non arrestati e che
ancora risiedevano in Inghilterra furono utilizzati come "schiavi", obbligati
a lavorare in condizioni disumane.
Un
gruppo di lavoratori-schiavi italiani, che
lavora nella democratica Gran
Bretagna!
Gli italiani
vennero radunati come bestiame e sistemati in campi d'alloggio, sporchi,
primitivi e senza servizi igienici, in attesa
di essere deportati in Canada, in Australia e nell'Isola di Man. La
velocità e il successo con cui venivano effettuati gli arresti, sia seguendo
un piano attentamente prestabilito
che affidandosi al momento, condusse comunque ad uno scenario
di confusione come il
Governo e la stampa descrissero.
Segue un verbale della Croce Rossa e riportato da Francois Lafitte nel suo libro "The Interment of
Aliens",
pubblicato da Penguin nel Novembre
del 1940.
Gli italiani
venivano accomodati in una fabbrica
di cotone abbandonata a Bury, nel Lancashire, conosciuta come Warth Mills. L'entrata era pieni di scorie della lavorazione del cotone, e il
pavimento scivoloso per gli oli e il grasso che l'impregnava. La sola luce veniva da un soffitto di
vetro, e molte delle finestre erano
rotte o mancanti, lasciando dunque entrare la pioggia che veniva raccolta in ampie taniche. I lavandini erano sporchi, con
solo otto rubinetti d'acqua fredda per 500
uomini. Alcuni dottori italiani
tra gli internati si posero alla testa di un gruppo di
protestatari che giunse fino al comandante del campo, il maggiore Braybrooke; in conseguenza della
piccola manifestazione, fu data della
calce nel tentativo di
migliorare la situazione igienica. C'erano pochi materassi, e gran parte degli internati era costretta a dormire su ruvide tavole di legno coperte da due o tre lenzuoli, molti dei quali divorati dai vermi. Il cibo era scarso: la cena consisteva di un
pezzo di pane raffermo, un pezzo di formaggio e una
tazza di te. La notte si udivano
i ratti squittire tra i macchinari arrugginiti dell'impianto. Due recinti di filo
spinato circondavano l'intero
edificio, con le sentinelle armate
che vi camminavano in mezzo nel fare la guardia.
Questa descrizione e' stata confermata da Monsignore R. A. Haccius, il delegato inglese della commissione
internazionale con sede a Ginevra della Croce Rossa, durante una sua
ispezione al campo effettuata il 12
Luglio del 1940.
La
versione degli internati fu largamente
confermata da Monsignore R. A. Haccius, il delegato inglese della commissione internazionale
della Croce Rossa. La Croce Rossa stava effettuando il suo tradizionale incarico di parte neutrale nel tentativo di assicurare le migliori condizioni possibili per i prigionieri di guerra, e visitava prigionieri ed internati in Gran Bretagna, Francia e Germania. Haccius, cui era stato conferito l'incarico direttamente dal governo
inglese nel palazzo
reale di San
Giacomo, visitò Warth
Mill il 12 Luglio. Nel suo verbale, egli mise in rilievo le condizioni inaccettabili
in cui versava l'impianto, la mancanza di corrente elettrica, servizi igienici assolutamente insufficienti, dal basso numero di lavandini, all'assenza
di acqua calda alla generale sporcizia. Mosse anche severe critiche all'inadeguata infermeria del campo, con soli trenta letti per
230
internati che richiedevano un bisogno evidente di cure.
P.+ L. Gillman, 'Collar
The Lot', Quartet
Books, London Melbourne New York, London 1980, page
156.
Non che la situazione negli altri campi dove erano reclusi gli italiani fosse migliore:
a Huyton, gli internati erano alloggiati nelle tende dell'esercito e vivevano
quasi affogati in un mare di fango, e
volutamente in circostanze
igieniche pietose. A Onchan, sulla isola di Man, i civili italiani e tedeschi che vi erano imprigionati soffrivano perennemente di privazioni
nel soddisfacimento dei
bisogni più elementari. Il campo (composto in realtà di molti campi) era normalmente sovraffollato, con molti uomini costretti a dormire in due nello stesso letto e altri direttamente per terra. Stando a
quanto scrive Francois Lafitte, vi erano internati
121 artisti e lavoratori qualificati, 68 avvocati, 38
medici, 22 laureati in ingegneria
chimica, 113 scienziati, 67 ingegneri, 19 sacerdoti e 12 dentisti.
