I PARTE
Ringrazio innanzitutto Donatella per avermi invogliato a scrivere nonostante le mie perplessità iniziali, il contenuto di questo articolo ha valore solo sotto l’aspetto meramente storico.
Il sottoscritto non è un accademico ma solo un gran divoratore di libri, il mio obbiettivo è quello di raccontare la vera storia del fascismo e di Mussolini: il gigante del XX secolo.
Inizio col dirvi che le leggi razziali emanate il 17 novembre nel 1938, sedicesimo anno dell’era fascista crearono un disorientamento nell’ opinione pubblica; tra gli ebrei ed il regime fascista sino a quel momento vi era stato sempre una perfetta simbiosi .
Il razzismo e l’antisemitismo furono in antitesi con il fascismo anche se all’interno di esso vi era una componente minoritaria che guardava alla Germania Hitleriana con simpatia.
Gli ebrei italiani nel 1938 furono una comunità di 55000 persone tra le loro fila vi furono dei ferventi fascisti come Ettore Ovazza, prima della marcia su Roma gli iscritti al partito fascista erano 746(1).
Il capo del fascismo in un articolo apparso nel 1920 precisamente il 19 ottobre, sul “popolo d’Italia”, traendo lo spunto dalle leggi antisemite varate dall’assemblea ungherese, dichiarò :” l’Italia non conosce l’antisemitismo e crediamo che non lo conoscerà mai”.
Nel 1931 con la nuova legislazione gli ebrei ottennero il riconoscimento delle comunità israelitiche e sull’unione delle medesime, tale legge è ancora a tutt’oggi in vigore, fu guardata favorevolmente da essi perché consentiva il riordinamento delle comunità locali.
Gli studi relativi a questa legge partirono nel 1927, e furono demandati a un’apposita commissione formata dal “Consorzio delle comunità israelitiche” parteciparono ad essa Angelo Sacerdoti. Rabbino di Roma, e i giuristi ebrei Mario Falco, Giulio Foa, e Angelo Sullam; nel 1929 la commissione, lascio il compito a una commissione ministeriale, la quale, ebbe la funzione di preparare il disegno di legge.
Gli ebrei ebbero le leggi più liberali del mondo, mai prima di allora, nella loro storia, avevano ottenuto cosi tanto; poterono eleggere democraticamente i loro rappresentanti, e di provvedere in maniera autonoma alle loro necessità, all’amministrazione dei loro beni e alla salvaguardia delle tradizioni e del patrimonio artistico ebraico
De Felice scrisse: “nel complesso la nuova legge fu accolta dalla stragrande maggioranza degli ebrei in modo favorevole, solo da parte di alcuni rabbini si sarebbe desiderato che fosse dato loro un maggior peso nella direzione delle comunità.
Tutti i principali gruppi l’accolsero con vivo compiacimento.
Il 17 ottobre, all’indomani cioè della sua approvazione da parte del consiglio dei ministri il presidente del consorzio telegrafò a Mussolini “ la vivissima riconoscenza” degli ebrei italiani; analoghi messaggi furono inviati da quasi tutte le comunità”.
(1)Storia degli ebrei sotto il fascismo casa editrice Einaudi 1961
II PARTE
Dopo l’approvazione della fascistissima legge riguardante il
riordino delle comunità israelitiche,in Italia incominciò a svilupparsi un
dibattito, soprattutto dopo l’ascesa di Hitler al potere, sul ruolo degli ebrei
in seno al fascismo e la loro diaspora.
Gli ebrei iniziarono a scrivere sul settimanale torinese “La
Nostra Bandiera” diretto dal fascista Ettore Ovazza, un banchiere oltre che un
fine intellettuale, il quale, s’impegno in maniera incessante e lodevole nella
battaglia contro il sionismo, quest’ultimo negli anni 30 aveva intrapreso le
battaglie politiche separatiste e autonomiste.
Il settimanale “ La Nostra Bandiera” duro quattro
annisoffri,inevitabilmente del cambiamento che l’Italia stava effettuando
sullapolitica estera; E.Ovazza cercò di impedire attraverso i suoi scritti
l’appiattimentodella legislazione italiana al modello tedesco, pur non
essendo contrario a una comune politicaestera; il suo intento fu quello di
favorire l’uniformizzazione della minoranzaebraica alle direttive fasciste
riguardanti la nascita dello stato totalitario.
Attraverso il volume “Sionismo Bifronte” E.O afferma:
Si può aggiungere a questi obbiettivi quello della
assolutariaffermazione, non platonica, del profondo amore patrio che lega
gl’italianidi religione ebraica alla grande Madre- amore che si è manifestato
in milleforme.
Questo amore, riconsacrato nella grande guerra-deve
esserericonsacrato nella Rivoluzione Fascista.
Tutto il nostro ardore deve essere dedicato a collaborare,
alavorare uniti sotto le insegne del littorio, nell’immenso e sonante
cantieredel fascismo>>.
Per E.O la civiltà mediterranea è quella latina il fascismo è la
forma più evoluta.
Il testo è di Giuseppe Talone
3°
PARTE
- DOPO LA MARCIA SU ROMA –
E' quindi assurdo ritenere che gli ebrei italiani, o perlomeno
la maggioranza, potessero fare eccezione a questa regola proprio nel momento in
cui in Italia stava nascendo un nuovo concetto dell'Europa contrario
all'ebraismo internazionale che intendeva sottomettere il vecchio continente ai
voleri del capitalismo anglo-americano.Se questo concetto vi rimane chiaro,
comincerete a trovare delle risposte al perchè delle leggi razziali.
L'ANTISEMITISMO NAZISTA - Il partito nazista appena giunto al
potere nel 1933 scatenò la campagna antisemita e, ovviamente, i contatti tra
fascismo e nazismo destarono notevole preoccupazione nelle comunità ebraiche
italiane. Non sfuggì ai più quelle che potevano essere le conseguenze
dell'incontro tra le due rivoluzioni e si temeva che l'ondata antisemita, ormai
in atto in Germania, potesse estendersi a tutta l'Europa. Nel 1933,
pertanto, cominciò a manifestarsi, in particolare tra i giovani ebrei,
dell'antifascismo. Non ebbe grande diffusione, però anche alcuni intellettuali
israeliti si legarono in Francia a gruppi liberali e socialdemocratici, ed
anche con gruppi clandestini comunisti. Questi ultimi agitavano l'insegna della
rivoluzione proletaria internazionale ed esercitarono una certa presa sugli
ambienti ebraici, che vagabondavano da una Nazione all'altra in cerca di una
Patria che non avevano. Nella primavera del 1934, la polizia italiana arrestò a
Ponte Tresa degli antifascisti che tornavano dalla Svizzera con manifestini di
propaganda. Si scoprì un complotto antifascista, guidato da Leo Levi, un
giovane intellettuale ebreo che poco tempo prima aveva vinto il "Premio
Mussolini" all'Università di Bologna e anche una somma di denaro che
utilizzò per andare a Gerusalemme, dove pronunciò diversi discorsi contro
l'Italia.Bella riconoscenza!!!!! In
considerazione della scarsa rilevanza dell'episodio, la Magistratura assolse
Leo Levi e compagni da ogni accusa, anche se furono inevitabili alcuni commenti
in alcuni ambienti fascisti:"Se gli ebrei italiani vogliono essere
veramente italiani, ne saremo felici. Ma se intendono vivere tra noi
comportandosi da stranieri, come tali finiranno per essere trattati." Il
ragionamento mi sembra giusto, ma la polemica non ebbe molto seguito. Gli
stessi ebrei italiani vivevano molto bene e non si misero in urto con il regime
e sconfessarono l'operato di Leo Levi e compagni. Anzi, iniziarono le
pubblicazioni di un giornale "La nostra bandiera" diretto e compilato
ad ebrei, che dal 1934 al 1938 si operarono per mantenere buoni rapporti tra le
comunità ebraiche e il Fascismo. (continua)
Quarta parte
ANTISEMITISMO NAZISTA –
Ma la frattura tra ebrei e fascismo si stava allargando, anche
se la maggioranza della popolazione non se ne rendeva conto. Dal 1935, gli
ebrei italiani stavano all'erta, in quanto l'internazionale ebraica aveva preso
una posizione anti-nazista, e, di conseguenza, anche se con toni minori,
anti-fascista. Ebrei europei accorrevano in Spagna nelle file delle Brigate
Internazionali, e parecchi altri fuggivano dalla Germania, coinvolgendo nelle
loro paure gli ebrei italiani. Parecchi ebrei che abbandonavano la Germania e,
attraverso l'Austria e il Brennero, giungevano in Italia, da dove speravano di
proseguire per la Palestina.Questa gente, parliamo di circa 15.000 persone
venne ospitata in Italia, e mai il governo fascista ebbe ad ostacolarli,
lasciandoli liberi di agire e organizzarsi come meglio credevano. Possiamo
affermare, quindi, che fino al 1936 i rapporti tra fascisti ed ebrei in Italia
si mantennero buoni. Anche De Felice così scrive:"Gli ebrei parteciparono
al generale entusiasmo per l'impresa africana, numerosi partirono volontari e
ciò avvenne anche nella successiva guerra di Spagna, dove un ebreo di nome
Alberto Liuzzi, morto in combattimento, fu decorato di medaglia d'oro con la
seguente motivazione: Comandante di una colonna avvolgente attraverso un bosco,
riusciva a snidare il nemico fortemente trincerato, mediante due successivi
corpo a corpo che conduceva alla testa delle proprie truppe. Durante un mitragliamento
e spezzonamento aereo nemico, il terzo in breve ora, sdegnava ogni riparo e si
recava in mezzo alle sue truppe che, contemporaneamente soggette a vigoroso
attacco terrestre, subivano forti perdite. Nel generoso atto, che era valso a
rianimare e rinsaldare la resistenza dei suoi, cadeva colpito a morte, dando
esempio di fulgido valore e di magnifiche qualità di comandante. Zona di
Trijueque, 11 -12 marzo 1937” Notevole fu anche la partecipazione degli ebrei
alla "Giornata della fede" e all'offerta dell'oro per la Patria.
Alcune offerte giunsero perfino da ebrei residenti in Congo Belga e
Rhodesia.Anche la vittoria e la proclamazione dell'Impero furono accolte con
entusiasmo dalla stampa ebraica.Ma in realtà, malgrado queste apparenze che
definirei propagandistiche, la situazione dei rapporti tra ebrei e governo
fascista andava deteriorandosi, anche rapidamente, e nel 1938 si giunse
all'emanazione delle cosiddette "leggi razziali". Gli scrittori
antifascisti, compreso il noto De Felice, giunsero, con molta superficialità,
alla conclusione che l'ondata anti-ebraica era la naturale conclusione di un
processo degenerativo già preesistente nell'ideologia fascista.
PUNTATA UNDICESIMA
ROMA CONTRO BERLINO -
Erano quelle zone della Francia, della Jugoslavia e della Grecia, in quel tempo occupate dall'esercito italiano, e ciò malgrado l'Italia fascista avesse unito il suo destino alla Germania di Hitler e fossero strette alleate.L'organizzazione di queste "zone d'asilo" italiane non passò inosservata ai tedeschi, che cercarono in tutti i modi di porre fine all'intollerabile "stato di cose" con interpellanze dirette al Comando supremo italiano ed anche con l'intervento dei loro diplomatici a Roma e Berlino.La risposta italiana, come dimostreremo con documenti, fu sempre un rifiuto formale o m otivazioni evasive come "nell'interesse della sicurezza militare", etc.etc.Solo dopo il tradimento dell'armistizio e quindi nel settembre 1943, cessata la dominazione italiana nelle zone d'asilo, le stesse divennero zone di persecuzione per gli ebrei dei territori occupati, che caddero sotto il controllo dei cacciatori di teste nazisti.Scrive ancora il Centro di documentazione ebraica contemporanea:"E' un aspetto incoraggiante e nel medesimo tempo paradossale. Negli anni recenti la nostra storia è stata troppo piena di delusioni e di amarezze perchè non possiamo apprezzare la calda manifestazione del popolo italiano, verso il quale abbiamo un debito di gratitudine che siamo fieri di riconoscere e di ricambiare."Le truppe dell'Asse entrarono nella zona libera della Francia Meridionale l'11 novembre 1942. Sono quei territori rimasti "liberi" dopo la capitolazione della Francia ed erano amministrati, fino a quel momento, dal governo Petain, detto anche governo di Vichy. Le truppe italiane occuparono otto dipartimenti: Alpes-Marittimes, Var, Hautes-Alpes, Basses-Alpes, Drome, Savoie e Haute-Savoie. In tempo di pace, in questi dipartimenti risiedevano 15.000/20.000 ebrei. Ma il loro numero aumentò dopo l'armistizio per l'arrivo dei rifugiati ebrei che abbandonavano il Belgio, l'Olanda e la zona francese occupata dai tedeschi.Gli ebrei erano giunti a piccoli gruppi, e il governo di Vicky permetteva che restassero temporaneamente nel territorio, in attesa della definitiva emigrazione. Di conseguenza, il numero degli ebrei era salito di qualche decina di migliaia.Con l'inverno del 1942, il governo di Vicky applicò delle misure spietate contro gli ebrei di nazionalità straniera, impegnandosi a consegnare ai tedeschi almeno 50.000 ebrei. Iniziò così una caccia feroce in tutta la zona delle città costiere del Mediterraneo.Da quel momento le persecuzioni e gli arresti in massa non ebbero tregua. I primi ad essere internati furono gli ebrei stranieri che erano entrati in Francia prima del 1936, poi anche quelli venuti dopo il 1936.A diverse categorie, come gli ex-militari venne ritirata la discriminazione e di conseguenza l'immunità. Gli organi di polizia del regime di Vicky eseguiva arresti e internamenti e decideva le misure da prendersi con le ordinanze per l'esecuzione di tali misure. I tedeschi si limitavano a osservare e a seguire le azioni ordinate dal governo Petain. Ecco perchè l'azione delle autorità italiane fu prima di tutto con il governo francese.Le autorità prefettizie delle Alpes-Maritimes cercavano di allontanare dal loro dipartimento gli ebrei stranieri, in particolare quelli con scarsi mezzi economici per inviarli in residenze coatte o nei campi di internamento di Gurs e Rivesaltes. Ovviamente questi perseguitati cercavano di evitare queste misure, e domandarono consiglio ad Angelo Donati, un ebreo italiano residente a Parigi dal 1916 ed ex-capitano dell'aviazione italiana che aveva mantenuto ottimi rapporti con le autorità italiane. Donati prese accordi con il conte Borromeo, segretario della "Commissione italiana di armistizio" e escogitarono una formula semplice, ma ingegnosa.
