domenica 6 settembre 2015

Il fascismo e gli ebrei



I PARTE

Ringrazio innanzitutto Donatella per avermi invogliato a scrivere nonostante le mie perplessità iniziali, il contenuto di questo articolo ha valore solo sotto l’aspetto meramente storico. 


Il sottoscritto non è un accademico ma solo un gran divoratore di libri, il mio obbiettivo è quello di raccontare la vera storia del fascismo e di Mussolini: il gigante del XX secolo.


Inizio col dirvi che le leggi razziali emanate il 17 novembre nel 1938, sedicesimo anno dell’era fascista crearono un disorientamento nell’ opinione pubblica; tra gli ebrei ed il regime fascista sino a quel momento vi era stato sempre una perfetta simbiosi . 


Il razzismo e l’antisemitismo furono in antitesi con il fascismo anche se all’interno di esso vi era una componente minoritaria che guardava alla Germania Hitleriana con simpatia.


Gli ebrei italiani nel 1938 furono una comunità di 55000 persone tra le loro fila vi furono dei ferventi fascisti come Ettore Ovazza, prima della marcia su Roma gli iscritti al partito fascista erano 746(1).


Il capo del fascismo in un articolo apparso nel 1920 precisamente il 19 ottobre, sul “popolo d’Italia”, traendo lo spunto dalle leggi antisemite varate dall’assemblea ungherese, dichiarò :” l’Italia non conosce l’antisemitismo e crediamo che non lo conoscerà mai”. 
Nel 1931 con la nuova legislazione gli ebrei ottennero il riconoscimento delle comunità israelitiche e sull’unione delle medesime, tale legge è ancora a tutt’oggi in vigore, fu guardata favorevolmente da essi perché consentiva il riordinamento delle comunità locali.
Gli studi relativi a questa legge partirono nel 1927, e furono demandati a un’apposita commissione formata dal “Consorzio delle comunità israelitiche” parteciparono ad essa Angelo Sacerdoti. Rabbino di Roma, e i giuristi ebrei Mario Falco, Giulio Foa, e Angelo Sullam; nel 1929 la commissione, lascio il compito a una commissione ministeriale, la quale, ebbe la funzione di preparare il disegno di legge. 
Gli ebrei ebbero le leggi più liberali del mondo, mai prima di allora, nella loro storia, avevano ottenuto cosi tanto; poterono eleggere democraticamente i loro rappresentanti, e di provvedere in maniera autonoma alle loro necessità, all’amministrazione dei loro beni e alla salvaguardia delle tradizioni e del patrimonio artistico ebraico
De Felice scrisse: “nel complesso la nuova legge fu accolta dalla stragrande maggioranza degli ebrei in modo favorevole, solo da parte di alcuni rabbini si sarebbe desiderato che fosse dato loro un maggior peso nella direzione delle comunità. 
Tutti i principali gruppi l’accolsero con vivo compiacimento. 
Il 17 ottobre, all’indomani cioè della sua approvazione da parte del consiglio dei ministri il presidente del consorzio telegrafò a Mussolini “ la vivissima riconoscenza” degli ebrei italiani; analoghi messaggi furono inviati da quasi tutte le comunità”. 

(1)Storia degli ebrei sotto il fascismo casa editrice Einaudi 1961


II PARTE

Dopo l’approvazione della fascistissima legge riguardante il riordino delle comunità israelitiche,in Italia incominciò a svilupparsi un dibattito, soprattutto dopo l’ascesa di Hitler al potere, sul ruolo degli ebrei in seno al fascismo e la loro diaspora.
Gli ebrei iniziarono a scrivere sul settimanale torinese “La Nostra Bandiera” diretto dal fascista Ettore Ovazza, un banchiere oltre che un fine intellettuale, il quale, s’impegno in maniera incessante e lodevole nella battaglia contro il sionismo, quest’ultimo negli anni 30 aveva intrapreso le battaglie politiche separatiste e autonomiste.
Il settimanale “ La Nostra Bandiera” duro quattro annisoffri,inevitabilmente del cambiamento che l’Italia stava effettuando sullapolitica estera; E.Ovazza cercò di impedire attraverso i suoi scritti l’appiattimentodella legislazione italiana al modello tedesco, pur  non essendo contrario a una comune politicaestera; il suo intento fu quello di favorire l’uniformizzazione della minoranzaebraica alle direttive fasciste riguardanti la nascita dello stato totalitario.
Attraverso il volume “Sionismo Bifronte”  E.O afferma:
Si può aggiungere a questi obbiettivi quello della assolutariaffermazione, non platonica, del profondo amore patrio che lega gl’italianidi religione ebraica alla grande Madre- amore che si è manifestato in milleforme.
Questo amore, riconsacrato nella grande guerra-deve esserericonsacrato nella Rivoluzione Fascista.
Tutto il nostro ardore deve essere dedicato a collaborare, alavorare uniti sotto le insegne del littorio, nell’immenso e sonante cantieredel fascismo>>.
Per E.O la civiltà mediterranea è quella latina il fascismo è la forma più evoluta.  

Il testo è di Giuseppe Talone


 3° PARTE 

- DOPO LA MARCIA SU ROMA –

E' quindi assurdo ritenere che gli ebrei italiani, o perlomeno la maggioranza, potessero fare eccezione a questa regola proprio nel momento in cui in Italia stava nascendo un nuovo concetto dell'Europa contrario all'ebraismo internazionale che intendeva sottomettere il vecchio continente ai voleri del capitalismo anglo-americano.Se questo concetto vi rimane chiaro, comincerete a trovare delle risposte al perchè delle leggi razziali.

L'ANTISEMITISMO NAZISTA - Il partito nazista appena giunto al potere nel 1933 scatenò la campagna antisemita e, ovviamente, i contatti tra fascismo e nazismo destarono notevole preoccupazione nelle comunità ebraiche italiane. Non sfuggì ai più quelle che potevano essere le conseguenze dell'incontro tra le due rivoluzioni e si temeva che l'ondata antisemita, ormai in atto in Germania, potesse estendersi a tutta l'Europa. Nel 1933, pertanto, cominciò a manifestarsi, in particolare tra i giovani ebrei, dell'antifascismo. Non ebbe grande diffusione, però anche alcuni intellettuali israeliti si legarono in Francia a gruppi liberali e socialdemocratici, ed anche con gruppi clandestini comunisti. Questi ultimi agitavano l'insegna della rivoluzione proletaria internazionale ed esercitarono una certa presa sugli ambienti ebraici, che vagabondavano da una Nazione all'altra in cerca di una Patria che non avevano. Nella primavera del 1934, la polizia italiana arrestò a Ponte Tresa degli antifascisti che tornavano dalla Svizzera con manifestini di propaganda. Si scoprì un complotto antifascista, guidato da Leo Levi, un giovane intellettuale ebreo che poco tempo prima aveva vinto il "Premio Mussolini" all'Università di Bologna e anche una somma di denaro che utilizzò per andare a Gerusalemme, dove pronunciò diversi discorsi contro l'Italia.Bella riconoscenza!!!!!  In considerazione della scarsa rilevanza dell'episodio, la Magistratura assolse Leo Levi e compagni da ogni accusa, anche se furono inevitabili alcuni commenti in alcuni ambienti fascisti:"Se gli ebrei italiani vogliono essere veramente italiani, ne saremo felici. Ma se intendono vivere tra noi comportandosi da stranieri, come tali finiranno per essere trattati." Il ragionamento mi sembra giusto, ma la polemica non ebbe molto seguito. Gli stessi ebrei italiani vivevano molto bene e non si misero in urto con il regime e sconfessarono l'operato di Leo Levi e compagni. Anzi, iniziarono le pubblicazioni di un giornale "La nostra bandiera" diretto e compilato ad ebrei, che dal 1934 al 1938 si operarono per mantenere buoni rapporti tra le comunità ebraiche e il Fascismo. (continua)


Quarta parte

ANTISEMITISMO NAZISTA –

Ma la frattura tra ebrei e fascismo si stava allargando, anche se la maggioranza della popolazione non se ne rendeva conto. Dal 1935, gli ebrei italiani stavano all'erta, in quanto l'internazionale ebraica aveva preso una posizione anti-nazista, e, di conseguenza, anche se con toni minori, anti-fascista. Ebrei europei accorrevano in Spagna nelle file delle Brigate Internazionali, e parecchi altri fuggivano dalla Germania, coinvolgendo nelle loro paure gli ebrei italiani. Parecchi ebrei che abbandonavano la Germania e, attraverso l'Austria e il Brennero, giungevano in Italia, da dove speravano di proseguire per la Palestina.Questa gente, parliamo di circa 15.000 persone venne ospitata in Italia, e mai il governo fascista ebbe ad ostacolarli, lasciandoli liberi di agire e organizzarsi come meglio credevano. Possiamo affermare, quindi, che fino al 1936 i rapporti tra fascisti ed ebrei in Italia si mantennero buoni. Anche De Felice così scrive:"Gli ebrei parteciparono al generale entusiasmo per l'impresa africana, numerosi partirono volontari e ciò avvenne anche nella successiva guerra di Spagna, dove un ebreo di nome Alberto Liuzzi, morto in combattimento, fu decorato di medaglia d'oro con la seguente motivazione: Comandante di una colonna avvolgente attraverso un bosco, riusciva a snidare il nemico fortemente trincerato, mediante due successivi corpo a corpo che conduceva alla testa delle proprie truppe. Durante un mitragliamento e spezzonamento aereo nemico, il terzo in breve ora, sdegnava ogni riparo e si recava in mezzo alle sue truppe che, contemporaneamente soggette a vigoroso attacco terrestre, subivano forti perdite. Nel generoso atto, che era valso a rianimare e rinsaldare la resistenza dei suoi, cadeva colpito a morte, dando esempio di fulgido valore e di magnifiche qualità di comandante. Zona di Trijueque, 11 -12 marzo 1937” Notevole fu anche la partecipazione degli ebrei alla "Giornata della fede" e all'offerta dell'oro per la Patria. Alcune offerte giunsero perfino da ebrei residenti in Congo Belga e Rhodesia.Anche la vittoria e la proclamazione dell'Impero furono accolte con entusiasmo dalla stampa ebraica.Ma in realtà, malgrado queste apparenze che definirei propagandistiche, la situazione dei rapporti tra ebrei e governo fascista andava deteriorandosi, anche rapidamente, e nel 1938 si giunse all'emanazione delle cosiddette "leggi razziali". Gli scrittori antifascisti, compreso il noto De Felice, giunsero, con molta superficialità, alla conclusione che l'ondata anti-ebraica era la naturale conclusione di un processo degenerativo già preesistente nell'ideologia fascista.
Da domani illustreremo i veri motivi che spinsero Mussolini alla politica antisemita.


QUINTA PARTE
ANTISEMITISMO NAZISTA - 
Nelle decisioni di Mussolini giocarono non solo motivi politici, ma una visione più ampia di tutto il problema.
Nel 1938, la situazione era questa: la Germania era decisa a liberarsi della presenza nel suo territorio degli ebrei, non solo per motivi razziali, ma soprattutto per l'odio feroce che i tedeschi avevano accumulato verso gli israeliti nell'immediato dopoguerra (stiamo parlando della guerra 1915-18), quandola speculazione ebraica aveva contribuito in maniera determinante al crollo economico che si era abbattuto sul popolo tedesco.
L'Inghilterra alla fine della 1a guerra mondiale aveva occupato militarmente la Palestina per preparare la formazione dello stato di Israele; trasformò invece il suo mandato in una occupazione permanente per controllare tutto il Medio Oriente. Nessuna meraviglia, stiamo parlando di "Inghilterra".
Gli inglesi non solo non permettevano agli ebrei di sbarcare in Palestina, ma fucilavano e impiccavano gli israeliti che si battevano per realizzare lo stato di Israele. Francia e Stati Uniti stavano a guardare. Per contro, i russi non si interessavano del problema degli altri, loro se un ebreo dava fastidio lo eliminavano senza tanti complimenti, come fecero con la vecchia guardia leninista, che era composta in gran parte da israeliti.
Pertanto, Mussolini ebbe a trovarsi in una situazione molto difficile e delicata. Nel 1938, gli schieramenti si erano ormai nitidamente delineati: il capitalismo occidentale si era già coalizzato contro la nuova Europa (Italia e Germania) e si poteva prevedere che, al momento opportuno, i bolscevici si sarebbero alleati con chiunque per distruggere i suoi più implacabili nemici, il fascismo e il nazismo.
L'italia non ebbe che un'unica scelta, stringere legami sempre più forti con la Germania, conseguenza ovvia della politica faziosa di Inghilterra e Francia. Ma l'alleanza, alla quale non si poteva rinunciare per semplici motivi di sopravvivenza dopo le sanzioni che la Società delle Nazioni (l'O.N.U. di quei tempi) ci aveva propinato, esigeva delle chiare prese di posizione, una delle quali era appunto i rapporti con l'ebraismo. Non era possibile mantenere una perfetta identità di vedute con la Germania sul piano etico, sociale, politico e morale e continuare a difendere la causa degli ebrei, accogliendo anche quelli che fuggivano dalla Germania.
Anche un altro interrogativo esigeva una risposta: che cosa sarebbe successo in caso di guerra? Si sarebbero sentiti italiani o, prima di tutto, ebrei? La risposta era solo una, si sarebbero sentiti ebrei e avrebbero parteggiato, moralmente e materialmente, con i loro correligionari ormai schierati con l'altra sponda.
Non c'erano vie di mezzo: o di qua o di là. Mussolini fece anche un'altra valutazione: pensò, infatti, che se anche l'Italia avesse assunto un comportamento ostile nei confronti degli ebrei, probabilmente l'Inghilterra avrebbe aperto le porte della Palestina agli ebrei d'Europa. Il suo pensiero era avallato da gran parte dell'opinione pubblica anglosassone e centinaia di migliaia di israeliti avrebbero così potuto raggiungere la "Terra promessa" prima che scoppiasse la tempesta.
Anche questo pensiero contribuì a spingere Mussolini a preparare le leggi razziali, ma l'Inghilterra non mosse un dito e le porte della Palestina restarono chiuse.
Purtroppo, almeno per questa volta, il Duce sbagliò una previsione, anche se giusta e fondata su validi presupposti.
Nell'immagine, un manifesto nazista del 1942: Dietro al potere del nemico c'è l'ebreo.


SESTA PARTE

ANTISEMITISMO FASCISTA -
 
Analizziamo ora nella loro effettiva sostanza le leggi antisemite, anche per smentire la propaganda antifascista che da 65 anni le presenta come un esempio di criminalità fascista nei confronti degli ebrei.
In primis, precisiamo che le leggi razziali italiane NON PREVEDEVANO:
1°- L'uso di un distintivo speciale per gli ebrei italiani (per esempio, in Germania dovevano portare la tella gialla)
2°- la costituzione di campi di concentramento e tanto meno di "sterminio";
3°- l'arresto per gli ebrei italiani, in quanto tali. Fino all'8 settembre 1943 furono arrestati qualche centinaio di ebrei che subirono la prigione o il confino, ma non per la loro religione, ma perchè colpiti dalle normali leggi per la difesa dello Stato o di guerra.
Nel novembre 1938 vennero promulgate le leggi razziali che contemplavano una serie di misure nei confronti degli ebrei italiani. In teoria, queste leggi tendevano all'eliminazione degli israeliti dalla vita pubblica.
Prevedevano l'esclusione delle cariche politiche, amministrative e militari, l'esclusione degli ebrei da ogni tipo di insegnamento, gli studenti e gli scolari non potevano essere iscritti a scuole statali, ; inoltre, non potevano possedere aziende con più di 100 dipendenti, nè essere proprietari di terreni dal valore maggiore a 5.000 lire o fabbricati che avessero un valore superiore a 20.000 lire.
Erano proibiti i matrimoni misti e, infine, era proibito agli ebrei italiani di esercitare la professione di notaio e speciali limitazioni venivano poste ai giornalisti, medici, farmacisti, veterinari, ostetriche, avvocati, ragionieri, architetti, chimici, agronomi, geometri, periti agrari e periti industriali.
Come potete leggere, non è nostra intenzione nascondervi nulla.
E) legionari fiumani; 6) coloro che avessero acquisito particolari benemerenze. La legge proseguiva estendendo il beneficio ai componenti la famiglia delle persone elencate. E' evidente che in questo modo veniva a ridursi notevolmente il numero degli ebrei colpiti dal provvedimento. Ma analizziamo il resto:
SCUOLE - Fu decisa l'esclusione dalle scuole pubbliche di insegnanti e studenti ebrei, ma il governo provvide subito come segue e riscontrabile nel "Testo unico delle norme emanate per la difesa della razza nella scuola italiana": art, 5: per i fanciulli di razza ebraica sono istituite, a spese dello Stato, speciali sezioni di scuola elementare nelle località il cui numero di essi non sia inferiore a 10. Le comunità israelitiche possono aprire, di concerto con il Ministero per l'Educazione Nazionale, scuole elementari con effetti legali per i fanciulli di razza ebraica, e il personale potrà essere di razza ebraica, i programmi di studio saranno gli stessi degli alunni italiani, escluso l'insegnamento della religione cattolica,
Tenendo presente che la comunità ebraica era composta, nel 1938, di circa 55.000 persone, andiamo ad esaminare gli effetti prodotti dalle reale applicazione delle leggi razziali.
Pochi sanno o fingono di non sapere che l'art. 14 dei "Provvedimenti per la difesa della razza" del 17 novembre 1938 prevedeva che la legge non riguardasse:
1.- i componenti le famiglie dei Caduti della guerra libica, mondiale, etiopica, spagnola e per la causa fascista;
2.- coloro che si trovavano nelle seguenti condizioni: a) mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore; b) combattenti di tutte le guerre che avessero almeno la croce al merito di guerra: c) mutilati, invalidi e feriti della causa fascista;
d) iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919 - 1920 - 1921 - 1922 e nel secondo semestre del 1924
E) legionari fiumani; 6) coloro che avessero acquisito particolari benemerenze. La legge proseguiva estendendo il beneficio ai componenti la famiglia delle persone elencate. E' evidente che in questo modo veniva a ridursi notevolmente il numero degli ebrei colpiti dal provvedimento. Ma analizziamo il resto:
SCUOLE - Fu decisa l'esclusione dalle scuole pubbliche di insegnanti e studenti ebrei, ma il governo provvide subito come segue e riscontrabile nel "Testo unico delle norme emanate per la difesa della razza nella scuola italiana": art, 5: per i fanciulli di razza ebraica sono istituite, a spese dello Stato, speciali sezioni di scuola elementare nelle località il cui numero di essi non sia inferiore a 10. Le comunità israelitiche possono aprire, di concerto con il Ministero per l'Educazione Nazionale, scuole elementari con effetti legali per i fanciulli di razza ebraica, e il personale potrà essere di razza ebraica, i programmi di studio saranno gli stessi degli alunni italiani, escluso l'insegnamento della religione cattolica,
Nell'immagine: la prima pagina di un numero di Der Stürmer con un disegno medievale raffigurante un presunto assassinio rituale compiuto da Ebrei. Quello fu il numero, nella storia del gionale nazista, che vendette il più alto numero di copie.



