Bruno De Padova
A Genova, nella dominante piazza De
Ferrari, allorché il 2° conflitto mondiale in Europa volgeva ormai alla tragica
conclusione deliberata a Yalta da J. Stalin, F. D. Roosvelt e W. Churchill che
imponeva al "vecchio Continente" la sua assoggettazione alla della
plutocrazia anglo-statunitense e al servaggio delle mistificazioni del marxismo
(quindi, la sottomissione alle false ordalie che vollero l’eccidio di Giulino
di Mezz’egra e di Dongo sino all’autentico "male assoluto" di
piazzale Loreto a Milano) per abbattere il più avanzato progetto d’equilibrio
civile e sociale approntato dal Fascismo a tutela dei diritti dell’Uomo anche
mediante l’effettiva collaborazione tra gli imprenditori e ogni altra categoria
di produttori, il 15 marzo 1945 quell’eccezionale oratore vivificato da Nicola
Bombacci illustrò ad una folla di oltre tremila persone (una moltitudine – in
quei momenti tormentati dai bombardamenti nemici – composta principalmente
dagli operai delle industrie navali del principale porto dell’Italia
settentrionale insieme a quelli delle fabbriche siderurgiche e meccaniche delle
delegazioni popolari di Sampierdarena, di Cornigliano, di Sestri Ponente, di
Pegli e di Voltri, nonché della Valbisagno e della Valpolcevera) il significato
d’intensa volontà di salvaguardia per ogni lavoratore rappresentato –
nell’ambito della legislatura del Lavoro – dal Decreto Legge sulla Socializzazione
delle imprese, emanato dal governo della Repubblica Sociale Italiana il 12
febbraio 1944, che il ministro dell’Econimia corporativa ing. AngeloTarchi,
coadiuvato dal sottosegretario Prof. Manlio Sargenti, s’impegnarono a renderla
ovunque operante affinché le maestranze del territorio nazionale, non ancora
invaso dalle armate multicolore degli USA e d’Albione, potessero beneficiare
nei rispettivi redditi occupazionali per tale provvedimento e, nel contempo,
constatare la negatività della demagogia usata dai massoni e dagli altri
opportunisti della burocrazia (i peggiori versipelle, sempre in auge per il
loro servilismo!) i quali – prima del 25 luglio 1943 – congelarono
l’istituzione corporativa in una cronica condizione d’inefficienza e le funzioni
della confederazione dei Sindacati di categoria in attività secondarie, di
deprecabile rabberciamento.
Nicola Bombacci, affascinante nella sua
eloquenza, quel 15 marzo si rivolse ai produttori genovesi dicendo, tra
l’altro: "Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi
chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito
comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo
stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali
lotterò sempre…".
Poi aggiunse: "Ero accanto a Lenin
nei giorni radiosi della rivoluzione (quella dell’Ottobre rosso del
1917 in Russia), credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del
trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno…" e, spiegando i
motivi della sua adesione alla RSI, aggiunse: "Il socialismo non lo
realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato
ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è
liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il
nuovo Stato proletario…".
Nel contempo, tra lo stupore di tutti per
quel linguaggio senza indugi, l’operaio metallurgico Paolo Carretta – presente
col pubblico – salì spontaneamente sul palco e volle testimoniare della sua
esperienza drammatica di comunista esule nell’URSS staliniana, fatto che
consentì a Bombacci di esortare i liguri al riscatto dell’Onore nazionale dopo
il tradimento dei Savoia, di Badoglio e dei massoni, ma anche tutti a partecipare
attivamente alla formazione dei consigli di gestione nelle aziende perché si
trattava di "Conquiste che, comunque vada, non devono andare
perdute" onde galvanizzare la socializzazione in fase di compimento,
dato che "Presto tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà
esaminato anche il problema della terra e della casa perché, tutti i lavoratori
devono possedere la loro terra e la loro casa…".
E’ lo scrittore Arrigo Petacco che, nel
volume "Il Comunista in camicia nera/ N. Bombacci tra Lenin e
Mussolini" (ediz. Mondadori, 1996), evidenzia – a conferma di quanto
segnalarono il 16.3.1945 i cronisti dei quotidiani genovesi "Il Secolo
XIX" e "Il Lavoro" – come quello fu di tale romagnolo (nacque a
Civitella – provincia di Forlì – il 24.10.1879) il migliore discorso
pronunciato durante la RSI dinanzi alle maestranze delle più importanti
fabbriche di Lombardia, Piemonte, Emilia, Veneto ecc., tra le quali le aziende
editoriali Mondadori, Garzanti, "Corriere della Sera", "La
Stampa", non dimenticando che in quei momenti il corso della
socializzazione pervenne alla FIAT, alla Venchi Unica e alla "Gazzetta del
Popolo". Inoltre, alla Dalmine – nonostante le incalzanti minacce dei
comunisti tra le maestranze – gli operai votarono per il consiglio di gestione
il 7 aprile e, dei 3253 elettori, vi furono 2272 votanti, con 1765 schede
valide, 957 nulle e 531 di astenuti.