PARTE DICIASSETTESIMA
ROMA CONTRO BERLINO -
Alcune centinaia di rifugiati riuscirono a raggiungere le truppe italiane in ritirata. Il resto costituì una facile preda per i tedeschi, soprattutto perchè la maggior parte abitava negli alberghi e non aveva contatti locali che potessero aiutarli con documenti falsi, luoghi o rifugi d'occasione, etc. La Gestapo si mise immediatamente all'opera con un piano d'azione già elaborato il 4 settembre 1943 di cui riportiamo alcune parti:"La Costa Azzurra, il dipartimento della Savoie, Grenoble e tutta la zona di frontiera saranno i punti di appoggio di questa azione. Per evitare la fuga degli ebrei, l'azione avrà inizio nella zona di frontiera e si sposterà all'interno per rastrellare le località summenzionate da Est e Ovest. Gli ebrei saranno arrestati insieme a tutti i membri delle loro famiglie. Potranno portare con sè il minimo indispensabile di vestiario e oggetti di uso quotidiano, a meno che il loro immediato trasferimento, nei centri di raccolta provvisori, non sia considerato per ragioni particolari, urgente e necessario.Gli uffici di Lione e Marsiglia hanno organizzato dei centri di raccolta provvisori in queste due città (scuole ebraiche, stabilimenti abbandonati, etc.)." "Quando la cattura degli ebrei sarà completata, questi verranno trasferiti dai campi provvisori al campo ebraico di Drancy in convogli da 1.000-2.000 persone ciascuno; da qui, dopo un accurato esame della nazionalità di ciascuno, saranno immediatamente inviati all'Est, purchè siano soggetti idonei alla deportazione.La completa evacuazione degli ebrei dalla zona già occupata dagli italiani, non solo è necessaria nell'interesse della soluzione finale della questione ebraica in Francia, ma è anche una misura di urgente sicurezza necessaria alle truppe tedesche."E' superfluo aggiungere che questo "piano d'azione" venne eseguito con precisione in ogni dettaglio.La "caccia all'uomo" sulla Costa Azzurra nell'autunno del 1943 sorpassò in orrore e ferocia tutto ciò che era sino allora noto nell'Europa occidentale. Non appena il distaccamento Brunner-Brueckler giunse a Nizza, chiese alla Prefettura l'elenco degli ebrei. Il prefetto, signor Chaigneau, disse che gli elenchi erano stati prelevati dagli italiani, il che era vero, ma egli ne possedeva i duplicati che immediatamente distrusse.Perciò i tedeschi dovettero applicare altri metodi, oltre alle retate negli alberghi.Il loro metodo preferito era di fermare gli uomini per strada e di assicurarsi che fossero circoncisi. Quelli che lo erano, venivano inviati direttamente al campo di Drancy.SEBBENE BASATI SUGLI STESSI PRINCIPI E PROTESI VERSO GLI STESSI FINI, IL FASCISMO E IL NAZISMO NON OPERARONO CON GLI STESSI METODI, NE' CON LO STESSO SPIRITO.Verso la fine del 1942, gli ebrei che erano riusciti a trovare un nascondiglio nei villaggi sperduti o nelle località montane della Francia occupata dalle truppe dell'Asse, ebbero per la prima volta sentore del trattamento umano che le truppe italiane riservavano agli ebrei.La loro prima reazione fu di sospetto e incredulità. Sembrava impossibile che gli alleati di Hitler osassero opporsi ai criteri tedeschi su un argomento così vitale dell'ideologia nazista come la questione ebraica.Ma alcuni tra i capi ebrei che erano in contatto con le fonti d'informazione svizzera, non furono sorpresi da quella notizia e non ebbero il minimo sospetto, perchè sapevano che un anno prima gli italiani avevano seguito la stessa linea di condotta in Croazia.Fu infatti in Croazia che l'atteggiamento italiano difronte alle persecuzioni razziali assunse per la prima volta il suo volto. Ecco quello che successe:L'ex-regno jugoslavo crollò nell'aprile 1941, dopo una breve campagna militare di soli 18 giorni. Sulle sue rovine, le potenze dell'Asse fondarono lo Stato di Croazia con a capo il poglavnik Ante Pavelic, il terribile capo degli ustascia, organizzazione terrorista croata.
PARTE DICIANNOVESIMA
ROMA CONTRO BERLINO -
Gli ebrei contro i quali il governo croato aveva promulgato una legge speciale nel maggio 1941 e che furono soggetti ai terribili massacri dell'estate da parte degli ustascia, fecero tutto il possibile per superare la linea di demarcazione e per raggiungere la zona italiana.Solamente in pochi ci riuscirono, nell'estate 1942 la colonia ebraica contava circa 3.000 persone concentrate a Spalato, Sebenico e Cattaro, dove godevano di assoluta libertà sotto la protezione della bandiera italiana. Alla fine del 1942, l'Europa fu sommersa dall'ondata di deportazioni verso i campi di sterminio polacchi e i tedeschi decisero che "il terrore balcanico" degli ustascia era durato abbastanza in Croazia e che era tempo di procedere con metodi più "moderni".Pertanto, firmarono un accordo con il governo di Ante Pavelic, per cui tutti gli ebrei residenti in Croazia sarebbero stati deportati in Polonia come "lavoratori". Al governo croato fu chiesto di pagare al Reich tedesco 30 marchi per ogni deportato ebreo, per rimborso spese di trasporto.Dopo di che tedeschi e croati cominciarono ad interessarsi degli ebrei che vivevano tranquillamente oltre la linea di demarcazione nella zona italiana e a far pressioni presso le autorità italiane, perchè glieli consegnasseroOra l'opera di soccorso spontanea e clandestina dell'esercito italiano si trasforma in una vera azione diplomatica, che ci consente di proseguire il nostro saggio basandoci su documenti ufficiali italiani e documenti originali tedeschi.Il primo documento è tedesco, datato 24 luglio 1942, ed è una nota sottoscritta dal segretario assistente al governo, Lunther, ed è diretta al ministro degli Esteri Ribbentrop.In questa nota, Lunther informa che a Zagabria sono preoccupati per l'atteggiamento del governo italiano circa le misure antiebraiche, in particolare le deportazioni in massa.Dice Lunther:"Per quanto riguarda i croati, essi sono per principio d'accordo con noi sulla deportazione degli ebrei e ritengono particolarmente importante la deportazione dei 4/5.000 ebrei residenti nella zona occupata dagli italiani, comprese le importanti città di Dubrovnik e Mostar. Abbiamo le prove dell'attività di resistenza delle autorità italiane contro le misure anti-ebraiche del governo croato." Per addolcire la pillola, Lunther aggiunge che i privilegi erano concessi soltanto agli ebrei ricchi, ma è poi costretto a citare la risposta del generale Capo di Stato maggiore di Mostar che afferma di non poter dare il suo consenso alla deportazione di "tutti" gli ebrei in quanto tutti i residenti di Mostar hanno avuto assicurazione di un trattamento imparziale. Seguito del rapporto Lunther: "L'ispettore generale tedesco del Wegebauamt riferisce che il capo di Stato maggiore italiano gli ha detto che è incompatibile con il senso d'onore dell'esercito italiano prendere simili eccezionali misure contro gli ebrei, come quelle adottate dall'organizzazione TODT (sigla dell'organizzazione militarizzata tedesca del lavoro) che mirano a requisire le abitazioni di cui gli ebrei hanno urgente bisogno."Lunther conclude informando il ministro che l'ambasciatore a Zagabria, Kasche, è dell'opinione di dover senza ulteriore indugio deportare tutti gli ebrei residenti sul territorio croato e che, se tali misure vengono prese, l'SD deve prepararsi a incontrare difficoltà nella zona d'occupazione italiana.Esistono anche alcuni appunti manoscritti che dimostrano come Ribbentrop si fosse deciso a intervenire presso il governo di Roma per richiamare le autorità italiane ai loro obblighi verso l'alleato tedesco.La mattina del 17 agosto 1942, il principe Otto von Bismarck si presentò al ministero degli Esteri italiano e consegnò al capo gabinetto di Ciano un telegramma di Ribbentrop, nel quale si chiedeva di inviare le istruzioni del caso in Croazia per indurre le autorità italiane a consegnare alle autorità tedesche e croate gli ebrei che si erano nascosti nella zona d'occupazione italiana.Bismark non mancò di fare un accenno alla sorte che attendeva gli ebrei se fossero stati consegnati ai tedeschi.
PARTE VENTIDUESIMA
ROMA CONTRO BERLINO -
ROMA CONTRO BERLINO -
L'unico risultato delle pressioni tedesche fu la decisione presa dalle autorità italiane, nel marzo 1943, decisione contrastante con le richieste naziste, di concentrare tutti gli ebrei in un unico campo allestito nell'isola di Arbe, nel golfo del Carnaro annesso all'Italia, allo scopo di proteggere gli ebrei da un eventuale pericolo che avrebbe potuto presentarsi in seguito a un eventuale mutamento della linea di demarcazione tra le due zone d'occupazione.
Il concentramento degli ebrei sull'isola fu iniziato nel maggio 1943 e si concluse nel luglio 1943, proprio quando in Italia purtroppo crollò il regime fascista e Mussolini fu arrestato.
Ma anche il nuovo regime proseguì nell'atteggiamento protettivo verso gli ebrei e decisamente contrario ai tedeschi. Ne è prova il telegramma del 19 agosto 1943 inviato dal nuovo segretario generale del Ministero degli Esteri a Sua Eccellenza Mario Robotti, comandante della Seconda Armata. Eccone uno stralcio: "Dobbiamo evitare di abbandonare gli ebrei croati e di affidarli alla mercè di stranieri, privati di ogni protezione o esposti al pericolo di rappresaglie, a meno che essi stessi non esprimano il desiderio di riavere la libertà al di fuori della nostra zona di occupazione. I provvedimenti razziali seguiti dall'Italia non ci hanno mai impedito di attenerci a quei principi di umanità che costituiscono la nostra inesauribile eredità spirituale. La lealtà a questi principi non è mai stata attuale come ora........."
Purtroppo, il prematuro annuncio dell'armistizio (8 settembre 1943), dato dagli alleati, portò lo stesso tracollo di Nizza e Grenoble anche nell'isola di Arbe.
Ma la maggior parte degli ebrei internati nell'isola che erano stati liberati dopo la proclamazione dell'armistizio riuscirono a sfuggire dalle mani dei tedeschi, nascondendosi in luoghi sicuri o, purtroppo, unendosi ai partigiani del Maresciallo Tito.
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA - Abbiamo già evidenziato la spontanea reazione degli italiani a favore degli ebrei perseguitati. Non dobbiamo quindi sorprenderci se la medesima reazione in Croazia ci fu anche in Grecia.
La Grecia fin dal 28 ottobre 1940 si difese egregiamente dall'invasione del nostro esercito, riuscendo perfino a respingerlo in Albania, ma nulla potè contro le truppe tedesche che la attaccarono.
IL 16 aprile 1941. la Grecia fu completamente occupata dalle potenze dell'Asse e dalle truppe bulgare e fu suddivisa in tre zone d'occupazione.
La Germania non volle impegnare troppe forze in un'area di importanza secondaria e, anche per soddisfare certe ambizioni dell'alleato italiano, cedette all'Italia l'intero territorio della vecchia Grecia, isole e terraferma, compreso Atene, le Isole Ionie e Rodi. La Bulgaria ebbe gran parte della Tracia e della Macedonia, e la Germania conservò il controllo di una stretta zona della Tracia ai confini con la Turchia, il grande porto di Salonicco e Creta.
La comunità ebraica di Salonicco che contava circa 55.000 persone cadde nelle mani dei nazisti che le deportò e le sterminò.
Nella zona bulgara, la sorte degli ebrei non fu migliore, furono perseguitati e alla fine deportati nei campi di sterminio in Polonia. Il popolo bulgaro si ribellò a queste deportazioni e ottenne la salvezza di tutta la popolazione ebraica della Bulgaria.
Gli ebrei della zona italiana rimasero al sicuro, tagliati fuori quasi completamente dal terrore nazista, sino al crollo italiano dell'8 settembre 1943, quando l'Italia non potè più proteggerli e la maggioranza di loro fu brutalmente sterminata.
Come già accaduto in Croazia e in Francia, la zona italiana in Grecia fu per lungo tempo una zona di rifugio per gli ebrei. Inizialmente, la popolazione ebraica era piuttosto scarsa, circa 900 famiglie, ma poi fu un continuo aumento in seguito all'afflusso continuo di rifugiati ebrei che riuscivano a giungere dalla Grecia del Nord, posta sotto l'occupazione tedesca e bulgara.
Bisogna dire che Berlino non reagì, come invece aveva fatto in Francia e in Croazia. La relativa indifferenza dei tedeschi era determinata dal fatto che la grande massa della popolazione ebraica era a Salonicco, in mano tedesca e i pochi ebrei che vivevano sotto la protezione italiana erano un fattore insignificante, per il quale non valeva la pena compromettere l'alleanza dell'Asse.
Infatti, il generale Carlo Geloso, nel suo libro "Due anni in Grecia al comando della Seconda Armata" scrive: "La questione razziale fu discussa a proposito degli ebrei della Grecia all'inizio dell'occupazione, ma le autorità tedesche si limitarono a fare degli accenni senza alcuna richiesta categorica. Anche il Ministro degli Esteri italiano sollevò la questione nella sua corrispondenza con il ministro plenipotenziario in Grecia, ma non diede mai istruzioni particolari. Nessuna proposta concreta fu sottoposta al generale Geloso, capo supremo delle truppe italiane d'occupazione, da parte delle autorità militari tedesche." (continua)
Il concentramento degli ebrei sull'isola fu iniziato nel maggio 1943 e si concluse nel luglio 1943, proprio quando in Italia purtroppo crollò il regime fascista e Mussolini fu arrestato.
Ma anche il nuovo regime proseguì nell'atteggiamento protettivo verso gli ebrei e decisamente contrario ai tedeschi. Ne è prova il telegramma del 19 agosto 1943 inviato dal nuovo segretario generale del Ministero degli Esteri a Sua Eccellenza Mario Robotti, comandante della Seconda Armata. Eccone uno stralcio: "Dobbiamo evitare di abbandonare gli ebrei croati e di affidarli alla mercè di stranieri, privati di ogni protezione o esposti al pericolo di rappresaglie, a meno che essi stessi non esprimano il desiderio di riavere la libertà al di fuori della nostra zona di occupazione. I provvedimenti razziali seguiti dall'Italia non ci hanno mai impedito di attenerci a quei principi di umanità che costituiscono la nostra inesauribile eredità spirituale. La lealtà a questi principi non è mai stata attuale come ora........."
Purtroppo, il prematuro annuncio dell'armistizio (8 settembre 1943), dato dagli alleati, portò lo stesso tracollo di Nizza e Grenoble anche nell'isola di Arbe.
Ma la maggior parte degli ebrei internati nell'isola che erano stati liberati dopo la proclamazione dell'armistizio riuscirono a sfuggire dalle mani dei tedeschi, nascondendosi in luoghi sicuri o, purtroppo, unendosi ai partigiani del Maresciallo Tito.
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA - Abbiamo già evidenziato la spontanea reazione degli italiani a favore degli ebrei perseguitati. Non dobbiamo quindi sorprenderci se la medesima reazione in Croazia ci fu anche in Grecia.
La Grecia fin dal 28 ottobre 1940 si difese egregiamente dall'invasione del nostro esercito, riuscendo perfino a respingerlo in Albania, ma nulla potè contro le truppe tedesche che la attaccarono.
IL 16 aprile 1941. la Grecia fu completamente occupata dalle potenze dell'Asse e dalle truppe bulgare e fu suddivisa in tre zone d'occupazione.
La Germania non volle impegnare troppe forze in un'area di importanza secondaria e, anche per soddisfare certe ambizioni dell'alleato italiano, cedette all'Italia l'intero territorio della vecchia Grecia, isole e terraferma, compreso Atene, le Isole Ionie e Rodi. La Bulgaria ebbe gran parte della Tracia e della Macedonia, e la Germania conservò il controllo di una stretta zona della Tracia ai confini con la Turchia, il grande porto di Salonicco e Creta.
La comunità ebraica di Salonicco che contava circa 55.000 persone cadde nelle mani dei nazisti che le deportò e le sterminò.
