Molti anni fa, l'ex tenente della Decima
Mas, Walter Annichiarico, in arte Walter Chiari, si fece scappare una azzardata
battuta che dovette poi pagare con anni di ostracismo anifascista.
Disse, il
povero Walter, che “quando appesero per i piedi la Buonanima, dalle tasche di
Benito non cadde nemmeno una monetina e che se i nuovi reggitori d'Italia
avessero subito la stessa sorte chissà cosa sarebbe uscito dai portafogli di
lorsignori “.
L'onestà del Duce nessuno ha mai osato
contestarla.
E' uno storico di matrice socialista, Silvio Bertoldi, che lo
ammette. "Mussolini non tradì cupidigia d denaro...egli non mostrò mai
interesse alla ricchezza: e non si può contestare che un uomo che ebbe come lui
in mano per vent'anni una nazione, e che non subì alcun controllo in nessun
campo, avrebbe avuto facoltà, pur che avesse voluto, di costruirsi una
fortuna..Invece quando morì, alla vedova non lasciò praticamente nulla, la già
citata villa Carpena e una casetta a Riccione, e basta; e la sua famiglia uscì
netta da qualsiasi indagine della commissione per gli illeciti
arrichimenti".
1) Prima della morte, a Gargnano, viveva in povertà
certosina. Giovanni Dolfin racconta che non volle accettare nemmeno lo
stipendio di capo della RSI, dicendogli: "Ma di che cosa ho bisogno io,
ormai? Mangiare, non mangio più nulla. Vestiti non me ne occorrono. Cento lire
al giorno mi bastano". Quinto Navarra, il fedele e pettegolo
cameriere, testimonia che nei due anni di permenenza sul Garda, si comprò solo
due paia di stivali e, per gli abiti, mandò a stringere da un sarto quelli che
aveva per non comprarne di altri.
2) Chiavolini, suo segretario particolare,
narra che dovendo il Duce venire a Roma da Milano ed alloggiare in albergo,
prese con sè venti biglietti da dieci lire ed era turbatissimo poichè pensava
di avere addosso un patrimonio. Come si sa, per tutta la durata del Regime, non
prese mai lo stipendio di Primo Ministro e viveva scrivendo articoli sulla
stampa estera. Lo conferma anche Nicola De Cesare, che fu suo segretario dal
'41 al '43, il quale aggiunge: "Tutti i denari che gli pervenivano come
lasciti, elargizioni e altro, li consegnava a me perchè li amministrassi.
Andavano, fino all'ultima lira, in sussidi e beneficenza. Distribuivamo circa
diciotto milioni di sussidi all'anno, milioni di allora".
3) Dice ancora Bertoldi esser assodato che
Mussolini "non tenesse in molto conto il denaro, che addirittura ne
conoscesse male il valore, che non cedesse alle lusinghe della ricchezza, che
per sè si è sempre accontentato di poco". E sapete come Mussolini
utilizzava i cosiddetti "fondi di polizia"? "Adoperava quei
denari per finanaziare lavori straordinari e impegnarvi mano d'opera
disoccupata e in sussidi a povera gente che arrivava fin da lui per domandargli
soccorso".
4) Proprio come è successo dopo, con Scotti, Scafaro,
Mancino e democristiani viminaleschi vari.
Ma era una caratteristica di Mussolini,
tutta sua, personale, quella del piacere dell'onestà che fatalmente conduce al
dovere della povertà? No, è l'essenza esistenziale del fascismo.
Questo "male del secolo" non sarebbe tale se non fosse incarnato in una diversità "antropologica" rispetto alla mentalità borghese e all'"ideologia" amerikana.
E non c'è maggior verifica se non quella del sacrificio personale, della rinuncia volontaria, della testimonianza umana di saper vivere una vita di valori rifiutando il ricatto del Dio Denaro. E' sempre, eternamente, ogni giorno, la guerra del sangue contro l'oro, dello spirito contro lo "sterco del diavolo".
Questo "male del secolo" non sarebbe tale se non fosse incarnato in una diversità "antropologica" rispetto alla mentalità borghese e all'"ideologia" amerikana.
E non c'è maggior verifica se non quella del sacrificio personale, della rinuncia volontaria, della testimonianza umana di saper vivere una vita di valori rifiutando il ricatto del Dio Denaro. E' sempre, eternamente, ogni giorno, la guerra del sangue contro l'oro, dello spirito contro lo "sterco del diavolo".
