domenica 3 luglio 2016

Il carcere come “estrema ratio” nella legislazione “fascista”…



La funzione sociale della pena detentiva nella vigenza originaria del Codice Rocco.
Il programma rieducativo del condannato esigenza della comunità sociale interpretata dallo Stato corporativo.
Il carcere come “estrema ratio” nella legislazione “fascista”…

A fronte di una cultura giuridica succube delle preponderanti scelte legislative, presenta un fondamentale interesse verificare i criteri e le modalità di esecuzione della pena detentiva, così come vennero definiti dal nuovo Regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena, emanato con r.d. 18 giugno 1931, nr. 787, in stretta connessione con il codice penale dell’anno precedente.


Tanto perché alberga - nell’attuale distorta visione di ciò che appartenne al ventennio fascista - la più crassa ignoranza su ciò che intese il fascismo ed i suoi giuristi realizzare con la “riforma penitenziaria” che affiancò la realizzazione dei codici penali.

Fu lo stesso Rocco ad illustrare come il regime intendesse disciplinare la vita dei detenuti nelle carceri italiane, mediante l’ampia relazione del 1931 che accompagna il testo del regolamento penitenziario (Relazione [...] per l’applicazione del testo definitivo del regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena).
Richiamandosi in toto a quanto già espresso l'anno precedente nella relazione al codice penale, Rocco ebbe a ribadire che… l’Italia fascista [...] ha consacrato [...] un sistema dell’esecuzione delle pene detentive, che, superando tutti i contrasti delle scuole di pensiero, conservando alla pena il suo carattere fondamentale di castigo [...] segna altresì la necessità che il regime carcerario serva alla rigenerazione del condannato, nell’interesse dell’individuo e della società (p. 582).

Che la pena debba essere un castigo anche alla luce del “diritto naturale” non può non trovare concordi… giuridicamente… ideologicamente… filosoficamente… tutti… ma è altresì fondamentale leggere di come il ragionamento della pena come castigo nell’idea di Rocco presupponesse come assolutamente fondamentale quanto prioritaria “la rigenerazione del condannato” e questo anni ed anni prima delle teorie rieducative pseudodemocratiche che vanno cianciando solo ora di “funzione della pena”…

La funzione della pena idealizzata dai giuristi del ventennio in largo anticipo rispetto agli odierni pseudo intellettuali che si occupano di carcere… si riflette puntualmente, dunque, in materia penitenziaria. 


Il primo obiettivo fu quello di «stabilire norme di vita carceraria, che siano bensì idonee a emendare il condannato, ma non tolgano alla pena il carattere afflittivo e intimativo» (p. 583).
L’emenda, la rieducazione e il recupero sociale non debbono cioè mai far venire meno «l’austero carattere dell’esecuzione penale» (p. 585) senza il quale giammai vi potrà essere resipiscenza.
Che piaccia o meno non si può non concordare sulla pena come “castigo”… ovvero come “punizione”…
Non avrebbe alcun senso… e sarebbe innaturale… concepirla diversamente da una punizione.

Ma non possono essere certamente considerati connotati afflittivi della pena i capisaldi del recupero del condannato particolarmente evidenti nella disciplina delle tre leggi fondamentali della vita carceraria – lavoro, istruzione civile e pratica religiosa – che acquisiscono carattere tassativo.
Non ci potrà giammai essere recupero… resipiscenza… reintegrazione senza lavoro… senza una adeguata istruzione… senza una cultura religiosa… che presuppone il pentimento conseguente al peccato in una accezione non unicamente materiale, ma assolutamente spirituale.

Quanto alla religione, la partecipazione obbligatoria alle pratiche religiose viene concepita da Rocco essenzialmente come strumento di recupero animistico del condannato… per cui… non è consentito ai singoli di astenersi dalla partecipazione alle funzioni regolamentari collettive del culto dello Stato, perché queste sono una manifestazione di quella disciplina morale, che è la base di ogni forte ordinamento [...] Nell’organizzazione militare e nelle organizzazioni scolastiche si può trovare conferma di questa affermazione (pp. 586-87).