7° PUNTATA 
ANTISEMITISMO FASCISTA

Art. 6: simile all'art.5, ma esteso alle scuole medie, con la seguente aggiunta: Nelle scuole di istruzione media di cui al presente articolo, il personale potrà essere di razza ebraica e potranno essere adottati libri di testo di autori di razza ebraica.
Art. 8 - Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il personale di razza ebraica è dispensato dal servizio. Può far valere i titoli per il trattamento di quiescenza (pensionamento) ove ne ricorrono gli estremi, agli altri vengono integralmente corrisposti i normali emolumenti spettanti ai funzionari in servizio. Di conseguenza, nessuno fu condannato all'indigenza per mancanza di introiti, ma questo nessuno ve lo dice.
Art, 10 - ....... possono essere ammessi in via transitoria a proseguire gli studi universitari studenti di razza ebraica già iscritti nei passati anni accademici a Università o Istituti superiori del Regno.
: "La stessa disposizione si applica agli studenti iscritti ai corsi superiori e di perfezionamento per i diplomati nei regi conservatori, alle regie accademie di belle arti e ai corsi della regia accademia di arte drammatica in Roma, per accedere ai quali occorre un titolo di studi medi di secondo grado o un titolo equipollente. Il presente articolo si applica anche agli studenti stranieri, in deroga alle disposizioni che vietano agli ebrei stranieri di fissare stabile dimora nel Regno."
Appare evidente che tra discriminazioni, deroghe e altro, la legge, già di per sè molto blanda, in quanto applicava le stesse disposizioni in atto nei confronti degli stranieri, perdeva moltissimo del suo iniziale vigore.,
Analizziamo anche gli altri aspetti della legge.
ESTROMISSIONE DEGLI EBREI DALLE LORO PROPRIETA' - Abbiamo visti i limiti delle proprietà concesse agli ebrei. In realtà, però, gli ebrei non persero le proprietà. Infatti, gli ebrei più abbienti erano nella categoria "discriminati" e le loro proprietà non vennero toccate. Per tutti gli altri, venne approvata dal governo fascista una legge che permetteva agli ebrei di vendere case e terreni a un apposito Ente. NON CI FURONO CONFISCHE. Anzi, l'art. 6 delle norme prevedeva che, in deroga alle disposizioni dell'art. 4 e 5, il cittadino italiano di razza ebraica può fare donazione dei beni ai discendenti non considerati di razza ebraica. Una formula che permise a moltissimi ebrei di affiliare cittadini non israeliti e trasferire loro le proprietà con "falsi atti di donazione", in attesa di tempi migliori.
In definitiva, questa legge non toglieva nulla agli ebrei e aveva uno scopo ben preciso: spingere gli israeliti ad abbandonare l'Italia, pagando loro un prezzo equo per le loro proprietà e dando loro la possibilità di andarsene con il capitale liquido realizzato.
Lo stesso sistema venne adottato nei confronti degli altoatesini, quando, a seguito di un accordo con Hitler, gli allogeni vennero messi nella condizione di decidere se restare in Italia, cittadini italiani, o andarsene in Germania.
Per quelli che scelsero la Germania, venne costituito un apposito Ente, che acquistò i beni di chi scelsero questa opzione, pagando i prezzi stabiliti dalle condizioni di mercato di allora
DIVIETO PER GLI EBREI DI ESERCITARE LIBERE PROFESSIONI - Anche questa disposizione venne immediatamente temperata in maniera talmente vasta da renderla praticamente nulla. Infatti l'art. 3 delle norme sulla "Disciplina dell'esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica" recita: "I cittadini italiani di razza ebraica esercenti una delle professioni di cui all'art. 1, che abbiano ottenuto la discriminazione saranno iscritti in ELENCHI AGGIUNTIVI da istituirsi in appendice agli albi professionali, E POTRANNO CONTINUARE NELL'ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE a norma delle vigenti disposizioni." L'art. 21 aggiungeva che i non discriminati potevano continuare ad esercitare la loro professione esclusivamente a favore di persone appartenenti alla razza ebraica "salvo i casi di comprovata necessità e urgenza". Successe così che tutti i professionisti ebrei rimasero iscritti negli albi professionali e poterono esercitare anche a favore di qualsiasi cittadino italiano, perchè regolarmente accadeva che trattavasi di casi di comprovata necessità e urgenza.
Il manifesto antisemita recita: "L'ebreo: L'istigatore della guerra, il prolungatore della guerra".



PARTE OTTAVA

DIVIETO PER GLI EBREI DI ESERCITARE LIBERE PROFESSIONI - 
Abbiamo esaminato i punti delle principali leggi, cosiddette "razziali", italiane. Si parla tanto di "orrori, crudeltà, persecuzioni inumane"..... ma andiamo avanti per parlare anche del "lavoro obbligatorio" a cui il Fascismo avrebbe costretto gli ebrei italiani. A sentire la consueta e bugiarda propaganda anti-fascista sembrerebbe che, magari frustandoli di tanto in tanto, i fascisti avessero costretto i cittadini israeliti a durissimi lavori forzati.
Precisiamo che la disposizione del "lavoro obbligatorio" venne emanata il 6 maggio 1942, a guerra iniziata da due anni con gli ebrei chiaramente schierati con i nemici dell'Asse. Ma anche in questo caso dobbiamo aggiungere che si risolse in un nulla di fatto.
Infatti la legge diceva: "Con disposizione in data odierna, gli appartenenti alla razza ebraica possono essere sottoposti a precettazione civile, a scopo di lavoro." Lo stesso decreto fa ben capire che nessuno aveva intenzione di applicarlo. Infatti, gli ebrei erano sottoposti a "precettazione civile" vale a dire che potevano essere precettati per il lavoro, non che sarebbero stati inviati a lavorare. La verità è che quei pochi che furono mobilitati per scavare qualche fosso nelle periferie delle città dove abitavano, nel giro di poche settimane si fecero raccomandare o marcarono visita, oppure se ne infischiarono per punizioni che non sarebbero mai arrivate, piantarono lì vanghe e badili e non si presentarono più al lavoro. NESSUNO DISSE NIENTE E NESSUNO LI ANDO' A CERCARE.
CAMPI DI INTERNAMENTO - Anche questo è un argomento graditissimo a tutti coloro che ne parlano in termini apocalittici, evidenziando l'inumana "crudeltà" del regime fascista. Ebbene, una volta per tutte e me ne assuno ogni responsabilità sotto il profilo storico, ma anche legale e penale, dichiaro: "IN ITALIA NON ESISTETTERO MAI CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER EBREI DI NESSUN GENERE."
Solo allo scoppio della guerra, e in nome delle più elementari misure di sicurezza, furono inviati in campi di internamento circa 15.000 ebrei stranieri, tutti quelli giunti in Italia negli anni precedenti alla guerra dalla Germania.
Tale formula fu adottata anche dagli altri Stati belligeranti, in particolare dagli Stati Uniti nei confronti degli italiani.
I 55.000 EBREI ITALIANI NON VENNERO MAI TOCCATI: NON UNO, IN QUANTO TALE, VENNE MAI INTERNATO.
I PRIMI SALVATAGGI - Gli ebrei stranieri vennero rinchiusi in una decina di campi di internamento, il più grande fu quello di Ferramonti Tarsia, in Calabria. Su come venissero trattati esiste una preziosa testimonianza, pubblicata negli anni '50 da Israele Kalk, nel libro "Gli ebrei in Italia durante il fascismo" edito a cura della Federazione giovanile ebraica italiana. Vi si legge che gli internati disponevano di "ambulatorio polispecialistico, stabilimento bagni caldi e freddi, opera di assistenza sociale, comitato maternità e infanzia, patronato scolastico che assicurava il funzionamento ininterrotto di scuole di tutti i gradi, commissione culturale, sezione musicale, compagnia teatrale, accademia belle arti, circolo scacchistico, gruppo sportivo. All'ora della liberazione (1943), si legge ancora, sia le staffette alleate che i distaccamenti delle unità ebraiche hanno avuto, al loro ingresso nel campo, la piacevole sorpresa di vedersi davanti non larve umane, ma uomini e donne gagliardi e decisi."
Ogni commento è superfluo, ma ugualmente voglio aggiungere le parole che lo stesso Kalk pronunciò agli internati di Ferramonti il 18 agosto 1942, in piena guerra, nella grande sinagoga costruita dagli stessi internati: "Nella disgrazia abbiamo però avuto, in confronto agli altri ebrei d'Europa, la fortuna di poter fare una breve tappa in Italia e di questo nostro soggiorno transitorio serberemo grato e imperituro ricordo. Faccio questa dichiarazione senza intenzioni servili e nella certezza di interpretare il pensiero di voi tutti, perchè qui in Italia troviamo comprensione per la nostra difficile situazione e veniamo trattati con la massima umanità. Credo di non temere smentite affermando che con voi la sorte è stata ancora benigna e che la vostra situazione di internati in Italia è forse anche migliore di quella dei nostri fratelli che si trovano in altri Paesi in libertà."
QUESTE AFFERMAZIONI NON SONO DI UN FASCISTA MA DI UN EBREO.
Nell'immagine, apparsa nel 1936 in un libro tedesco per l'infanzia, può leggersi: "Gli ebrei sono una disgrazia" e "Come gli ebrei imbrogliano"



NONA PARTE

I PRIMI SALVATAGGI - 

Pensate che quando i reduci del campo d'internamento di Ferramonti si riuniscono in Calabria per ricordare quel periodo, invitano anche i militi fascisti superstiti che li trattarono con tanta umanità.
Da quanto vi stiamo documentando, appare evidente che il trattamento riservato agli ebrei in Italia dopo il 1938 fu, per precisa volontà di Mussolini, ispirato a sentimenti di umano buon senso e di grande tolleranza.
Comunque, non voglio sostenere che le condizioni degli ebrei in quel periodo fossero invidiabili. Dobbiamo però tener conto che si erano proclamati avversari del regime e ciò aveva provocato una massiccia propaganda contro di loro.
Ci furono anche singoli episodi di cattiverie a cui si abbandonarono certi "zelanti" esecutori di ordini che provocarono tra gli ebrei italiani e quelli stranieri che avevano trovato rifugio nel nostro Paese sentimenti di avversione verso il Fascismo e di conseguenza verso Mussolini.
Nel 1939 la Germania entrò in guerra e Mussolini diede inizio a delle grandi manovre per salvare la vita di quegli ebrei che gli eventi bellici avevano portato sotto il controllo delle forze armate tedesche. Queste iniziative del Duce e delle quali ora vi parleremo sono sconosciute ai più o sono negate da chi perfettamente le conosce.
La prima manovra avvenne in Polonia, subito dopo la repentina occupazione germanica. Ne fu interprete un nostro giovane diplomatico Mario Di Stefano, primo segretario della nostra ambasciata a Varsavia. Appena occupata la Polonia, i tedeschi costrinsero tutti i diplomatici, anche gli italiani, ad abbandonare quel Paese. Nel dicembre 1939, fu concesso ad alcuni diplomatici, tra cui il Di Stefano, di rientrare per 3 giorni. Ma l'italiano, assumendosi grossi rischi personali, riuscì a rimanere a Varsavia per 5 mesi, mantenendo il comando del nostro consolato e si prodigò, con vari stratagemmi, a favore non solo degli italiani, ma anche per i polacchi e gli ebrei.
Camerati che seguite questo gruppo, sarà meglio precisare cle l'opera del Di Stefano (non era un mio parente) fu possibile grazie al consenso del nostro ambasciatore a Berlino Bernardo Attolico, ma soprattutto dall'approvazione di Mussolini. Sul libro "Il destino passa per Varsavia" (ed. Cappelli - 1949) scritto da Luciana Frassati, figlia dell'antifascista sen. Alfredo Frassati e moglie del diplomatico polacco conte Gawronsky scrive fra l'altro che quando il Duce seppe delle persecuzioni contro la popolazione e gli ebrei polacchi scrisse personalmente a Hitler il 3 gennaio 1940 invitandolo a porre fine ad inutili crudeltà, dicendo tra l'altro:
"UN POPOLO CHE E' STATO IGNOMINIOSAMENTE TRADITO DALLA SUA MISERABILE CLASSE DIRIGENTE, MA CHE, COME VOI STESSO AVETE RICONOSCIUTO NEL VOSTRO DISCORSO A DANZICA, SI E' BATTUTO CON CORAGGIO, MERITA IL TRATTAMENTO DEI VINTI, NON QUELLO DEGLI SCHIAVI."
Camerati,questa è l'umanità di Mussolini.
La signora Frassati, tra il 1939 e il 1942, frce continui viaggi tra Roma e Varsavia e, con il consenso di Mussolini, portò ingenti aiuti in denaro alle formazioni clandestine anticomuniste polacche. Inoltre, scrive quanto segue sull'azione compiuta dal Di Stefano ed alcuni suoi collaboratori a favore degli ebrei:"Sembrano in mille. Sono presenti dappertutto. Non c'è azione che si compia senza di loro e dovunque si mettano in testa di attivare, arrivano contro tutti, pregando, minacciando, attribuendosi più potere di quanto ufficialmente abbiano. Sono i soli capaci di tener testa e di imbrogliare le carte alla Gestapo."
In una intervista pubblicata sul settimanale Gente n. 17 del 28 aprile 1961, lo stesso Di Stefano dice:"Debbo ricordare subito che quel che potemmo fare fu opera dell'intero gruppo, di cui facevano parte il ministro Soro e il dott. Stendardo."
Nell'immagine: Manifesto nazista 1940 "Il naso degli ebrei è adunco, sembra un 6".



PARTE DECIMA

PRIMI SALVATAGGI
Seguito dell'intervista dell'ambasciatore Di Stefano:"Nell'inverno 1939-1940 la situazione a Varsavia era tragica. Dal punto di vista umano, commovente: non si poteva rimanere insensibili alle sofferenze dei polacchi e particolarmente degli ebrei, che a Varsavia erano molti. Anche il governo fascista si rendeva conto della situazione e, nonostante l'ufficiale linea politica antisemita, in varie occasioni mi diede istruzioni di intervenire per far concedere permessi di uscita dalla Polonia a personalità ebraiche.
Ricordo vivamente, ad esempio, il caso della famiglia del rabbino capo di Gora Kalwaraya, Alter, colui che in Polonia veniva chiamato, con singolare espressione, il "Papa degli ebrei".
FU MUSSOLINI STESSO A DARMI ISTRUZIONI DI OTTENERE CHE ALTER E LA SUA FAMIGLIA POTESSERO ESPATRIARE E RECARSI IN PALESTINA. (Va ricordato che a quell'epoca l'Italia non era ancora scesa in guerra a fianco della Germania).
"Gli Ater formavano un gruppo familiare numeroso, comprendente nonni, zii, nipoti e cugini. Erano visibilmente preoccupati di quello che poteva loro accadere: nel loro intimo, terrorizzati. In contrasto con le disposizioni emanate dagli occupanti nei riguardi degli ebrei, essi poterono lasciare la Polonia in treno e raggiungere poi la Palestina. Un'altra volta si trattò di fare uscire personalità ebraiche già rinchiuse nel ghetto di Lodz. Un'impresa disperata. L'impressione visiva del ghetto era raccapricciante, dantesca, direi. Ma ANCHE QUELL'IMPRESA, COME MOLTE ALTRE, RIUSCI'."
Si trattò di centinaia e centinaia di casi. Tutti gli ebrei italiani che potevano correre dei pericoli furono muniti di documenti capaci di proteggerli. Personalità ebraiche polacche furono fatte passare per elementi al servizio italiano. Furono distribuiti passaporti e denaro.
Alla lunga, questo traffico fu infine scoperto.
Alla fine del marzo 1940, Hitler stesso, in un suo incontro con Mussolini al Brennero, chiese in modo alquanto perentorio che il Di Stefano fosse richiamato in Italia.
Ma Di Stefano riuscì a rimanere a Varsavia altri venti giorni, rilasciando altre centinaia di visti, e si allontanò velocemente solo quando comprese che stava per essere arrestato.

ROMA CONTRO BERLINO
Subito dopo l'entrata in guerra dell'Italia, aumentò l'azione incisiva del governo fascista per impedire agli organi di polizia germanica di arrestare centinaia di migliaia di ebrei appartenenti alle comunità francesi, iugoslave e greche.
Su questa colossale operazione, sconosciuta e taciuta per ovvi motivi, esiste una documentazione imponente e schiacciante contenuta in un libro, ormai introvabile, pubblicato a cura del "Centro di documentazione ebraica contemporanea", intitolato "Gli ebrei sotto l'occupazione italiana" di Leon Poliakov.
Si tratta di un documento di eccezionale importanza. La prefazione, scritta da Isaac Schneersoh presidente del "Centro di documentazione ebraica contemporanea", termina con queste parole:"Gli ebrei non devono dimenticare cosa significarono per loro quei mesi di umanitarismo italiano, anche sotto la legge militare." Questo libro, infatti, racconta con ampia documentazione tutto quello che fecero gli italiani per salvare da sicura morte gli ebrei nella Francia meridionale, nella Jugoslavia e nella Grecia.
Vi riportiamo alcuni stralci, che riteniamo superfluo commentare: "I documenti che pubblicheremo provengono per la maggior parte dagli archivi della "RSHA", cioè la Gestapo. Essi fanno luce su alcuni aspetti della seconda guerra mondiale, di cui ancora non si conosce abbastanza.
Quando gran parte dell'Europa fu occupata dai nazisti e la polizia di tutti i paesi era mobilitata per la caccia agli ebrei, certe zone d'Europa si trasformarono come per incanto in luoghi di asilo per i fuggiaschi.".
Nell'immagine, un manifesto nazista del 1936. La scritta recita: "Non fidarti della volpe nel prato, ne del giuramento di un ebreo".



