sabato 3 novembre 2018

Chi causò davvero la guerra d’Etiopia del 1935?



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Ma chi causò davvero la guerra d’Etiopia del 1935?
La guerra fu causata dagli etiopi oppure fu voluta da Mussolini? Fu davvero la guerra d’Abissinia, l’ultima impresa coloniale del mondo occidentale, ciò che i libri di storia italiani riportano?
Per analizzare le cause della più grande guerra coloniale mai condotta necessitiamo di pragmatismo e onestà intellettuale, caratteristiche di Frederick William Deakin (1913-2005), laurea a Oxford in Storia Moderna. Deakin è stato assistente letterario di Winston Churchill ed è considerato come uno dei più brillanti storici della sua generazione. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel maggio 1943, con il grado di Capitano fu il capo della missione di collegamento britannica in Jugoslavia per entrare in contatto e appoggiare i partigiani comunisti di Tito.
Non si chiede né di amare né di odiare il passato, solo di osservarlo come una concatenazioni di eventi secondo il più classico “effetto farfalla” per la creazione di una memoria condivisa che racconti la storia di tutti.
 
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Storicamente il fattore scatenante della guerra d’Etiopia viene indicato come l’incidente dei pozzi di Ual Ual del 5 dicembre 1934, sul confine italo-etiopico. Fu più che altro il casus belli, il pretesto, utilizzato da Mussolini che respinse qualsiasi compromesso per comporre l’incidente, come era già avvenuto per i 51 scontri di frontiera avvenuti negli ultimi anni. Vi furono 300 morti da parte abissina e 21 da quella italiana, un aspro combattimento sostenuto dai Dubat somali, le bande di confine, agli ordini del Capitano Cimmaruta, contro gli armati dei fitaurari Sciferra che sconfinarono (in questa sede soprassediamo sulla contemporanea presenza degli inglesi nella zona).
Deakin invece analizza a 360° i fattori storici che portarono al conflitto, affermando che “se l’Inghilterra e la Francia avessero trattato con più comprensione le pretese coloniali italiane avanzate nel 1919” le cose sarebbero andate sicuramente diversamente in Africa perché “un assetto generale, a quel tempo avrebbe potuto rafforzare i liberali italiani, e recuperare la maggioranza dei consensi della nazione al mantenimento di un governo costituzionale. Forse non ci sarebbe mai stata una marcia su Roma” perché non si sarebbe potuto quindi mai parlare di vittoria mutilata, lo strumento politico che contribuì in modo decisivo alla crisi del governo liberale e all’avvento del neonato Partito Nazionale Fascista.
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Infatti all’origine della guerra di espansionismo coloniale fascista “sta la richiesta italiana di eventuali compensazioni coloniali, accettate da Francia e Inghilterra nel Trattato di Londra del 1915 e disattese poi a Versailles, dove i due alleati dimostrarono scarsa considerazione verso l’Italia e quindi non tanto la risposta armata all’aggressione abissina del 1934 ai pozzi di Ual Ual.
 
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Ecco dunque che Deakin imputa a Francia e Inghilterra degli errori che avrebbero potuto evitare se solo avessero mantenuto fede al Trattato di Londra. Il trattato venne stipulato segretamente il 26 aprile 1915, tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa, con i quali l’Italia si impegnò ad entrare in guerra contro gli Imperi Centrali in cambio di cospicui compensi territoriali.
Nel 1929 il patto non era ancora stato onorato e infatti “Lord Miller, Presidente del Comitato costituito per l’esame del problema aveva redatto un memorandum a sostegno di una “equa compensazione per l’Italia”.
Ed anche Robert Vansittart, Sottosegretario permanente agli Affari Esteri inglesi, dichiarò circa il problema: “Ho sempre pensato che fosse questione di tempo il tentativo dell’Italia di espandersi… È stato un peccato non aver permesso all’Italia di avere una colonia tedesca nel 1919. La nostra fu un’avidità imprudente e l’episodio di fronte al quale ora ci troviamo è l’inevitabile conseguenza della nostra ottusa politica di allora.
Pare quindi dall’analisi dello storico inglese e dalle dichiarazioni di allora che la guerra fosse inevitabile stante la visione del mondo che si aveva all’epoca essendo l’Italia un paese europeo e colonizzatore?
Non dimentichiamo che all’inizio del secolo scorso tutta l’Africa era suddivisa tra le varie potenze europee, in un epoca in cui il colonialismo era non solo normale ma anche accettato in tutta Europa e che quindi il fascismo “avrebbe dato l’ultimo tocco, completandola, all’espansione dell’imperialismo europeo, da cui l’Italia era stata la principale esclusa”.
 
