di Enrico Montermini
Le origini di molti mali
dell’Italia di oggi risiedono nelle particolari circostanze in cui il sogno
dell’unità nazionale fu raggiunto. Se vogliamo accantonare il mito risorgimentale
e guardare ai fatti, dobbiamo parlare di una spietata guerra di conquista e di
saccheggio scatenata dal Piemonte contro i floridi stati preunitari.
La storiografia più recente ammette
che tra gli obbiettivi di Cavour c’era quello di garantire alla nascente
industria del Nord i capitali per il suo sviluppo e un mercato per i suoi
prodotti. A questo punto, se vogliamo chiamare le cose col loro nome, si deve
parlare di una guerra coloniale: un’espressione che gli storici si rifiutano di
usare per una sorta di riserva mentale, che del resto è facilmente comprensibile.
Parlare di guerra coloniale
impone l’uso di determinate categorie di analisi, che risultano politicamente
scomode ancora oggi. Per convincersene basta constatare che i più importanti
documenti governativi sul Risorgimento sono tuttora coperti da segreto di
Stato.
Colonialismo e neocolonialismo
Nell’epoca dell’imperialismo il
capitale monopolistico ruppe gli argini ristretti dello Stato nazionale per espandersi
all’Estero. È questo il filo rosso che lega il colonialismo al neocolonialismo.
Nella fase coloniale la potenza
imperialista interviene direttamente per garantire la sicurezza degli
investimenti e lo sfruttamento del territorio. Nella fase successiva dell'emancipazione nazionale il
grande capitale arruola tra gli indigeni il personale di cui ha bisogno: tecnici,
amministratori, sbirri. Sebbene in modo più sfumato, la potenza imperialista
continua anche in questa fase a condizionare la ex colonia ora indipendente:
attraverso i programmi di assistenza economica, militare e culturale, ma ricorrendo anche alla
corruzione, all’intimidazione, al colpo di stato e all’intervento militare diretto.
Il tutto nell’interesse del grande capitale, che nel frattempo è diventato
cosmopolita.
Nel caso italiano il Regno del
Piemonte si sostituì, semplicemente, all’Austria come potenza coloniale.
L’unità d’Italia segnò il punto di transizione dall’epoca coloniale al
neocolonialismo. Abbiamo infatti la fine di una dominazione straniera –
piemontese, in questo caso – e il sorgere di uno Stato unitario e formalmente
indipendente sul piano politico, ma pur sempre aggiogato al carro del grande
capitale.
La borghesia compradora
La resistenza delle strutture
tribali alle strutture del capitalismo avanzato hanno provocato un fenomeno di
reazione, che è possibile osservare nella storia di ogni Paese toccato dal
colonialismo. Questa situazione si può trovare anche nel Mezzogiorno italiano e
prende il nome di brigantaggio.
Le strutture economiche del
capitalismo hanno prodotto, nei Paesi di recente indipendenza, anche nuove
strutture sociali che si sono sovrapposte a quelle tradizionali. Mi riferisco
all’affermazione di una particolare classe sociale, chiamata borghesia
compradora. Essa non è la borghesia produttiva che fa impresa. Non è la piccola
borghesia cittadina dedita al commercio spiccio né quella rurale dei piccoli
proprietari terrieri. La borghesia compradora può essere descritta come
l’agente del grande capitale nei Paesi in via di sviluppo oppure come
l’intermediario tra il capitalismo cosmopolita e la popolazione indigena. E’ la
classe sociale degli amministratori, degli ufficiali dell’esercito, degli impiegati
di banche straniere e multinazionali, dei liberi professionisti. L’unica ragion
d’essere della borghesia compradora è la difesa degli investimenti stranieri
sul territorio minacciati dalle rivendicazioni sociali delle masse indigene oppresse.
Da ciò i suoi membri traggono una rendita di posizione, che si esprime nelle
forme del potere personale, del prestigio e della ricchezza.
La borghesia compradora comparve
in Italia alla vigilia dell’unità nazionale col preciso compito di saccheggiare
il Paese per sé e per i propri padroni: i potenti banchieri israeliti di
Parigi, Londra e Ginevra guidati dai Rothschild. Furono costoro, infatti, che
finanziarono le guerre d’indipendenza e il processo di modernizzazione del
Paese. Considerati gli interessi che la borghesia compradora difende, non
sorprende che governi di diverso colore politico si alternino tra loro senza
che nulla cambi.