Alcuni tra gli intellettuali erano ebrei, sia tedeschi che italiani. Gli altri "ospiti", per la gran parte italiani, erano principalmente camerieri e cuochi,
operai, negozianti e artigiani. L'ambiente già di
per se' miserrimo era anche mal gestito,
per non dire barbaramente gestito. Le varie crudeltà inflitte
alle vittime non furono casi isolati
come le autorità spesso dichiararono, ma la norma imperante. Senza alcun preavviso, gli italiani internati
furono ad un certo punto caricati
sulle navi (la Monarch of Bermuda, la Queen Mary, la Duchess of York, la Dunera e la Arandora Star) che pure portarono
ben ammanettati altri prigionieri di guerra tedeschi, nelle varie parti dell'Impero
di Sua Maestà. Il 2 di Luglio una delle navi-prigioni, la Arandora Star, piena
di italiani e dei loro aguzzini, venne silurata e affondò nell'Atlantico. Dei 712 italiani a bordo, solo 226 furono salvati (questi sono i dati ufficiali dell'autorità inglese: molti sopravvissuti ritennero che il numero fosse disgraziatamente molto inferiore). Anche duecentonovantadue civili tedeschi, tra i quali
alcuni ebrei, affogarono. Sorprendentemente, quasi tutti i soldati inglesi furono messi in salvo.
Inferno
sulla Dunera
Per
ulteriormente aggravare gli eventi a discapito degli italiani
sopravvissuti, per un paio di giorni, nelle
fredde acque dell'Oceano,
molti di questo furono
imbarcati dalla Dunera,
una nave che era
stata inizialmente addetta
al trasporto delle truppe,
che si diresse verso l'Australia, in un viaggio
di circa due mesi, con a bordo 3000 internati a fronte
di una capacità massima di 1500 persone. Un sottomarino, l'UB-56,
attaccò la Dunera il 12 di Luglio, ma la nave resse all'attacco.
L'autore
della seguente lettera, Merlin Scott, era il figlio dell'assistente sottosegretario
al ministero degli esteri britannico, Sir David Scott. Scrisse questa lettera alla sua famiglia il giorno 11 di Luglio:
"Ho pensato che i sopravvissuti italiani erano trattati in maniera vergognosa, e ora sono stati tutti rispediti di nuovo in mare, l'unica cosa che avrebbe
potuto davvero farli tremare, visto che hanno
perso padri e fratelli... Credo siano stati sbarcati molti uomini di valore. Tra questi, avevamo un
certo Martinez, capo delle industrie Pirelli Cavi e Pneumatici, e che conosceva molte più cose degli altri
sugli armamenti. Quando scesero
dalla nave, andarono naturalmente alla ricerca dei loro
bagagli. Gli abiti e i loro pochi averi gli furono tolti e gettati a formare pile di roba sotto la pioggia. Inutile dire che molta gente, tra cui alcuni poliziotti, cominciarono
ad "aiutarli" a togliere loro quanto era rimasto di intatto o utilizzabile. Erano spinti lungo la banchina sotto la minaccia delle
baionette, con la gente che li insultava. Fu davvero uno spettacolo meschino.
Anche i telegrammi con i quali
i familiari
esprimevano la propria gioia per saperli
sani e salvi non vennero
loro recapitati. "
P.+ L. Gillman, 'Collar
The Lot', Quartet
Books, London Melbourne New York, London 1980, page
215
La vita a bordo della Dunera era estremamente dura per gli internati italiani e tedeschi.
Nessun salvagente fu loro assegnato, e se la nave fosse affondata per qualunque motivo,
sarebbe stato un vero, irreparabile disastro. Gli oblò erano tenuti sempre chiusi e non si permetteva che un
po' d'aria fresca entrasse nelle cabine. Piccolissimi alloggi stipati di gente, poche amache rese disponibili. Coloro che soffrivano
di mal di mare
venivano lasciati senza alcuna assistenza
medica, senza che venisse loro concesso anche solo di uscire a prendere una boccata d'aria: non che ci fosse in
realtà nessuna assistenza medica per gli altri! Potevano
solo sopravvivere tutti in mezzo al loro vomito,
all'urina, agli escrementi: lo stesso uso del bagno era infatti considerato un lusso. Venivano lavati con potenti getti d'acqua salata, che solo contribuivano a rovesciare nuovamente la sporcizia
sul pavimento bagnato. I prigionieri avevano poco sapone e neanche un pezzo
di
carta
per
asciugarsi. Quando era loro concesso di andare al bagno, dovevano fare i loro bisogni davanti
agli sguardi degli altri disperati ed impazienti prigionieri, e sotto il bombardamento dei commenti volgari dei loro aguzzini.
Le condizioni generali divennero
addirittura peggiori,
quando una diarrea di
origine virale si
sparse nella nave.
Lungo il viaggio
all'inferno, le guardie britanniche continuavano a
rendere insopportabile la vita degli
internati che erano stati assegnati alla loro custodia. Venivano concessi solo dai quindici
ai venti minuti giornalieri di esercizio
all'aria aperta, e in quel mentre i prigionieri di tutte le età erano
obbligati a correre seguendo
gli ordini delle guardie, resi più coloriti da bestemmie e calcioni. I soldati continuarono a rubare alle loro vittime tutto
quello che poterono: la vita a bordo era talmente intollerabile da indurre un ebreo austriaco, tale Jacob Weiss, a suicidarsi
gettandosi dalla nave. Ai prigionieri veniva negata ogni informazione
circa la destinazione e la durata del viaggio, causando un profondo senso di depressione e di disorientamento. Quando la Dunera raggiunse
le coste dell'Africa, fu distribuita
della frutta, per lo
più marcia, che tuttavia i prigionieri considerarono come un inaspettato gesto di umanità. Ma dietro
questo, si celava l'ennesima vigliaccata: una cassa di frutta era stata infatti
appositamente trattata
con veleno anti-ratti, e, tra le risa dei soldati, una moltitudine di disperati cominciò subito ad urlare
e a
rotolarsi per il dolore. Solo quando la nave fu in prossimità dell'Australia, furono distribuiti rasoi, sapone e asciugamani puliti, al fine di rendere i prigionieri presentabili alla stampa locale e al comitato
d'accoglienza.