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Non dimentichiamo anche che il neo Impero etiopico, feudale e tirannicamente governato dal Negus Hailè Selassiè, era solo da pochi anni entrato a far parte della Società delle Nazioni. Infatti venne accettato il 28 settembre 1923, a condizione, tuttavia, che il Governo etiopico sottoscrivesse una dichiarazione con la quale si impegnava ad adoperarsi per abolire la schiavitù e a rispettare, in materia di armi e munizioni il loro commercio, cosa che non avvenne mai. Infatti tutto era esattamente ancora immutato alla deposizione di Salassiè avvenuta il 12 settembre 1974.
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Non per nulla già nel giugno 1919, il Ministro delle Colonie italiane, Colosimo, faceva notare che «fosse superfluo ragionare sull’eventualità di una domanda dell’Etiopia per far parte della Lega delle Nazioni. I principi generali propugnati alla conferenza della pace si oppongono recisamente. Un paese che non ha forma di Governo civile, dove le popolazioni menano tuttora una vita primitiva, dove la barbarie ha ancora vigore con la schiavitù, le mutilazioni, la vendetta del sangue e il prezzo del sangue con diritto di vita o di morte a favore della parte lesa, un tale paese non ha qualità alcuna per far parte di quel consorzio di Nazioni che sarebbe destinato a regolare le vicende e le sorti di Stati i più progrediti e di conglomerati sociali civili».
 
espansionismo-etiopia-menelikFu la guerra di Mussolini un’aggressione? Si indubbiamente, come tutte le guerre di espansione che la storia dei popoli ricordava sino ad allora, proprio come quelle condotte negli anni precedenti dagli eserciti etiopi guidati da Menelik, il predecessore di Selassiè, che dal 1887 al primi anni del ‘900 si spinsero sempre più a sud e a ovest, saccheggiando e depredando, “incorporando – scrive Angelo Del Boca le ricche regioni dell’Harar, del Caffa, del Welega, dell’Ilubabor, dell’Arussi, del Gemu-Goffa e anche quelle più povere dell’Ogaden, del Bele e del Sidamo. L’espansionismo etiopico si ferma soltanto ai confini dei possedimenti inglesi, francesi e italiani, ma il progetto di Menelik era molto più ambizioso: mirava al Mar Rosso e all’Oceano Indiano, ossia ad inglobare anche l’Eritrea e le tre Somalie”.
Ecco dunque dei fatti storici concatenati tra loro degni di essere conosciuti per poter trattare l’argomento “Etiopia-aggressione italiana” e poter equamente analizzare gli eventi storicizzandoli, poiché l’Italia fascista invase indubbiamente l’Etiopia sotto l’idea di una spinta demografica e alla ricerca di risorse, esattamente come fece Menelik con la conquista dei nuovi territori per risolvere i suoi problemi economici sfruttando le risorse delle regioni annesse e la forza-lavoro delle popolazioni schiavizzate, e causa della Francia e dell’Inghilterra che non rispettarono il Patto di Londra.
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Concludiamo con le parole di Deakin: “la rivincita del colonialismo fascista, debolmente contrastato dalle potenze sazie o, secondo l’espressione di Vansittart, «colme di territori», doveva condurre alla caduta dei pilastri dei templi imperialistici. La distruzione dell’Impero italiano d’Africa nel 1940 era solo il preludio della disintegrazione finale delle colonie d’oltremare inglesi e francesi”.
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