Nella zona bulgara, la sorte degli ebrei non fu migliore, furono perseguitati e alla fine deportati nei campi di sterminio in Polonia. Il popolo bulgaro si ribellò a queste deportazioni e ottenne la salvezza di tutta la popolazione ebraica della Bulgaria.
Gli ebrei della zona italiana rimasero al sicuro, tagliati fuori quasi completamente dal terrore nazista, sino al crollo italiano dell'8 settembre 1943, quando l'Italia non potè più proteggerli e la maggioranza di loro fu brutalmente sterminata.
Come già accaduto in Croazia e in Francia, la zona italiana in Grecia fu per lungo tempo una zona di rifugio per gli ebrei. Inizialmente, la popolazione ebraica era piuttosto scarsa, circa 900 famiglie, ma poi fu un continuo aumento in seguito all'afflusso continuo di rifugiati ebrei che riuscivano a giungere dalla Grecia del Nord, posta sotto l'occupazione tedesca e bulgara.
Bisogna dire che Berlino non reagì, come invece aveva fatto in Francia e in Croazia. La relativa indifferenza dei tedeschi era determinata dal fatto che la grande massa della popolazione ebraica era a Salonicco, in mano tedesca e i pochi ebrei che vivevano sotto la protezione italiana erano un fattore insignificante, per il quale non valeva la pena compromettere l'alleanza dell'Asse.
Infatti, il generale Carlo Geloso, nel suo libro "Due anni in Grecia al comando della Seconda Armata" scrive: "La questione razziale fu discussa a proposito degli ebrei della Grecia all'inizio dell'occupazione, ma le autorità tedesche si limitarono a fare degli accenni senza alcuna richiesta categorica. Anche il Ministro degli Esteri italiano sollevò la questione nella sua corrispondenza con il ministro plenipotenziario in Grecia, ma non diede mai istruzioni particolari. Nessuna proposta concreta fu sottoposta al generale Geloso, capo supremo delle truppe italiane d'occupazione, da parte delle autorità militari tedesche." (continua)
PARTE VENTIQUATTRESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA - Un altro ebreo, testimone oculare, ha confermato l'opera di soccorso compiuta da un ufficiale italiano, un certo Pico, incaricato dei servizi ferroviari alla stazione di Salonicco. Egli ha così descritto l'arrivo ad Atene dei rifugiati provenienti da Salonicco. "Una folla di ebrei greci si era accodata a quelli che più o meno avevano la nazionalità italiana. Immediatamente, le autorità italiane trovarono loro una sistemazione nelle scuole greche e li rifornirono anche del necessario. In questo modo si continuò fino ai primi di settembre 1943." Cioè per tutto il periodo del terrore nazista a Salonicco, dal luglio del 1942 all'agosto 1943.
Il signor Nehama scrive: "Gli ebrei che abitavano nella zona occupata dagli italiani erano più o meno al sicuro, sebbene la Gestapo li ricercasse. Il governo italiano si opponeva recisamente al tentativo tedesco di arrestare e perseguitare gli ebrei. Le truppe italiane facevano di tutto per dimostrare la loro solidarietà con gli ebrei. E in ciò obbedivano agli ordini dei loro superiori. Essi compivano una specie di servizio di spionaggio per conoscere i piani dei tedeschi contro gli ebrei, che essi avvertivano in tempo perchè potessero mettersi in salvo. Rifornivano gli ebrei di carte d'identità false, in modo che potessero far disperdere le loro tracce. Dimostravano la migliore buona volontà e facevano ogni sforzo per sottrarre gli ebrei dalle mani dei tedeschi".
Il signor Nehama ricorda anche che il 21 aprile 1941, appena i tedeschi entrarono in Atene, essi compirono soprusi contro gli ebrei, anche nella zona d'occupazione italiana. Saccheggiarono gli archivi della Comunità ebraica di Atene, presero possesso della biblioteca rabbinica ed arrestarono gli ebrei più in vista.
Il 20 luglio 1941 i tedeschi nominarono il rabbino Elie Barzilai quale presidente della comunità ebraica. Le autorità italiane e greche ratificarono la nomina e gli italiani colsero l'occasione per riaffermare i loro diritti, quali forze occupanti, di regolare la questione ebraica nella zona. Il testo italiano della nomina del rabbino Barzilai non fa accenno alla sua precedente nomina da parte dei tedeschi. Il comandante dei carabinieri aveva dei rapporti continui e cordiali con il rabbino presidente della comunità ebraica per gli affari ebraici in corso, e lo consigliava e incoraggiava.
Fu dietro consiglio degli italiani che la comunità ebraica di Atene si rifiutò di sottomettersi all'autorità del capo ebraico nominato dai tedeschi a Salonicco, i cui emissari erano venuti ad Atene a presentare le loro richieste.
Inoltre gli italiani, con il chiaro intento di sconvolgere i piani dei tedeschi, ordinarono al presidente della comunità ebraica di fare un censimento della popolazione ebraica, un censimento che, era sottointeso, non sarebbe mai stato completato.
I tedeschi non volevano fare un'azione aperta contro gli italiani, che avrebbe compromesso l'alleanza militare tra la Germania e l'Italia.
I tedeschi allora organizzarono un movimento filo-nazista tra gli studenti greci, l'ESPA, i cui membri avevano l'ordine di provocare gli ebrei. Il 20 giugno e il 14 luglio 1942 attaccarono la sinagoga e gli uffici della comunità ebraica. Gli assalitori furono arrestati dalla polizia greca e consegnati agli italiani. In seguito all'insistenza tedesca, dovettero essere rilasciati. Ma, dopo questo, per evitare ulteriori attacchi, la polizia italiana mantenne giorno e notte una sentinella davanti alla sinagoga e agli uffici della comunità ebraica.
Il 20 settembre, furono attaccati gli uffici dell'ESPA. Esplose una bomba e vi fu l'inizio di un incendio. I tedeschi incolparono gli ebrei e fecero arrestare dagli italiani molti dei loro capi. Ma le indagini non rivelarono alcuna colpevolezza a loro carico ed essi furono tutti rilasciati. Non poteva trattarsi che di un atto provocatorio. Il generale Geloso ne accennò nel suo rapporto al ministero degli Esteri a Roma.
Gli era stata chiesta la sua opinione sul modo di attuare le misure antiebraiche nella zona di occupazione in Grecia. I tedeschi facevano pressioni in merito. Il generale Geloso dichiarò che, secondo lui, misure in tal senso non erano necessarie nè consigliabili: "Gli ebrei della nostra zona d'occupazione non hanno mai procurato la minima noia. Nessuno è stato coinvolto in attività spionistiche in favore del nemico. Quando fu compiuto un attacco al comando di un'organizzazione greca di tendenze nazionalsocialiste, il sospetto cadde immediatamente sugli ebrei, ma le indagini da noi condotte insieme ai tedeschi esclusero ogni possibilità che essi fossero responsabili." (continua)
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA - Un altro ebreo, testimone oculare, ha confermato l'opera di soccorso compiuta da un ufficiale italiano, un certo Pico, incaricato dei servizi ferroviari alla stazione di Salonicco. Egli ha così descritto l'arrivo ad Atene dei rifugiati provenienti da Salonicco. "Una folla di ebrei greci si era accodata a quelli che più o meno avevano la nazionalità italiana. Immediatamente, le autorità italiane trovarono loro una sistemazione nelle scuole greche e li rifornirono anche del necessario. In questo modo si continuò fino ai primi di settembre 1943." Cioè per tutto il periodo del terrore nazista a Salonicco, dal luglio del 1942 all'agosto 1943.
Il signor Nehama scrive: "Gli ebrei che abitavano nella zona occupata dagli italiani erano più o meno al sicuro, sebbene la Gestapo li ricercasse. Il governo italiano si opponeva recisamente al tentativo tedesco di arrestare e perseguitare gli ebrei. Le truppe italiane facevano di tutto per dimostrare la loro solidarietà con gli ebrei. E in ciò obbedivano agli ordini dei loro superiori. Essi compivano una specie di servizio di spionaggio per conoscere i piani dei tedeschi contro gli ebrei, che essi avvertivano in tempo perchè potessero mettersi in salvo. Rifornivano gli ebrei di carte d'identità false, in modo che potessero far disperdere le loro tracce. Dimostravano la migliore buona volontà e facevano ogni sforzo per sottrarre gli ebrei dalle mani dei tedeschi".
Il signor Nehama ricorda anche che il 21 aprile 1941, appena i tedeschi entrarono in Atene, essi compirono soprusi contro gli ebrei, anche nella zona d'occupazione italiana. Saccheggiarono gli archivi della Comunità ebraica di Atene, presero possesso della biblioteca rabbinica ed arrestarono gli ebrei più in vista.
Il 20 luglio 1941 i tedeschi nominarono il rabbino Elie Barzilai quale presidente della comunità ebraica. Le autorità italiane e greche ratificarono la nomina e gli italiani colsero l'occasione per riaffermare i loro diritti, quali forze occupanti, di regolare la questione ebraica nella zona. Il testo italiano della nomina del rabbino Barzilai non fa accenno alla sua precedente nomina da parte dei tedeschi. Il comandante dei carabinieri aveva dei rapporti continui e cordiali con il rabbino presidente della comunità ebraica per gli affari ebraici in corso, e lo consigliava e incoraggiava.
Fu dietro consiglio degli italiani che la comunità ebraica di Atene si rifiutò di sottomettersi all'autorità del capo ebraico nominato dai tedeschi a Salonicco, i cui emissari erano venuti ad Atene a presentare le loro richieste.
Inoltre gli italiani, con il chiaro intento di sconvolgere i piani dei tedeschi, ordinarono al presidente della comunità ebraica di fare un censimento della popolazione ebraica, un censimento che, era sottointeso, non sarebbe mai stato completato.
I tedeschi non volevano fare un'azione aperta contro gli italiani, che avrebbe compromesso l'alleanza militare tra la Germania e l'Italia.
I tedeschi allora organizzarono un movimento filo-nazista tra gli studenti greci, l'ESPA, i cui membri avevano l'ordine di provocare gli ebrei. Il 20 giugno e il 14 luglio 1942 attaccarono la sinagoga e gli uffici della comunità ebraica. Gli assalitori furono arrestati dalla polizia greca e consegnati agli italiani. In seguito all'insistenza tedesca, dovettero essere rilasciati. Ma, dopo questo, per evitare ulteriori attacchi, la polizia italiana mantenne giorno e notte una sentinella davanti alla sinagoga e agli uffici della comunità ebraica.
Il 20 settembre, furono attaccati gli uffici dell'ESPA. Esplose una bomba e vi fu l'inizio di un incendio. I tedeschi incolparono gli ebrei e fecero arrestare dagli italiani molti dei loro capi. Ma le indagini non rivelarono alcuna colpevolezza a loro carico ed essi furono tutti rilasciati. Non poteva trattarsi che di un atto provocatorio. Il generale Geloso ne accennò nel suo rapporto al ministero degli Esteri a Roma.