PUNTATA UNDICESIMA

ROMA CONTRO BERLINO
Erano quelle zone della Francia, della Jugoslavia e della Grecia, in quel tempo occupate dall'esercito italiano, e ciò malgrado l'Italia fascista avesse unito il suo destino alla Germania di Hitler e fossero strette alleate.L'organizzazione di queste "zone d'asilo" italiane non passò inosservata ai tedeschi, che cercarono in tutti i modi di porre fine all'intollerabile "stato di cose" con interpellanze dirette al Comando supremo italiano ed anche con l'intervento dei loro diplomatici a Roma e Berlino.La risposta italiana, come dimostreremo con documenti, fu sempre un rifiuto formale o m otivazioni evasive come "nell'interesse della sicurezza militare", etc.etc.Solo dopo il tradimento dell'armistizio e quindi nel settembre 1943, cessata la dominazione italiana nelle zone d'asilo, le stesse divennero zone di persecuzione per gli ebrei dei territori occupati, che caddero sotto il controllo dei cacciatori di teste nazisti.Scrive ancora il Centro di documentazione ebraica contemporanea:"E' un aspetto incoraggiante e nel medesimo tempo paradossale. Negli anni recenti la nostra storia è stata troppo piena di delusioni e di amarezze perchè non possiamo apprezzare la calda manifestazione del popolo italiano, verso il quale abbiamo un debito di gratitudine che siamo fieri di riconoscere e di ricambiare."Le truppe dell'Asse entrarono nella zona libera della Francia Meridionale l'11 novembre 1942. Sono quei territori rimasti "liberi" dopo la capitolazione della Francia ed erano amministrati, fino a quel momento, dal governo Petain, detto anche governo di Vichy. Le truppe italiane occuparono otto dipartimenti: Alpes-Marittimes, Var, Hautes-Alpes, Basses-Alpes, Drome, Savoie e Haute-Savoie. In tempo di pace, in questi dipartimenti risiedevano 15.000/20.000 ebrei. Ma il loro numero aumentò dopo l'armistizio per l'arrivo dei rifugiati ebrei che abbandonavano il Belgio, l'Olanda e la zona francese occupata dai tedeschi.Gli ebrei erano giunti a piccoli gruppi, e il governo di Vicky permetteva che restassero temporaneamente nel territorio, in attesa della definitiva emigrazione. Di conseguenza, il numero degli ebrei era salito di qualche decina di migliaia.Con l'inverno del 1942, il governo di Vicky applicò delle misure spietate contro gli ebrei di nazionalità straniera, impegnandosi a consegnare ai tedeschi almeno 50.000 ebrei. Iniziò così una caccia feroce in tutta la zona delle città costiere del Mediterraneo.Da quel momento le persecuzioni e gli arresti in massa non ebbero tregua. I primi ad essere internati furono gli ebrei stranieri che erano entrati in Francia prima del 1936, poi anche quelli venuti dopo il 1936.A diverse categorie, come gli ex-militari venne ritirata la discriminazione e di conseguenza l'immunità. Gli organi di polizia del regime di Vicky eseguiva arresti e internamenti e decideva le misure da prendersi con le ordinanze per l'esecuzione di tali misure. I tedeschi si limitavano a osservare e a seguire le azioni ordinate dal governo Petain. Ecco perchè l'azione delle autorità italiane fu prima di tutto con il governo francese.Le autorità prefettizie delle Alpes-Maritimes cercavano di allontanare dal loro dipartimento gli ebrei stranieri, in particolare quelli con scarsi mezzi economici per inviarli in residenze coatte o nei campi di internamento di Gurs e Rivesaltes. Ovviamente questi perseguitati cercavano di evitare queste misure, e domandarono consiglio ad Angelo Donati, un ebreo italiano residente a Parigi dal 1916 ed ex-capitano dell'aviazione italiana che aveva mantenuto ottimi rapporti con le autorità italiane. Donati prese accordi con il conte Borromeo, segretario della "Commissione italiana di armistizio" e escogitarono una formula semplice, ma ingegnosa.

PARTE DODICESIMA

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Per sottrarre i rifugiati alla polizia di Vicky, agli stessi fu dato un documento da cui risultava che per ragioni di sicurezza militare o interessi di alta politica dovevano rimanere a disposizione della "Commissione italiana d'armistizio" per un tempo indeterminato. Questa procedura fu adottata in diverse forme e permise a decine di rifugiati di rimanere a Nizza ed evitare la deportazione.
La protezione italiana divenne da individuale a collettiva dalla fine del 1942. Il 20 dicembre 1942, infatti, il prefetto delle Alpes-Maritimes decretò l'invio di tutti gli ebrei stranieri alla residenza coatta delle Ardeches, e datosi che l'Ardeches era in zona di occupazione tedesca, il decreto condannava diverse migliaia di rifugiati alla sicura deportazione.
Avvertito da Angelo Donati, il signor Calisse, presidente della "Commissione d'Armistizio" telegrafò subito la notizia al Ministero degli Esteri italiano, facendo notare che l'Italia sarebbe stata moralmente responsabile di questa azione condotta dal governo di Vicky.
Il Min.Esteri italiano rispose con il telegramma n. 34/R 12825 del 29 dicembre 1942. Eccone la parte di testo che ci interessa:"....riteniamo necessario precisare che non è possibile permettere che nella zona occupata dalle truppe italiane, le autorità francesi costringano gli ebrei stranieri, compresi quelli di nazionalità italiana, a spostarsi nelle zone occupate dalle truppe tedesche. Le misure atte a proteggere gli ebrei, sia stranieri che italiani, sono di esclusiva competenza dei nostri organi, che hanno ricevuto istruzioni precise, stabilito i principi di azione in conformità di suaccennato telegramma in cui sono indicate le direttive alle quali è consigliabile ispirarsi e che sono in accordo con le misure prese nel nostro Paese. fatta eccezione per certe norme di sicurezza di carattere speciale che dipendono dalla situazione militare."
Qualsiasi commento è superfluo, il documento è riscontrabile, come altri che citeremo, nell'archivio del Ministero degli Esteri.
Per quanto riguarda una "certa resistenza" anche il Presidente francese Pierre Laval si rivolse all'Ambasciata italiana a Parigi chiedendo spiegazioni. Questo il rapporto dell'Ambasciata al Ministero degli Esteri:" Il presidente Laval ci ha informato dell'intervento del Sig: Calisse, d'accordo con le autorità militari italiane, circa lwe misure prese dal governo francese contro gli ebrei. Misure come la deportazione, campi di lavoro e di concentramento non debbono essere usate contro gli ebrei italiani e stranieri residenti nelle zone sotto il controllo militare italiano. Il sig. Laval dice che il nostro intervento a favore degli ebrei italiani è comprensibile, ma non riesce a comprendere i motivi che ci spingono a intervenire a favore degli ebrei italiani. In questo modo il nostro intervento pone gli ebrei francesi in condizioni di inferiorità rispetto agli ebrei stranieri e ha aggiunto che preferirebbe veder trasferiti in Italia sia gli ebrei italiani che quelli stranieri. Attende spiegazioni.
(Pierre Laval (Châteldon, 28 giugno 1883 – Fresnes, 15 ottobre 1945) è stato un politico francese.
Fu il Primo Ministro della Francia per quattro volte: la prima volta dal 27 gennaio 1931 al 14 gennaio 1932, la seconda volta dal 14 gennaio al... 20 febbraio 1932, la terza volta dal 7 giugno 1935 al 24 gennaio 1936 e la quarta volta dal 18 aprile 1942 al 20 agosto 1944.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale fu processato e condannato a morte per il suo ruolo di primo piano nella Repubblica di Vichy e per essere stato il principale responsabile della politica di collaborazione con la Germania nazista. La sentenza venne eseguita tramite fucilazione il 15 ottobre del 1945)
Così conclude il rapporto dell'Ambasciata italiano a Parigi al Ministero degli Esteri:"Per questa ragione, vi chiediamo: abbiate la compiacenza di spiegare al Ministero degli Esteri francese che la comunicazione fatta al prefetto delle Alpes-Maritimes vuol significare che nei territori occupati dalle forze italiane, le autorità militari italiane, per ragioni di sicurezza militare, sono autorizzate a decidere delle misure protettive da prendersi nei riguardi degli ebrei, misure che saranno prese in conformità a quei principi che appariranno più convenienti."
In questo modo, un ordine che si riferiva al solo dipartimento delle Alpes-Maritimes si estese fino a diventare un ordine di carattere generale, valido per tutta la zona di occupazione italiana in Francia.
Il 18 marzo 1943 il Ministero degli esteri italiano inviò il telegramma n. 34/R 2507 alle ambasciate di Parigi e Vichy: (continua)



PARTE TREDICESIMA
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Ecco il testo del telegramma: In risposta alle rimostranze fatte dall'ammiraglio Platon nel corso di una conversazione con il nostro rappresentante presso il governo di Vicky,
Ho il dovere di informarvi di aver confermato al nostro rappresentante che gli arresti e gli internamenti di ebrei, a prescindere dalla loro nazionalità, che risiedono in territorio francese occupato dalle truppe italiane sono di pertinenza delle nostre autorità militari; ho dato a lui le necessarie istruzioni affinchè solleciti il governo francese ad annullare gli arresti e gli internamenti effettuati dai prefetti di questi territori, e a rilasciare gli ebrei che sono stati già arrestati e deportati. Consiglio di mettere in chiaro che tali ordini non vengono applicati agli ebrei soggetti di Codice penale, nei riguardi dei quali verrà seguita la normale procedura giudiziaria in conformità alle leggi vigenti. ed essi dovranno scontare i loro termini di pena in Francia, escludendoli dalla deportazione.
:"Per concludere, riporto l'attenzione sul fatto che qui non si tratta di negoziati nè di accordi, ma di una dichiarazione definitiva alle autorità francesi nel senso che i provvedimenti da applicarsi agli ebrei che si trovano in territorio francese sotto l'occupazione italiana, sono di esclusiva competenza delle autorità italiane. Per assicurarsi che durante i negoziati con il generale Avarna non vi siano arresti o deportazioni effettuati contro gli ebrei, vi chiediamo di prodigarvi presso le varie Prefetture e autorità locali francesi affinchè le suaccennate misure non vengano (RIPETO: NON VENGANO) applicate. A questo proposito potete attenervi all'azione condotta recentemente, in condizioni analoghe, dal prefetto di Nizza."
Grazie al deciso atteggiamento degli italiani che fu efficace in molti casi, gli ebrei della zona italiana godettero di una quasi assoluta sicurezza"
Le istituzioni sociali ebraiche ebbero la possibilità di organizzare sistematicamente la raccolta di un gran numero di ebrei provenienti da
ogni parte della Francia e di regolarizzare i loro documenti. Certamente i rapporti con le autorità italiane presentarono una serie di problemi delicati, perchè, malgrado il loro atteggiamento benevolo, gli italiani rappresentavano comunque il nemico.
Il sig. Donati continuò a fare il mediatore tra gli ebrei e le autorità italiane e grazie al suo prestigio personale, specialmente negli ambienti militari italiani, la sua attività fu molto efficace, ma anche molto invisa ai tedeschi.
Esisteva anche un comitato sociale, presidente il sig. Modiano e collaboratore il sig. Dubinski, che provvedeva alla sistemazione dei rifugiati e trattava le questioni finanziarie.
Gli ebrei che arrivavano dalle altre parti della Francia erano affidati a un comitato organizzato dai sigg. Fink e Topiol, con sede sul Boulevard Dubouchage. Le autorità italiane concessero al "Centro di raccolta" l'autorizzazione a fornire ai rifugiati documenti di identità con fotografia.
Da quel momento, i rifugiati si trovavano sotto la protezione dei carabinieri italiani. Successe anche che quando la polizia di Vicky effettuò una serie di retate all'ingresso del "Centro di raccolta" sul Boulevard Dubouchage e davanti alla sinagoga di Nizza arrestò degli ebrei che non avevano i documenti in ordine, il comandante dei carabinieri di Nizza, Colonnello Mario Bodo, e i suoi colleghi Capitani Salvi e Tosti, piantonarono i luoghi con l'ordine di arrestare i membri della polizia di Vichy, se fosse stato necessario.
I rifugiati che, con questo sistema, avevano regolarizzato la loro posizione, in seguito si smistarono in vari centri, come Saint-Martin-Vesubie, Megeve, Saint-Gervais, Vene, Barcellonette, etc. Le autorità italiane requisirono per loro degli alberghi e le organizzazioni ebraiche provvidero al denaro per il loro mantenimento. Fu organizzata una vita sociale. Furono aperte scuole per i bambini e scuole di avviamento professionale.
Il merito principale di tutto ciò va sicuramente agli stessi rifugiati ed anche al "Centro di raccolta" del Boulevard Duboichage. (continua)
Nell'immagine: manifesto nazista che paragona l'ebreo a un fungo velenoso.


PARTE QUATTORDICESIMA
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Purtroppo, dobbiamo ora ammettere che una volta sotto la protezione italiana, gli ebrei fecero tutto il possibile per preparare il terreno agli alleati, sia tra le truppe italiane che con la popolazione civile francese. Ecco un rapporto del dott. Knochen, capo del SD tedesco in Francia, piuttosto interessante:
"La migliore armonia regna tra le truppe italiane e la popolazione ebraica. Gli italiani vivono in case di ebrei. Gli ebrei li invitano e pagano per loro. I criteri seguiti dagli italiani e dai tedeschi sembra siano completamente agli antipodi. Siamo informati da fonte francese che l'influenza ebraica ha già seminato la zizzania pacifista e comunista nella mente dei soldati italiani, creando anche sentimenti filo-americani. Gli intermediari ebrei fanno di tutto perchè si stabiliscano buoni rapporti fra i soldati italiani e la popolazione francese. Dicono che tra francesi e italiani, entrambi popoli latini, ci si comprende molto meglio che fra francesi e tedeschi o tedeschi e italiani. Essi seguono un loro sistema, criticando aspramente le relazioni itali-tedesche e d'altra parte preparando il terreno ad un'intesa franco-italiana. Nello stesso tempo cercano di alterare l'opinione dell'intera popolazione, con il pretesto che in caso di un attacco americano, gli italiani non si difenderanno e che gli americani porteranno finalmente la pace."
Il 28 gennaio 1941, il dott. Knochen scrive il seguente rapporto all'amministrazione tedesca in Francia: "E' ormai tempo di allestire dei campi di concentramento per gli ebrei. Due ne sono le cause determinanti:
1.- Le principali basi di appoggio della propaganda pro-britannica e pro-gollista sono probabilmente offerte dagli ebrei stranieri;
2.- E' ormai chiaro che è impossibile coltivare tra i francesi dei sentimenti antisemiti basati su dei principi ideologici, ma potremmo invogliarli ad appoggiare la campagna antisemita con delle proposte di carattere finanziario. I'internamento di circa 100.000 ebrei stranieri che vivono a Parigi permetterebbe a molti francesi delle classi inferiori di salire nei ranghi del ceto medio."
Dopo la partenza del prefetto Ribière molte cose cambiarono nell'amministrazione del dipartimento delle Alpes-Maritimes. Se Ribière era un collaborazionista e amico personale del Maresciallo Pètain, quando fu sostituito nel luglio 1943 dal signor Chaigneau, quest'ultimo si dimostrò un abile amministratore, ma anche un membro attivo della resistenza.
Pochi giorni dopo il suo insediamento, il signo Chaigneau convocò il signor Modiano e alcuni rappresentanti degli ebrei di Nizza per uno scambio di opinioni sullaituazione, non nascondendo rabbia e disgusto per le persecuzioni antisemite e proclamando la sua solidarietà agli ebrei perseguitati.
: "D'ora in poi non permetterò alcun atto arbitrario contro gli ebrei, anche se la loro posizione, il loro stato civile saranno trovati irregolari o illegali. NON LASCERO' AGLI ITALIANI IL NOBILE PRIVILEGIO DI ESSERE GLI UNICI DIFENSORI DELLA TRADIZIONE DI TOLLERANZA E UMANITA' che è in realtà il compito della Francia."
Alcuni giorni dopo egli comunicò ai suoi uffici le seguenti istruzioni:
"Ho l'onore di invitarvi a mettere in atto l'applicazione delle seguenti norme, a decorrere dal 1 settembre 1943:
1.- tutti gli ebrei stranieri entrati illegalmente nel dipartimento delle Alpes-Maritimes e che ora vi risiedono in posizione irregolare, saranno regolarizzati e nessuna multa sarà loro imposta per residenza abusiva nel dipartimento;
2.- saranno legalizzate anche le posizioni di tutti gli ebrei usciti dal carcere che abbiano scontato un periodo di prigionia perchè privi di salvacondotto, residenza abusiva, falsi documenti d'identità, etc."
I protagonisti della tragedia ebraica sono stati: Roma, Vicky e Berlino. Dobbiamo dire che il Governo di Vicky del maresciallo Petain, favorevole al nazi-fascismo, cedette alla pressione italiana, dopo qualche tentativo di resistenza. Ritengo che Vicky agì nella convinzione che i tedeschi avrebbero vinto rapidamente la guerra in atto.
Chiaramente, dopo poco tempo intervennero i tedeschi in prima persona, in quanto erano regolarmente al corrente di tutto quello che succedeva tramite i numerosi informatori e spie che mantenevano nella Costa Azzurra. Ricevevano rapporti anche da funzionari francesi, come Joseph Antignac che trasmise "confidezialmente" al SD una copia del rapporto del prefetto delle Alpes-Maritimes che abbiamo appena pubblicato. Immediatamente il SD di Parigi diede l'allarme al comando di Berlino.(continua)
L'immagine è tratta da un libro di scuola elementare tedesca (1936): "Qui non vogliamo ebrei".