La massoneria
La grande protagonista dell’unità
d’Italia fu la massoneria. Il Grande Oriente d’Italia sorse ufficialmente come estensione
della Loggia Ausonia, fondata nel 1859 a Torino con la benedizione di Cavour.
Vi entrarono in massa personaggi che poco o nulla sapevano dell’Arte Muratoria,
ma che occupavano posizioni sociali di rilievo ed erano ardenti patrioti. Fu la
massoneria a selezionare la borghesia compradora italiana, che sostituì gli
amministratori e gli sbirri austriaci e assorbì al proprio interno quelli
borbonici.
Esiste quindi una continuità
nella trasmissione del potere da una generazione all’altra, attraverso i
meccanismi ben noti del nepotismo, della raccomandazione e della corruzione.
Tale continuità è assicurata dalla massoneria. È l’Ordine a garantire
l’impunità della casta al potere, poiché controlla contemporaneamente il potere
legislativo, esecutivo e giudiziario e perché mette in relazione il magistrato
col il malavitoso, il politico corrotto col faccendiere corruttore, l’élite
italiane e con quelle straniere.
Finanza, massoneria e borghesia compradora
Lo schema che abbiamo delineato
si palesa chiaramente nella storia di Adriano Lemmi, il “banchiere del
Risorgimento”, Gran Maestro della Massoneria negli anni tra il 1885 e il 1896.
Egli fu il punto di congiunzione tra il mondo dell’alta finanza e la borghesia
compradora italiana. Lemmi fu l’eminenza grigia dietro il primo ministro
Francesco Crispi, che era a sua volta un “33” del Rito Scozzese. Confrontando
le date, possiamo dire che l’epoca della Destra storica coincide interamente
con la gran maestranza di Lemmi.
Fu Lemmi a creare una Loggia
supersegreta, la Loggia di Propaganda, per nascondere l’affiliazione massonica
dei personaggi più autorevoli e influenti del tempo: banchieri e uomini politici.
Quando il Venerabile Licio Gelli assurse a eminenza grigia della Prima
Repubblica, non fece altro che ricopiare i metodi di Lemmi creando la Loggia
Propaganda 2 (o più semplicemente P2).
Come ogni borghesia compradora,
anche quella italiana è tradizionalmente corrotta, inefficiente e arrogante. Il
primo scandalo dell’Italia unita fu quello delle Ferrovie meridionali, nel
quale Lemmi figura come l’organizzatore di un giro di mazzette che coinvolse
faccendieri, uomini politici e avvocati. Poco più di un secolo dopo, la storia
si è ripetuta con lo scandalo della metropolitana di Milano, per il quale il
Presidente del Consiglio Bettino Craxi e altri furono condannati per corruzione.
Possiamo aggiungere che Craxi e Martelli, nel 1981, avevano letteralmente comprato
il Partito Socialista con i soldi messi a disposizione dalla P2 secondo le
dichiarazioni dell’on. Cicchitto.
La super-loggia di Gelli fu
coinvolta anche nello scandalo del crack del banco Ambrosiano, al quale va
collegata l’uccisione del banchiere massone Roberto Calvi. Pure qui nulla di
nuovo sotto il sole: nel 1893 il governo Giolitti cadde a causa dello scandalo
della Banca romana, una truffa colossale di cui Lemmi era – di nuovo – il
regista. Pure negli odierni scandali bancari si può leggere, dietro alle
collusioni tra politica e finanza, la lunga mano della massoneria.
Certi fenomeni criminogeni si
ripetono periodicamente nella storia italiana proprio a causa del peccato
originale della genesi dell’Italia unita: un’operazione colonialista condotta
in nome del grande capitale, nel quale la massoneria ha giocato un ruolo
decisivo.
I Rothschild e i loro agenti
Fu la grande finanza ebraica a
spingere i governi europei a intraprendere le iniziative coloniali
dell’Ottocento. Ciò accadde perché il grande capitale non trovava più
sufficientemente remunerativi gli investimenti nelle loro nazioni d’origine. Il
caso italiano non fa eccezione.
Furono i Rothschild di Parigi e i
loro agenti a Parigi, Londra e Ginevra a finanziare le guerre d’indipendenza, la
costruzione di cantieri navali, ferrovie e fabbriche di armi, l’allestimento di
una moderna flotta. Re Vittorio Emanuele II e Cavour contrassero con la finanza
ebraica debiti di tali proporzioni da rendere necessario il saccheggio
sistematico del resto della Penisola. Questo fu il meccanismo criminale che
portò all’unificazione della Penisola.