Gli era stata chiesta la sua opinione sul modo di attuare le misure antiebraiche nella zona di occupazione in Grecia. I tedeschi facevano pressioni in merito. Il generale Geloso dichiarò che, secondo lui, misure in tal senso non erano necessarie nè consigliabili: "Gli ebrei della nostra zona d'occupazione non hanno mai procurato la minima noia. Nessuno è stato coinvolto in attività spionistiche in favore del nemico. Quando fu compiuto un attacco al comando di un'organizzazione greca di tendenze nazionalsocialiste, il sospetto cadde immediatamente sugli ebrei, ma le indagini da noi condotte insieme ai tedeschi esclusero ogni possibilità che essi fossero responsabili." (continua)
PARTE VENTICINQUESIMA
ROMA CONTRO BERLINO - GRECIA -
La dichiarazione del generale Geloso fu confermata dal rappresentante delle autorità civili italiane in Grecia al ministro plenipotenziario Chigi.Ci riportiamo nuovamente al rapporto del signor Nehama sull'atmosfera in cui vivevano gli ebrei greci sotto l'occupazione italiana: "Gli ebrei collaborano con il resto della popolazione della città, occupandosi delle loro mansioni quotidiane, e come i loro fratelli cristiani, sopportano tutte le restrizioni, le umiliazioni e le sofferenze di un popolo che langue sotto il tallone del conquistatore. Soffrono della sorte comune, soggetti nello stesso modo a tutte le calamità che affliggono un Paese sconfitto: la fame, la disoccupazione, la durezza dei carabinieri; però non vi sono nè soprusi individuali nè persecuzioni razziali che rendano più gravoso il carico di dolore di ognuno per la disfatta della madrepatria".Tutte le testimonianze che sono in nostro possesso, provenienti da fonti diverse, stanno a dimostrare che sin quando gli italiani ebbero la possibilità di far rispettare ai tedeschi la loro autorità, le zone di occupazione italiana in Croazia, in Grecia e in Francia furono zone di vero e proprio rifugio per gli ebrei, che altrove erano perseguitati, torturati, arrestati e deportati come bestiame avviato al macello.Non appena il potere degli italiani crollò, dopo l'annuncio dell'armistizio con gli alleati l'8 settembre, i tedeschi si gettarono con furore raddoppiato sugli ebrei che gli italiani erano riusciti a proteggere fino allora, e finalmente poterono mettere in atto il loro piano di sterminio degli ebrei, piano che gli italiani avevano impedito.Infierendo sugli ebrei che gli italiani avevano protetto e che ora erano indifesi, i tedeschi vollero vendicarsi dell'Italia che li8 aveva abbandonati e si era ribellata a loro. A Nizza, a Grenoble, ad Arbe, ad Atene, a Preveza, ad Arta, ad Arignon, a Patras, a Chalkis, a Volo, a Larissa e sulle isole greche i tedeschi instaurarono un regno di selvaggio terrore.Gli italiani non potevano ormai fare più nulla per frenarli e per sottrarre loro le vittime. IL RAPPORTO HIMMLER - E' terminata la lunga testimonianza che abbiamo tratto dal volume "Gli ebrei sotto l'occupazione italiana" di Leon Poliakov e Jacques Sabille, edito a cura del Centro di documentazione ebraica contemporanea.Da quanto abbiamo riportato, emerge chiaramente che la gigantesca operazione di salvataggio fu dovuta non solo all'alto spirito umanitario dei soldati e diplomatici italiani, ma anche e soprattutto a precise direttive emanate dal governo fascista per ordine di Mussolini. Ciò è palesemente confermato da quanto dichiararono in due interviste concesse al settimanale Gente (n. 7 del 28 aprile 1961) il generale dei carabinieri Giuseppe Pieche e il generale di Corpo d'Armata Alessandro Pirzio-Biroli.Il generale Pieche che, scoppiata la seconda guerra mondiale, dopo essere stato comandante della divisione dei carabinieri di Napoli, era stato incaricato dal ministro degli Esteri di tenere in collegamento tra loro le ambasciate italiane nei Balcani, ha detto: "In base a quest'ultimo incarico posi la mia sede ad Abbazia verso la fine del 1942. Un giorno, mi sembra all'inizio del 1943, venne a trovarmi il signor Gaddo Glass, un israelita commerciante di legname, se ben ricordo. Il Glass era accompagnato dal commendatore Zuccolin, che abitava ad Abbazia in una villa accanto a quella dove avevo preso alloggio io. Glass, un uomo sui 50 anni grande e grosso, mi pregò a mani giunte di intervenire a favore di circa tremila ebrei di nazionalità jugoslava, uomini, donne, bambini, che si trovavano rinchiusi in un campo di concentramento a Porto Re, presso Buccari.Mi disse Glass che i tedeschi avevano chiesto a Mussolini la consegna di tutti i rinchiusi. Avevano già preparato i treni e Mussolini aveva aderito, apponendo la sua firma al documento di consegna che doveva avvenire in pochi giorni. Per quei sventurati essere consegnati ai tedeschi significava andare incontro a morte sicura. Feci presente che non avevo nessuna veste ufficiale per intervenire in questo caso e che il Duce non sarebbe mai retrocesso da decisioni già prese."Comunque promisi che avrei fatto tutto quello che era umanamente possibile fare. Compilai un rapporto, adoperando espressioni molto decise. Scrissi che non si doveva macchiare la nostra bandiera con azioni del genere. Sapevo che mi stavo giocando la carriera, ma sapevo anche che Mussolini non aveva il cuore cattivo. Sapevo, inoltre, che il modo migliore per convincerlo era quello di mostrarsi decisi, di non mostrare timore. Unii al rapporto una lettera personale per Ciano, affinchè, come ministro degli Esteri, lo consegnasse personalmente a Mussolini. Inoltre, dato che in quei giorni il generale Roatta, che comandava la Seconda Armata con sede in Susak, si recava a Roma, lo pregai di perorare la causa di quei tremila ebrei presso il Comando supremo. Dopo pochi giorni, mi recai anch'io a Roma per sollecitare vari provvedimenti, ma soprattutto la soluzione della drammatica situazione di quei tremila sventurati. Speravo che da quella azione concomitante sarebbe scaturita la loro salvezza. Io non so come Mussolini accolse il sollecito. So però che dopo alcuni giorni giunse l'ordine di mettere i tremila ebrei a disposizione del comando italiano: essi, cioè, non passavano più ai tedeschi ed erano salvi. Gaddo Glas venne a trovarmi. Aveva le lacrime agli occhi per la commozione. Mi ringraziò come solo può fare chi conosce il valore del beneficio ricevuto. Io debbo dire che non ebbi occasione di vedere, allora, quei tremila ebrei. Molti di loro, però, mi scrissero, anche a guerra finita. Gaddo Glas stesso, a Milano, partecipò alla cerimonia per la consegna della medaglia d'oro di cui la comunità ebraica volle insignirmi". (continua)
PARTE VENTISEIESIMA
IL RAPPORTO HIMMLER:
Una situazione analoga (e ci riferiamo allo stesso articolo apparso su "Gente") si verificò anche in Montenegro, dove il generale Alessandro Pirzio-Biroli, governatore di quella regione balcanica, dovette contrastare con molta decisione i tedeschi per salvare la vita a migliaia di ebrei. Racconta il generale: "L'ondata di persecuzioni contro gli ebrei partì, come tutti sanno, da Hitler, e Mussolini dovette, a malincuore, sottostare alla volontà del potente alleato. Negli anni del 1941 al 1943 ero governatore del Montenegro. Nel Montenegro, gli ebrei erano pochi, molto pochi. Ma il problema divenne per me ugualmente pressante e angoscioso, allorchè per accordi presi con i tedeschi, le nostre truppe dovettero abbandonare la zona di Skoplie, confinante con il Montenegro, e in particolare Visegrad. Là, infatti, si erano raccolti numerosi ebrei, profughi dalle regioni limitrofe già in mano germanica. Così accadde che quando le truppe italiane dovettero lasciare Visegrad, fui supplicato affinchè cinquemila ebrei ci potessero seguire nel territorio da noi presidiato. Autorizzai il comandante della nostra colonna a lasciarsi seguire dai cinquemila ebrei, che in tal modo poterono salvarsi. Per quanto agissi in contrasto con gli ordini superiori, mi assunsi la piena responsabilità dell'atto, anche perchè ero sicuro che, nel fondo del suo cuore, Mussolini provava un senso di ribellione verso le pretese di Hitler. IN REALTA' EBBI PIU' VOLTE OCCASIONE DI INCONTRARE MUSSOLINI IN QUEL PERIODO, E LA MIA IMPRESSIONE SU QUESTO PUNTO E' NETTA". Da questo complesso di testimonianze, che provengono da fonti insospettabili e in maggioranza antifasciste, emerge l'assurdità e la faziosità di tutta la propaganda che dalla fine della guerra fino ai nostri giorni martella l'opinione pubblica per convincerla che il Fascismo e Mussolini furono coscientemente corresponsabili della grande persecuzione compiuta dai tedeschi contro gli ebrei.A conferma di ciò, vale la pena di pubblicare il testo del rapporto inviato dal capo delle SS, Himmler, il 22 ottobre 1942 al ministro degli Esteri, von Ribbentrop, dove si parla dei colloqui intercorsi tra Himmler stesso e Mussolini a proposito della questione ebraica. Questo rapporto fu pubblicato integralmente in Germania sulla rivista Geschichte nel maggio 1957; da detto rapporto risulta chiaramente che il governo germanico nascose tra l'altro, fino all'ultimo, a Mussolini la vera portata e la atroce conseguenza della politica adottata dal Reich nei confronti degli israeliti. Eccone il testo:"A proposito del problema ebraico, io informai il Duce nel modo seguente: dissi che abbiamo deportato in campi di concentramento gli ebrei colpevoli politicamente, e che altri ebrei abbiamo impiegato in Oriente per la costruzione di strade. Ivi la mortalità è senza dubbio molto alta, poichè gli ebrei nella loro vita mai avevano lavorato. Gli ebrei più vecchi furono deportati in ospizi a Berlino, Monaco e Vienna. Gli altri ebrei in età avanzata furono condotti nella cittadina di Theresienstadt, che serve come ghetto-ospizio per gli ebrei: là essi ricevono le loro pensioni e possono disporre della loro vita in tutto e per tutto secondo i loro gusti; per vero essi là litigano tra di loro nel modo più vivace. In Oriente, mentre noi tentavamo di far passare ai russi una parte degli ebrei attraverso le brecce del fronte, spesso i russi stessi sparavano su tali colonne di ebrei, dimostrando palesemente anch'essi di non volerli".Ma la dimostrazione più clamorosa di cosa significò l'azione svolta da Mussolini a favore degli ebrei sta nel fatto che il crollo del regime fascista (25 luglio 1943) e la successiva capitolazione dell'Italia significarono la morte per centinaia di migliaia di ebrei che, all'improvviso, si trovarono abbandonati alla mercè delle forze germaniche di sicurezza, finalmente libere di scagliarsi sugli israeliti dopo esserne stati a lungo impediti dalla volontà del Capo del fascismo.Basterebbe questo fatto, così drammaticamente documentato nel citato libro di Poliakov e Sabille, per demolire la faziosa tesi propagandistica secondo la quale Mussolini sarebbe stato complice di Hitler nella persecuzione degli ebrei. (continua)
PARTE VENTISETTESIMA
GLI EBREI DURANTE LA R.S.I. -
Passiamo ora a trattare l'aspetto che ci riguarda più da vicino, cioè gli avvenimenti accaduti nel territorio della
Repubblica Sociale Italiana tra il settembre 1943 e l'aprile 1945. Gli antifascisti sostengono che la R.S.I. , in ossequio agli ordini e alla volontà dei nazisti, collaborò attivamente con essi nel prelevamento, nella deportazione e, di conseguenza, nella successiva eliminazione di migliaia di ebrei.
Tale tesi, ad uso e consumo del più becero antifascismo, è confutata anche dallo storico Renzo De Felice il quale precisa nella sua opera con sufficiente chiarezza quale fu l'effettivo atteggiamento di Mussolini e del fascismo repubblicano nei confronti degli israeliti fin dalla nascita della R.S.I.
Scrive il De Felice (storico antifascista, non dimentichiamolo): "La politica antisemita della R.S.I. fu determinata di fatto dai tedeschi, direttamente o attraverso il loro uomo di fiducia Giovanni Preziosi. Il manifesto programmatico approvato a Verona, redatto da Mussolini con la collaborazione di Bombacci e Pavolini, affrontò il problema ebraico quasi di scorcio. Infatti il punto 7 stabiliva:"Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica". L'affermazione è grave da un punto di vista storico e morale, però non rivela nulla di nuovo alla posizione di Mussolini e Buffarini Guidi risalenti agli anni precedenti, quando progettarono l'espulsione di tutti gli ebrei "puri" e non assimilati.
E' sintomatico che l'assemblea fascista, estremamente viva e spietatamente autocritica, non la discutesse quasi per niente, prova questa di quanto la questione ebraica apparisse di scarsa importanza anche alla maggioranza dei fascisti repubblicani, e non vi è nulla che faccio ritenere che Mussolini avesse sposato la tesi nazista dello sterminio. L'intenzione di Mussolini e dei "moderati" era senza dubbio di concentrare sino alla fine della guerra tutti gli ebrei, come fu ordinato da Buffarini Guidi il 30 novembre 1943, e di rinviare la soluzione della questione a guerra finita.
Giustamente Pini e Susmel nella loro biografia di Mussolini scrivono che i principi relativi alla razza approvati a Verona "risentono ancora della congiuntura di guerra" e che un processo ulteriore di revisione si sarebbe verificato in seguito.".
In realtà, le uniche disposizioni restrittive che vennero emanate dalla R.S.I. nei confronti degli ebrei, dopo le sempre più pressanti richieste germaniche, furono di carattere economico, infatti l'ordine di polizia n. 5 del 30 novembre 1943 prevedeva la confisca dei beni e il concentramento degli ebrei in determinate località.
Anche il De Felice scrive: "Se si eccettua l'aspetto economico, nei primi mesi immediatamente successivi all'emanazione dell'ordine di polizia n. 5, la politica antisemita della R.S.I. fu in un certo senso ancora abbastanza moderata. Gli atti di violenza contro singoli o gruppi di ebrei perpetrati dalle forze armate regolari repubblicane furono relativamente pochi. Come vedremo, violenze e massacri, individuali o collettivi, furono nella maggioranza dei casi, opera dei tedeschi e delle varie formazioni autonome e più o meno irregolari fasciste, spesso organizzate addirittura nell'esercito tedesco, come le SS italiane, molto numerose e sulle quali il governo fascista aveva un'autorità spesso nominale. Lo stesso concentramento degli ebrei fu condotto dalle Prefetture, relativamente ai tempi ben s'intende, con metodi e con discriminazioni abbastanza umane, ne esso fu totale come lascerebbe credere l'ordine del 30 novembre 1943.
Dal concentramento, realizzato spesso in edifici scolastici e pubblici o a volte appartenenti alle stesse comunità o istituzioni israelitiche, furono esclusi i vecchi oltre i settanta anni e i malati gravi, gli arianizzati e i "misti" (razzialmente non puri e appartenenti a famiglie miste).
Oltre a ciò, il 20 gennaio 1944, Buffarini-Guidi, venuto a conoscenza che in molte località i tedeschi pretendevano la consegna degli ebrei via via concentrati, diede istruzioni, perchè fossero fatti presso "le autorità centrali germaniche" i passi necessari a ottenere che "in conformità al criterio annunciato, siano date disposizioni adatte perchè gli ebrei permangano nei campi italiani". Disposizioni di non consegnare gli ebrei concentrati ai tedeschi dovettero poi essere date anche alle autorità periferiche: il comandante del campo di Fossoli (Modena), il più importante campo di concentramento organizzato dai fascisti, ebbe infatti più volte occasione di ripetere agli ebrei del campo che, se i tedeschi si fossero presentati a Fossoli per chiedere la loro consegna, avrebbe smobilitato il campo stesso, anche se poi non lo fece quando i tedeschi si presentarono.
Nei vari luoghi provinciali di internamento e a Fossoli la vita degli ebrei non fu, in genere e compatibilmente alle condizioni generali di quei mesi, troppo dura. Il vitto era peggiore di quello normale, ma quasi tutti avevano dei pacchi da amici e parenti e quindi mangiavano a sufficienza. Alcuni degli ex-detenuti di Fossoli ha ancora oggi un ricordo non del tutto negativo di quel campo, ove si pensi che vi era qualcuno che studiava e si preparava per l'esame di Stato, pensando che al momento opportuno gli sarebbe stato concesso il permesso di andarlo a dare. (continua)
Repubblica Sociale Italiana tra il settembre 1943 e l'aprile 1945. Gli antifascisti sostengono che la R.S.I. , in ossequio agli ordini e alla volontà dei nazisti, collaborò attivamente con essi nel prelevamento, nella deportazione e, di conseguenza, nella successiva eliminazione di migliaia di ebrei.
Tale tesi, ad uso e consumo del più becero antifascismo, è confutata anche dallo storico Renzo De Felice il quale precisa nella sua opera con sufficiente chiarezza quale fu l'effettivo atteggiamento di Mussolini e del fascismo repubblicano nei confronti degli israeliti fin dalla nascita della R.S.I.
Scrive il De Felice (storico antifascista, non dimentichiamolo): "La politica antisemita della R.S.I. fu determinata di fatto dai tedeschi, direttamente o attraverso il loro uomo di fiducia Giovanni Preziosi. Il manifesto programmatico approvato a Verona, redatto da Mussolini con la collaborazione di Bombacci e Pavolini, affrontò il problema ebraico quasi di scorcio. Infatti il punto 7 stabiliva:"Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica". L'affermazione è grave da un punto di vista storico e morale, però non rivela nulla di nuovo alla posizione di Mussolini e Buffarini Guidi risalenti agli anni precedenti, quando progettarono l'espulsione di tutti gli ebrei "puri" e non assimilati.
E' sintomatico che l'assemblea fascista, estremamente viva e spietatamente autocritica, non la discutesse quasi per niente, prova questa di quanto la questione ebraica apparisse di scarsa importanza anche alla maggioranza dei fascisti repubblicani, e non vi è nulla che faccio ritenere che Mussolini avesse sposato la tesi nazista dello sterminio. L'intenzione di Mussolini e dei "moderati" era senza dubbio di concentrare sino alla fine della guerra tutti gli ebrei, come fu ordinato da Buffarini Guidi il 30 novembre 1943, e di rinviare la soluzione della questione a guerra finita.
Giustamente Pini e Susmel nella loro biografia di Mussolini scrivono che i principi relativi alla razza approvati a Verona "risentono ancora della congiuntura di guerra" e che un processo ulteriore di revisione si sarebbe verificato in seguito.".
In realtà, le uniche disposizioni restrittive che vennero emanate dalla R.S.I. nei confronti degli ebrei, dopo le sempre più pressanti richieste germaniche, furono di carattere economico, infatti l'ordine di polizia n. 5 del 30 novembre 1943 prevedeva la confisca dei beni e il concentramento degli ebrei in determinate località.
Anche il De Felice scrive: "Se si eccettua l'aspetto economico, nei primi mesi immediatamente successivi all'emanazione dell'ordine di polizia n. 5, la politica antisemita della R.S.I. fu in un certo senso ancora abbastanza moderata. Gli atti di violenza contro singoli o gruppi di ebrei perpetrati dalle forze armate regolari repubblicane furono relativamente pochi. Come vedremo, violenze e massacri, individuali o collettivi, furono nella maggioranza dei casi, opera dei tedeschi e delle varie formazioni autonome e più o meno irregolari fasciste, spesso organizzate addirittura nell'esercito tedesco, come le SS italiane, molto numerose e sulle quali il governo fascista aveva un'autorità spesso nominale. Lo stesso concentramento degli ebrei fu condotto dalle Prefetture, relativamente ai tempi ben s'intende, con metodi e con discriminazioni abbastanza umane, ne esso fu totale come lascerebbe credere l'ordine del 30 novembre 1943.