PARTE QUINDICESIMA
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Il primo rapporto sull'argomento giunse il 13 gennaio 1943 e gli ufficiali di polizia tedeschi sollecitarono il Ministero degli Affari Esteri tedesco che, tramite il consigliere d'ambasciata Von Bismark, fece i primi passi a Roma già dal 3 febbraio 1943. Nella nota consegnata da Von Bismark si sottolineava la necessità di una più stretta collaborazione italo-tedesca in questo campo e chiedeva che le forze italiane internassero tutti gli ebrei e le loro famiglie nelle zone occupate dall'Italia, e che le autorità italiane appoggiassero il governo di Vicky nel mettere in atto le misure antisemitiche e collaborassero con il corpo di polizia e con l'esercito tedesco al fine di impedire agli ebrei l'accesso in quelle zone.
I tedeschi inoltre fecero altre pressioni con Ribbentrop che, approfittando della sua visita a Roma, sollevò la questione con lo stesso Mussolini. Il suo argomento più forte era che l'Asse non doveva dare l'impressione di essere in disaccordo, come stava accadendo tra italiani e tedeschi, specie in un settore molto importante come la lotta contro gli ebrei.
Ribbentrop appoggiò le sue argomentazioni contro gli ebrei con un pacco di documenti, arrivando ad accusare le forze italiane di occupazione di intesa segreta con i semiti.
A questo punto, i nostri servizi raccolsero anche loro la documentazione in loro possesso, aggiungendo un rapporto appena arrivato in Italia e che denunciava i massacri operati dalle SS in Polonia.
Questi documenti furono passati a Mussolini, con una breve nota nella quale si dichiarava che nessuna potenza, neppure l'alleata Germania, avrebbe potuto rendere partecipe l'Italia di questi crimini, dei quali un giorno il popolo italiano avrebbe dovuto rendere conto.
QUESTA NOTA, RIFERISCE IL SIG. VIDAU, OTTENNE L'EFFETTO DESIDERATO, MUSSOLINI "SNOBBO'" RIBBENTROP E GLI EBREI NON FURONO CONSEGNATI AI TEDESCHI.
I tedeschi cercarono di far di tutto per raggiungere il loro fine. Per questo Himmler inviò a Roma uno dei suoi migliori collaboratori, il Gruppenfuhrer Mueller, capo della Sezione IV del SD, in poche parole il capo della Gestapo, per prendere contatti diretti con la polizia italiana.
Mueller sembrò soddisfatto dei risultati conseguiti nel suo viaggio. Nel suo rapporto scrisse:"La Polizia Italiana invierà l'Ispettore generale Lospinoso e il suo aiutante vicequestore Luceri e diversi altri ufficiali nella zona di occupazione italiana, al fine di impostare il problema secondo il criterio tedesco e nella più stretta collaborazione con la polizia tedesca e, possibilmente, anche con la polizia francese."
Le cose, però, andarono così: Il Gen. Lospinoso, già Questore della provincia di Bari, appena giunse a Nizza, dietro consiglio del signor Donati, si mise in contatto con il cappuccino padre Benoit-Marie, fiduciario del Vaticano, che lo invitò ad essere pietoso e umano nel compiere i suoi doveri.
Il Gen. Lospinoso agì secondo il consiglio di padre Benoit-Marie e non contattò i colleghi tedeschi. I tedeschi, che avevano ricevuto da Berlino i rapporti di Mueller, sollecitarono gli uffici SD di Vicky, Marsiglia e Menton per rintracciare l'emissario venuto da Roma, ma Lospinoso viveva tranquillamente sulla Costa Azzurra, lasciando che il Comitato, formato dagli stessi ebrei rifugiati, svolgesse le funzioni a loro affidate.
Ma la storia seguiva il suo corso. La caduta di Mussolini del 25 luglio 1943 portò nuovamente alla ribalta la questione ebraica nella zona occupata dagli italiani. Gli ebrei rifugiati in quella zona ricominciarono a vivere in ansietà per il timore che gli italiani andassero via, forse rimpiangevano Mussolini e il suo governo.
Infatti, ai primi di agosto 1943. il governo Badoglio da Roma impartì l'ordine di evacuare quella zona della Francia, esclusa la zona di Nizza e dintorni.
La notizia si diffuse rapidamente tra i rifugiati e molti di loro avrebbero voluto seguire gli italiani nella loro ritirata. (continua)
L'immagine rappresenta la locandina del film antisemita "L'ebreo eterno"



PARTE DICIASSETTESIMA
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Alcune centinaia di rifugiati riuscirono a raggiungere le truppe italiane in ritirata. Il resto costituì una facile preda per i tedeschi, soprattutto perchè la maggior parte abitava negli alberghi e non aveva contatti locali che potessero aiutarli con documenti falsi, luoghi o rifugi d'occasione, etc. La Gestapo si mise immediatamente all'opera con un piano d'azione già elaborato il 4 settembre 1943 di cui riportiamo alcune parti:"La Costa Azzurra, il dipartimento della Savoie, Grenoble e tutta la zona di frontiera saranno i punti di appoggio di questa azione. Per evitare la fuga degli ebrei, l'azione avrà inizio nella zona di frontiera e si sposterà all'interno per rastrellare le località summenzionate da Est e Ovest. Gli ebrei saranno arrestati insieme a tutti i membri delle loro famiglie. Potranno portare con sè il minimo indispensabile di vestiario e oggetti di uso quotidiano, a meno che il loro immediato trasferimento, nei centri di raccolta provvisori, non sia considerato per ragioni particolari, urgente e necessario.Gli uffici di Lione e Marsiglia hanno organizzato dei centri di raccolta provvisori in queste due città (scuole ebraiche, stabilimenti abbandonati, etc.)." "Quando la cattura degli ebrei sarà completata, questi verranno trasferiti dai campi provvisori al campo ebraico di Drancy in convogli da 1.000-2.000 persone ciascuno; da qui, dopo un accurato esame della nazionalità di ciascuno, saranno immediatamente inviati all'Est, purchè siano soggetti idonei alla deportazione.La completa evacuazione degli ebrei dalla zona già occupata dagli italiani, non solo è necessaria nell'interesse della soluzione finale della questione ebraica in Francia, ma è anche una misura di urgente sicurezza necessaria alle truppe tedesche."E' superfluo aggiungere che questo "piano d'azione" venne eseguito con precisione in ogni dettaglio.La "caccia all'uomo" sulla Costa Azzurra nell'autunno del 1943 sorpassò in orrore e ferocia tutto ciò che era sino allora noto nell'Europa occidentale. Non appena il distaccamento Brunner-Brueckler giunse a Nizza, chiese alla Prefettura l'elenco degli ebrei. Il prefetto, signor Chaigneau, disse che gli elenchi erano stati prelevati dagli italiani, il che era vero, ma egli ne possedeva i duplicati che immediatamente distrusse.Perciò i tedeschi dovettero applicare altri metodi, oltre alle retate negli alberghi.Il loro metodo preferito era di fermare gli uomini per strada e di assicurarsi che fossero circoncisi. Quelli che lo erano, venivano inviati direttamente al campo di Drancy.SEBBENE BASATI SUGLI STESSI PRINCIPI E PROTESI VERSO GLI STESSI FINI, IL FASCISMO E IL NAZISMO NON OPERARONO CON GLI STESSI METODI, NE' CON LO STESSO SPIRITO.Verso la fine del 1942, gli ebrei che erano riusciti a trovare un nascondiglio nei villaggi sperduti o nelle località montane della Francia occupata dalle truppe dell'Asse, ebbero per la prima volta sentore del trattamento umano che le truppe italiane riservavano agli ebrei.La loro prima reazione fu di sospetto e incredulità. Sembrava impossibile che gli alleati di Hitler osassero opporsi ai criteri tedeschi su un argomento così vitale dell'ideologia nazista come la questione ebraica.Ma alcuni tra i capi ebrei che erano in contatto con le fonti d'informazione svizzera, non furono sorpresi da quella notizia e non ebbero il minimo sospetto, perchè sapevano che un anno prima gli italiani avevano seguito la stessa linea di condotta in Croazia.Fu infatti in Croazia che l'atteggiamento italiano difronte alle persecuzioni razziali assunse per la prima volta il suo volto. Ecco quello che successe:L'ex-regno jugoslavo crollò nell'aprile 1941, dopo una breve campagna militare di soli 18 giorni. Sulle sue rovine, le potenze dell'Asse fondarono lo Stato di Croazia con a capo il poglavnik Ante Pavelic, il terribile capo degli ustascia, organizzazione terrorista croata.

PARTE DICIOTTESIMA
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Ante Pavelic era noto per aver organizzato a Marsiglia l'assassinio di Re Alessandro di Jugoslavia e del ministro francese Louis Barthou. Aveva trovato rifugio nell'Italia fascista che si era rifiutato di consegnarlo alla Francia. Quando Pavelic rientrò a Zagabria instaurò un regime di terrore, anche se l'intero territorio che un tempo era stato la Jugoslavia fosse occupato dalle truppe dell'Asse. La zona occupata dagli italiani comprendeva circa metà della Croazia, la Dalmazia e il Montenegro. Il terrore che la milizia e le bande ustascia diffusero all'inizio dell'estate 1941 fu interamente approvato dalle autorità d'occupazione naziste. Intere famiglie vennero massacrate, le città furono saccheggiate da cima a fondo, furono perpetrati terribili azioni di crudeltà, senza che nessuno fosse punito.
Il capitolo ustascia fu uno dei più raccapriccianti della storia della seconda guerra mondiale, gli ebrei furono confinati nei campi di sterminio, come quello dell'isola di Pago, dove ottomila furono torturati a morte.
Esistono molti esempi simili a questo, ed anche i tedeschi non si illudevano sulle intenzioni dei loro alleati italiani.
+ Le truppe italiane reagirono immediatamente e spontaneamente a tanta crudeltà. Non c'era il tempo di attendere gli ordini dall'alto. Gli ufficiali italiani e i loro soldati fecero tutto il possibile per sottrarre gli ebrei alle persecuzioni di Pavelic e nasconderli in luoghi sicuri, in territori annessi all'Italia o nella stessa Italia.
Trattandosi comunque di azioni spontanee e "illegali" che vennero effettuate con molta prudenza, non ci è possibile darvi una documentazione dettagliata.
Gli ufficiali e i soldati italiani dovettero agire con la massima prudenza per non lasciare testimonianze nei documenti ufficiali, ma la loro opera di soccorso merita tutto il riconoscimento e l'ammirazione. In quel periodo, l'incubo delle camere a gas e dei forni crematori nazisti è rischiarato da una luce di eroismo e umanità.
I racconti dei testimoni oculari di questo periodo, con modeste testimonianze scritte costringe anche il più obbiettivo degli storici ad andare estremamente cauto nell'usarli come documenti reali.
Comunque, questi racconti di testimoni oculari si ben inseriscono sulla conoscenza che abbiamo sugli avvenimenti di quella tragica estate del 1941.
Non abbiamo dubbi nel ritenere che l'opera di soccorso fu iniziata dai bassi ranghi dell'esercito italiano, ma fu tollerata e spesso caldamente approvata dalle maggiori autorità.
Esiste una testimonianza oculare di un alto funzionario del ministero degli Affari esteri italiano. Nell'estate 1941, il diplomatico si trovava in Croazia come ufficiale di collegamento con le forze militari d'occupazione. Un giorno, alla mensa ufficiali, si parlò di mettere in salvo delle personalità ebree ricercate dagli ustascia. Tutti i sistemi proposti furono scartati, perchè inattuabili a causa della sorveglianza degli agenti tedeschi e ustascia. Ad un certo punto, un giovane sottotenente suggerì di trasportare gli ebrei con dei carri armati. Il piano fu accolto e le autorità croate furono avvisate che un gruppo di carri armati italiani sarebbe stato inviato a disperdere un nucleo di partigiani serbi. Gli ustascia scoprirono quello che stava accadendo e le autorità croate inviarono una protesta ufficiale al comando italiano. Gli ufficiali implicati furono giudicati dalla Corte marziale per aver usato dei carri armati per far fuggire degli ebrei.
Furono condannati.....a due giorni di arresto in caserma!!!!
Esistono molti esempi simili a questo, ed anche i tedeschi non si illudevano sulle intenzioni dei loro alleati italiani.
Il generale Vittorio Ambrosio, in un suo rapporto allo Stato Maggiore del 2 maggio 1946, ebbe a dichiarare:"Il comando della seconda armata, essendo perfettamente informato di tutto quanto accadde nella seconda e terza zona dell'area di occupazione italiana, non solo era consenziente con ciò che i suoi ufficiali e soldati facevano per salvare la vita a migliaia di serbi ortodossi ed ebrei, ma non fece nulla per ostacolare l'uso dei trasporti militari a questo scopo."
Alla fine dell'anno 1941, gli italiani occuparono l'intera zona costiera per una profondità di 50 km. e si incaricarono dell'amministrazione civile. Gli ustascia si ritirarono oltre la linea di demarcazione, nella zona occupata dai tedeschi. Da quel momento, gli ebrei e i serbi che si trovavano nella zona italiana vissero relativamente al sicuro e indisturbati. Come accadde l'anno successivo negli otto dipartimenti francesi, la zona costiera della Jugoslavia divenne una zona di rifugio per tutti coloro che erano soggetti alla persecuzione razziale nei territori sotto l'occupazione tedesca.
Nel manifesto nazista c'è scritto: "Senza risolvere la questione ebraica non c'è salvezza per l'umanità".

PARTE DICIANNOVESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - 

Gli ebrei contro i quali il governo croato aveva promulgato una legge speciale nel maggio 1941 e che furono soggetti ai terribili massacri dell'estate da parte degli ustascia, fecero tutto il possibile per superare la linea di demarcazione e per raggiungere la zona italiana.Solamente in pochi ci riuscirono, nell'estate 1942 la colonia ebraica contava circa 3.000 persone concentrate a Spalato, Sebenico e Cattaro, dove godevano di assoluta libertà sotto la protezione della bandiera italiana. Alla fine del 1942, l'Europa fu sommersa dall'ondata di deportazioni verso i campi di sterminio polacchi e i tedeschi decisero che "il terrore balcanico" degli ustascia era durato abbastanza in Croazia e che era tempo di procedere con metodi più "moderni".Pertanto, firmarono un accordo con il governo di Ante Pavelic, per cui tutti gli ebrei residenti in Croazia sarebbero stati deportati in Polonia come "lavoratori". Al governo croato fu chiesto di pagare al Reich tedesco 30 marchi per ogni deportato ebreo, per rimborso spese di trasporto.Dopo di che tedeschi e croati cominciarono ad interessarsi degli ebrei che vivevano tranquillamente oltre la linea di demarcazione nella zona italiana e a far pressioni presso le autorità italiane, perchè glieli consegnasseroOra l'opera di soccorso spontanea e clandestina dell'esercito italiano si trasforma in una vera azione diplomatica, che ci consente di proseguire il nostro saggio basandoci su documenti ufficiali italiani e documenti originali tedeschi.Il primo documento è tedesco, datato 24 luglio 1942, ed è una nota sottoscritta dal segretario assistente al governo, Lunther, ed è diretta al ministro degli Esteri Ribbentrop.In questa nota, Lunther informa che a Zagabria sono preoccupati per l'atteggiamento del governo italiano circa le misure antiebraiche, in particolare le deportazioni in massa.Dice Lunther:"Per quanto riguarda i croati, essi sono per principio d'accordo con noi sulla deportazione degli ebrei e ritengono particolarmente importante la deportazione dei 4/5.000 ebrei residenti nella zona occupata dagli italiani, comprese le importanti città di Dubrovnik e Mostar. Abbiamo le prove dell'attività di resistenza delle autorità italiane contro le misure anti-ebraiche del governo croato." Per addolcire la pillola, Lunther aggiunge che i privilegi erano concessi soltanto agli ebrei ricchi, ma è poi costretto a citare la risposta del generale Capo di Stato maggiore di Mostar che afferma di non poter dare il suo consenso alla deportazione di "tutti" gli ebrei in quanto tutti i residenti di Mostar hanno avuto assicurazione di un trattamento imparziale. Seguito del rapporto Lunther: "L'ispettore generale tedesco del Wegebauamt riferisce che il capo di Stato maggiore italiano gli ha detto che è incompatibile con il senso d'onore dell'esercito italiano prendere simili eccezionali misure contro gli ebrei, come quelle adottate dall'organizzazione TODT (sigla dell'organizzazione militarizzata tedesca del lavoro) che mirano a requisire le abitazioni di cui gli ebrei hanno urgente bisogno."Lunther conclude informando il ministro che l'ambasciatore a Zagabria, Kasche, è dell'opinione di dover senza ulteriore indugio deportare tutti gli ebrei residenti sul territorio croato e che, se tali misure vengono prese, l'SD deve prepararsi a incontrare difficoltà nella zona d'occupazione italiana.Esistono anche alcuni appunti manoscritti che dimostrano come Ribbentrop si fosse deciso a intervenire presso il governo di Roma per richiamare le autorità italiane ai loro obblighi verso l'alleato tedesco.La mattina del 17 agosto 1942, il principe Otto von Bismarck si presentò al ministero degli Esteri italiano e consegnò al capo gabinetto di Ciano un telegramma di Ribbentrop, nel quale si chiedeva di inviare le istruzioni del caso in Croazia per indurre le autorità italiane a consegnare alle autorità tedesche e croate gli ebrei che si erano nascosti nella zona d'occupazione italiana.Bismark non mancò di fare un accenno alla sorte che attendeva gli ebrei se fossero stati consegnati ai tedeschi.