Quanto al lavoro, non può non sottolinearsi come ci troviamo di fronte ad idee lungimiranti… ad idee autenticamente rivoluzionaria in materia di politica carceraria…
Solo ed unicamente il lavoro potrà effettivamente ridonare al detenuto… a colui che sconta la pena… la dignità di uomo e la responsabilizzazione morale di sentirsi nuovamente integrato in quanto partecipe anche da detenuto della vita sociale dello Stato.
Ed il lavoro del detenuto nell’ottica del grande giurista napoletano assurge ad assolvere ad una funzione anche riparatrice nei confronti della società senza mai venir meno all’esigenza fondamentale di recuperare il detenuto alla vita sociale del Paese.

Le pubbliche amministrazioni hanno tali e tanti bisogni [...] che sarebbe strano che si insistesse nell’attuale sistema di rinunciare a servirsi di una mano d’opera che lo Stato può regolare come meglio crede nell’interesse della generalità dei cittadini (e dello stesso detenuto).
Ci si consenta… di esaltarci nel leggere… che… le case di lavoro per il miglioramento dei terreni non debbono [...] servire esclusivamente a una buona organizzazione penitenziaria, ma avere per finalità la preparazione all’occupazione delle terre da parte dei lavoratori concorrendo così a quella grandiosa opera di colonizzazione interna, cui il Regime attende con illuminata visione dei più vitali bisogni della nostra Patria (pp. 617, 620-21).

In questa ottica il detenuto lavora non solo per la “comunitas” ma anche per il proprio reinserimento… per il proprio futuro lavoro… a cui dà vita durante una custodia che ha per principio fondamentale… la sua istruzione… il suo recupero… il suo lavoro…
L’intuizione è grandiosa… Case di lavoro e Colonie Agricole diventano strumenti diretti di reinserimento sociale, togliendo così alla pena quel carattere di oziosità che nella odierna degenerata attualità la contraddistingue…
Ah… se solo si guardasse ai grandi padri legislatori di questa Nostra Italia di un tempo…

Infine l’istruzione, destinata soprattutto a contrastare l’ancora diffuso analfabetismo, originario o di ritorno, viene concepita come prima tappa di un processo di progressiva trasformazione del condannato, specie ove si tratti di minorenne, «prima in detenuto modello, poi in cittadino probo».
Oggi si dibatte sui drammi delle periferie abbandonate che generano delinquenza… ma di certo non si tocca il tasto della ignoranza… della incultura… della non frequentazione delle scuole… aspetti che regnano sovrani nelle generazioni mutilate di cervello di questo oggi delinquenziale… e che con sforzo o concessione pseudointellettuale i sociologi da salotto pongono come giustificazione delle attività delinquenziali.
Come non lodare, dunque, un programma che aveva al suo primo posto l’istruzione del condannato… perché solo attraverso “la conoscenza”… “il sapere”… “l’apprendere”… ci si può affrancare dal delinquere…

La disciplina delle regole carcerarie volute da Rocco è documentata con particolare evidenza in “Bonifica umana”… due poderosi volumi dedicati alle realizzazioni del regime nel settore carcerario, pubblicati dall’allora Ministro della Giustizia Dino Grandi nel 1941, in occasione del decennale delle leggi penali e della riforma penitenziaria.

Il parallelismo tra carcere, istituti scolastici e ospedalieri - a cui Rocco aggiungeva l’organizzazione militare - tutti destinati indistintamente, secondo Grandi, «alla grande bonifica umana perseguita in tutti i campi» va visto in un quadro generale in cui il carcere interviene “come ultima istanza” nei confronti di coloro che la scuola o l’esercito non sono riusciti a rendere partecipi della vita della Patria… al fine proponendo «provvedimenti di polizia» per i soggetti pericolosi ritenuti non rieducabili, e cioè il confino di polizia nell’ambito di «una opportuna collaborazione tra attività giudiziaria e attività di polizia» (Bonifica, cit., pp. 16, 45, passim).
Come è facile evincersi da una attenta lettura i giuristi del ventennio anche nel caso dei “non rieducabili” tendevano ad escludere espressamente la funzione carceraria…

Le condizioni della vita carceraria sono visivamente rappresentate nel secondo volume della Bonifica.
La descrizione dei detenuti – minorenni e adulti, uomini e donne - rasati a zero, puliti, vestiti con uniformi, durante le lezioni scolastiche, nella «letizia» della mensa, a messa, nel corso di esercitazioni ginniche o paramilitari, nell’attività di dissodamento dei terreni destinati ai coloni, conferma la realtà di un disegno volto non solo a “custodire” il detenuto con metodi non invasivi, secondo l’ideologia negativa dello Stato liberale e borghese, ma a recuperarlo totalmente alla “societas” nella quale esso si dovrà reintegrare.