Dal concentramento, realizzato spesso in edifici scolastici e pubblici o a volte appartenenti alle stesse comunità o istituzioni israelitiche, furono esclusi i vecchi oltre i settanta anni e i malati gravi, gli arianizzati e i "misti" (razzialmente non puri e appartenenti a famiglie miste).
Oltre a ciò, il 20 gennaio 1944, Buffarini-Guidi, venuto a conoscenza che in molte località i tedeschi pretendevano la consegna degli ebrei via via concentrati, diede istruzioni, perchè fossero fatti presso "le autorità centrali germaniche" i passi necessari a ottenere che "in conformità al criterio annunciato, siano date disposizioni adatte perchè gli ebrei permangano nei campi italiani". Disposizioni di non consegnare gli ebrei concentrati ai tedeschi dovettero poi essere date anche alle autorità periferiche: il comandante del campo di Fossoli (Modena), il più importante campo di concentramento organizzato dai fascisti, ebbe infatti più volte occasione di ripetere agli ebrei del campo che, se i tedeschi si fossero presentati a Fossoli per chiedere la loro consegna, avrebbe smobilitato il campo stesso, anche se poi non lo fece quando i tedeschi si presentarono.
Nei vari luoghi provinciali di internamento e a Fossoli la vita degli ebrei non fu, in genere e compatibilmente alle condizioni generali di quei mesi, troppo dura. Il vitto era peggiore di quello normale, ma quasi tutti avevano dei pacchi da amici e parenti e quindi mangiavano a sufficienza. Alcuni degli ex-detenuti di Fossoli ha ancora oggi un ricordo non del tutto negativo di quel campo, ove si pensi che vi era qualcuno che studiava e si preparava per l'esame di Stato, pensando che al momento opportuno gli sarebbe stato concesso il permesso di andarlo a dare. (continua)
Nell'immagine: Vignetta pubblicata in Germania nel 1938, la classe operaia nutre l'insaziabile ebreo.
PARTE VENTOTTESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
Veniamo ora alla vera storia delle deportazioni in massa degli ebrei italiani tra il settembre e l'ottobre 1943. Furono coinvolti complessivamente 7.495 israeliti, dei quali solo 610 riuscirono a tornare in Italia a guerra finita, su questi episodi esiste una letteratura che tende a mettere sullo stesso livello le responsabilità degli italiani e dei tedeschi.
La verità è ben diversa. Diciamo subito che, sulla base delle esperienze vissute dagli ebrei a partire dalle leggi razziali del 1938, gli israeliti erano convinti che la presenza del Vaticano e il ritorno di Mussolini li avrebbero salvaguardati dalla "caccia all'ebreo" scatenata dai tedeschi in tutta Europa, e, pertanto, si illusero di poter restare tranquillamente nelle loro case in attesa che anche quest'ultima bufera si concludesse con l'arrivo delle truppe anglo-americane.
Racconta il De Felice: "Molti ebrei credettero anche dopo l'armistizio dell'8 settembre che in Italia non si sarebbe mai arrivati contro di essi agli eccessi perpetrati in altri Paesi. "Queste cose in Italia non avvengono" fu la frase che spesso risuonò in quei giorni. Il modo in cui si era fino allora svolta la persecuzione, la presenza in Italia del Vaticano, le leggi emesse o riconfermate dalla R.S.I. con tutte le eccezioni e la loro apparente umanità, illusero in un primo momento centinaia e centinaia di ebrei. Sino a quando non ebbero la dolorosa prova di ciò che i tedeschi intendevano fare, gli ebrei rimasero fiduciosi nelle loro case, sordi anche ai primi segni premonitori della tragedia.
. Alcuni casi, molto significativi, basteranno a dare un'idea della fiducia che tanti nutrivano nei fascisti. A Ferrara, i fascisti concentrarono in un'ala delle carceri gli ebrei "puri" che rientravano nelle categorie di cui la R.S.I. aveva ordinato l'internamento. In uno dei bombardamenti subiti dalla città, l'edificio riportò vari danni e gli ebrei poterono uscire ma, finito il bombardamento, si ripresentarono ai fascisti, al punto che si giunse ad un accordo: quando gli alleati bombardavano, gli ebrei si rifugiavano dove volevano, poi si ripresentavano. Coloro che approfittarono di questa occasione per fuggire furono pochissimi, la maggior parte rispettò il "patto" e finirono in un secondo tempo a Fossoli. Il campo di Fossili, del resto, non godè, sino a che fu in mano ai fascisti, una cattiva fama. A Ferrara, quando si seppe che gli ebrei vi sarebbero stati trasferiti, vi furono dei casi di "misti" che, esclusi dall'internamento dalle leggi della R.S.I., fecero di tutto per essere portati a Fossoli, dove c'era aria buona e non si correvano rischi di bombardamento. Ma dove la fiducia degli ebrei toccò il vertice fu proprio a Roma, che divenne così teatro della più spaventosa razzia di israeliti compiuta dai tedeschi in Italia dopo l'armistizio. Dall'8 settembre al 25 settembre 1943 gli ebrei romani non subirono alcuna molestia, ma, improvvisamente, il Presidente dell'Unione Almanzi e il presidente della comunità Foà furono convocati presso l'Ambasciata tedesca dal comandante della polizia, il maggiore delle SS Kappler.
Kappler, rivolgendosi ai rappresentanti ebraici, disse: "Voi e i vostri correligionari avete la cittadinanza italiana, ma di ciò a me poco importa. Noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici. Anzi, per essere più chiari, noi vi consideriamo come un gruppo distaccato, ma non isolato, dei peggiori nemici contro i quali stiamo combattendo. E come tali dobbiamo trattarvi. Però non sono le vostre vite ne i vostri figli che vi prenderemo, se adempirete alle nostre richieste. E' il vostro oro che vogliamo per dare nuove armi al nostra Paese. Entro 36 ore dovrete versarmene 50 chilogrammi. Se lo verserete non vi sarà fatto del male. In caso diverso, 200 di voi saranno presi e deportati in Germania alla frontiera russa o saranno altrimenti resi innocui."
Le proteste dell'Almanzi e del Foa non servirono a nulla. Kappler fece una sola concessione: disse cioè che oltre all'oro, era pronto ad accettare sterline e dollari, ma non lire italiane.
Premuti dalla minaccia incombente i capi della comunità ebraica cercarono aiuto, in un primo tempo presso la direzione generale di P.S. e in Questura. Ma le autorità italiane, ancora sconvolte dagli eventi dell'8 settembre e ancora nell'impossibilità di rivolgersi al governo della R.S.I., costituito da pochissimi giorni, dichiararono subito la loro impotenza a soccorrere gli ebrei. L'unico appoggio che le autorità italiane poterono dare, e diedero infatti subito, fu quello di autorizzare gli israeliti ad acquistare dovunque potevano l'oro necessario per pagare la taglia, e ciò in deroga alle leggi vigenti che vietavano il commercio dei metalli preziosi. (continua)
La verità è ben diversa. Diciamo subito che, sulla base delle esperienze vissute dagli ebrei a partire dalle leggi razziali del 1938, gli israeliti erano convinti che la presenza del Vaticano e il ritorno di Mussolini li avrebbero salvaguardati dalla "caccia all'ebreo" scatenata dai tedeschi in tutta Europa, e, pertanto, si illusero di poter restare tranquillamente nelle loro case in attesa che anche quest'ultima bufera si concludesse con l'arrivo delle truppe anglo-americane.
Racconta il De Felice: "Molti ebrei credettero anche dopo l'armistizio dell'8 settembre che in Italia non si sarebbe mai arrivati contro di essi agli eccessi perpetrati in altri Paesi. "Queste cose in Italia non avvengono" fu la frase che spesso risuonò in quei giorni. Il modo in cui si era fino allora svolta la persecuzione, la presenza in Italia del Vaticano, le leggi emesse o riconfermate dalla R.S.I. con tutte le eccezioni e la loro apparente umanità, illusero in un primo momento centinaia e centinaia di ebrei. Sino a quando non ebbero la dolorosa prova di ciò che i tedeschi intendevano fare, gli ebrei rimasero fiduciosi nelle loro case, sordi anche ai primi segni premonitori della tragedia.
. Alcuni casi, molto significativi, basteranno a dare un'idea della fiducia che tanti nutrivano nei fascisti. A Ferrara, i fascisti concentrarono in un'ala delle carceri gli ebrei "puri" che rientravano nelle categorie di cui la R.S.I. aveva ordinato l'internamento. In uno dei bombardamenti subiti dalla città, l'edificio riportò vari danni e gli ebrei poterono uscire ma, finito il bombardamento, si ripresentarono ai fascisti, al punto che si giunse ad un accordo: quando gli alleati bombardavano, gli ebrei si rifugiavano dove volevano, poi si ripresentavano. Coloro che approfittarono di questa occasione per fuggire furono pochissimi, la maggior parte rispettò il "patto" e finirono in un secondo tempo a Fossoli. Il campo di Fossili, del resto, non godè, sino a che fu in mano ai fascisti, una cattiva fama. A Ferrara, quando si seppe che gli ebrei vi sarebbero stati trasferiti, vi furono dei casi di "misti" che, esclusi dall'internamento dalle leggi della R.S.I., fecero di tutto per essere portati a Fossoli, dove c'era aria buona e non si correvano rischi di bombardamento. Ma dove la fiducia degli ebrei toccò il vertice fu proprio a Roma, che divenne così teatro della più spaventosa razzia di israeliti compiuta dai tedeschi in Italia dopo l'armistizio. Dall'8 settembre al 25 settembre 1943 gli ebrei romani non subirono alcuna molestia, ma, improvvisamente, il Presidente dell'Unione Almanzi e il presidente della comunità Foà furono convocati presso l'Ambasciata tedesca dal comandante della polizia, il maggiore delle SS Kappler.
Kappler, rivolgendosi ai rappresentanti ebraici, disse: "Voi e i vostri correligionari avete la cittadinanza italiana, ma di ciò a me poco importa. Noi tedeschi vi consideriamo unicamente ebrei e come tali nostri nemici. Anzi, per essere più chiari, noi vi consideriamo come un gruppo distaccato, ma non isolato, dei peggiori nemici contro i quali stiamo combattendo. E come tali dobbiamo trattarvi. Però non sono le vostre vite ne i vostri figli che vi prenderemo, se adempirete alle nostre richieste. E' il vostro oro che vogliamo per dare nuove armi al nostra Paese. Entro 36 ore dovrete versarmene 50 chilogrammi. Se lo verserete non vi sarà fatto del male. In caso diverso, 200 di voi saranno presi e deportati in Germania alla frontiera russa o saranno altrimenti resi innocui."
Le proteste dell'Almanzi e del Foa non servirono a nulla. Kappler fece una sola concessione: disse cioè che oltre all'oro, era pronto ad accettare sterline e dollari, ma non lire italiane.
Premuti dalla minaccia incombente i capi della comunità ebraica cercarono aiuto, in un primo tempo presso la direzione generale di P.S. e in Questura. Ma le autorità italiane, ancora sconvolte dagli eventi dell'8 settembre e ancora nell'impossibilità di rivolgersi al governo della R.S.I., costituito da pochissimi giorni, dichiararono subito la loro impotenza a soccorrere gli ebrei. L'unico appoggio che le autorità italiane poterono dare, e diedero infatti subito, fu quello di autorizzare gli israeliti ad acquistare dovunque potevano l'oro necessario per pagare la taglia, e ciò in deroga alle leggi vigenti che vietavano il commercio dei metalli preziosi. (continua)
PARTE VENTINOVESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
Racconta De Felice: "Uno dei promotori della raccolta, Renzo Levi, fece un sondaggio presso il vice abate del convento del Sacro Cuore, padre Borsarelli, per sapere se, qualora non fosse stato possibile raccogliere in tempo tutto il quantitativo richiesto, la Santa Sede sarebbe stata disposta a prestare la differenza. A questo sondaggio, la Santa Sede rispose facendo sapere di essere disposta a dare l'oro che fosse eventualmente mancato e che la Comunità ebraica non si preoccupasse per la restituzione, che sarebbe potuta avvenire senza fretta quando fosse stata in grado di farla. In realtà però dell'aiuto della Santa Sede non ci fu bisogno. All'appello della Comunità risposero con slancio centinaia di ebrei, e anche di alcuni non ebrei, tra cui dei sacerdoti. Allo scadere del tempo concesso dai nazisti erano stati raccolti quasi 80 kg. d'oro, in buona parte costituito da anelli, collanine e altri oggettini d'oro che costituivano tutto ciò che le povere famiglie del "ghetto" romano possedevano, non mancarono però offerte più cospicue.
La differenza di kg. 30 fu messa in salvo e nel dopoguerra versata per l'edificazione dello Stato di Israele.
L'oro così raccolto fu portato il 28 settembre a via Tasso. Su richiesta dell'unione, la polizia italiana concesse una scorta per il trasporto e alla consegna partecipò anche il commissario Cappa della "Demografia e razza" che però intervenne in borghese e mescolato agli uomini di fatica che portavano le cassette con l'oro.
Al momento della pesatura, fatta cinque chili alla volta, i tedeschi e, per essi, un certo capitano Schutz, cercarono di ingannare sul peso e asserirono che l'oro ammontava a kg. 45,30 e non a kg. 50,300: solo grazie alle vive proteste dell'Almanzi e del Foa alla fine riconobbero che il quantitativo era giusto; si rifiutarono però di rilasciare qualsiasi ricevuta dell'avvenuta consegna".
Ma questa fu solo la prima parte del dramma. La mattina del 29 settembre 1943, infatti, i tedeschi penetrarono nella sede della comunità e un gruppo di ufficiali esperti in lingua ebraica sequestrarono tutti i documenti relativi alla comunità stessa, compresi gli elenchi degli ebrei residenti nella Capitale. Questa perquisizione venne ripetuta nei giorni successivi, finchè il 13 ottobre si impadronirono di tutti i libri della Comunità e del collegio rabbinico.
Racconta ancora il De Felice: "Conclusa la spogliazione delle cose, i tedeschi passarono quindi all'ultima fase del loro piano, affidata questa volta non a Kappler e all'esercito, che pare si opponessero, ma a tre speciali compagnie di polizia, fatte affluire a Roma per l'occasione, e alle dirette dipendenze del capitano T. Dannecker, uno dei più feroci collaboratori di Eichmann.
Il 16 ottobre, all'alba, la polizia tedesca circondò il "ghetto" e prelevò automaticamente tutti gli ebrei che vi vivevano. Armi alla mano, e sulla base di precisi elenchi nominativi, i tedeschi perquisirono tutte le case del ghetto, mentre altri facevano irruzione anche in molte abitazioni fuori di esso, sparse nella città".
Ecco in quali termini, nel corso di una testimonianza resa al "Centro scientifico ebraico" di Haifa venne descritta a guerra finita la tragica razzia da uno dei pochissimi superstiti. Si tratta della testimonianza di Armirio Wachberger che, nonostante il cognome, era cittadino italiano e che al momento dell'arresto risiedeva a Roma con la famiglia.