Una generazione di
"fascisti" o "parafascisti" è morta disprezzando il denaro
e la ricchezza.
E' stata l'ultima grande lezione di vita di una schiatta umana eroica, alternativa all'homo oeconomicus.
E' stata l'ultima grande lezione di vita di una schiatta umana eroica, alternativa all'homo oeconomicus.
Gabriele D'Annunzio, il Vate, è noto per
essere stato uno spendaccione incedibile, indebitato per tutta la vita,
assolutamente incosciente del valore dei soldi. Tutta una vita vissuta tra
miseria e nobiltà. Quando Mussolini gli finanziò i lavori del Vittoriale, fece
scrivere sul suo ingresso "Io ho quel che ho donato" e regalò
la villa all'Italia.
5) Marinetti non era da meno. In un
quarto di secolo era riuscito a dissolvere completamente il cospicuo patrimonio
multimiliardario ereditato dal padre, rimanendo sul lastrico. I soldi li aveva
spesi tutti in offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo
movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da saveva spesi tutti in offerte
incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo movimento oltre che in
viaggi e a stamparsi da saveva spesi tutti in offerte incredibili a pittori e
artisti vari vicini al suo movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da
saveva spesi tutti in offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al
suo movimento oltre che in viaggi e a stamparsi da saveva spesi tutti in
offerte incredibili a pittori e artisti vari vicini al suo movimento oltre che
in viaggi e a stamparsi da sMarinetti, si faceva più scrpolo del marito ad
accettare quei soldi e scrisse a Morgagni che, in tempo di guerra, "tra
il sentimento materno e la disciplina patriottica" essa esitava a
prendere quei soldi. Il vecchio Marinetti aveva ormai 66 anni, ma gli aprvero
sufficienti per andare ad arruolarsi volontario sul fronte russo. Ritornò
malatissimo, per aderire alla RSI. Morì poco dopo in una modesta abitazione, il
cui affitto glielo pagava l'Ambasciatore giapponese Hidaka, dal momento che
morì come visse: sempre con le tasche vuote.
6) Di Achille Starace, il "cretino
ubbidiente" più potente d'Italia dopo il Duce, scrive Bruno Gatta che,
durante la RSI, "conduceva a Milano una vita da sbandato. ..I
familiari, di tanto in tanto, gli facevano trovare in portineria un piatto di
minestra...Viveva in una piccola stanzetta e frequentava la mensa colletiva di
guerra istituita dal Comune. Si metteva disciplinatamente in coda nella fila
sempre molto lunga e aspettava il suo turno". Indossava sempre una
tuta blù da ginnastica (che costituiva tutto il suo guardaroba) e lo uccisero
così, nella sua nuda povertà, in piazza Loreto, con ai piedi delle scarpette di
tela, davanti al cadavere del suo Duce.
Carlo Alberto Biggini, per anni Ministro
dell'Educazione Nazionale, uomo sensibilissimo e colto, morì povero in
clandestinità alla fine del '45. Antonio Segni, che negli Anni Trenta, era
stato suo collega come docente all'Universtà di Sassari, dispose poi che alla
vedova Maria Bianca, rimasta senza alcun sostentamento per vivere, fosse dato
un piccolo assegno vitalizio, che Maria Bianca rifiutò optando per una misera
pensione sociale.
Bombacci, si sa, visse sempre in gravi
ristrettezze economiche, nonostante la sua intima amicizia con Mussolini, il
quale dovette faticare per fargli arrivare, di tanto in tanto, qualche piccolo
aiuto finanziario.
Angiolo Bencini, il direttore del Selvaggio,
per campare faceva il vinaio.
Uno scrittore come Marcello Gallian,
ammalatosi precocemente di nostalgismo squadrista, finì miseramente i suoi
giorni, vendendo clandestinamente sigarrette alla Stazione Termini di Roma.
Araldo Di Crollalanza, per tanti anni
Ministro dei Lavori Pubblici, nel dopoguerra, per sbarcare il lunario, dovette
mettersi a fare il rappresentante di libri e bussare di porta in porta.
La Commissione provinciale per le
sanzioni contro il fascismo, il 19 maggio 1947, nel giudicare Giuseppe Caradonna,
il ras di Capitanata, scriveva: "il suo disinteresse vien messo in
evidenza dal fatto che egli ha preferito sempre sostenere le ragioni del povero
contro il ricco, del debole contro il forte, dell'umile contro il
prepotente".
