di Alberto Alpozzi
Cesare Maria de Vecchi di Cismon, Quadrumviro della Marcia su Roma e primo Governatore fascista della Somalia debellò definitivamente la pratica dello schiavismo in Somalia.
L’8
dicembre 1923, quando il de Vecchi sbarcò a Mogadiscio, molte zone
della Somalia erano ancora soggette allo schiavismo praticato da diversi
clan ai danni dei clan più deboli e piccoli.
Il de Vecchi con decisione volle porre fino a questa barbara usanza di sfruttamento degli esseri umani.
Ma il suo intervento creò subito alcuni attriti: “Non
veniamo da lei a nessun costo poiché lei ha rotto il patto che c’era
tra noi. Tutti i nostri schiavi sono fuggiti e passati dalla sua parte e
lei ha dato l’ordine di liberarli – scriveva il 12 marzo 1924 il capo dei Galgial Bersane, Scek Agi Assan Bersane, al Residente italiano di Mahaddei – Quest’azione
non ci rende felici. Secondo la nostra legge, noi possiamo mettere i
nostri schiavi in prigione e sottoporli a lavoro forzato. Per il Profeta
e per tutti i Santi, noi siamo buonissimi Mussulmani. Il governo ha le
sue leggi e noi abbiamo le nostre; noi non accettiamo nessuna legge se
non la nostra. La nostra legge è la legge di Allah e del Profeta; noi
non siamo come altra gente, lei non ha mai visto la nostra gente
arruolata come Gogles, nessuna delle nostre donne è passata dalla sua
parte. Ora, se lei ci rimanda tutti i nostri schiavi, sia quelli che si
sono uniti a voi prima che quelli che sono venuti successivamente,
scortati da 30 o 40 Gogles, e fa tutto ciò che le stiamo chiedendo, va
bene. Se lei non lo fa, noi non veniamo da lei come richiesto nella sua
lettera. Noi rispettiamo tutti i Mussulmani e il governo, ma non quelli
che sono in guerra con noi. Lei conosce la natura dei suoi assoggettati.
Perché ha fatto questo ai nostri schiavi? Se ha bisogno di tranquillità
tra i suoi assoggettati, ci faccia questo favore, altrimenti sarà
ritenuto responsabile di quanto accadrà. Se verrà nella nostra terra a
farci guerra, noi ci difenderemo con ogni mezzo come abbiamo fatto
contro i Darvisci. Allah ha detto ‘Un piccolo gruppo può combattere e
sconfiggere un grande gruppo’. Il mondo sta per finire, mancano solo 58
anni alla fine. Noi non vogliamo stare al mondo, è meglio morire in seno
alla Legge Islamica. Tutti i Mussulmani sono un unico corpo compatto.”
“I vecchi rancori non muoiono facilmente, e
lo sheik stava cercando vendetta per la politica antischiavista degli
italiani di 10 anni prima. Ora aveva radunato la sua tribù per opporsi
all’ordine italiano di arrendersi.”(1)
Dunque in Somalia un nuovo ordine andava creandosi
con l’avvento del fascismo, contro l’oppressione dei forti, che avrebbe
creato una nuova stabilità sociale per un miglior destino di quei clan
sottomessi e schiavizzati. Non c’è dunque da meravigliarsi se fra i
somali ve ne fossero, non pochi, che passarono con piacere dalla parte
del Governo.
Però è interessante notare come “lo stile e
la sostanza della lettera sono in totale contrasto con il carattere
della lotta nazionalista e anti-colonialista attribuita a questo
religioso negli anni ’70 dal regime militare somalo. Lo Sheikh sembrava
più preoccupato per la perdita dei suoi schiavi che per altre
considerazioni. Rivendicava il diritto di sfruttare e disumanizzare
altri esseri umani nati liberi come lui in nome della religione.”(2)
Lo Sheikh Hassan fu sconfitto e “i ribelli somali presto furono convinti che i pochi possono essere sconfitti dai molti.”(3)
Il capo ribelle fu catturato il 4 aprile e
condannato a trent’anni di prigione dal Tribunale Regionale del Uebi
Scebeli, secondo le regolari leggi della magistratura per gli
ordinamenti delle Colonie, redatte prima dell’avvento del fascismo e mai
modificate. Morì di malaria il 28 gennaio 1927 nella prigione centrale
di Mogadiscio.
Chi dunque in tempi recenti parla di schiavismo
italiano in Somalia non solo tace questi documenti ma anche fa finta di
non ricordare che gli italiani, storicamente, sia ben chiaro, non hanno
mai avuto tradizioni di schiavismo di sorta e che questa prassi venne
portata avanti negli anni, come per esempio durante la conquista
dell’Etiopia, quando il Generale De Bono, come primo atto in quelle
terre promulgò, il 3 ottobre 1935, l’abolizione della schiavitù nel Tigrè.
Non
va inoltre dimenticato che in Africa la tratta degli schiavi era il
commercio più lucrativo che ci fosse e che per secoli aveva scoraggiato
qualunque altra forma di commercio e che la sua iniquità fu una tarda
scoperta della coscienza europea cristiana e l’abolizione della stessa
un mero interesse commerciale inglese. Nel XVIII sec. i piantatori delle
Indie occidentali, che per le loro piantagioni di zucchero si servivano
di manodopera servile, iniziarono a portare con sé in Inghilterra i
loro schiavi domestici divenendo un facile bersaglio per gli attacchi
dei Cristiani più radicali. Nella legge inglese siccome non era previsto
nulla che assomigliasse alla schiavitù, nel 1772 Lord Mansfield, a capo
di un piccolo gruppo di pressione, composto soprattutto da cristiani
evangelici, ebbe la sua prima vittoria attraverso una implacabile
campagna contro il traffico inglese di schiavi, che arrivò più tardi
anche nei territori britannici d’oltremare colpendo così l’istituto
della schiavitù.
Fu così che nel 1807 il Parlamento inglese votò
una legge che dichiarava illegale il traffico degli schiavi per tutti i
sudditi britannici, imponendo per decreto, quattro anni dopo, multe
altissime per chi seguitasse in quel commercio, sancendo così il termine
della loro tratta degli schiavi.
Ma una volta
abbandonata la schiavitù, l’Inghilterra si diede subito a reprimerne
tale pratica da parte delle altre nazioni, non certo per pura
filantropia ma per semplici ragioni commerciali: la soppressione sul
piano internazionale di tale esercizio, prima che potessero svilupparsi
scambi regolari fra l’Africa e l’Europa, fu dovuta a prevenire la
concorrenza che avrebbe messo in crisi i loro commerci.
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di Alberto Alpozzi – © Tutti i diritti riservati
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NOTE
1 e 3 – Hess R.L., Italian colonialism in Somalia, The University of Chicago Press, Chicago, 1966
2 – Trunji M.I., Somalia: The Untold History 1941-1969, Loohpress, Leicester, UK, 2015
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