"Malgrado le leggi fasciste anti giudaiche, gli ebrei in Italia vivevano abbastanza tranquilli. Questo probabilmente grazie alla bontà del popolo italiano che, lo debbo dire, ignorava l'antisemitismo. Attraverso Radio Londra, noi avevamo appreso l'esistenza dei campi di concentramento e le misure contro gli ebrei, ma a dir la verità non ci credevamo molto. Consideravamo tutti questi racconti come il frutto della propaganda alleata contro i tedeschi. L'8 settembre, Roma viene occupata dai nazisti. Gli ebrei temono di mostrarsi troppo in giro e si nascondono. Ma i primi giorni trascorrono nella calma. Nessuna misura speciale. La gente esce rassicurata per le vie. Una vita più o meno normale ricomincia a svolgersi al quartiere ebraico, dove l'ebreo corre come gli altri alla ricerca del suo pane quotidiano.
La prima misura imposta dai nazisti, come si sa, fu un contributo di 50 chilogrammi d'oro richiesti alla comunità ebraica. Si dava ciò che si aveva. Il Papa stesso contribuì a questa colletta. Versato il contributo, gli ebrei si tranquillizzarono:"Hanno avuto il nostro oro, che possono ancora volere?" si diceva.
Abitavo con mia moglie e mio figlio di appena cinque anni di fronte alla grande sinagoga. Vidi i tedeschi penetrare nell'edificio del Kihila e sottrarre gli archivi della comunità. Questo fatto mi inquietò molto e dissi a mia moglie:"Qualcosa si prepara, bisogna fuggire, bisogna nascondersi". Mia moglie obiettava:"Nostro figlio è malaticcio e nascondersi in una cantina umida col bambino non è affatto una situazione piacevole".
Siamo dunque rimasti a casa. Pochi ebrei si erano nascosti; a quell'epoca Roma contava circa dodici o tredicimila ebrei".
(continua col seguito di questa interessante intervista)
La differenza di kg. 30 fu messa in salvo e nel dopoguerra versata per l'edificazione dello Stato di Israele.
L'oro così raccolto fu portato il 28 settembre a via Tasso. Su richiesta dell'unione, la polizia italiana concesse una scorta per il trasporto e alla consegna partecipò anche il commissario Cappa della "Demografia e razza" che però intervenne in borghese e mescolato agli uomini di fatica che portavano le cassette con l'oro.
Al momento della pesatura, fatta cinque chili alla volta, i tedeschi e, per essi, un certo capitano Schutz, cercarono di ingannare sul peso e asserirono che l'oro ammontava a kg. 45,30 e non a kg. 50,300: solo grazie alle vive proteste dell'Almanzi e del Foa alla fine riconobbero che il quantitativo era giusto; si rifiutarono però di rilasciare qualsiasi ricevuta dell'avvenuta consegna".
Ma questa fu solo la prima parte del dramma. La mattina del 29 settembre 1943, infatti, i tedeschi penetrarono nella sede della comunità e un gruppo di ufficiali esperti in lingua ebraica sequestrarono tutti i documenti relativi alla comunità stessa, compresi gli elenchi degli ebrei residenti nella Capitale. Questa perquisizione venne ripetuta nei giorni successivi, finchè il 13 ottobre si impadronirono di tutti i libri della Comunità e del collegio rabbinico.
Racconta ancora il De Felice: "Conclusa la spogliazione delle cose, i tedeschi passarono quindi all'ultima fase del loro piano, affidata questa volta non a Kappler e all'esercito, che pare si opponessero, ma a tre speciali compagnie di polizia, fatte affluire a Roma per l'occasione, e alle dirette dipendenze del capitano T. Dannecker, uno dei più feroci collaboratori di Eichmann.
Il 16 ottobre, all'alba, la polizia tedesca circondò il "ghetto" e prelevò automaticamente tutti gli ebrei che vi vivevano. Armi alla mano, e sulla base di precisi elenchi nominativi, i tedeschi perquisirono tutte le case del ghetto, mentre altri facevano irruzione anche in molte abitazioni fuori di esso, sparse nella città".
Ecco in quali termini, nel corso di una testimonianza resa al "Centro scientifico ebraico" di Haifa venne descritta a guerra finita la tragica razzia da uno dei pochissimi superstiti. Si tratta della testimonianza di Armirio Wachberger che, nonostante il cognome, era cittadino italiano e che al momento dell'arresto risiedeva a Roma con la famiglia.
"Malgrado le leggi fasciste anti giudaiche, gli ebrei in Italia vivevano abbastanza tranquilli. Questo probabilmente grazie alla bontà del popolo italiano che, lo debbo dire, ignorava l'antisemitismo. Attraverso Radio Londra, noi avevamo appreso l'esistenza dei campi di concentramento e le misure contro gli ebrei, ma a dir la verità non ci credevamo molto. Consideravamo tutti questi racconti come il frutto della propaganda alleata contro i tedeschi. L'8 settembre, Roma viene occupata dai nazisti. Gli ebrei temono di mostrarsi troppo in giro e si nascondono. Ma i primi giorni trascorrono nella calma. Nessuna misura speciale. La gente esce rassicurata per le vie. Una vita più o meno normale ricomincia a svolgersi al quartiere ebraico, dove l'ebreo corre come gli altri alla ricerca del suo pane quotidiano.
La prima misura imposta dai nazisti, come si sa, fu un contributo di 50 chilogrammi d'oro richiesti alla comunità ebraica. Si dava ciò che si aveva. Il Papa stesso contribuì a questa colletta. Versato il contributo, gli ebrei si tranquillizzarono:"Hanno avuto il nostro oro, che possono ancora volere?" si diceva.
Abitavo con mia moglie e mio figlio di appena cinque anni di fronte alla grande sinagoga. Vidi i tedeschi penetrare nell'edificio del Kihila e sottrarre gli archivi della comunità. Questo fatto mi inquietò molto e dissi a mia moglie:"Qualcosa si prepara, bisogna fuggire, bisogna nascondersi". Mia moglie obiettava:"Nostro figlio è malaticcio e nascondersi in una cantina umida col bambino non è affatto una situazione piacevole".
Siamo dunque rimasti a casa. Pochi ebrei si erano nascosti; a quell'epoca Roma contava circa dodici o tredicimila ebrei".
(continua col seguito di questa interessante intervista)
PARTE TRENTUNESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
E' interessante, a riprova dell'atteggiamento tenuto dalle autorità repubblicane, riportare quanto
scrisse il Dott. Bruno Coceani, ex-capo della provincia di Trieste nel suo libro "Mussolini e Tito alle porte d'Italia" (editore Cappelli, Bologna 1948):
"Con un'ordinanza del 1° dicembre 1943, il ministero degli Interni aveva disposto che venissero sottoposti a sequestro i beni mobili ed immobili appartenenti agli ebrei, anche se discriminati, di qualunque nazionalità, in attesa di nuovi provvedimenti legislativi in materia razziale per la confisca dei beni nell'interesse della Repubblica Sociale".
Il 4 gennaio 1944 un decreto legislativo di Mussolini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, dispose la confisca di detti beni che, in attesa del loro realizzo a favore dello Stato Italiano, dovevano venire amministrati dall'Ente di gestione e liquidazione immobiliare. La confisca dei singoli beni era demandata ai Capi delle provincie.
Nella zona di operazioni del Litorale adriatico, queste disposizioni non erano in vigore. L'autorità germanica aveva avocato a sè, sin dai primi giorni dell'occupazione, tutte le questioni riguardanti gli ebrei.
Ai primi di febbraio, il Supremo commissariato germanico aveva rivolto l'invito alle principali aziende di credito della città di aprire un conto con l'intestazione VERMOGENSVERWALTUNG DES OBERSTEN KOMMISSARS e successivamente aveva impartito istruzioni di accreditare su tale conto le somme esistenti in deposito e in conti correnti a nome di cittadini di razza ebraica. La Banca d'Italia, nella sua qualità di rappresentante dell'ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito, presi accordi con la Prefettura, comunicò al Supremo commissariato che le aziende di credito, cui era stato rivolto l'invito, in base alle vigenti disposizioni del governo italiano avevano già denunciato al Capo della provincia le attività dei cittadini italiani e stranieri di razza ebraica per l'imposto incameramento in favore dell'erario italiano e che pertanto non potevano attenersi alle istruzioni impartite dal Supremo commissariato fino a quando non fosse stata emanata un'ordinanza che privasse di efficacia, nella zona di operazione, il decreto del Duce e disponesse che tutte le attività dei nominativi di razza ebraica dovevano essere devolute diversamente.".
"A tale comunicazione il Supremo commissariato rispose che le disposizioni relative ai beni ebraici presso le banche e agli altri valori patrimoniali venivano esclusivamente impartite dal Supremo commissariato, rispettivamente dal comandante superiore delle SS e dalla polizia.
In seguito a tale preciso ordine, la Banca d'Italia provvide ad emanare alle aziende di credito cittadine le necessarie disposizioni. La Prefettura non potè non rilevare nuovamente al Supremo commissariato l'evidente contrasto tra le disposizioni emanate dalle autorità Italiane e quelle impartite dalle autorità germaniche e il procedimento arbitrario seguito in molti casi. Sollecitato il consulente germanico, il 1° marzo 1944 rispondeva che il Supremo commissariato avrebbe emanato quanto prima un'ordinanza circa il trattamento dei beni di proprietà di ebrei e che pertanto dovevano rimanere in sospeso i provvedimenti disposti dal decreto legislativo del Duce.
Trascorsi due mesi, in data 13 giugno 1944, non essendo uscita la preannunciata ordinanza, la Prefettura, chiamata a risolvere sempre nuovi casi, insistette per una risoluzione della questione.
Il Consiglio dei Ministri aveva anche dato facoltà ai Capi delle provincie di autorizzare il pagamento totale o parziale agli appartenenti alla razza ebraica di alcuni cespiti quali pensioni mensili, vitalizi, indennità di licenziamento, allo scopo di concedere i mezzi strettamente indispensabili per i bisogni alimentari. Urgeva una sollecita definizione anche per ragioni di umanità".
Continua la testimonianza del dott. Coceani: "Fu sollecitata invano una risposta. Il ministro degli Interni aveva disposto che gli ebrei italiani e stranieri venissero assegnati a campo di concentramento, esclusi gli ammalati gravi e i vecchi. Con ulteriori disposizioni, furono esplicitamente esclusi gli ebrei di famiglia mista, compresi gli ebrei stranieri coniugati con nazionali ariani, o di qualsiasi nazionalità fossero originari coloro che avevano ottenuto formale dichiarazione di non appartenere alla razza ebraica. La polizia tedesco, non rispettando nè la legge italiana, nè la legge di Norimberga, a suo arbitrio eseguì arresti e deportazioni in massa. Alla fine di marzo 1944 catturò un centinaio di ebrei negli ospedali. La notizia di questa razzia suscitò un senso di riprovazione. Se ne fece interprete il vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, con questa lettera inviata al Prefetto: "Ieri sera la polizia germanica ha prelevato dall'Ospedale Regina Elena, da quello psichiatrico e dalla sezione dei cronici, tutti gli ammalati e i vecchi ebraici. Le scene che si sono svolte non sembrano neppure possibili. In quei luoghi di pietà e di dolore è entrata una ventata disumana e violenta, che ha lasciato in tutti i sofferenti l'impressione più penosa e rivoltante. La città tutta ne è nauseata. Sono state prese anche persone che non sono affatto ebree o che la legge non considera tali. Tutti si chiedono dove finiranno questi dolenti. Parenti e amici dei colpiti sono venuti anche da me perchè mi interessassi della loro sorte. Se sapessi che un mio intervento potesse avere anche la più piccola probabilità di ottenere qualche risultato non mi darei pace. Ma so a che cosa approdano le mie comunicazioni. Io vi prego, perciò, Eccellenza di far sentire d'urgenza alle autorità del Commissariato e a quelle della polizia, il senso di rivolta della cittadinanza tutta senza distinzione," (continua)
"Con un'ordinanza del 1° dicembre 1943, il ministero degli Interni aveva disposto che venissero sottoposti a sequestro i beni mobili ed immobili appartenenti agli ebrei, anche se discriminati, di qualunque nazionalità, in attesa di nuovi provvedimenti legislativi in materia razziale per la confisca dei beni nell'interesse della Repubblica Sociale".
Il 4 gennaio 1944 un decreto legislativo di Mussolini, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, dispose la confisca di detti beni che, in attesa del loro realizzo a favore dello Stato Italiano, dovevano venire amministrati dall'Ente di gestione e liquidazione immobiliare. La confisca dei singoli beni era demandata ai Capi delle provincie.
Nella zona di operazioni del Litorale adriatico, queste disposizioni non erano in vigore. L'autorità germanica aveva avocato a sè, sin dai primi giorni dell'occupazione, tutte le questioni riguardanti gli ebrei.
Ai primi di febbraio, il Supremo commissariato germanico aveva rivolto l'invito alle principali aziende di credito della città di aprire un conto con l'intestazione VERMOGENSVERWALTUNG DES OBERSTEN KOMMISSARS e successivamente aveva impartito istruzioni di accreditare su tale conto le somme esistenti in deposito e in conti correnti a nome di cittadini di razza ebraica. La Banca d'Italia, nella sua qualità di rappresentante dell'ispettorato per la difesa del risparmio e per l'esercizio del credito, presi accordi con la Prefettura, comunicò al Supremo commissariato che le aziende di credito, cui era stato rivolto l'invito, in base alle vigenti disposizioni del governo italiano avevano già denunciato al Capo della provincia le attività dei cittadini italiani e stranieri di razza ebraica per l'imposto incameramento in favore dell'erario italiano e che pertanto non potevano attenersi alle istruzioni impartite dal Supremo commissariato fino a quando non fosse stata emanata un'ordinanza che privasse di efficacia, nella zona di operazione, il decreto del Duce e disponesse che tutte le attività dei nominativi di razza ebraica dovevano essere devolute diversamente.".
"A tale comunicazione il Supremo commissariato rispose che le disposizioni relative ai beni ebraici presso le banche e agli altri valori patrimoniali venivano esclusivamente impartite dal Supremo commissariato, rispettivamente dal comandante superiore delle SS e dalla polizia.
In seguito a tale preciso ordine, la Banca d'Italia provvide ad emanare alle aziende di credito cittadine le necessarie disposizioni. La Prefettura non potè non rilevare nuovamente al Supremo commissariato l'evidente contrasto tra le disposizioni emanate dalle autorità Italiane e quelle impartite dalle autorità germaniche e il procedimento arbitrario seguito in molti casi. Sollecitato il consulente germanico, il 1° marzo 1944 rispondeva che il Supremo commissariato avrebbe emanato quanto prima un'ordinanza circa il trattamento dei beni di proprietà di ebrei e che pertanto dovevano rimanere in sospeso i provvedimenti disposti dal decreto legislativo del Duce.
Trascorsi due mesi, in data 13 giugno 1944, non essendo uscita la preannunciata ordinanza, la Prefettura, chiamata a risolvere sempre nuovi casi, insistette per una risoluzione della questione.
Il Consiglio dei Ministri aveva anche dato facoltà ai Capi delle provincie di autorizzare il pagamento totale o parziale agli appartenenti alla razza ebraica di alcuni cespiti quali pensioni mensili, vitalizi, indennità di licenziamento, allo scopo di concedere i mezzi strettamente indispensabili per i bisogni alimentari. Urgeva una sollecita definizione anche per ragioni di umanità".