L’Italia è sempre stata una terra
ricca grazie ai suoi porti, alla sua collocazione geografica, alla fertilità
della pianura padana, all’ingegnosità dei suoi abitanti: c’era tanto da predare
in Italia, allora come oggi.
Il sacco d’Italia iniziò accentrando
in un’unica mano la leva della fiscalità a partire dal 1861 e fu condotto per
mezzo di un esercito di amministratori corrotti, sbirri e soldati. Così,
servendosi della borghesia compradora selezionata e arruolata dalla massoneria,
il grande capitale instaurava le sue strutture economiche nella Penisola. Il
risultato fu un’ondata di miseria quale non se ne ricordava da secoli: fu a
quel punto che milioni di compatrioti iniziarono a emigrare in America con le
famose valige di cartone. Oggi il fenomeno si ripete: sono giovani diplomati e
laureati che partono per Londra, per Sidney e per Berlino in cerca di
opportunità di lavoro che in Italia mancano, piccoli imprenditori che chiudono
le loro fabbrichette in Italia per delocalizzare le produzioni, pensionati che
fuggono in Portogallo, in Romania o in Tunisia per poter vivere dignitosamente
gli ultimi anni della loro vita con quel poco di pensione che si ritrovano.
Tutto questo accade perché esiste una casta che nulla produce, ma depreda,
dilapida e si vende le ricchezze che dovrebbe amministrare in nome del popolo
sovrano.
Cleptocrazia
Dal 1861 la borghesia compradora
che governava il Paese impose al Sud la pesante tassazione che già gravava sul
Nord, aggiunse nuovi balzelli come l’odiosa tassa sul macinato, confiscò i
palazzi e le tenute fondiarie della Chiesa, che i soliti faccendieri si
accaparrarono a prezzi stracciati. Tutto ciò serviva ad alimentare la
corruzione, la speculazione e il clientelismo mentre prestiti sempre crescenti
venivano richiesti sui mercati alimentando la spirale del debito pubblico. Fu
così l’Italia si configurò, fin dall’inizio, come una cleptocrazia ossia un
governo basato sul malaffare.
Sia ben chiaro, dove c’è la
politica vi è sempre corruzione, in qualunque Paese: tuttavia, tra tutti i
Paesi più evoluti, solo in Italia si è affermato un sistema democratico basato
sulla corruzione sistematica e il clientelismo gestito dai partiti. Se infatti
venissero meno gli aspetti corruttivi e clientelari del sistema, i partiti
imploderebbero su sé stessi perché non hanno alcun seguito popolare e la
democrazia in Italia collasserebbe.
Storia d’Italia in pillole
La storia d’Italia potrebbe
dividersi agevolmente in tre periodi storici caratterizzati dalla sudditanza
nei confronti di diversi comitati d’affari. Questi comitati sono formati da
grandi famiglie di banchieri israeliti.
Il primo periodo potremmo
chiamarlo rothschildiano ed è già stato analizzato: è il periodo delle guerre
risorgimentali, finanziate da una cordata di banchieri israeliti parigini,
londinesi e ginevrini guidati dal ramo francese dei Rothschild.
Il secondo periodo ha inizio con
la gran maestranza di Adriano Lemmi e copre gran parte dell’epoca dell’Italia
liberale. È il momento in cui i grandi banchieri mitteleuropei irrompono con i
loro capitali in Italia, orientando le scelte strategiche dei nostri governi in
senso autoritario, filo-germanico e antifrancese. Nel 1894 viene fondata dall’israelita
polacco Otto Joel la Banca Commerciale Italiana con la benedizione del figlio
di Bismark, che militava nella stessa loggia massonica del Kaiser. La BCI operò
come cavallo di troia per la penetrazione dei capitali tedeschi nei Balcani e
nell’Impero ottomano. Sotto la regia dell’israelita e massone Giuseppe Volpi,
del patrizio veneziano Pietro Foscari e di Bernardino Nogara la banca organizzò
il colpo di stato dei Giovani Turchi contro il sultano Memhet V, che fu tenuto
prigioniero nella filiale di Istanbul. Durante il fascismo Volpi diventò
ministro. Foscari entrò in politica e negli ultimi mesi di vita sostenne
Mussolini promuovendo la fusione tra nazionalisti e fascisti. Bernardino Nogara
fondò e diresse lo IOR, la potente banca vaticana sorta per amministrare le
immense ricchezze che Mussolini offrì alla Santa Sede in occasione dei Patti
lateranensi: 1.200 miliardi di euro in monete d’oro più altri 900 miliardi in
titoli di stato. E’ proprio a cavallo tra Otto e Novecento che nei circoli politici
e finanziari tedeschi nasce l’idea di comprare l’Italia, che è l’obbiettivo
segreto del progetto europeista della Germania.