 PARTE VENTESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - 

La visita del principe von Bismark al ministero degli Esteri a Roma aprì un nuovo capitolo nelle relazioni diplomatiche tra la Germania e la sua alleata, l'Italia, come quello che avverrà cinque mesi dopo nel sud della Francia, come già avete letto nei post precedenti.
Il Capo del gabinetto assicurò il principe che avrebbe inoltrato la comunicazione al conte Ciano e a Mussolini e lo avrebbe informato della loro risposta.
A Roma i negoziati furono ripresi in seguito a un telegramma presentato il 28 ottobre dall'ambasciatore tedesco Mackenesen. Del resto risulta che il governo italiano aveva ricevuto una proposta dalla Croazia, secondo la quale si autorizzavano gli ebrei della zona italiana a trasferirsi nel territorio dello Stato italiano, in cambio dei beni ebraici che sarebbero passati allo Stato croato.
La proposta fu immediatamente scartata. Il marchese d'Ajeta, rappresentante italiano ai negoziati, dichiarò a questo proposito:"L'Italia non è la Palestina."
Annunciò quindi la decisione presa dal Duce, intesa a risolvere il problema.
La decisione del Duce: "Tutti gli ebrei residenti nella zona italiana in Croazia saranno d'ora in poi internati nei campi e sottoposti a censimento. Coloro che risulteranno originari dei territori annessi all'Italia, formeranno un gruppo che resterà sotto la giurisdizione italiana. I rimanenti che saranno riconosciuti come sudditi croati, formeranno un secondo gruppo che, al più presto possibile e cioè immediatamente dopo che sia stata completata l'opera di discriminazione, saranno consegnati al governo croato. Tali disposizioni saranno comunicate immediatamente ai comandi militari del luogo i quali, non appena possibile, prenderanno contatti con le autorità croate per la loro attuazione."
A un esame superficiale questo può sembrare un accomodamento alla richieste tedesche. In realtà era una manovra per guadagnare tempo. I tedeschi se ne resero presto conto e in un telegramma datato 10 novembre 1942, Kasche così espresse la sua opinione personale:"Da quanto è stato detto è chiaro che l'esposto italiano non si accorda con i fatti. Nel frattempo qui sono giunte nuove istruzioni e gli italiani hanno anche internato nei campi gli ebrei. Ma Lorcovic mi informa che una considerevole parte di questi ebrei è stata trasferita in un campo in Istria, in territorio italiano. Il rifiuto italiano di accettare gli ebrei in Italia non deve quindi considerarsi categorico. Non si sa ancora quando inizieremo le deportazioni, perchè l'opera di discriminazione a cui è stato fatto cenno, non è ancora in atto."
L'internamento degli ebrei nella zona italiana in Croazia fu completato nel dicembre 1942. In questo modo si diede alla Germania l'impressione che qualcosa era stato fatto. Inoltre, gli internamenti privarono i tedeschi del loro argomento preferito, e cioè che gli ebrei facevano opera attiva di spionaggio a favore degli alleati.
I documenti tedeschi ci dicono che i nazisti non erano per niente soddisfatti di questo stato di cose. Le autorità italiane capirono ad un certo punto che i tedeschi non avrebbero rallentato le loro pressioni e cominciarono a parlare con l'Ambasciata tedesca a Roma di "straordinarie complicazioni incontrate nell'opera di censimento nei campi di internamento. Aggiunsero anche che fino a quando non fosse terminato il censimento, neppure un solo ebreo sarebbe stato deportato.
Ovviamente tutto ciò provocò un forte disagio in Kasche.
Nel frattempo, la vita nei campi di concentramento si organizzava, ma con molte difficoltà soprattutto psicologiche. Giustamente gli ebrei temevano che il loro internamento fosse un preludio ad una prossima deportazione, per cui vivevano in un forte stato d'angoscia, al punto che alcuni si suicidarono. Ma poi, rassicurati dalle autorità italiane, cominciarono a riprendere la fiducia.
Una lettera fu inviata al comandante italiano della Seconda Armata, a nome di ben 1.161 ebrei internati a Porto Re. (continua)



PARTE VENTUNESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - 

Ecco il testo della lettera inviata da 1.161 ebrei alle autorità italiane: "Ci siamo messi a tempo debito sotto la protezione dell'esercito italiano con assoluta fiducia nella nobiltà d'animo e nei sentimenti umani dei soldati italiani e del popolo italiano. Dopo le dichiarazioni fatteci da Vostra Eccellenza siamo convinti che la protezione a noi accordata è divenuta più efficace con l'internamento in questo campo dove ci troviamo sotto l'immediata vigilanza dell'esercito italiano. Questi giorni lasceranno un ricordo indelebile nelle nostre anime e nei nostri cuori non si cancellerà mai l'eterna gratitudine verso l'esercito italiano. L'Italia ha in noi degli amici sicuri e fedeli che cercheranno attraverso la loro attività di servire gli interessi di questa nobile terra."
La lettera è firmata dai signori: Schlossenberger, direttore della Banca croata, Vranic, professore all'Università di Zagabria, Herac, Lothe e Singer, industriali.
Questa lettera deve essere accettata nel suo valore integrale e dobbiamo ritenere che il comportamento delle nostre truppe d'occupazione in Croazia fu pari a quello delle nostre forze di occupazione in Francia.
Una prova che possiamo fornirvi è l'insoddisfazione dei tedeschi che, il 9 dicembre 1942, proposero, tramite il principe Von Bismarck, che gli ebrei venissero trasportati via mare a Trieste e da lì in Germania. La risposta che ricevette dagli italiani fu che la scarsità di tonnellaggio in Adriatico rendeva difficile, se non impossibile, il trasporto via mare.
In quanto al censimento, esse proseguiva nei campi senza fretta e in tutta tranquillità.
Dei 2.262 internati nella zona di occupazione italiana, solo 863 riuscirono a provare il loro diritto alla nazionalità italiana. La maggior parte degli altri erano croati, ma anche russi, ungheresi, portoghesi, polacchi, cecoslovacchi, rumeni e olandesi. Ma non si disse mai di consegnarli ai tedeschi.
Al contrario, l'idea di trasferire un certo numero di questi ebrei in Italia fu nuovamente avanzata. Ebbe inizio una complicata procedura per selezionare coloro che potevano essere trasferiti.
Dai documenti tedeschi datati ottobre e novembre 1942, apprendiamo che in ottobre l'ambasciatore tedesco Kasche non credeva più alla possibilità che gli venissero consegnati gli ebrei della zona italiana. Questo un suo telegramma del 20 novembre: "Secondo le notizie pervenutemi da Mostar e Dubrovnik, la proposta di trasferire gli ebrei per deportarli in seguito in Germania è stata respinta dagli italiani. Loro hanno intenzione di concentrare gli ebrei in un certo numero di piccole isole, tra cui Lopud, vicino a Dubrovicnik. Gli italiani sostengono che è una manovra molto difficile e delicata a causa degli ebrei americani che inviano aiuti finanziari alle popolazioni della Dalmazia. Anche i tentativi del governo croato per intervenire o collaborare nell'esecuzione delle misure previste sono state ugualmente respinte dagli italiani."
Kasche chiede anche che venga informato l'ufficio centrale della polizia di sicurezza del Reich, la Gestapo. A questo punto, è ovvio che Ribbentrop in persona si decidesse a interpellare direttamente il Duce. Venne a Roma, nei primi giorni del 1943 e chiese a Mussolini l'espulsione immediata degli ebrei internati nella zona italiana della Croazia. Esiste un preciso rapporto del colonnello Vincenzo Carla, ex-capo del primo ufficio della Seconda armata, datato 6 marzo 1943, che ci notizia circa l'intervento di Ribbentrop.
Ecco una parte del rapporto del Col. Vincenzo Carla: "... io e gli altri ufficiali del seguito attendemmo in anticamera, cioè nella sala delle riunioni del Gran Consiglio del Fascismo. Ricordo benissimo che Sua Eccellenza Robotti, Comandante della seconda armata, immediatamente dopo il colloquio mi disse quanto segue a proposito degli ebrei. Il Duce disse: "Il ministro Ribbentrop, che è stato a Roma tre giorni, mi ha fatto pressioni in ogni senso per assicurarsi con ogni mezzo l'espulsione degli ebrei jugoslavi. Ho cercato di tergiversare, ma egli insisteva. Per liberarmi di lui ho dovuto dare il mio consenso. Gli ebrei devono essere consegnati ai tedeschi." Sua Eccellenza Robotti, che si rendeva perfettamente conto cosa significasse quell'ordine per la sorte degli ebrei, fece notare che quell'ordine avrebbe creato una dolorosa ripercussione tra la popolazione jugoslava. Disse che da principio, il popolo jugoslavo era stato favorevolmente disposto verso di noi. Ma aveva cambiato atteggiamento quando aveva sospettato che volessimo consegnare gli ebrei ai tedeschi. Mussolini si persuase facilmente e dichiarò:"E' vero, sono stato costretto a dare il consenso alla espulsione, ma voi escogitate le scuse che volete, in modo da non consegnare nemmeno un ebreo. Dite che non avete i mezzi per trasportarli a Trieste e che il trasporto via terra è impossibile." Sua Eccellenza Robotti era raggiante per questa decisione. Infatti nessun ebreo internato nei nostri campi venne mai consegnato ai tedeschi o ai croati." (continua)



PARTE VENTIDUESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - 

L'unico risultato delle pressioni tedesche fu la decisione presa dalle autorità italiane, nel marzo 1943, decisione contrastante con le richieste naziste, di concentrare tutti gli ebrei in un unico campo allestito nell'isola di Arbe, nel golfo del Carnaro annesso all'Italia, allo scopo di proteggere gli ebrei da un eventuale pericolo che avrebbe potuto presentarsi in seguito a un eventuale mutamento della linea di demarcazione tra le due zone d'occupazione.
Il concentramento degli ebrei sull'isola fu iniziato nel maggio 1943 e si concluse nel luglio 1943, proprio quando in Italia purtroppo crollò il regime fascista e Mussolini fu arrestato.
Ma anche il nuovo regime proseguì nell'atteggiamento protettivo verso gli ebrei e decisamente contrario ai tedeschi. Ne è prova il telegramma del 19 agosto 1943 inviato dal nuovo segretario generale del Ministero degli Esteri a Sua Eccellenza Mario Robotti, comandante della Seconda Armata. Eccone uno stralcio: "Dobbiamo evitare di abbandonare gli ebrei croati e di affidarli alla mercè di stranieri, privati di ogni protezione o esposti al pericolo di rappresaglie, a meno che essi stessi non esprimano il desiderio di riavere la libertà al di fuori della nostra zona di occupazione. I provvedimenti razziali seguiti dall'Italia non ci hanno mai impedito di attenerci a quei principi di umanità che costituiscono la nostra inesauribile eredità spirituale. La lealtà a questi principi non è mai stata attuale come ora........."
Purtroppo, il prematuro annuncio dell'armistizio (8 settembre 1943), dato dagli alleati, portò lo stesso tracollo di Nizza e Grenoble anche nell'isola di Arbe.
Ma la maggior parte degli ebrei internati nell'isola che erano stati liberati dopo la proclamazione dell'armistizio riuscirono a sfuggire dalle mani dei tedeschi, nascondendosi in luoghi sicuri o, purtroppo, unendosi ai partigiani del Maresciallo Tito.
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA - Abbiamo già evidenziato la spontanea reazione degli italiani a favore degli ebrei perseguitati. Non dobbiamo quindi sorprenderci se la medesima reazione in Croazia ci fu anche in Grecia.
La Grecia fin dal 28 ottobre 1940 si difese egregiamente dall'invasione del nostro esercito, riuscendo perfino a respingerlo in Albania, ma nulla potè contro le truppe tedesche che la attaccarono.
IL 16 aprile 1941. la Grecia fu completamente occupata dalle potenze dell'Asse e dalle truppe bulgare e fu suddivisa in tre zone d'occupazione.
La Germania non volle impegnare troppe forze in un'area di importanza secondaria e, anche per soddisfare certe ambizioni dell'alleato italiano, cedette all'Italia l'intero territorio della vecchia Grecia, isole e terraferma, compreso Atene, le Isole Ionie e Rodi. La Bulgaria ebbe gran parte della Tracia e della Macedonia, e la Germania conservò il controllo di una stretta zona della Tracia ai confini con la Turchia, il grande porto di Salonicco e Creta.
La comunità ebraica di Salonicco che contava circa 55.000 persone cadde nelle mani dei nazisti che le deportò e le sterminò.
Nella zona bulgara, la sorte degli ebrei non fu migliore, furono perseguitati e alla fine deportati nei campi di sterminio in Polonia. Il popolo bulgaro si ribellò a queste deportazioni e ottenne la salvezza di tutta la popolazione ebraica della Bulgaria.
Gli ebrei della zona italiana rimasero al sicuro, tagliati fuori quasi completamente dal terrore nazista, sino al crollo italiano dell'8 settembre 1943, quando l'Italia non potè più proteggerli e la maggioranza di loro fu brutalmente sterminata.
Come già accaduto in Croazia e in Francia, la zona italiana in Grecia fu per lungo tempo una zona di rifugio per gli ebrei. Inizialmente, la popolazione ebraica era piuttosto scarsa, circa 900 famiglie, ma poi fu un continuo aumento in seguito all'afflusso continuo di rifugiati ebrei che riuscivano a giungere dalla Grecia del Nord, posta sotto l'occupazione tedesca e bulgara.
Bisogna dire che Berlino non reagì, come invece aveva fatto in Francia e in Croazia. La relativa indifferenza dei tedeschi era determinata dal fatto che la grande massa della popolazione ebraica era a Salonicco, in mano tedesca e i pochi ebrei che vivevano sotto la protezione italiana erano un fattore insignificante, per il quale non valeva la pena compromettere l'alleanza dell'Asse.
Infatti, il generale Carlo Geloso, nel suo libro "Due anni in Grecia al comando della Seconda Armata" scrive: "La questione razziale fu discussa a proposito degli ebrei della Grecia all'inizio dell'occupazione, ma le autorità tedesche si limitarono a fare degli accenni senza alcuna richiesta categorica. Anche il Ministro degli Esteri italiano sollevò la questione nella sua corrispondenza con il ministro plenipotenziario in Grecia, ma non diede mai istruzioni particolari. Nessuna proposta concreta fu sottoposta al generale Geloso, capo supremo delle truppe italiane d'occupazione, da parte delle autorità militari tedesche." (continua)
PARTE VENTIQUATTRESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA - Un altro ebreo, testimone oculare, ha confermato l'opera di soccorso compiuta da un ufficiale italiano, un certo Pico, incaricato dei servizi ferroviari alla stazione di Salonicco. Egli ha così descritto l'arrivo ad Atene dei rifugiati provenienti da Salonicco. "Una folla di ebrei greci si era accodata a quelli che più o meno avevano la nazionalità italiana. Immediatamente, le autorità italiane trovarono loro una sistemazione nelle scuole greche e li rifornirono anche del necessario. In questo modo si continuò fino ai primi di settembre 1943." Cioè per tutto il periodo del terrore nazista a Salonicco, dal luglio del 1942 all'agosto 1943.
Il signor Nehama scrive: "Gli ebrei che abitavano nella zona occupata dagli italiani erano più o meno al sicuro, sebbene la Gestapo li ricercasse. Il governo italiano si opponeva recisamente al tentativo tedesco di arrestare e perseguitare gli ebrei. Le truppe italiane facevano di tutto per dimostrare la loro solidarietà con gli ebrei. E in ciò obbedivano agli ordini dei loro superiori. Essi compivano una specie di servizio di spionaggio per conoscere i piani dei tedeschi contro gli ebrei, che essi avvertivano in tempo perchè potessero mettersi in salvo. Rifornivano gli ebrei di carte d'identità false, in modo che potessero far disperdere le loro tracce. Dimostravano la migliore buona volontà e facevano ogni sforzo per sottrarre gli ebrei dalle mani dei tedeschi".
Il signor Nehama ricorda anche che il 21 aprile 1941, appena i tedeschi entrarono in Atene, essi compirono soprusi contro gli ebrei, anche nella zona d'occupazione italiana. Saccheggiarono gli archivi della Comunità ebraica di Atene, presero possesso della biblioteca rabbinica ed arrestarono gli ebrei più in vista.
Il 20 luglio 1941 i tedeschi nominarono il rabbino Elie Barzilai quale presidente della comunità ebraica. Le autorità italiane e greche ratificarono la nomina e gli italiani colsero l'occasione per riaffermare i loro diritti, quali forze occupanti, di regolare la questione ebraica nella zona. Il testo italiano della nomina del rabbino Barzilai non fa accenno alla sua precedente nomina da parte dei tedeschi. Il comandante dei carabinieri aveva dei rapporti continui e cordiali con il rabbino presidente della comunità ebraica per gli affari ebraici in corso, e lo consigliava e incoraggiava.
Fu dietro consiglio degli italiani che la comunità ebraica di Atene si rifiutò di sottomettersi all'autorità del capo ebraico nominato dai tedeschi a Salonicco, i cui emissari erano venuti ad Atene a presentare le loro richieste.
Inoltre gli italiani, con il chiaro intento di sconvolgere i piani dei tedeschi, ordinarono al presidente della comunità ebraica di fare un censimento della popolazione ebraica, un censimento che, era sottointeso, non sarebbe mai stato completato.
I tedeschi non volevano fare un'azione aperta contro gli italiani, che avrebbe compromesso l'alleanza militare tra la Germania e l'Italia.
I tedeschi allora organizzarono un movimento filo-nazista tra gli studenti greci, l'ESPA, i cui membri avevano l'ordine di provocare gli ebrei. Il 20 giugno e il 14 luglio 1942 attaccarono la sinagoga e gli uffici della comunità ebraica. Gli assalitori furono arrestati dalla polizia greca e consegnati agli italiani. In seguito all'insistenza tedesca, dovettero essere rilasciati. Ma, dopo questo, per evitare ulteriori attacchi, la polizia italiana mantenne giorno e notte una sentinella davanti alla sinagoga e agli uffici della comunità ebraica.
Il 20 settembre, furono attaccati gli uffici dell'ESPA. Esplose una bomba e vi fu l'inizio di un incendio. I tedeschi incolparono gli ebrei e fecero arrestare dagli italiani molti dei loro capi. Ma le indagini non rivelarono alcuna colpevolezza a loro carico ed essi furono tutti rilasciati. Non poteva trattarsi che di un atto provocatorio. Il generale Geloso ne accennò nel suo rapporto al ministero degli Esteri a Roma.
Gli era stata chiesta la sua opinione sul modo di attuare le misure antiebraiche nella zona di occupazione in Grecia. I tedeschi facevano pressioni in merito. Il generale Geloso dichiarò che, secondo lui, misure in tal senso non erano necessarie nè consigliabili: "Gli ebrei della nostra zona d'occupazione non hanno mai procurato la minima noia. Nessuno è stato coinvolto in attività spionistiche in favore del nemico. Quando fu compiuto un attacco al comando di un'organizzazione greca di tendenze nazionalsocialiste, il sospetto cadde immediatamente sugli ebrei, ma le indagini da noi condotte insieme ai tedeschi esclusero ogni possibilità che essi fossero responsabili." (continua)