Continua la testimonianza del dott. Coceani: "Fu sollecitata invano una risposta. Il ministro degli Interni aveva disposto che gli ebrei italiani e stranieri venissero assegnati a campo di concentramento, esclusi gli ammalati gravi e i vecchi. Con ulteriori disposizioni, furono esplicitamente esclusi gli ebrei di famiglia mista, compresi gli ebrei stranieri coniugati con nazionali ariani, o di qualsiasi nazionalità fossero originari coloro che avevano ottenuto formale dichiarazione di non appartenere alla razza ebraica. La polizia tedesco, non rispettando nè la legge italiana, nè la legge di Norimberga, a suo arbitrio eseguì arresti e deportazioni in massa. Alla fine di marzo 1944 catturò un centinaio di ebrei negli ospedali. La notizia di questa razzia suscitò un senso di riprovazione. Se ne fece interprete il vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, con questa lettera inviata al Prefetto: "Ieri sera la polizia germanica ha prelevato dall'Ospedale Regina Elena, da quello psichiatrico e dalla sezione dei cronici, tutti gli ammalati e i vecchi ebraici. Le scene che si sono svolte non sembrano neppure possibili. In quei luoghi di pietà e di dolore è entrata una ventata disumana e violenta, che ha lasciato in tutti i sofferenti l'impressione più penosa e rivoltante. La città tutta ne è nauseata. Sono state prese anche persone che non sono affatto ebree o che la legge non considera tali. Tutti si chiedono dove finiranno questi dolenti. Parenti e amici dei colpiti sono venuti anche da me perchè mi interessassi della loro sorte. Se sapessi che un mio intervento potesse avere anche la più piccola probabilità di ottenere qualche risultato non mi darei pace. Ma so a che cosa approdano le mie comunicazioni. Io vi prego, perciò, Eccellenza di far sentire d'urgenza alle autorità del Commissariato e a quelle della polizia, il senso di rivolta della cittadinanza tutta senza distinzione," (continua)
Nell'immagine: "Gli ebrei sono la nostra calamità"
PARTE TRENTADUESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
Continua monsignor Antonio Santin: "Anche i barbari si fermano davanti al malato dolente. Con questi sistemi si scavano nuovi abissi, non si creano le condizioni necessarie alla comprensione tra i popoli.
Io prego voi, Eccellenza, che tutelate gli interessi della popolazione, di rendervi interprete della stessa e di voler intervenire energicamente a favore di questi infelici.
Non ho nessuna difficoltà che questa mia lettera sia conosciuta alle autorità germaniche, se essa può comunque giovare".
Il prefetto espresse al consulente germanico il biasimo unanime per queste operazioni di polizia e il senso di disagio della popolazione; gli disse e gli scrisse che anche il vescovo, angosciato, lo aveva pregato di manifestare il suo sdegno. Non consegnò la lettera per non creare al fiero presule maggiori fastidi.
Di fronte alle misure di polizia, le autorità civili tedesche avevano già dimostrato la loro impotenza e nella questione riguardante gli ebrei avevano ancora minore forza.
Le più strane vociferazioni correvano in città sulla sorte degli ebrei. Che venissero condotti alla pilatura del riso, in un casermone isolato nei pressi di San Saba, corrispondeva al vero. Che venissero trasportati in carri ferroviari piombati in lontani campi di concentramento, era accertato. Che qualcuno, vecchio e malandato, inetto a sopportare tanti disagi, fosse deceduto durante il viaggio, era pure provato. Tra questi, l'insigne pittore triestino Gino Parin. Che dalla pilatura molti non uscissero più o di notte fossero fucilati e cadaveri cremati, era credenza diffusa.
C'era chi diceva di avere udito delle grida strazianti nella notte e di avere visto le fumate del forno crematorio. Vero è che difficilmente degli arrestati la polizia dava notizia e ogni tanto si apprendeva che qualcuno era scomparso dalla circolazione.
Gli ebrei più ricchi erano partiti da Trieste sin dall'inizio della guerra per la lontana America. Moltissimi per altre città italiane, dove vivevano sotto falso nome. A Roma, la colonia ebraica triestina era numerosa. Altri si tenevano nascosti in città e uscivano di casa con molta circospezione. Ricomparvero, alquanto baldanzosi, nel periodo badogliano per eclissarsi nuovamente all'arrivo delle truppe tedesche.
Più che in qualsiasi altra città italiana era alto il numero degli ebrei domiciliati a Trieste, e numerosi i matrimoni tra ebrei e ariani, la maggior parte appartenenti al ceto medio e alla categoria dei professionisti. Nella stragrande maggioranza non avevano dimostrato sentimenti avversi all'Italia.
Sotto la dominazione austriaca molti furono ferventi irredentisti e si acquistarono benemerenze nel movimento nazionale, da Giuseppe Revere a Giacomo Venezian, combattente nell'assedio di Roma del '48, da Moisè Luuzzatto a Massimo Levi che innalzò a potenza mondiale le "Assicurazioni Generali Venezia".
Non si può cancellare dalla storia irredentistica di Trieste il quarto di secolo in cui Felice Venezian, dal 1883 al 1908. anno della sua morte, diresse, con grande coscienza di italiano, la politica adriatica. Non pochi parteciparono alla guerra di Redenzione. Ebbe la medaglia d'oro Giacomo Venezian, professore di diritto all'Università di Bologna, morto come volontario per il riscatto della sua Trieste.
La comunione dei sentimenti politici facilitò i connubi tra ebrei e cattolici nelle famiglie più devote alla Patria. Perciò a Trieste, più che altrove l'estensione delle leggi razziali fu causa di sconvolgimenti e di tragedie e si allargò l'ostilità contro Hitler e di riflesso contro Mussolini.
Continua l'interessante testimonianza del Dott. Coceani:
"Nel mese di agosto 1944 ci fu una recrudescenza di misure persecutorie contro gli ebrei. Il 25 la polizia tedesca arrestò la madre di Carlo e Giani Stuparich di quasi 80 anni, di origine ebraica, madre di due medaglie d'Oro della guerra di Redenzione. Venne per primo a darmi la notizia Guido Slapater. Presi subito accordi con il vescovo e il podestà di Trieste per un passo collegiale presso il Supremo commissariato, affinchè la protesta assumesse maggiore solennità.
Il 28 agosto 1944 fummo ricevuti dal dott. Wolsegger al quale consegnai la seguente nota: "Era mio desiderio già da tempo di presentarvi alcune mie considerazioni sulla situazione della provincia, ma un arresto, che ha provocato una grande commozione in città, mi ha spinto ad affrettare questo colloquio. La presenza del vescovo e del podestà di Trieste vi dicono quale angoscia turba gli animi di tutti gli italiani. Venerdì mattina la polizia tedesca ha arrestato la signora Gisella Stuparich, vecchia quasi ottantenne, madre di due medaglie d'oro, Carlo e Giani Stuparich. Il primo cadde eroicamente sul Monte Cengio, il secondo ritornò a Trieste, dove da 25 anni vive lontano dalla politica, solo dedito alle sue opere, che gli hanno dato rinomanza nazionale e fuori dall'Italia, e al culto della madre inconsolabile. La madre è di origine ebraica, ma sposò un ariano ed educò, con grande sacrificio e cristianamente, i figli insegnando loro che la vita ha valore se è conquista quotidiana di bene. Educato a questa morale, il figlio ha seguito la madre in prigione per assisterla nell'ora tremenda. All'età che ha, ammalata com'è, non può nuocere a nessuno. Il suo arresto nuoce all'armonia dei rapporti tra le forze tedesche e la popolazione italiana, e crea una vittima che può pesare". (continua)
PARTE TRENTACINQUESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
Camerati, il saggio di Giorgio Pisanò termina con la frase qui sopra riportata, io ringrazio chi mi ha seguito,fiducioso di avervi fornito delle notizie utili per rispondere adeguatamente a chi continua a confondere il comportamento dei nazisti verso gli ebrei con quello dei fascisti.
Con questo, non ho voluto sollevare dalle sue evidenti responsabilità il fascismo per le leggi razziali, che, anche considerando le motivazioni storiche che ne provocarono la promulgazione, furono comunque un atto deprecabile che non trova adeguata giustificazione con la nostra alleanza militare con la Germania di Hitler.
Ho voluto solamente evidenziare la differenza di come furono applicate quelle leggi infauste, da una parte i tedeschi con la loro crudelta' e intransigenza, dall'altra gli italiani con la loro storica umanità e con il loro altruismo.
Parecchi camerati mi hanno compreso ed elogiato, altri mi hanno dichiarato un traditore della causa, minacciandomi perfino di morte.Ovviamente le minacce di questi esaltati che si definiscono nazisti, ma in realtà sono dei poveri dementi sprovveduti, hanno lasciato il tempo che trovano.
Oggi esistono due correnti di pensiero contrarie al cosiddetto "Olocausto": il negazionismo e il revisionismo.
Il mio pensiero sul negazionismo è che non va neanche preso in considerazione: è semplicemente assurdo negare delle evidenze, come quelle che, grazie al camerata Giorgio Pisanò, vi ho raccontato in questi giorni. Ho avuto l'onore di conoscere personalmente Giorgio e di aver militato nel suo movimento "Fascismo e Libertà" e voi tutti lo conoscete tramite i suoi libri e la gestione della rivista "Candido" ereditata da Giovannino Guareschi. Le sue capacità giornalistiche, come la sua fede nel Fascismo (è stato uno dei "ragazzi" di Salò) mi porta a pensare che quello che ha scritto sia la verità.
Per il revisionismo, invece, sono d'accordo, è fin troppo evidente anche dai numeri degli ebrei morti, che ci troviamo di fronte a una grande mistificazione e che siamo lontani da verità storiche utili solo al sionismo operante e oppressore di interi popoli.
E' notorio come la guerra possa trasformare un tranquillo cittadino, un cosiddetto padre di famiglia, in uno spietato assassino, ma gli eccessi sanguinari e la violenza non si può addebitare solo ad una parte, quando sappiamo che gli Alleati, purtroppo vincitori militarmente della guerra, si sono macchiati di delitti forse più orrendi di quelli commessi dai nazisti.
Gesù Cristo disse: "Scagli la prima pietra chi è senza peccato" ebbene io credo che americani, inglesi, francesi e russi, e anche gli stessi ebrei, non abbiano le carte in regola per scagliare quella pietra.
L'argomento rimane aperto ai vostri commenti e ad altre recensioni, io resto a disposizione per ogni ulteriore chiarimento fosse necessario.
F I N E
Io prego voi, Eccellenza, che tutelate gli interessi della popolazione, di rendervi interprete della stessa e di voler intervenire energicamente a favore di questi infelici.
Non ho nessuna difficoltà che questa mia lettera sia conosciuta alle autorità germaniche, se essa può comunque giovare".
Il prefetto espresse al consulente germanico il biasimo unanime per queste operazioni di polizia e il senso di disagio della popolazione; gli disse e gli scrisse che anche il vescovo, angosciato, lo aveva pregato di manifestare il suo sdegno. Non consegnò la lettera per non creare al fiero presule maggiori fastidi.
Di fronte alle misure di polizia, le autorità civili tedesche avevano già dimostrato la loro impotenza e nella questione riguardante gli ebrei avevano ancora minore forza.
Le più strane vociferazioni correvano in città sulla sorte degli ebrei. Che venissero condotti alla pilatura del riso, in un casermone isolato nei pressi di San Saba, corrispondeva al vero. Che venissero trasportati in carri ferroviari piombati in lontani campi di concentramento, era accertato. Che qualcuno, vecchio e malandato, inetto a sopportare tanti disagi, fosse deceduto durante il viaggio, era pure provato. Tra questi, l'insigne pittore triestino Gino Parin. Che dalla pilatura molti non uscissero più o di notte fossero fucilati e cadaveri cremati, era credenza diffusa.
C'era chi diceva di avere udito delle grida strazianti nella notte e di avere visto le fumate del forno crematorio. Vero è che difficilmente degli arrestati la polizia dava notizia e ogni tanto si apprendeva che qualcuno era scomparso dalla circolazione.
Gli ebrei più ricchi erano partiti da Trieste sin dall'inizio della guerra per la lontana America. Moltissimi per altre città italiane, dove vivevano sotto falso nome. A Roma, la colonia ebraica triestina era numerosa. Altri si tenevano nascosti in città e uscivano di casa con molta circospezione. Ricomparvero, alquanto baldanzosi, nel periodo badogliano per eclissarsi nuovamente all'arrivo delle truppe tedesche.
Più che in qualsiasi altra città italiana era alto il numero degli ebrei domiciliati a Trieste, e numerosi i matrimoni tra ebrei e ariani, la maggior parte appartenenti al ceto medio e alla categoria dei professionisti. Nella stragrande maggioranza non avevano dimostrato sentimenti avversi all'Italia.
Sotto la dominazione austriaca molti furono ferventi irredentisti e si acquistarono benemerenze nel movimento nazionale, da Giuseppe Revere a Giacomo Venezian, combattente nell'assedio di Roma del '48, da Moisè Luuzzatto a Massimo Levi che innalzò a potenza mondiale le "Assicurazioni Generali Venezia".
Non si può cancellare dalla storia irredentistica di Trieste il quarto di secolo in cui Felice Venezian, dal 1883 al 1908. anno della sua morte, diresse, con grande coscienza di italiano, la politica adriatica. Non pochi parteciparono alla guerra di Redenzione. Ebbe la medaglia d'oro Giacomo Venezian, professore di diritto all'Università di Bologna, morto come volontario per il riscatto della sua Trieste.
La comunione dei sentimenti politici facilitò i connubi tra ebrei e cattolici nelle famiglie più devote alla Patria. Perciò a Trieste, più che altrove l'estensione delle leggi razziali fu causa di sconvolgimenti e di tragedie e si allargò l'ostilità contro Hitler e di riflesso contro Mussolini.
Continua l'interessante testimonianza del Dott. Coceani:
"Nel mese di agosto 1944 ci fu una recrudescenza di misure persecutorie contro gli ebrei. Il 25 la polizia tedesca arrestò la madre di Carlo e Giani Stuparich di quasi 80 anni, di origine ebraica, madre di due medaglie d'Oro della guerra di Redenzione. Venne per primo a darmi la notizia Guido Slapater. Presi subito accordi con il vescovo e il podestà di Trieste per un passo collegiale presso il Supremo commissariato, affinchè la protesta assumesse maggiore solennità.
Il 28 agosto 1944 fummo ricevuti dal dott. Wolsegger al quale consegnai la seguente nota: "Era mio desiderio già da tempo di presentarvi alcune mie considerazioni sulla situazione della provincia, ma un arresto, che ha provocato una grande commozione in città, mi ha spinto ad affrettare questo colloquio. La presenza del vescovo e del podestà di Trieste vi dicono quale angoscia turba gli animi di tutti gli italiani. Venerdì mattina la polizia tedesca ha arrestato la signora Gisella Stuparich, vecchia quasi ottantenne, madre di due medaglie d'oro, Carlo e Giani Stuparich. Il primo cadde eroicamente sul Monte Cengio, il secondo ritornò a Trieste, dove da 25 anni vive lontano dalla politica, solo dedito alle sue opere, che gli hanno dato rinomanza nazionale e fuori dall'Italia, e al culto della madre inconsolabile. La madre è di origine ebraica, ma sposò un ariano ed educò, con grande sacrificio e cristianamente, i figli insegnando loro che la vita ha valore se è conquista quotidiana di bene. Educato a questa morale, il figlio ha seguito la madre in prigione per assisterla nell'ora tremenda. All'età che ha, ammalata com'è, non può nuocere a nessuno. Il suo arresto nuoce all'armonia dei rapporti tra le forze tedesche e la popolazione italiana, e crea una vittima che può pesare". (continua)
PARTE TRENTATREESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
"Trieste lo considera un'offesa ai suoi sentimenti italiani. Il provvedimento non trova giustificazione che nella formalità della legge. Ma la legge più dura ha le sue eccezioni. Non è molto che il Supremo commissariato ha fatto appello alla solidarietà dei combattenti della passata guerra. Con questo arresto distrugge la sua parola e crea un abisso incolmabile. La Germania onora gli eroi. Onori questa nobilissima madre, liberandola dall'onta del carcere. Sarà un gesto di umanità e di saggia politica.