Il dominio della finanza mitteleuropea in Italia ha fine durante la Prima guerra mondiale. Infatti
nell’agosto 1914 Alfred Rothschild sollecita la rottura tra l’Italia e gli
Imperi centrali e invita il nostro governo a unirsi alla Francia e alla Gran
Bretagna nella Prima guerra mondiale. Da quel giorno ha inizio una lotta
senza esclusioni di colpi per estromettere Otto Joel dalla direzione della
Banca Commerciale Italiana, che era il principale canale del grande capitale in
Italia. Lo scontro si conclude con la sostituzione di Otto Joel con il cugino
Joseph Toeplitz e l’ingresso in guerra dell’Italia. Durante la Prima guerra mondiale ingenti
capitali inglesi e francesi sostituiscono provvisoriamente quelli tedeschi.
Per effetto degli affari conclusi durante la guerra gli uomini più ricchi al mondo si trovavano in America e si erano organizzati in un comitato d’affari gestito da poche famiglie ebraiche originarie della Germania e imparentate tra loro e cioè i Warburg, gli Schiff, i Loeb, i Khan, i Lamont e i Guggenheim; ai quali vanno aggiunte le famiglie anglosassoni dei Morgan e dei Rockefeller. In queste famiglie troviamo i soci fondatori della Federal Reserve. Nel 1919 gli anglo-francesi ritirano i loro capitali dall'Italia e subentrano i capitali di Wall Street. E' Thomas W. Lamont, junior partner della JP Morgan Bank, che sostiene il fascismo dalla metà degli anni Venti fino al secondo conflitto mondiale. Inizia il periodo dell’egemonia finanziaria e politica americana in Italia, che viene rinnovata col Piano Marshall e che dura ancora oggi. Infatti durante la Prima repubblica fu l'alleanza strategica tra Cuccia e Mayer a subordinare nuovamente i destini d'Italia alla finanza ebraica americana.
Per effetto degli affari conclusi durante la guerra gli uomini più ricchi al mondo si trovavano in America e si erano organizzati in un comitato d’affari gestito da poche famiglie ebraiche originarie della Germania e imparentate tra loro e cioè i Warburg, gli Schiff, i Loeb, i Khan, i Lamont e i Guggenheim; ai quali vanno aggiunte le famiglie anglosassoni dei Morgan e dei Rockefeller. In queste famiglie troviamo i soci fondatori della Federal Reserve. Nel 1919 gli anglo-francesi ritirano i loro capitali dall'Italia e subentrano i capitali di Wall Street. E' Thomas W. Lamont, junior partner della JP Morgan Bank, che sostiene il fascismo dalla metà degli anni Venti fino al secondo conflitto mondiale. Inizia il periodo dell’egemonia finanziaria e politica americana in Italia, che viene rinnovata col Piano Marshall e che dura ancora oggi. Infatti durante la Prima repubblica fu l'alleanza strategica tra Cuccia e Mayer a subordinare nuovamente i destini d'Italia alla finanza ebraica americana.