PARTE VENTICINQUESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA - 

La dichiarazione del generale Geloso fu confermata dal rappresentante delle autorità civili italiane in Grecia al ministro plenipotenziario Chigi.Ci riportiamo nuovamente al rapporto del signor Nehama sull'atmosfera in cui vivevano gli ebrei greci sotto l'occupazione italiana: "Gli ebrei collaborano con il resto della popolazione della città, occupandosi delle loro mansioni quotidiane, e come i loro fratelli cristiani, sopportano tutte le restrizioni, le umiliazioni e le sofferenze di un popolo che langue sotto il tallone del conquistatore. Soffrono della sorte comune, soggetti nello stesso modo a tutte le calamità che affliggono un Paese sconfitto: la fame, la disoccupazione, la durezza dei carabinieri; però non vi sono nè soprusi individuali nè persecuzioni razziali che rendano più gravoso il carico di dolore di ognuno per la disfatta della madrepatria".Tutte le testimonianze che sono in nostro possesso, provenienti da fonti diverse, stanno a dimostrare che sin quando gli italiani ebbero la possibilità di far rispettare ai tedeschi la loro autorità, le zone di occupazione italiana in Croazia, in Grecia e in Francia furono zone di vero e proprio rifugio per gli ebrei, che altrove erano perseguitati, torturati, arrestati e deportati come bestiame avviato al macello.Non appena il potere degli italiani crollò, dopo l'annuncio dell'armistizio con gli alleati l'8 settembre, i tedeschi si gettarono con furore raddoppiato sugli ebrei che gli italiani erano riusciti a proteggere fino allora, e finalmente poterono mettere in atto il loro piano di sterminio degli ebrei, piano che gli italiani avevano impedito.Infierendo sugli ebrei che gli italiani avevano protetto e che ora erano indifesi, i tedeschi vollero vendicarsi dell'Italia che li8 aveva abbandonati e si era ribellata a loro. A Nizza, a Grenoble, ad Arbe, ad Atene, a Preveza, ad Arta, ad Arignon, a Patras, a Chalkis, a Volo, a Larissa e sulle isole greche i tedeschi instaurarono un regno di selvaggio terrore.Gli italiani non potevano ormai fare più nulla per frenarli e per sottrarre loro le vittime. IL RAPPORTO HIMMLER - E' terminata la lunga testimonianza che abbiamo tratto dal volume "Gli ebrei sotto l'occupazione italiana" di Leon Poliakov e Jacques Sabille, edito a cura del Centro di documentazione ebraica contemporanea.Da quanto abbiamo riportato, emerge chiaramente che la gigantesca operazione di salvataggio fu dovuta non solo all'alto spirito umanitario dei soldati e diplomatici italiani, ma anche e soprattutto a precise direttive emanate dal governo fascista per ordine di Mussolini. Ciò è palesemente confermato da quanto dichiararono in due interviste concesse al settimanale Gente (n. 7 del 28 aprile 1961) il generale dei carabinieri Giuseppe Pieche e il generale di Corpo d'Armata Alessandro Pirzio-Biroli.Il generale Pieche che, scoppiata la seconda guerra mondiale, dopo essere stato comandante della divisione dei carabinieri di Napoli, era stato incaricato dal ministro degli Esteri di tenere in collegamento tra loro le ambasciate italiane nei Balcani, ha detto: "In base a quest'ultimo incarico posi la mia sede ad Abbazia verso la fine del 1942. Un giorno, mi sembra all'inizio del 1943, venne a trovarmi il signor Gaddo Glass, un israelita commerciante di legname, se ben ricordo. Il Glass era accompagnato dal commendatore Zuccolin, che abitava ad Abbazia in una villa accanto a quella dove avevo preso alloggio io. Glass, un uomo sui 50 anni grande e grosso, mi pregò a mani giunte di intervenire a favore di circa tremila ebrei di nazionalità jugoslava, uomini, donne, bambini, che si trovavano rinchiusi in un campo di concentramento a Porto Re, presso Buccari.Mi disse Glass che i tedeschi avevano chiesto a Mussolini la consegna di tutti i rinchiusi. Avevano già preparato i treni e Mussolini aveva aderito, apponendo la sua firma al documento di consegna che doveva avvenire in pochi giorni. Per quei sventurati essere consegnati ai tedeschi significava andare incontro a morte sicura. Feci presente che non avevo nessuna veste ufficiale per intervenire in questo caso e che il Duce non sarebbe mai retrocesso da decisioni già prese."Comunque promisi che avrei fatto tutto quello che era umanamente possibile fare. Compilai un rapporto, adoperando espressioni molto decise. Scrissi che non si doveva macchiare la nostra bandiera con azioni del genere. Sapevo che mi stavo giocando la carriera, ma sapevo anche che Mussolini non aveva il cuore cattivo. Sapevo, inoltre, che il modo migliore per convincerlo era quello di mostrarsi decisi, di non mostrare timore. Unii al rapporto una lettera personale per Ciano, affinchè, come ministro degli Esteri, lo consegnasse personalmente a Mussolini. Inoltre, dato che in quei giorni il generale Roatta, che comandava la Seconda Armata con sede in Susak, si recava a Roma, lo pregai di perorare la causa di quei tremila ebrei presso il Comando supremo. Dopo pochi giorni, mi recai anch'io a Roma per sollecitare vari provvedimenti, ma soprattutto la soluzione della drammatica situazione di quei tremila sventurati. Speravo che da quella azione concomitante sarebbe scaturita la loro salvezza. Io non so come Mussolini accolse il sollecito. So però che dopo alcuni giorni giunse l'ordine di mettere i tremila ebrei a disposizione del comando italiano: essi, cioè, non passavano più ai tedeschi ed erano salvi. Gaddo Glas venne a trovarmi. Aveva le lacrime agli occhi per la commozione. Mi ringraziò come solo può fare chi conosce il valore del beneficio ricevuto. Io debbo dire che non ebbi occasione di vedere, allora, quei tremila ebrei. Molti di loro, però, mi scrissero, anche a guerra finita. Gaddo Glas stesso, a Milano, partecipò alla cerimonia per la consegna della medaglia d'oro di cui la comunità ebraica volle insignirmi". (continua)


PARTE VENTISEIESIMA
IL RAPPORTO HIMMLER: 

Una situazione analoga (e ci riferiamo allo stesso articolo apparso su "Gente") si verificò anche in Montenegro, dove il generale Alessandro Pirzio-Biroli, governatore di quella regione balcanica, dovette contrastare con molta decisione i tedeschi per salvare la vita a migliaia di ebrei. Racconta il generale: "L'ondata di persecuzioni contro gli ebrei partì, come tutti sanno, da Hitler, e Mussolini dovette, a malincuore, sottostare alla volontà del potente alleato. Negli anni del 1941 al 1943 ero governatore del Montenegro. Nel Montenegro, gli ebrei erano pochi, molto pochi. Ma il problema divenne per me ugualmente pressante e angoscioso, allorchè per accordi presi con i tedeschi, le nostre truppe dovettero abbandonare la zona di Skoplie, confinante con il Montenegro, e in particolare Visegrad. Là, infatti, si erano raccolti numerosi ebrei, profughi dalle regioni limitrofe già in mano germanica. Così accadde che quando le truppe italiane dovettero lasciare Visegrad, fui supplicato affinchè cinquemila ebrei ci potessero seguire nel territorio da noi presidiato. Autorizzai il comandante della nostra colonna a lasciarsi seguire dai cinquemila ebrei, che in tal modo poterono salvarsi. Per quanto agissi in contrasto con gli ordini superiori, mi assunsi la piena responsabilità dell'atto, anche perchè ero sicuro che, nel fondo del suo cuore, Mussolini provava un senso di ribellione verso le pretese di Hitler. IN REALTA' EBBI PIU' VOLTE OCCASIONE DI INCONTRARE MUSSOLINI IN QUEL PERIODO, E LA MIA IMPRESSIONE SU QUESTO PUNTO E' NETTA". Da questo complesso di testimonianze, che provengono da fonti insospettabili e in maggioranza antifasciste, emerge l'assurdità e la faziosità di tutta la propaganda che dalla fine della guerra fino ai nostri giorni martella l'opinione pubblica per convincerla che il Fascismo e Mussolini furono coscientemente corresponsabili della grande persecuzione compiuta dai tedeschi contro gli ebrei.A conferma di ciò, vale la pena di pubblicare il testo del rapporto inviato dal capo delle SS, Himmler, il 22 ottobre 1942 al ministro degli Esteri, von Ribbentrop, dove si parla dei colloqui intercorsi tra Himmler stesso e Mussolini a proposito della questione ebraica. Questo rapporto fu pubblicato integralmente in Germania sulla rivista Geschichte nel maggio 1957; da detto rapporto risulta chiaramente che il governo germanico nascose tra l'altro, fino all'ultimo, a Mussolini la vera portata e la atroce conseguenza della politica adottata dal Reich nei confronti degli israeliti. Eccone il testo:"A proposito del problema ebraico, io informai il Duce nel modo seguente: dissi che abbiamo deportato in campi di concentramento gli ebrei colpevoli politicamente, e che altri ebrei abbiamo impiegato in Oriente per la costruzione di strade. Ivi la mortalità è senza dubbio molto alta, poichè gli ebrei nella loro vita mai avevano lavorato. Gli ebrei più vecchi furono deportati in ospizi a Berlino, Monaco e Vienna. Gli altri ebrei in età avanzata furono condotti nella cittadina di Theresienstadt, che serve come ghetto-ospizio per gli ebrei: là essi ricevono le loro pensioni e possono disporre della loro vita in tutto e per tutto secondo i loro gusti; per vero essi là litigano tra di loro nel modo più vivace. In Oriente, mentre noi tentavamo di far passare ai russi una parte degli ebrei attraverso le brecce del fronte, spesso i russi stessi sparavano su tali colonne di ebrei, dimostrando palesemente anch'essi di non volerli".Ma la dimostrazione più clamorosa di cosa significò l'azione svolta da Mussolini a favore degli ebrei sta nel fatto che il crollo del regime fascista (25 luglio 1943) e la successiva capitolazione dell'Italia significarono la morte per centinaia di migliaia di ebrei che, all'improvviso, si trovarono abbandonati alla mercè delle forze germaniche di sicurezza, finalmente libere di scagliarsi sugli israeliti dopo esserne stati a lungo impediti dalla volontà del Capo del fascismo.Basterebbe questo fatto, così drammaticamente documentato nel citato libro di Poliakov e Sabille, per demolire la faziosa tesi propagandistica secondo la quale Mussolini sarebbe stato complice di Hitler nella persecuzione degli ebrei. (continua)

PARTE VENTISETTESIMA
GLI EBREI DURANTE LA R.S.I. - 

Passiamo ora a trattare l'aspetto che ci riguarda più da vicino, cioè gli avvenimenti accaduti nel territorio della
Repubblica Sociale Italiana tra il settembre 1943 e l'aprile 1945. Gli antifascisti sostengono che la R.S.I. , in ossequio agli ordini e alla volontà dei nazisti, collaborò attivamente con essi nel prelevamento, nella deportazione e, di conseguenza, nella successiva eliminazione di migliaia di ebrei.
Tale tesi, ad uso e consumo del più becero antifascismo, è confutata anche dallo storico Renzo De Felice il quale precisa nella sua opera con sufficiente chiarezza quale fu l'effettivo atteggiamento di Mussolini e del fascismo repubblicano nei confronti degli israeliti fin dalla nascita della R.S.I.
Scrive il De Felice (storico antifascista, non dimentichiamolo): "La politica antisemita della R.S.I. fu determinata di fatto dai tedeschi, direttamente o attraverso il loro uomo di fiducia Giovanni Preziosi. Il manifesto programmatico approvato a Verona, redatto da Mussolini con la collaborazione di Bombacci e Pavolini, affrontò il problema ebraico quasi di scorcio. Infatti il punto 7 stabiliva:"Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica". L'affermazione è grave da un punto di vista storico e morale, però non rivela nulla di nuovo alla posizione di Mussolini e Buffarini Guidi risalenti agli anni precedenti, quando progettarono l'espulsione di tutti gli ebrei "puri" e non assimilati.
E' sintomatico che l'assemblea fascista, estremamente viva e spietatamente autocritica, non la discutesse quasi per niente, prova questa di quanto la questione ebraica apparisse di scarsa importanza anche alla maggioranza dei fascisti repubblicani, e non vi è nulla che faccio ritenere che Mussolini avesse sposato la tesi nazista dello sterminio. L'intenzione di Mussolini e dei "moderati" era senza dubbio di concentrare sino alla fine della guerra tutti gli ebrei, come fu ordinato da Buffarini Guidi il 30 novembre 1943, e di rinviare la soluzione della questione a guerra finita.
Giustamente Pini e Susmel nella loro biografia di Mussolini scrivono che i principi relativi alla razza approvati a Verona "risentono ancora della congiuntura di guerra" e che un processo ulteriore di revisione si sarebbe verificato in seguito.".
In realtà, le uniche disposizioni restrittive che vennero emanate dalla R.S.I. nei confronti degli ebrei, dopo le sempre più pressanti richieste germaniche, furono di carattere economico, infatti l'ordine di polizia n. 5 del 30 novembre 1943 prevedeva la confisca dei beni e il concentramento degli ebrei in determinate località.
Anche il De Felice scrive: "Se si eccettua l'aspetto economico, nei primi mesi immediatamente successivi all'emanazione dell'ordine di polizia n. 5, la politica antisemita della R.S.I. fu in un certo senso ancora abbastanza moderata. Gli atti di violenza contro singoli o gruppi di ebrei perpetrati dalle forze armate regolari repubblicane furono relativamente pochi. Come vedremo, violenze e massacri, individuali o collettivi, furono nella maggioranza dei casi, opera dei tedeschi e delle varie formazioni autonome e più o meno irregolari fasciste, spesso organizzate addirittura nell'esercito tedesco, come le SS italiane, molto numerose e sulle quali il governo fascista aveva un'autorità spesso nominale. Lo stesso concentramento degli ebrei fu condotto dalle Prefetture, relativamente ai tempi ben s'intende, con metodi e con discriminazioni abbastanza umane, ne esso fu totale come lascerebbe credere l'ordine del 30 novembre 1943.
Dal concentramento, realizzato spesso in edifici scolastici e pubblici o a volte appartenenti alle stesse comunità o istituzioni israelitiche, furono esclusi i vecchi oltre i settanta anni e i malati gravi, gli arianizzati e i "misti" (razzialmente non puri e appartenenti a famiglie miste).
Oltre a ciò, il 20 gennaio 1944, Buffarini-Guidi, venuto a conoscenza che in molte località i tedeschi pretendevano la consegna degli ebrei via via concentrati, diede istruzioni, perchè fossero fatti presso "le autorità centrali germaniche" i passi necessari a ottenere che "in conformità al criterio annunciato, siano date disposizioni adatte perchè gli ebrei permangano nei campi italiani". Disposizioni di non consegnare gli ebrei concentrati ai tedeschi dovettero poi essere date anche alle autorità periferiche: il comandante del campo di Fossoli (Modena), il più importante campo di concentramento organizzato dai fascisti, ebbe infatti più volte occasione di ripetere agli ebrei del campo che, se i tedeschi si fossero presentati a Fossoli per chiedere la loro consegna, avrebbe smobilitato il campo stesso, anche se poi non lo fece quando i tedeschi si presentarono.
Nei vari luoghi provinciali di internamento e a Fossoli la vita degli ebrei non fu, in genere e compatibilmente alle condizioni generali di quei mesi, troppo dura. Il vitto era peggiore di quello normale, ma quasi tutti avevano dei pacchi da amici e parenti e quindi mangiavano a sufficienza. Alcuni degli ex-detenuti di Fossoli ha ancora oggi un ricordo non del tutto negativo di quel campo, ove si pensi che vi era qualcuno che studiava e si preparava per l'esame di Stato, pensando che al momento opportuno gli sarebbe stato concesso il permesso di andarlo a dare. (continua)
Nell'immagine: Vignetta pubblicata in Germania nel 1938, la classe operaia nutre l'insaziabile ebreo.