Era una rivoluzione giuridica… era la strada da seguire…
La tirannia democratica che si è affermata con l’avvento di questa Repubblica… ha distrutto l’ampio respiro di quella che è stata e rimarrà la più grande rivoluzione giuridica compiuta nel Nostro Paese nell’ultimo secolo.


Fonti:
Alfredo Rocco, Relazione a S. M. il Re del Ministro Guardasigilli (Rocco) presentata nell'udienza del 19 ottobre-VIII per l’approvazione del testo definitivo del codice penale, in Codice penale e codice di procedura penale (R. D. 19 ottobre 1930-VIII) preceduti dalle rispettive Relazioni ministeriali, Torino 1930, pp. 3-137.



Alfredo Rocco, Relazione a S. M. il Re del Ministro Guardasigilli (Rocco) per l’applicazione del testo definitivo del regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena, «Rivista di diritto penitenziario», 1931, 3, pp. 581-705.

G. Novelli, Il nuovo regolamento per gli istituti di prevenzione e di pena, «Rivista di diritto penitenziario», 1931, 3, pp. 569-77.

F. Antolisei, Pene e misure di sicurezza, «Rivista italiana di diritto penale», 1933, pp. 129-49

B. Petrocelli, La funzione della pena, in Scritti giuridici in memoria di Edoardo Massari, Napoli 1938, pp. 139 e segg.

D. Grandi, Bonifica umana. Decennale delle leggi penali e della riforma penitenziaria, 2 voll., Roma 1941.

G. Bettiol, In tema di unificazione di pena e misura di sicurezza, «Rivista italiana di diritto penale», 1942, ora ripubbl. in Id., Scritti giuridici, t. 2, Padova 1966, pp. 565 e segg.

F. Grispigni, La funzione della pena nel pensiero di Benito Mussolini, «Rivista penale», 1942, pp. 651 e segg.

«Il ponte», 1949, 3, nr. monografico: Carceri: esperienze e documenti; rist. anast. come allegato a «Rassegna penitenziaria e criminologica», 2002, 2.

G. Vassalli, Codice penale, in Enciclopedia del diritto, 7° vol., Cir-Compa, Milano 1960, ad vocem.

G. Neppi Modona, Carcere e società civile, in Storia d’Italia, coord. da R. Romano, C. Vivanti, 5° vol., I documenti, Torino 1973, t. 2, pp. 1905-1998.

E. Fassone, La pena detentiva in Italia dall’800 alla riforma penitenziaria, Bologna 1980, in partic. pp. 53-67.

«La questione criminale», 1981, 1, nr. monografico: Il codice Rocco cinquant’anni dopo.

E. Dolcini, Codice penale, in Digesto delle discipline penalistiche, 2° vol., C-Conco, Torino 1988, ad vocem.

G. Neppi Modona, M. Pelissero, La politica criminale durante il fascismo, in Storia d’Italia, coord. da R. Romano, C. Vivanti, Annali, 12° vol., La criminalità, a cura di L. Violante, Torino 1997, pp. 759-847 (in partic. M. Pelissero, La cultura penalistica durante il fascismo, pp. 831-43, con bibliografia).

G. Tessitore, Fascismo e pena di morte, Milano 2000, in partic. pp. 172-237.

F.S. Fortuna, Il carcere duro: negazione dell’ideologia penitenziaria, «Rassegna penitenziaria e criminologica», 2004, 1, pp. 63-67.

G. Tessitore, Carcere e fascistizzazione. Analisi di un modello totalizzante, Milano 2005, in partic. pp. 87-259.

G. Neppi Modona, Diritto e giustizia penale nel periodo fascista, in Penale giustizia potere. Ricerche, storiografie. Per ricordare Mario Sbriccoli, a cura di L. Lacchè, C. Latini, P. Marchetti, M. Meccarelli, Macerata 2007, pp. 341-78.
 

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