Non vi nascondo che questo nuovo fatto rende ancor più difficile la mia posizione di prefetto. Considererei grave colpa per me se non intercedessi e ottenessi che sia liberata la madre di due medaglie d'oro che non solo Trieste, ma tutta l'Italia onora. E' un peso che non posso sopportare. Invoco il vostro patrocinio e quello del Supremo commissariato anche a nome del vescovo e del podestà di Trieste, affinchè la legge non sia ciecamente applicata alla lettera, ma con spirito di alta giustizia".
Il dott. Wolsegger, visibilmente colpito, non potè non disapprovare il passo inconsiderato della polizia. Assicurò formalmente che si sarebbe interessato per la scarcerazione, dando prova di probità e di coraggio, che non era allora cosa priva di rischi intromettersi nelle faccende razziali......
Il giorno dopo nel pomeriggio, il dott. Wolsegger mi telefonò per darmi la buona notizia che "tutto era a posto".
Il 31 agosto a mezzogiorno, Giani Stuparich assieme alla madre e alla moglie fu liberato.
Questa è la testimonianza del Dott. Coceani.
In ogni città vi furono esponenti e funzionari della R.S.I. che si giocarono la vita per salvare gli ebrei. Valga per tutti la storia del Dott: Giovanni Palatucci, funzionario della Questura di Fiume durante la Repubblica Sociale Italiana.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale a Fiume vivevano circa 1.500 ebrei i quali, malgrado le "leggi razziali" del 1938, avevano continuato nella più assoluta tranquillità a svolgere le loro normali occupazioni senza subire restrizioni di sorta.
Ma la situazione degli ebrei fiumani cambiò bruscamente dopo l'8 settembre, allorchè, con la creazione del "Litorale adriatico" e con l'arrivo delle truppe germaniche di occupazione, si determinarono i presupposti per una violenta repressione. Ormai si profilava, in tutta la sua agghiacciante realtà, la deportazione in massa della comunità ebraica nei lager della Polonia.
Per evitare n simile provvedimento, le autorità repubblicane, spronate e sostenute continuamente dalle massime autorità della R.S.I., si organizzarono subito in difesa della comunità ebraica.
Protagonista principale di questa difficile e delicata operazione di salvataggio fu il commissario-capo di P.S. Dott: Giobanni Palatucci che, per le sue funzioni ufficiali e la sua esatta conoscenza del problema ebraico giuliano in quanto era stato per diversi anni responsabile dell'Ufficio Stranieri della Questura, era la persona più indicata per opporsi con efficacia ai propositi delle SS.
La prima azione di Palatucci fu di procedere alla sistematica e radicale distruzione di tutto il materiale documentario riguardante gli ebrei e giacente presso i vari uffici della Questura. Ogni traccia riferentesi agli ebrei fiumani venne così fatta sparire, con il risultato di bloccare qualsiasi tentativo, da parte delle SS, di elaborare delle liste di "proscrizione".
Subito dopo, la Questura ingiunse all'ufficio anagrafico del Comune di non rilasciare alcun documento riguardante i cittadini di razza ebraica senza aver prima informato le autorità repubblicane.
Con questa disposizione, la Questura si mise nelle condizioni di conoscere con un certo anticipo le mosse delle SS e di paralizzarne, con opportune contromisure, i provvedimenti repressivi, anche avvertendo gli interessati del pericolo che li sovrastava.
Ottenuti così, con questi provvedimenti interni, un certo margine di manovra, il dottor Palatucci organizzò l'esodo dalla città di tutti gli ebrei conosciuti come tali.
Tra il gennaio e il luglio 1944 almeno 1000 ebrei, uomini, donne e bambini, muniti di documenti d'identità falsi, furono evacuati da Fiume e smistati nelle località dell'interno dove il controllo dell'apparato germanico di sicurezza era particolarmente debole.
Quando, alla fine di agosto 1944, la centrale berlinese incaricata della "soluzione finale" diede disposizioni al comando tedesco di Fiume di procedere al rastrellamento degli ebrei per deportarli nei lager, le SS non poterono procedere per mancanza di "materia prima".
Gli ebrei fiumani erano tutti "scomparsi". (continua)
Non vi nascondo che questo nuovo fatto rende ancor più difficile la mia posizione di prefetto. Considererei grave colpa per me se non intercedessi e ottenessi che sia liberata la madre di due medaglie d'oro che non solo Trieste, ma tutta l'Italia onora. E' un peso che non posso sopportare. Invoco il vostro patrocinio e quello del Supremo commissariato anche a nome del vescovo e del podestà di Trieste, affinchè la legge non sia ciecamente applicata alla lettera, ma con spirito di alta giustizia".
Il dott. Wolsegger, visibilmente colpito, non potè non disapprovare il passo inconsiderato della polizia. Assicurò formalmente che si sarebbe interessato per la scarcerazione, dando prova di probità e di coraggio, che non era allora cosa priva di rischi intromettersi nelle faccende razziali......
Il giorno dopo nel pomeriggio, il dott. Wolsegger mi telefonò per darmi la buona notizia che "tutto era a posto".
Il 31 agosto a mezzogiorno, Giani Stuparich assieme alla madre e alla moglie fu liberato.
Questa è la testimonianza del Dott. Coceani.
In ogni città vi furono esponenti e funzionari della R.S.I. che si giocarono la vita per salvare gli ebrei. Valga per tutti la storia del Dott: Giovanni Palatucci, funzionario della Questura di Fiume durante la Repubblica Sociale Italiana.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale a Fiume vivevano circa 1.500 ebrei i quali, malgrado le "leggi razziali" del 1938, avevano continuato nella più assoluta tranquillità a svolgere le loro normali occupazioni senza subire restrizioni di sorta.
Ma la situazione degli ebrei fiumani cambiò bruscamente dopo l'8 settembre, allorchè, con la creazione del "Litorale adriatico" e con l'arrivo delle truppe germaniche di occupazione, si determinarono i presupposti per una violenta repressione. Ormai si profilava, in tutta la sua agghiacciante realtà, la deportazione in massa della comunità ebraica nei lager della Polonia.
Per evitare n simile provvedimento, le autorità repubblicane, spronate e sostenute continuamente dalle massime autorità della R.S.I., si organizzarono subito in difesa della comunità ebraica.
Protagonista principale di questa difficile e delicata operazione di salvataggio fu il commissario-capo di P.S. Dott: Giobanni Palatucci che, per le sue funzioni ufficiali e la sua esatta conoscenza del problema ebraico giuliano in quanto era stato per diversi anni responsabile dell'Ufficio Stranieri della Questura, era la persona più indicata per opporsi con efficacia ai propositi delle SS.
La prima azione di Palatucci fu di procedere alla sistematica e radicale distruzione di tutto il materiale documentario riguardante gli ebrei e giacente presso i vari uffici della Questura. Ogni traccia riferentesi agli ebrei fiumani venne così fatta sparire, con il risultato di bloccare qualsiasi tentativo, da parte delle SS, di elaborare delle liste di "proscrizione".
Subito dopo, la Questura ingiunse all'ufficio anagrafico del Comune di non rilasciare alcun documento riguardante i cittadini di razza ebraica senza aver prima informato le autorità repubblicane.
Con questa disposizione, la Questura si mise nelle condizioni di conoscere con un certo anticipo le mosse delle SS e di paralizzarne, con opportune contromisure, i provvedimenti repressivi, anche avvertendo gli interessati del pericolo che li sovrastava.
Ottenuti così, con questi provvedimenti interni, un certo margine di manovra, il dottor Palatucci organizzò l'esodo dalla città di tutti gli ebrei conosciuti come tali.
Tra il gennaio e il luglio 1944 almeno 1000 ebrei, uomini, donne e bambini, muniti di documenti d'identità falsi, furono evacuati da Fiume e smistati nelle località dell'interno dove il controllo dell'apparato germanico di sicurezza era particolarmente debole.
Quando, alla fine di agosto 1944, la centrale berlinese incaricata della "soluzione finale" diede disposizioni al comando tedesco di Fiume di procedere al rastrellamento degli ebrei per deportarli nei lager, le SS non poterono procedere per mancanza di "materia prima".
Gli ebrei fiumani erano tutti "scomparsi". (continua)
PARTE TRENTAQUATTRESIMA NOI FASCISTI E GLI
EBREI - PARTE TRENTAQUATTRESIMA
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
Il capitano
delle SS Hoepner che aveva ricevuto l'incarico di organizzare il
"trasporto", si vide giocato dai camerati fascisti e decise di
vendicarsi. Individuato nel dottor Palatucci l'anima dell'operazione,
procedette al suo arresto, accusandolo di essersi piegato alla congiura ebraica
per "brama di oro".Il dottor Palatucci venne immediatamente deportato
nel campo di concentramento di Dachau il 13 settembre 1944. Il 13 aprile 1945,
mentre il lager stava per essere raggiunto dalle truppe alleate, l'eroico
funzionario di polizia venne abbattuto a colpi di mitra.Alla sua memoria, lo
Stato di Israele ha dedicato una via di Tel Aviv. Questi fatti provano in
maniera evidente l'opposizione delle autorità italiane all'operato inumano dei
nazisti.E' importante sapere che non appena la Repubblica Sociale Italiana fu
in grado di controllare la situazione, i tedeschi furono costretti a cessare le
razzie e i massacri, come quello dei sedici ebrei compiuto sul Lago Maggiore, a
Meina, nell'ottobre 1943. Precisiamo anche che, a guerra finita, nessun
fascista repubblicano venne condannato per aver partecipato a razzie o a
uccisioni di ebrei.Un'ampia documentazione su questo fu pubblicata dallo
scrittore "socialista" Carlo Silvestri nel suo libro "Mussolini,
Graziani e l'antifascismo (Longanesi, 1947).Il Silvestri raccontò, tra l'altro,
che Mussolini si preoccupò fino all'ultimo della sorte degli ebrei. Ancora il
19 aprile 1945, nove giorni prima di essere appeso per i piedi a Piazza Loreto,
Mussolini, saputo che le SS avevano arrestato l'israelita dottor Tommaso Solci,
di Mantova e suo figlio Giorgio, perchè appartenenti al Partito d'Azione
(arrestati, sia detto per inciso, per delazione di un loro compagno di lotta),
riuscì a farli liberare.Un uguale intervento salvò la vita al dottor Mario
Paggi, pure lui israelita, liberale, denunciato alle SS da alcuni suoi compagni
di partito.Ma non basta: durante tutto il periodo della R.S.I, un intero gruppo
ebraico, quello dell'avvocato Del Vecchio di Milano, visse nascosto nel palazzo
della Prefettura milanese, sotto la protezione di Piero Parini e con il pieno
consenso di Mussolini.Va anche ricordato che, a guerra finita, l'avvocato Del
Vecchio volle sdebitarsi difendendo Piero Parini con una commovente arringa
alla Corte d'Assise Straordinaria. (continua con l'ultima parte)
LA SORTE DEGLI EBREI ITALIANI -
E' EVIDENTE, QUINDI, SULLA BASE DELLA DOCUMENTAZIONE CHE VI ABBIAMO PRESENTATO IN QUESTA PAGINA, CHE E' STORICAMENTE FALSO ATTRIBUIRE A MUSSOLINI E AL FASCISMO REPUBBLICANO DELLE RESPONSABILITA' E DELLE COMPLICITA' IN MERITO ALLA PERSECUZIONE CONDOTTA DAI TEDESCHI NEI CONFRONTI DEGLI EBREI.
Camerati, il saggio di Giorgio Pisanò termina con la frase qui sopra riportata, io ringrazio chi mi ha seguito,fiducioso di avervi fornito delle notizie utili per rispondere adeguatamente a chi continua a confondere il comportamento dei nazisti verso gli ebrei con quello dei fascisti.
Con questo, non ho voluto sollevare dalle sue evidenti responsabilità il fascismo per le leggi razziali, che, anche considerando le motivazioni storiche che ne provocarono la promulgazione, furono comunque un atto deprecabile che non trova adeguata giustificazione con la nostra alleanza militare con la Germania di Hitler.
Ho voluto solamente evidenziare la differenza di come furono applicate quelle leggi infauste, da una parte i tedeschi con la loro crudelta' e intransigenza, dall'altra gli italiani con la loro storica umanità e con il loro altruismo.
Parecchi camerati mi hanno compreso ed elogiato, altri mi hanno dichiarato un traditore della causa, minacciandomi perfino di morte.Ovviamente le minacce di questi esaltati che si definiscono nazisti, ma in realtà sono dei poveri dementi sprovveduti, hanno lasciato il tempo che trovano.
Oggi esistono due correnti di pensiero contrarie al cosiddetto "Olocausto": il negazionismo e il revisionismo.
Il mio pensiero sul negazionismo è che non va neanche preso in considerazione: è semplicemente assurdo negare delle evidenze, come quelle che, grazie al camerata Giorgio Pisanò, vi ho raccontato in questi giorni. Ho avuto l'onore di conoscere personalmente Giorgio e di aver militato nel suo movimento "Fascismo e Libertà" e voi tutti lo conoscete tramite i suoi libri e la gestione della rivista "Candido" ereditata da Giovannino Guareschi. Le sue capacità giornalistiche, come la sua fede nel Fascismo (è stato uno dei "ragazzi" di Salò) mi porta a pensare che quello che ha scritto sia la verità.
Per il revisionismo, invece, sono d'accordo, è fin troppo evidente anche dai numeri degli ebrei morti, che ci troviamo di fronte a una grande mistificazione e che siamo lontani da verità storiche utili solo al sionismo operante e oppressore di interi popoli.
E' notorio come la guerra possa trasformare un tranquillo cittadino, un cosiddetto padre di famiglia, in uno spietato assassino, ma gli eccessi sanguinari e la violenza non si può addebitare solo ad una parte, quando sappiamo che gli Alleati, purtroppo vincitori militarmente della guerra, si sono macchiati di delitti forse più orrendi di quelli commessi dai nazisti.
Gesù Cristo disse: "Scagli la prima pietra chi è senza peccato" ebbene io credo che americani, inglesi, francesi e russi, e anche gli stessi ebrei, non abbiano le carte in regola per scagliare quella pietra.
L'argomento rimane aperto ai vostri commenti e ad altre recensioni, io resto a disposizione per ogni ulteriore chiarimento fosse necessario.
F I N E
Alexander Stille: 1 ebreo su 3 era fascista e aderì al PNF
RispondiEliminahttp://winstonsmithministryoftruth.blogspot.it/2010/11/italian-jewish-fascists_14.html
Con buona pace di Pacifici, Saviano e DiCesare.
E se non gli va possono denunciarlo, citarlo per danni e chiedere il ritiro del libro.
Non parliamo poi del missinista Caradonna che, discutendo della introduzione della Legge Mancino coi suoi alleati comunisti radicali e democratici vari, si vantava delle sue amicizie ebraiche http://www.lulu.com/shop/m-da/la-legge-mancino/paperback/product-22336029.html
RispondiEliminaCondivido MDA
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