PARTE VENTOTTESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 

Veniamo ora alla vera storia delle deportazioni in massa degli ebrei italiani tra il settembre e l'ottobre 1943. Furono coinvolti complessivamente 7.495 israeliti, dei quali solo 610 riuscirono a tornare in Italia a guerra finita, su questi episodi esiste una letteratura che tende a mettere sullo stesso livello le responsabilità degli italiani e dei tedeschi.
La verità è ben diversa. Diciamo subito che, sulla base delle esperienze vissute dagli ebrei a partire dalle leggi razziali del 1938, gli israeliti erano convinti che la presenza del Vaticano e il ritorno di Mussolini li avrebbero salvaguardati dalla "caccia all'ebreo" scatenata dai tedeschi in tutta Europa, e, pertanto, si illusero di poter restare tranquillamente nelle loro case in attesa che anche quest'ultima bufera si concludesse con l'arrivo delle truppe anglo-americane.
Racconta il De Felice: "Molti ebrei credettero anche dopo l'armistizio dell'8 settembre che in Italia non si sarebbe mai arrivati contro di essi agli eccessi perpetrati in altri Paesi. "Queste cose in Italia non avvengono" fu la frase che spesso risuonò in quei giorni. Il modo in cui si era fino allora svolta la persecuzione, la presenza in Italia del Vaticano, le leggi emesse o riconfermate dalla R.S.I. con tutte le eccezioni e la loro apparente umanità, illusero in un primo momento centinaia e centinaia di ebrei. Sino a quando non ebbero la dolorosa prova di ciò che i tedeschi intendevano fare, gli ebrei rimasero fiduciosi nelle loro case, sordi anche ai primi segni premonitori della tragedia.
. Alcuni casi, molto significativi, basteranno a dare un'idea della fiducia che tanti nutrivano nei fascisti. A Ferrara, i fascisti concentrarono in un'ala delle carceri gli ebrei "puri" che rientravano nelle categorie di cui la R.S.I. aveva ordinato l'internamento. In uno dei bombardamenti subiti dalla città, l'edificio riportò vari danni e gli ebrei poterono uscire ma, finito il bombardamento, si ripresentarono ai fascisti, al punto che si giunse ad un accordo: quando gli alleati bombardavano, gli ebrei si rifugiavano dove volevano, poi si ripresentavano. Coloro che approfittarono di questa occasione per fuggire furono pochissimi, la maggior parte rispettò il "patto" e finirono in un secondo tempo a Fossoli. Il campo di Fossili, del resto, non godè, sino a che fu in mano ai fascisti, una cattiva fama. A Ferrara, quando si seppe che gli ebrei vi sarebbero stati trasferiti, vi furono dei casi di "misti" che, esclusi dall'internamento dalle leggi della R.S.I., fecero di tutto per essere portati a Fossoli, dove c'era aria buona e non si correvano rischi di bombardamento. Ma dove la fiducia degli ebrei toccò il vertice fu proprio a Roma, che divenne così teatro della più spaventosa razzia di israeliti compiuta dai tedeschi in Italia dopo l'armistizio. Dall'8 settembre al 25 settembre 1943 gli ebrei romani non subirono alcuna molestia, ma, improvvisamente, il Presidente dell'Unione Almanzi e il presidente della comunità Foà furono convocati presso l'Ambasciata tedesca dal comandante della polizia, il maggiore delle SS Kappler.
Kappler, rivolgendosi ai rappresentanti ebraici, disse: "Voi e i vostri correligionari avete la cittadinanza italiana, ma di ciò a me poco importa. Noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici. Anzi, per essere più chiari, noi vi consideriamo come un gruppo distaccato, ma non isolato, dei peggiori nemici contro i quali stiamo combattendo. E come tali dobbiamo trattarvi. Però non sono le vostre vite ne i vostri figli che vi prenderemo, se adempirete alle nostre richieste. E' il vostro oro che vogliamo per dare nuove armi al nostra Paese. Entro 36 ore dovrete versarmene 50 chilogrammi. Se lo verserete non vi sarà fatto del male. In caso diverso, 200 di voi saranno presi e deportati in Germania alla frontiera russa o saranno altrimenti resi innocui."
Le proteste dell'Almanzi e del Foa non servirono a nulla. Kappler fece una sola concessione: disse cioè che oltre all'oro, era pronto ad accettare sterline e dollari, ma non lire italiane.
Premuti dalla minaccia incombente i capi della comunità ebraica cercarono aiuto, in un primo tempo presso la direzione generale di P.S. e in Questura. Ma le autorità italiane, ancora sconvolte dagli eventi dell'8 settembre e ancora nell'impossibilità di rivolgersi al governo della R.S.I., costituito da pochissimi giorni, dichiararono subito la loro impotenza a soccorrere gli ebrei. L'unico appoggio che le autorità italiane poterono dare, e diedero infatti subito, fu quello di autorizzare gli israeliti ad acquistare dovunque potevano l'oro necessario per pagare la taglia, e ciò in deroga alle leggi vigenti che vietavano il commercio dei metalli preziosi. (continua)


PARTE VENTINOVESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 

Racconta De Felice: "Uno dei promotori della raccolta, Renzo Levi, fece un sondaggio presso il vice abate del convento del Sacro Cuore, padre Borsarelli, per sapere se, qualora non fosse stato possibile raccogliere in tempo tutto il quantitativo richiesto, la Santa Sede sarebbe stata disposta a prestare la differenza. A questo sondaggio, la Santa Sede rispose facendo sapere di essere disposta a dare l'oro che fosse eventualmente mancato e che la Comunità ebraica non si preoccupasse per la restituzione, che sarebbe potuta avvenire senza fretta quando fosse stata in grado di farla. In realtà però dell'aiuto della Santa Sede non ci fu bisogno. All'appello della Comunità risposero con slancio centinaia di ebrei, e anche di alcuni non ebrei, tra cui dei sacerdoti. Allo scadere del tempo concesso dai nazisti erano stati raccolti quasi 80 kg. d'oro, in buona parte costituito da anelli, collanine e altri oggettini d'oro che costituivano tutto ciò che le povere famiglie del "ghetto" romano possedevano, non mancarono però offerte più cospicue.
La differenza di kg. 30 fu messa in salvo e nel dopoguerra versata per l'edificazione dello Stato di Israele.
L'oro così raccolto fu portato il 28 settembre a via Tasso. Su richiesta dell'unione, la polizia italiana concesse una scorta per il trasporto e alla consegna partecipò anche il commissario Cappa della "Demografia e razza" che però intervenne in borghese e mescolato agli uomini di fatica che portavano le cassette con l'oro.
Al momento della pesatura, fatta cinque chili alla volta, i tedeschi e, per essi, un certo capitano Schutz, cercarono di ingannare sul peso e asserirono che l'oro ammontava a kg. 45,30 e non a kg. 50,300: solo grazie alle vive proteste dell'Almanzi e del Foa alla fine riconobbero che il quantitativo era giusto; si rifiutarono però di rilasciare qualsiasi ricevuta dell'avvenuta consegna".
Ma questa fu solo la prima parte del dramma. La mattina del 29 settembre 1943, infatti, i tedeschi penetrarono nella sede della comunità e un gruppo di ufficiali esperti in lingua ebraica sequestrarono tutti i documenti relativi alla comunità stessa, compresi gli elenchi degli ebrei residenti nella Capitale. Questa perquisizione venne ripetuta nei giorni successivi, finchè il 13 ottobre si impadronirono di tutti i libri della Comunità e del collegio rabbinico.
Racconta ancora il De Felice: "Conclusa la spogliazione delle cose, i tedeschi passarono quindi all'ultima fase del loro piano, affidata questa volta non a Kappler e all'esercito, che pare si opponessero, ma a tre speciali compagnie di polizia, fatte affluire a Roma per l'occasione, e alle dirette dipendenze del capitano T. Dannecker, uno dei più feroci collaboratori di Eichmann.
Il 16 ottobre, all'alba, la polizia tedesca circondò il "ghetto" e prelevò automaticamente tutti gli ebrei che vi vivevano. Armi alla mano, e sulla base di precisi elenchi nominativi, i tedeschi perquisirono tutte le case del ghetto, mentre altri facevano irruzione anche in molte abitazioni fuori di esso, sparse nella città".
Ecco in quali termini, nel corso di una testimonianza resa al "Centro scientifico ebraico" di Haifa venne descritta a guerra finita la tragica razzia da uno dei pochissimi superstiti. Si tratta della testimonianza di Armirio Wachberger che, nonostante il cognome, era cittadino italiano e che al momento dell'arresto risiedeva a Roma con la famiglia.
"Malgrado le leggi fasciste anti giudaiche, gli ebrei in Italia vivevano abbastanza tranquilli. Questo probabilmente grazie alla bontà del popolo italiano che, lo debbo dire, ignorava l'antisemitismo. Attraverso Radio Londra, noi avevamo appreso l'esistenza dei campi di concentramento e le misure contro gli ebrei, ma a dir la verità non ci credevamo molto. Consideravamo tutti questi racconti come il frutto della propaganda alleata contro i tedeschi. L'8 settembre, Roma viene occupata dai nazisti. Gli ebrei temono di mostrarsi troppo in giro e si nascondono. Ma i primi giorni trascorrono nella calma. Nessuna misura speciale. La gente esce rassicurata per le vie. Una vita più o meno normale ricomincia a svolgersi al quartiere ebraico, dove l'ebreo corre come gli altri alla ricerca del suo pane quotidiano.
La prima misura imposta dai nazisti, come si sa, fu un contributo di 50 chilogrammi d'oro richiesti alla comunità ebraica. Si dava ciò che si aveva. Il Papa stesso contribuì a questa colletta. Versato il contributo, gli ebrei si tranquillizzarono:"Hanno avuto il nostro oro, che possono ancora volere?" si diceva.
Abitavo con mia moglie e mio figlio di appena cinque anni di fronte alla grande sinagoga. Vidi i tedeschi penetrare nell'edificio del Kihila e sottrarre gli archivi della comunità. Questo fatto mi inquietò molto e dissi a mia moglie:"Qualcosa si prepara, bisogna fuggire, bisogna nascondersi". Mia moglie obiettava:"Nostro figlio è malaticcio e nascondersi in una cantina umida col bambino non è affatto una situazione piacevole".
Siamo dunque rimasti a casa. Pochi ebrei si erano nascosti; a quell'epoca Roma contava circa dodici o tredicimila ebrei".
(continua col seguito di questa interessante intervista)
L'articolo sarà completato a breve.


PARTE TRENTESIMA

LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 
seguito intervista "Sabato, 16 ottobre, verso le 5 del mattino, due SS si presentarono alla mia porta. Avevano in mano una carta nominativa sulla quale era scritto in italiano e in tedesco pressapoco così:"Voi e la vostra famiglia sarete trasportati in un campo di lavoro in Germania. Potete portare con voi il vostro denaro e i vostri gioielli, due coperte e viveri per otto giorni".Ciò che mi colpì alla loro entrata in casa mia, fu che una delle SS tagliò il filo telefonico. Cominciammo a preparare le nostre robe credendo evidentemente che saremmo partiti verso un campo di lavoro. Io presi perfino un apparecchio fotografico che m'era caro e che prima avevo nascosto, e naturalmente tutto il mio denaro e i gioielli.Eravamo i primi nell'autocarro che andò di porta in porta, attraverso il quartiere ebraico. Una volta riempito, l'autocarro si diresse verso la scuola militare che si trova sul Lungotevere. Eravamo circa 1.300.Fra noi si trovava l'Amjmiraglio a riposo Capon di Venezia, che mostrò una lettera di Mussolini, credendo che un tal documento gli guadagnasse qualche favore. C'erano, inoltre, molti medici, professionisti e, tra gli altri, il prof. Pontecorvo.La vita nella caserma era atroce. Ci rimanemmo due giorni, sabato 16 e domenica 17 ottobre, in condizioni pessime. Si dormiva tutti per terra. C'erano tra noi dei bambini e anche dei malati.Lunedì mattina, 18 ottobre, ci fecero salire in gran fretta su un camion e ci trasportarono fino ad una stazione nelle vicinanze di Roma, dove ci imbarcarono su un treno composto di carri bestiame, 80-100 persone per vagone; io ero nell'ultimo gruppo e fortunatamente nel nostro vagone rimanemmo solo in trenta. L'ammiraglio Capon era fra noi. Egli ci diceva:"Noi andiamo alla morte". Nessuno voleva crederlo. L'Ammiraglio diceva anche: "Voi non conoscete i tedeschi, io li ho già visti durante la prima guerra mondiale". L'Ammiraglio mi dettò il suo testamento; sua figlia era sposata con lo scienziato Enrico Fermi, che lavorava alle ricerche atomiche negli Stati Uniti.Il nostro infernale viaggio durò sei giorni. Il 23 ottobre 1943 arrivammo a Auschwitz".(fine dell'intervista, ma la storia continua......)Ma è indispensabile, ai fini di un'esatta ricostruzione di quello che avvenne a Roma il giorno della razzia, riportare il testo del rapporto ufficiale che venne inviato, ad operazione conclusa, da Kappler al generale Wolf, comandante delle SS in Italia: "Oggi si è iniziata e conclusa l'azione anti giudaica seguendo un piano preparato in ufficio che consentisse di sfruttare le maggiori eventualità. Sono state messe in azione tutte le forze a disposizione della polizia di sicurezza e di ordine. In vista dell'assoluta sfiducia nella polizia italiana per una simile operazione, non è stato possibile chiamarla a partecipare. Perciò sono stati possibili singoli arresti con 26 azioni di quartiere in immediata successione. Non è stato possibile isolare completamente delle strade, sia per tener conto del carattere di "città aperta" sia, e soprattutto anche, per l'insufficiente quantità di poliziotti tedeschi in numero di 365. Malgrado ciò, nel corso dell'azione che durò dalle 5,30 fino alle 14, vennero arrestati in abitazioni giudee 1.259 individui, e accompagnati nel centro di raccolta della scuola militare. Dopo la liberazione dei meticci e degli stranieri, compreso un cittadino vaticano, delle famiglie di matrimoni misti compreso il coniuge ebreo, del personale di casa ariano e dei subaffittuari, rimasero presi 1.007 giudei. Il trasporto fu fissato per lunedì 18 ottobre ore 9.Accompagnamento di 30 uomini della polizia di ordine. Comportamento della popolazione italiana chiaramente di resistenza passiva, che in un gran numero di casi singoli si è mutata in prestazioni di aiuto attivo.Per esempio in un caso, i poliziotti vennero fermati alla porta di un'abitazione da un fascista in camicia nera, con un documento ufficiale, il quale senza dubbio si era sostituito nell'abitazione giudea usandola come propria un'ora prima dell'arrivo della forza tedesca.Si poterono osservare chiaramente anche dei tentativi di nascondere i giudei in abitazioni vicine, all'irrompere della forza germanica ed è comprensibile che, in parecchi casi, questi tentativi abbiano avuto successo. Durante l'azione non è apparso segno di partecipazione della parte antisemita della popolazione: ma solo una massa amorfa che, in qualche caso singolo, ha anche cercato di separare la forza dai giudei.In nessun caso si è fatto uso delle armi". (continua)
PARTE TRENTUNESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 
E' interessante, a riprova dell'atteggiamento tenuto dalle autorità repubblicane, riportare quanto 
scrisse il Dott. Bruno Coceani, ex-capo della provincia di Trieste nel suo libro "Mussolini e Tito alle porte d'Italia" (editore Cappelli, Bologna 1948):
"Con un'ordinanza del 1° dicembre 1943, il ministero degli Interni aveva disposto che venissero sottoposti a sequestro i beni mobili ed immobili appartenenti agli ebrei, anche se discriminati, di qualunque nazionalità, in attesa di nuovi provvedimenti legislativi in materia razziale per la confisca dei beni nell'interesse della Repubblica Sociale".
Il 4 gennaio 1944 un decreto legislativo di Mussolini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, dispose la confisca di detti beni che, in attesa del loro realizzo a favore dello Stato Italiano, dovevano venire amministrati dall'Ente di gestione e liquidazione immobiliare. La confisca dei singoli beni era demandata ai Capi delle provincie.
Nella zona di operazioni del Litorale adriatico, queste disposizioni non erano in vigore. L'autorità germanica aveva avocato a sè, sin dai primi giorni dell'occupazione, tutte le questioni riguardanti gli ebrei.
Ai primi di febbraio, il Supremo commissariato germanico aveva rivolto l'invito alle principali aziende di credito della città di aprire un conto con l'intestazione VERMOGENSVERWALTUNG DES OBERSTEN KOMMISSARS e successivamente aveva impartito istruzioni di accreditare su tale conto le somme esistenti in deposito e in conti correnti a nome di cittadini di razza ebraica. La Banca d'Italia, nella sua qualità di rappresentante dell'ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito, presi accordi con la Prefettura, comunicò al Supremo commissariato che le aziende di credito, cui era stato rivolto l'invito, in base alle vigenti disposizioni del governo italiano avevano già denunciato al Capo della provincia le attività dei cittadini italiani e stranieri di razza ebraica per l'imposto incameramento in favore dell'erario italiano e che pertanto non potevano attenersi alle istruzioni impartite dal Supremo commissariato fino a quando non fosse stata emanata un'ordinanza che privasse di efficacia, nella zona di operazione, il decreto del Duce e disponesse che tutte le attività dei nominativi di razza ebraica dovevano essere devolute diversamente.".
"A tale comunicazione il Supremo commissariato rispose che le disposizioni relative ai beni ebraici presso le banche e agli altri valori patrimoniali venivano esclusivamente impartite dal Supremo commissariato, rispettivamente dal comandante superiore delle SS e dalla polizia.
In seguito a tale preciso ordine, la Banca d'Italia provvide ad emanare alle aziende di credito cittadine le necessarie disposizioni. La Prefettura non potè non rilevare nuovamente al Supremo commissariato l'evidente contrasto tra le disposizioni emanate dalle autorità Italiane e quelle impartite dalle autorità germaniche e il procedimento arbitrario seguito in molti casi. Sollecitato il consulente germanico, il 1° marzo 1944 rispondeva che il Supremo commissariato avrebbe emanato quanto prima un'ordinanza circa il trattamento dei beni di proprietà di ebrei e che pertanto dovevano rimanere in sospeso i provvedimenti disposti dal decreto legislativo del Duce.
Trascorsi due mesi, in data 13 giugno 1944, non essendo uscita la preannunciata ordinanza, la Prefettura, chiamata a risolvere sempre nuovi casi, insistette per una risoluzione della questione.
Il Consiglio dei Ministri aveva anche dato facoltà ai Capi delle provincie di autorizzare il pagamento totale o parziale agli appartenenti alla razza ebraica di alcuni cespiti quali pensioni mensili, vitalizi, indennità di licenziamento, allo scopo di concedere i mezzi strettamente indispensabili per i bisogni alimentari. Urgeva una sollecita definizione anche per ragioni di umanità".
Continua la testimonianza del dott. Coceani: "Fu sollecitata invano una risposta. Il ministro degli Interni aveva disposto che gli ebrei italiani e stranieri venissero assegnati a campo di concentramento, esclusi gli ammalati gravi e i vecchi. Con ulteriori disposizioni, furono esplicitamente esclusi gli ebrei di famiglia mista, compresi gli ebrei stranieri coniugati con nazionali ariani, o di qualsiasi nazionalità fossero originari coloro che avevano ottenuto formale dichiarazione di non appartenere alla razza ebraica. La polizia tedesco, non rispettando nè la legge italiana, nè la legge di Norimberga, a suo arbitrio eseguì arresti e deportazioni in massa. Alla fine di marzo 1944 catturò un centinaio di ebrei negli ospedali. La notizia di questa razzia suscitò un senso di riprovazione. Se ne fece interprete il vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, con questa lettera inviata al Prefetto: "Ieri sera la polizia germanica ha prelevato dall'Ospedale Regina Elena, da quello psichiatrico e dalla sezione dei cronici, tutti gli ammalati e i vecchi ebraici. Le scene che si sono svolte non sembrano neppure possibili. In quei luoghi di pietà e di dolore è entrata una ventata disumana e violenta, che ha lasciato in tutti i sofferenti l'impressione più penosa e rivoltante. La città tutta ne è nauseata. Sono state prese anche persone che non sono affatto ebree o che la legge non considera tali. Tutti si chiedono dove finiranno questi dolenti. Parenti e amici dei colpiti sono venuti anche da me perchè mi interessassi della loro sorte. Se sapessi che un mio intervento potesse avere anche la più piccola probabilità di ottenere qualche risultato non mi darei pace. Ma so a che cosa approdano le mie comunicazioni. Io vi prego, perciò, Eccellenza di far sentire d'urgenza alle autorità del Commissariato e a quelle della polizia, il senso di rivolta della cittadinanza tutta senza distinzione," (continua)
Nell'immagine: "Gli ebrei sono la nostra calamità"