Solo allora, ai malati fu concesso un'ora al giorno d'aria fresca. Quando la nave fece il primo approdo a Freemantle, in Australia,
per consentire i controlli di rito delle autorità
sanitarie locali sul "carico" umano
che questa trasportava, i medici che salirono a bordo prescrissero latte e uova per i pazienti emaciati che trovarono.
Quando infine la nave giunse a Sidney, dove i
prigionieri sbarcarono dalla nave dell'inferno il 7 Settembre, questi ebbero ancora a soffrire altre avversità fino
al momento
in cui furono
definitivamente
rinchiusi nel noto
campo di concentramento di Hays, situato
in uno dei posti meno ospitabili del pianeta.
Solo di poco migliori erano le condizioni di vita dei prigionieri
sulle navi che facevano la spola con il Canada: gli internati dovettero comunque sopportare trattamenti inumani e costanti umiliazioni
dalle guardie,
nonchè
un'alimentazione inadeguata. Solo un paio di soldati, per iniziativa individuale, si comportarono
in maniera umana nei confronti delle persone che avevano in custodia,
e fecero
tutto quello che poterono per alleviare
il
loro
sconforto. Per il resto,
il
razzismo ampiamente diffuso e il rude trattamento degli italiani e degli ebrei si riflette in una nota personale
di Mr. David Scott al Ministero degli Esteri di Sua Maestà:
" Desidero
ora esplicitare la mia personale
impressione su a. i tedeschi nazisti,
b. gli italiani e c.
…………...
a. Avendo avvisato questo gruppo, fin da prima di salpare, dei miei metodi che avrebbero procurato loro degli inevitabili disagi aggravati dalla eventuale loro non-collaborazione, il loro comportamento risultò esemplare. I tedeschi nazisti si
sono subito dimostrati geneticamente migliori, una razza onesta e sincera. Non
esiterei tuttavia a definirli altamente pericolosi.
b. Gli italiani. Queste persone sono sporche per abitudine, senza uno straccio di disciplina,
e sono dei codardi oltre ogni limite.
c. ………………….
essere descritti come
bugiardi, incontentabili e
arroganti, ed ho ormai
rinunciato a volerci ragionare. Si riferiscono
ad ogni persona, fosse questa il Primo Ministro o il
Presidente degli Stati uniti, fingendo impossibili confidenze, e ottenendo di non poter essere creduti in una sola parola o gesto da loro
attuati."
P.+ L. Gillman, 'Collar
The Lot', Quartet
Books, London Melbourne New York, London 1980, page
254.
Le crudeltà
inflitte agli italiani e agli altri sembravano rubate dalle scene del film
di Speilberg sull'olocausto, e apparirebbero incredibili ai nostri occhi e alla nostra sensibilità, se non fossero state verificate da organizzazioni e individui con credenziali impeccabili.
La ferocia dimostrata a
queste vittime da una cosiddetta
potenza democratica e civile mondiale, combattendo una guerra di libertà e di giustizia
contro il mostro del fascismo
[riporto le letterali parole, NdT], diventa solo una ipocrita e
depravata vendetta della più bassa specie.
Nessun civile italiano ha mai ricevuto alcun compenso, per la perdita dei propri affari,
della propria libertà, o come spesso
accadde, per la perdita della vita.
E poi chiamano razzisti noi italiani
RispondiEliminae queste testine prima vanno a fare il "master" a lombra, poi con laurea e master in cazzologia vanno a lavare i piatti in qualche tavola calda o kebabbaro nella "City". Carriere fulgide. Potrebbero invece coi soldini risparmiati evitando di cazzeggiare in anglocazzone, mettere su, a casa loro, una co-operativa di cessi chimici ultra confortevoli solo per Italiani in Città Italiane, ché i trogloristi qui da noi sporcano dappertutto dal momento che lasciamo loro fare quello che vogliono. Devo dire che è comodo però sapere un poco di anglocazzone, per urlare a quei pezzi di materia marrone differente dalla Nutella che non si lascia correre il bimbominkia negli appartamenti delle case vacanze o dei b&b...Mi sono appena dovuta fare un pezzo urlato in questa schifosa linguaccia, l'anglocazzone, appunto per rimettere a posto i frequentatori di queste casacce di magnapaneatradimento. Anziché cantare O' SOLE MIO ! Ebola li colga ! Autarchia: solo io a casa Mia !
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