Ed a Piacenza, il ras degli squadristi,
Bernardo Barbiellini Amidei, veniva chimato il "conte rosso"
per le sue strenue battaglie in difesa dei poveri e degli emarginati. Un'altra
razza, un'altra Italia.
Un male del secolo, il fascismo, un male
universale. Alcuni anni fa, in una intervista televisiva, Ileana
Codreanu, la moglie del Capitano romeno, raccontò di Corneliu: "Era
molto caritatevole con tutte le persone povere. Quando si procurava del
denaro, prima lo divideva tra coloro cui intendeva donarlo, poi tornava
a casa con quello che gli era rimasto. Se non gli rimaneva nulla, si rivoltava
le fodere delle tasche e diceva: 'Non ho niente. Non ho più niente. Tutto
quello che avevo l'ho già distribuito'. Davanti a dichiarazioni di questo
genere, che potevo dire? Non c'era niente da dire. Dovevi accettare, e
basta".
Simone Mittre narra che il dottor
Louis-Ferdinand Destouches, in arte Celine, la presenza più
"terribile" e inquietante della cultura "fascista"
(comunque il più grande scrittore che io conosca) a Sigmaringen "s'installò
con la moglie in una stanza minuscola, senza comfort, con un vetro alla
finestra rotto, e faceva un freddo glaciale. In quella stanzuccia e sul proprio
letto egli riceveva, esaminava e curava gli ammalati. La miseria era grande;
alcuni, costretti a dormire sotto le tende, o nell'atrio delle stazioni,
avevano contratto la scabbia. Celine curava tutti senza far distinzioni.
Indipendente per natura, faceva soltanto quel che gli suggeriva il cuore,
incurante del proprio interesse e dei commenti della gente. Se lo chiamavano di
notte, partiva con la neve alta, e spesso per posti lontani, senza una
lampadina elettrica. E non domandava mai un centesimo a nessuno. Capace anche
d'andare ad acquistare lui stesso dal farmacista le medicine per i malati".
Finì i suoi giorni, quasi d'inedia, in una misera catapecchia alla periferia di
Parigi, in compagnia del suo cane Bebert.
E il Dopoguerra? Non fu certo
felice per i superstiti.
Augusto De Marsanich girava coi calzoni
rivoltati e Giorgio Almirante, dice Giancarlo Perna, "era l'uomo più
disinteressato della Terra. Non aveva mai una lira in tasca. Era magro come uno
stecchino, aveva la barba di due giorni e vestiva come un barbone. Viaggiava
con una Dauphine che doveva parcheggiare in discesa per poterla
riavviare". Erano ancora, tutti, dei refrattari alla modernità
economicistica e tutti "condizionati dalle economie arcaiche, dove la
prativa del dono era più importante e più frequente di quella del mercato"
come lucidamente osserva Giano Accame.
Poi...poi
tutto è cambiato. La tentazione parlamentare ha sostituito il cuore col
portafoglio e la Grande Meretrice democratica se li è portati quasi tutti
nell'inferno di Mammona.
Guardatelo bene, oggi, il "nuovo che
avanza". Ancora una volta, l'oro contro il sangue, con le trincee
rovesciate. Perchè tanti rinnegati e riciclati in Alleanza Nazionale, se non
per la brama del potere, del successo, dell'accumulo bancario?
E ci meravigliamo che la
sciocchina-nipotina Alessandra è coinvolta in Affittopoli andando ad abitare in
una appartamento di ben 120 metri quadrati, in via Nomentana, vicino a Villa
Torlonia, di proprietà pubblica, e pagando 350.000 lire al mese? Che gliene
frega all'ex modella di Playmen se il Nonno può anche rivoltarsi nella
tomba?
E ci stupiamo se a Bari l'on. Giuseppe
Tatarella vive in un appartamento dell'INA Casa, nella centralissima via Abate
Gimma?
E se lo stesso fa a Roma, il Segretario
Generale della Cisnal?
E ci scandalizziamo se anche il
Buontempo, che una volta conviveva con le pecore di Carunchio, oggi manda i
figli a studiare negli esclusivi colleges inglesi e di notte si tramuta
nel re del Gilda on the beach, abbrancato alle nobili e prosperose forme
di Giorgia Martini e Stafania Barberini?
O se il ricco Larussa mefistofelicamente
se la spassa in tutti i nights con personaggi eccelsi come Heather
Parisi e il trans Maurizia (o) Paradiso?