PARTE TRENTADUESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 

Continua monsignor Antonio Santin: "Anche i barbari si fermano davanti al malato dolente. Con questi sistemi si scavano nuovi abissi, non si creano le condizioni necessarie alla comprensione tra i popoli.
Io prego voi, Eccellenza, che tutelate gli interessi della popolazione, di rendervi interprete della stessa e di voler intervenire energicamente a favore di questi infelici.
Non ho nessuna difficoltà che questa mia lettera sia conosciuta alle autorità germaniche, se essa può comunque giovare".
Il prefetto espresse al consulente germanico il biasimo unanime per queste operazioni di polizia e il senso di disagio della popolazione; gli disse e gli scrisse che anche il vescovo, angosciato, lo aveva pregato di manifestare il suo sdegno. Non consegnò la lettera per non creare al fiero presule maggiori fastidi.
Di fronte alle misure di polizia, le autorità civili tedesche avevano già dimostrato la loro impotenza e nella questione riguardante gli ebrei avevano ancora minore forza.
Le più strane vociferazioni correvano in città sulla sorte degli ebrei. Che venissero condotti alla pilatura del riso, in un casermone isolato nei pressi di San Saba, corrispondeva al vero. Che venissero trasportati in carri ferroviari piombati in lontani campi di concentramento, era accertato. Che qualcuno, vecchio e malandato, inetto a sopportare tanti disagi, fosse deceduto durante il viaggio, era pure provato. Tra questi, l'insigne pittore triestino Gino Parin. Che dalla pilatura molti non uscissero più o di notte fossero fucilati e cadaveri cremati, era credenza diffusa.
C'era chi diceva di avere udito delle grida strazianti nella notte e di avere visto le fumate del forno crematorio. Vero è che difficilmente degli arrestati la polizia dava notizia e ogni tanto si apprendeva che qualcuno era scomparso dalla circolazione.
Gli ebrei più ricchi erano partiti da Trieste sin dall'inizio della guerra per la lontana America. Moltissimi per altre città italiane, dove vivevano sotto falso nome. A Roma, la colonia ebraica triestina era numerosa. Altri si tenevano nascosti in città e uscivano di casa con molta circospezione. Ricomparvero, alquanto baldanzosi, nel periodo badogliano per eclissarsi nuovamente all'arrivo delle truppe tedesche.
Più che in qualsiasi altra città italiana era alto il numero degli ebrei domiciliati a Trieste, e numerosi i matrimoni tra ebrei e ariani, la maggior parte appartenenti al ceto medio e alla categoria dei professionisti. Nella stragrande maggioranza non avevano dimostrato sentimenti avversi all'Italia.
Sotto la dominazione austriaca molti furono ferventi irredentisti e si acquistarono benemerenze nel movimento nazionale, da Giuseppe Revere a Giacomo Venezian, combattente nell'assedio di Roma del '48, da Moisè Luuzzatto a Massimo Levi che innalzò a potenza mondiale le "Assicurazioni Generali Venezia".
Non si può cancellare dalla storia irredentistica di Trieste il quarto di secolo in cui Felice Venezian, dal 1883 al 1908. anno della sua morte, diresse, con grande coscienza di italiano, la politica adriatica. Non pochi parteciparono alla guerra di Redenzione. Ebbe la medaglia d'oro Giacomo Venezian, professore di diritto all'Università di Bologna, morto come volontario per il riscatto della sua Trieste.
La comunione dei sentimenti politici facilitò i connubi tra ebrei e cattolici nelle famiglie più devote alla Patria. Perciò a Trieste, più che altrove l'estensione delle leggi razziali fu causa di sconvolgimenti e di tragedie e si allargò l'ostilità contro Hitler e di riflesso contro Mussolini.
Continua l'interessante testimonianza del Dott. Coceani:
"Nel mese di agosto 1944 ci fu una recrudescenza di misure persecutorie contro gli ebrei. Il 25 la polizia tedesca arrestò la madre di Carlo e Giani Stuparich di quasi 80 anni, di origine ebraica, madre di due medaglie d'Oro della guerra di Redenzione. Venne per primo a darmi la notizia Guido Slapater. Presi subito accordi con il vescovo e il podestà di Trieste per un passo collegiale presso il Supremo commissariato, affinchè la protesta assumesse maggiore solennità.
Il 28 agosto 1944 fummo ricevuti dal dott. Wolsegger al quale consegnai la seguente nota: "Era mio desiderio già da tempo di presentarvi alcune mie considerazioni sulla situazione della provincia, ma un arresto, che ha provocato una grande commozione in città, mi ha spinto ad affrettare questo colloquio. La presenza del vescovo e del podestà di Trieste vi dicono quale angoscia turba gli animi di tutti gli italiani. Venerdì mattina la polizia tedesca ha arrestato la signora Gisella Stuparich, vecchia quasi ottantenne, madre di due medaglie d'oro, Carlo e Giani Stuparich. Il primo cadde eroicamente sul Monte Cengio, il secondo ritornò a Trieste, dove da 25 anni vive lontano dalla politica, solo dedito alle sue opere, che gli hanno dato rinomanza nazionale e fuori dall'Italia, e al culto della madre inconsolabile. La madre è di origine ebraica, ma sposò un ariano ed educò, con grande sacrificio e cristianamente, i figli insegnando loro che la vita ha valore se è conquista quotidiana di bene. Educato a questa morale, il figlio ha seguito la madre in prigione per assisterla nell'ora tremenda. All'età che ha, ammalata com'è, non può nuocere a nessuno. Il suo arresto nuoce all'armonia dei rapporti tra le forze tedesche e la popolazione italiana, e crea una vittima che può pesare". (continua)



PARTE TRENTATREESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 

"Trieste lo considera un'offesa ai suoi sentimenti italiani. Il provvedimento non trova giustificazione che nella formalità della legge. Ma la legge più dura ha le sue eccezioni. Non è molto che il Supremo commissariato ha fatto appello alla solidarietà dei combattenti della passata guerra. Con questo arresto distrugge la sua parola e crea un abisso incolmabile. La Germania onora gli eroi. Onori questa nobilissima madre, liberandola dall'onta del carcere. Sarà un gesto di umanità e di saggia politica.
Non vi nascondo che questo nuovo fatto rende ancor più difficile la mia posizione di prefetto. Considererei grave colpa per me se non intercedessi e ottenessi che sia liberata la madre di due medaglie d'oro che non solo Trieste, ma tutta l'Italia onora. E' un peso che non posso sopportare. Invoco il vostro patrocinio e quello del Supremo commissariato anche a nome del vescovo e del podestà di Trieste, affinchè la legge non sia ciecamente applicata alla lettera, ma con spirito di alta giustizia".
Il dott. Wolsegger, visibilmente colpito, non potè non disapprovare il passo inconsiderato della polizia. Assicurò formalmente che si sarebbe interessato per la scarcerazione, dando prova di probità e di coraggio, che non era allora cosa priva di rischi intromettersi nelle faccende razziali......
Il giorno dopo nel pomeriggio, il dott. Wolsegger mi telefonò per darmi la buona notizia che "tutto era a posto".
Il 31 agosto a mezzogiorno, Giani Stuparich assieme alla madre e alla moglie fu liberato.
Questa è la testimonianza del Dott. Coceani.
In ogni città vi furono esponenti e funzionari della R.S.I. che si giocarono la vita per salvare gli ebrei. Valga per tutti la storia del Dott: Giovanni Palatucci, funzionario della Questura di Fiume durante la Repubblica Sociale Italiana.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale a Fiume vivevano circa 1.500 ebrei i quali, malgrado le "leggi razziali" del 1938, avevano continuato nella più assoluta tranquillità a svolgere le loro normali occupazioni senza subire restrizioni di sorta.
Ma la situazione degli ebrei fiumani cambiò bruscamente dopo l'8 settembre, allorchè, con la creazione del "Litorale adriatico" e con l'arrivo delle truppe germaniche di occupazione, si determinarono i presupposti per una violenta repressione. Ormai si profilava, in tutta la sua agghiacciante realtà, la deportazione in massa della comunità ebraica nei lager della Polonia.
Per evitare n simile provvedimento, le autorità repubblicane, spronate e sostenute continuamente dalle massime autorità della R.S.I., si organizzarono subito in difesa della comunità ebraica.
Protagonista principale di questa difficile e delicata operazione di salvataggio fu il commissario-capo di P.S. Dott: Giobanni Palatucci che, per le sue funzioni ufficiali e la sua esatta conoscenza del problema ebraico giuliano in quanto era stato per diversi anni responsabile dell'Ufficio Stranieri della Questura, era la persona più indicata per opporsi con efficacia ai propositi delle SS.
La prima azione di Palatucci fu di procedere alla sistematica e radicale distruzione di tutto il materiale documentario riguardante gli ebrei e giacente presso i vari uffici della Questura. Ogni traccia riferentesi agli ebrei fiumani venne così fatta sparire, con il risultato di bloccare qualsiasi tentativo, da parte delle SS, di elaborare delle liste di "proscrizione".
Subito dopo, la Questura ingiunse all'ufficio anagrafico del Comune di non rilasciare alcun documento riguardante i cittadini di razza ebraica senza aver prima informato le autorità repubblicane.
Con questa disposizione, la Questura si mise nelle condizioni di conoscere con un certo anticipo le mosse delle SS e di paralizzarne, con opportune contromisure, i provvedimenti repressivi, anche avvertendo gli interessati del pericolo che li sovrastava.
Ottenuti così, con questi provvedimenti interni, un certo margine di manovra, il dottor Palatucci organizzò l'esodo dalla città di tutti gli ebrei conosciuti come tali.
Tra il gennaio e il luglio 1944 almeno 1000 ebrei, uomini, donne e bambini, muniti di documenti d'identità falsi, furono evacuati da Fiume e smistati nelle località dell'interno dove il controllo dell'apparato germanico di sicurezza era particolarmente debole.
Quando, alla fine di agosto 1944, la centrale berlinese incaricata della "soluzione finale" diede disposizioni al comando tedesco di Fiume di procedere al rastrellamento degli ebrei per deportarli nei lager, le SS non poterono procedere per mancanza di "materia prima".
Gli ebrei fiumani erano tutti "scomparsi". (continua)


PARTE TRENTAQUATTRESIMA NOI FASCISTI E GLI EBREI - PARTE TRENTAQUATTRESIMA 

LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 

Il capitano delle SS Hoepner che aveva ricevuto l'incarico di organizzare il "trasporto", si vide giocato dai camerati fascisti e decise di vendicarsi. Individuato nel dottor Palatucci l'anima dell'operazione, procedette al suo arresto, accusandolo di essersi piegato alla congiura ebraica per "brama di oro".Il dottor Palatucci venne immediatamente deportato nel campo di concentramento di Dachau il 13 settembre 1944. Il 13 aprile 1945, mentre il lager stava per essere raggiunto dalle truppe alleate, l'eroico funzionario di polizia venne abbattuto a colpi di mitra.Alla sua memoria, lo Stato di Israele ha dedicato una via di Tel Aviv. Questi fatti provano in maniera evidente l'opposizione delle autorità italiane all'operato inumano dei nazisti.E' importante sapere che non appena la Repubblica Sociale Italiana fu in grado di controllare la situazione, i tedeschi furono costretti a cessare le razzie e i massacri, come quello dei sedici ebrei compiuto sul Lago Maggiore, a Meina, nell'ottobre 1943. Precisiamo anche che, a guerra finita, nessun fascista repubblicano venne condannato per aver partecipato a razzie o a uccisioni di ebrei.Un'ampia documentazione su questo fu pubblicata dallo scrittore "socialista" Carlo Silvestri nel suo libro "Mussolini, Graziani e l'antifascismo (Longanesi, 1947).Il Silvestri raccontò, tra l'altro, che Mussolini si preoccupò fino all'ultimo della sorte degli ebrei. Ancora il 19 aprile 1945, nove giorni prima di essere appeso per i piedi a Piazza Loreto, Mussolini, saputo che le SS avevano arrestato l'israelita dottor Tommaso Solci, di Mantova e suo figlio Giorgio, perchè appartenenti al Partito d'Azione (arrestati, sia detto per inciso, per delazione di un loro compagno di lotta), riuscì a farli liberare.Un uguale intervento salvò la vita al dottor Mario Paggi, pure lui israelita, liberale, denunciato alle SS da alcuni suoi compagni di partito.Ma non basta: durante tutto il periodo della R.S.I, un intero gruppo ebraico, quello dell'avvocato Del Vecchio di Milano, visse nascosto nel palazzo della Prefettura milanese, sotto la protezione di Piero Parini e con il pieno consenso di Mussolini.Va anche ricordato che, a guerra finita, l'avvocato Del Vecchio volle sdebitarsi difendendo Piero Parini con una commovente arringa alla Corte d'Assise Straordinaria. (continua con l'ultima parte)

PARTE TRENTACINQUESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI - 

E' EVIDENTE, QUINDI, SULLA BASE DELLA DOCUMENTAZIONE CHE VI ABBIAMO PRESENTATO IN QUESTA PAGINA, CHE E' STORICAMENTE FALSO ATTRIBUIRE A MUSSOLINI E AL FASCISMO REPUBBLICANO DELLE RESPONSABILITA' E DELLE COMPLICITA' IN MERITO ALLA PERSECUZIONE CONDOTTA DAI TEDESCHI NEI CONFRONTI DEGLI EBREI.


Camerati, il saggio di Giorgio Pisanò termina con la frase qui sopra riportata, io ringrazio chi mi ha seguito,fiducioso di avervi fornito delle notizie utili per rispondere adeguatamente a chi continua a confondere il comportamento dei nazisti verso gli ebrei con quello dei fascisti.
Con questo, non ho voluto sollevare dalle sue evidenti responsabilità il fascismo per le leggi razziali, che, anche considerando le motivazioni storiche che ne provocarono la promulgazione, furono comunque un atto deprecabile che non trova adeguata giustificazione con la nostra alleanza militare con la Germania di Hitler.
Ho voluto solamente evidenziare la differenza di come furono applicate quelle leggi infauste, da una parte i tedeschi con la loro crudelta' e intransigenza, dall'altra gli italiani con la loro storica umanità e con il loro altruismo.
Parecchi camerati mi hanno compreso ed elogiato, altri mi hanno dichiarato un traditore della causa, minacciandomi perfino di morte.Ovviamente le minacce di questi esaltati che si definiscono nazisti, ma in realtà sono dei poveri dementi sprovveduti, hanno lasciato il tempo che trovano.
Oggi esistono due correnti di pensiero contrarie al cosiddetto "Olocausto": il negazionismo e il revisionismo.
Il mio pensiero sul negazionismo è che non va neanche preso in considerazione: è semplicemente assurdo negare delle evidenze, come quelle che, grazie al camerata Giorgio Pisanò, vi ho raccontato in questi giorni. Ho avuto l'onore di conoscere personalmente Giorgio e di aver militato nel suo movimento "Fascismo e Libertà" e voi tutti lo conoscete tramite i suoi libri e la gestione della rivista "Candido" ereditata da Giovannino Guareschi. Le sue capacità giornalistiche, come la sua fede nel Fascismo (è stato uno dei "ragazzi" di Salò) mi porta a pensare che quello che ha scritto sia la verità.
Per il revisionismo, invece, sono d'accordo, è fin troppo evidente anche dai numeri degli ebrei morti, che ci troviamo di fronte a una grande mistificazione e che siamo lontani da verità storiche utili solo al sionismo operante e oppressore di interi popoli.
E' notorio come la guerra possa trasformare un tranquillo cittadino, un cosiddetto padre di famiglia, in uno spietato assassino, ma gli eccessi sanguinari e la violenza non si può addebitare solo ad una parte, quando sappiamo che gli Alleati, purtroppo vincitori militarmente della guerra, si sono macchiati di delitti forse più orrendi di quelli commessi dai nazisti.
Gesù Cristo disse: "Scagli la prima pietra chi è senza peccato" ebbene io credo che americani, inglesi, francesi e russi, e anche gli stessi ebrei, non abbiano le carte in regola per scagliare quella pietra.
L'argomento rimane aperto ai vostri commenti e ad altre recensioni, io resto a disposizione per ogni ulteriore chiarimento fosse necessario.

F I N E





3 commenti:

  1. Alexander Stille: 1 ebreo su 3 era fascista e aderì al PNF
    http://winstonsmithministryoftruth.blogspot.it/2010/11/italian-jewish-fascists_14.html
    Con buona pace di Pacifici, Saviano e DiCesare.
    E se non gli va possono denunciarlo, citarlo per danni e chiedere il ritiro del libro.

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  2. Non parliamo poi del missinista Caradonna che, discutendo della introduzione della Legge Mancino coi suoi alleati comunisti radicali e democratici vari, si vantava delle sue amicizie ebraiche http://www.lulu.com/shop/m-da/la-legge-mancino/paperback/product-22336029.html

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