Gli apparati di sicurezza
Un ultimo aspetto va analizzato e
riguarda l’intima natura del potere esercitato dalla casta che si è imposta in
Italia. Prima di affrontare il problema occorre spostare il nostro orizzonte un
po’ più lontano e fare un confronto tra due grandi potenze: gli USA e la
Russia. Grazie ai loro porti naturali sugli oceani, ai grandi laghi del Nord e
ai fiumi navigabili gli americani furono in grado di sviluppare il commercio
interno e internazionale: una florida economia fu sempre il collante della
società americana. La Russia al contrario è sempre stata una nazione in gran
parte autarchica, con pochi contatti col resto del mondo poiché la maggior
parte dei suoi porti sono coperti dai ghiacci per molti mesi all’anno. I suoi
territori asiatici sono in gran parte disabitati e sono stati sfruttati
economicamente in modo assai limitato finora, malgrado siano ricchi di materie
prime di ogni tipo. Ciò accade a causa dei grandi fiumi siberiani, che sfociano
nel Mar Glaciale Artico e perciò non sono navigabili per gran parte dell’anno
essendo coperti dai ghiacci. Tutto ciò ha concorso a rendere difficili e molto
costosi gli spostamenti di uomini e merci sulle grandi distanze e questo spiega
perché in Russia, a differenza degli Stati Uniti, non si è mai sviluppata una
florida economia. In mancanza di questo, il regime zarista ha sviluppato
imponenti apparati di sicurezza che sono giunti fino ad oggi passando
attraverso l’esperienza sovietica.
Questa divagazione si è resa
necessaria per spiegare come, date le particolari circostanze del processo di
unificazione nazionale, attuata mediante la conquista militare e la repressione armata, l’Italia abbia basato a
lungo la sua coesione interna sugli apparati di sicurezza. Esercito, marina,
aviazione, carabinieri, polizia, guardia di finanza, un servizio segreto
militare e ben due servizi segreti civili, più un’organizzazione di controllo e
coordinamento dei servizi, garantiscono oggi la sopravvivenza della casta al
potere e gli investimenti del grande capitale cosmopolita. Ogni volta che un
rivolgimento politico (1922 e 1943) ha avuto luogo in Italia, è stato per il
crollo degli apparati di sicurezza: non certo per una crisi economica.
Date queste premesse,
occorrerebbe rivedere la storia del fascismo come una fase di un processo
storico di lungo periodo che ha certe caratteristiche consolidate nel tempo. Si
dovrebbe ammettere, ad esempio, che i governi dell’Italia liberale non hanno
esitato a usare l’esercito per reprimere gli scioperi, che le carceri sabaude erano
piene di oppositori politici chiamati briganti e che la lotta al brigantaggio
si combatteva anche bruciando i villaggi e deportando la popolazione. Si
dovrebbe ammettere, ad esempio, che la polizia ai tempi di Scelba non agiva in
modo diverso dalle camicie nere nel periodo 1921-22 per reprimere il dissenso,
che, in questi casi, aveva un colore politico: quello del comunismo. L’intera
storia di questo Paese andrebbe riscritta per smascherare il sistematico
ricorso alla coercizione armata degli apparati dello Stato per perpetuare il
potere della borghesia compradora asservita al grande capitale cosmopolita e
del suo partito: la massoneria.
Conclusione
Per effetto della
modernizzazione, delle spese improduttive per le guerre e della
corruzione
diffusa l’Italia piombò nella spirale senza fine del debito fin dal
giorno
della sua nascita. Questa continuità storica dovrebbe convincerci che il
problema del debito pubblico può essere risolto solo tagliando il nodo
gordiano
che lega l’Italia alla finanza sionista. Inutile dire che gli sforzi
vanno
concentrati contro gli agenti indigeni del grande capitale: quella
rapace borghesia
compradora che sistematicamente depreda gli italiani per mezzo di una
fiscalità
insostenibile, della svendita degli asset nazionali (le famigerate
“privatizzazioni”) e della supina accettazione dei ricatti dei burocrati
di
Bruxelles. Impossibile disarticolare questo reticolo di interessi, che
ha in mano
il potere economico, politico e culturale, senza colpire le collusioni
tra
mafia, politica e affari, che avvengono sotto le volte dei templi
massonici.
Tutto ciò implica, naturalmente, un’azione rivoluzionaria e non certo
democratica. La democrazia, infatti, è una mera recita e presuppone che
certi argomenti non possano essere nemmeno discussi.
Senza gli interventi auspicati credo
che sarà impossibile sciogliere l’ultimo e il più difficile dei nodi:
riconquistare quella sovranità monetaria, di cui Cavour fece gentile dono ai
banchieri italiani e stranieri. Solo allora, forse, non saremo più costretti a
emigrare da una Patria ingrata perché quella Patria sarà, finalmente, la nostra
Patria – e non la nostra galera!
Enrico Montermini, 3.01.2018
TRATTO DA:
http://enricomontermini.blogspot.it/2018/01/colonia-italia-di-enrico-montermini-il.html
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perchè tutto questo genocidio non viene ricordato come giorno della memoria
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