Non seguono anche loro l'esempio di Lady
Daniela Di Sotto in Fini, scatenata e scosciatissima danzatrice rock, oltre che
tatuatissima dark?
Pensate un po': da Donna Rachele a lady
Daniela, da Benito a lord Gianfranco, da "fascismo e povertà" ad
antifascismo e mangiatoia.
Aveva proprio torto Chamfort ad asserire
che "la società si divide in due grandi categorie: quelli che hanno più
pranzo che appetito e quelli che hanno più appetito che pranzi"?
Pino Tosca
Le “proprietà” del Duce
Mussolini di beni immobili
possedeva poco o nulla.
La Rocca delle Camminate gli era stata donata dalla
Provincia di Forlì,(in verità era stata donata dagli abitanti di Ravenna, che
l'avevano acquistata pagandola una lira pro-capite-) mentre una modesta
villetta a Riccione se l'era comprata con i risparmi dei suoi articoli e
la Villa Carpena era stata acquistata dalla moglie Rachele in anni lontani con
i propri risparmi.
Il Duce non riscosse mai lo stipendio da Primo ministro, al
contrario dei suoi successori del dopoguerra, che non solo lo presero, ma quasi
tutti lo cumularono con quello di dipendente dello Stato,(docente
universitario, magistrato,ecc) essendosi messi tutti prudentemente in
aspettativa.
Il suo ultimo segretario , Nicolò De Cesare, testimoniò:
"Ritirava soltanto l'dennità di deputato e la consegnava a me. Io avevo
l'incarico di investirla in Buoni del Tesoro. L'importo di quelle economie,
alla vigilia del 25 aprile 1945, dopo 23 anni di potere, consisteva in un
milione e cinquecento mila lire, depositate presso la Banca d'Italia di
Brescia. Per il periodo che gli sono stato a fianco, posso assicurare che
viveva degli introiti del “Popolo d'Italia,” versati due volte all'anno
dall'amministratore del giornale, Barella.
Le altre sue entrate provenivano da
articoli per la stampa estera, specie quella americana, pagati
profumatamente.
Tutti i denari che gli pervenivano da lasciti, elargizioni e
simili li consegnava a me, perchè li amministrassi.
Andavano tutti fino
all'ultima lira in beneficenza. Distribuivamo circa diciotto milioni di sussidi
all'anno, diciotto milioni d'allora."
Un'idea precisa dei beni liquidi
di Mussolini la si può ricavare dalle carte della segreteria personale del
Duce, conservate all'Archivio di Stato. In esse figura un prospetto della
situazione preparato in occasione della loro consegna, durante il governo
Badoglio, al figlio Vittorio :
"Lire 431. 308,30 in contanti;
500.000, assegno bancario
n°43/109259 del Banco di Roma;
100.000, quattro ricevute
provvisorie della Banca d'Italia(n.274),del Banco di Sicilia(n.142),del Banco
di Napoli(N.457) e dell'Istituto di Credito delle Casse di Risparmio
Italiane(n.10) di lire 25.000 ciascuna relative alla sottoscrizione in buoni
del tesoro quinquennali 5% 1948;
4.000.000, quaranta cartelle di
lire centomila ciascuna di BTN 1949 con cedola scadente il 15 febbraio 1944;
1.000.000, dieci cartelle da
centomila ciascuna di BTN 1950 (1.a emissione) con cedola scadenza 15 febbraio
1944;
900.000, nove cartelle da
centomila ciascuna di BTN 1950 (2.a emissione) con cedola scadenza 15 marzo
1944;
700.000,sei cartelle da
centomila ciascuna e due cartelle da cinquantamila ciascuna di BTN 1951
5% con cedola scadenza 15 aprile 1944;
500.000,cinque cartelle da
centomila ciascuna di BTN 4%1951 con cedola scadenza 15 marzo 1944;
500.000 con una ricevuta
provvisoria della Banca d'Italia (n. 49) per altrettante nominali sottoscritte
in buoni del tesoro quinquennali 5% 1948;
25.000 cinque obbligazioni del
PNF per la costruenda casa Littoria , di lire 5000 ciascuna , 5% con cedola
scadenza 1 ottobre 1943;
10.000 ricevuta provvisoria
della Soc. An. Cooperativa Edificatrice di abitazione per gli operai di Como
(n. 4277) per altrettante nominali sottoscritte"
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