Al decreto legislativo in materia (quello
del 12.2.1944) non furono risparmiate le critiche di sindacalisti, di
economisti e di imprenditori, ma in merito il Prof Sargenti precisò che il
provvedimento in questione – così vigorosamente sostenuto da Bombacci e da
Carlo Silvestri – fu una "legge-quadro", destinata a mutare ogni
perfezionamento necessario, specie in attesa che la Carta Costituzionale
della RSI (elaborata dal ministro Carlo Alberto Bigini) venisse sottoposta
a referendum popolare, consultazione che, garantita dallo stesso
Mussolini, doveva venire effettuata non appena si sarebbe concluso il conflitto
imperversante in Italia unitamente alla "guerra civile", fomentata,
finanziata e armata dagli invasori anglo-statunitensi e della
plutocrazia.
Nel dopoguerra, successivamente
all’assassinio di Nicola Bombacci, avvenuto sul lungo lago lariano di Dongo il
28 aprile 1945 assieme a quello di altre quattordici personalità della RSI e
del Partito Fascista Repubblicano che avevano seguito Mussolini (trucidato a
Giulino di Mezzagra con Claretta Setacci) nel tragico itinerario – come
lo indicò con precisione Giorgio Pini – verso il "ridotto alpino"
della Valtellina, è stato lo studioso Salvatore Francia che nell’opera "L’altro
volto della Repubblica Sociale Italiana" (ediz. Barbarossa, 1988)
documenta l’equilibrio e l’azione di sviluppo vantaggioso della produzione
maturato già all’inizio dell’applicazione del D.L. del febb. 1944, dimostrando
altresì con l’intervista in extremis concessa dal capo della RSI a G.G.
Cabella nel palazzo della Prefettura (20.4.1945) che il Duce, con tale
colloquio-testamento, indicava l’esigenza urgente di un "piano di
socializzazione mondiale" rammentando nel contempo con quanta fiducia
il rivoluzionario Civitella (definito dopo la sollevazione bolscevica nella
Russia zarista il "Lenin di Romagna") credeva in tale realizzazione
politica ed economica per la pace sulla Terra. Lo confermò anche Giovanni
Dolfin – segretario particolare del capo della RSI a Gargnano – nello scritto
"Con Mussolini nella tragedia" (ediz. Garzanti, 1949 – pag. 118)
indicando che, alla vigilia del 1° congresso del PFR a Verona nel novembre 1943,
l’uomo dei Predappio gli specificò: "Bombacci, che vive giorni di
passione, è in prima linea tra coloro che si battono per una vera rivoluzione
sociale". E lo fece con l’identico ardimento morale che distinse il
"Nicolino" nel 1910 a dirigere la sezione del Partito Socialista a
Cesena e la pubblicazione del periodico "Il Cuneo", poi con
l’incarico di segretario della Camera del Lavoro a Modena e sino, molto più in
su, al mandato di guida nazionale del PSI, nonché – dopo la scissione da quest’ultimo
al congresso di Livorno nel gennaio 1921 – alla fondazione del Partito
Comunista d’Italia e alla sua guida, da cui però (lo dettaglia sua nipote
Annamaria Bombacci nell’opuscolo "Nicola Bombacci rivoluzionario, 1919 –
1921", ediz. Santerno, Imola, 1983) sarà escluso dai "compagni"
poco compagni. Ciò non impedirà a Nicolino di perfezionare la sua
collaborazione con Vladimir Illjc Uljanov, l’autentico Lenin creatore
dell’URSS, che adottando la NEP (Novaja Ekonomiceskaja Politica, cioè la dorma
di "nuova politica economica") a partire dal 1923 favorì un certo
liberalismo di mercato soprattutto con il governo italiano di Mussolini e di
cui il vecchio amico di "Benitochka" (come Angelica Balabanoff e Anna
Kuliscioff, first Lady del socialismo italiano, chiamavano l’uomo di
Predappio) fruì in collaborazione col delegato sovietico Vaclav Vorosvskij, a
riallacciare quei rapporti interrottisi dopo la promozione mussoliniana del
movimento fascista.
D’altronde già l’11 novembre del 1922,
alla delegazione di comunisti italiani – guidata da Bombacci – in vista al
Kremlino moscovita per un incontro col capo primogenito del bolscevismo, Lenin
aveva dichiarato: "In Italia c’era un solo socialista capace di fare la
rivoluzione: Benito Mussolini! Ebbene, voi lo avete perduto e non siete stati
capaci di recuperarlo!". L’ego vittorioso della "Marcia su
Roma" del movimento fascista – avvenuto qualche giorno prima – aveva
scatenato in Lenin il compatimento e la commiserazione per quei
"Compagni" d’Italia soltanto illusi di poter captare gli adepti
socialisti fanaticamente indaffarati nelle scissioni, ma allo scuro di quel
movimento politico destinato a promuovere l’intero avvenire della nazione
protesa sul Mediterraneo.
Fu a Montecitorio, il 30 novembre 1923,
che l’On. Bombacci – infischiandosi degli umori di circostanza dei deputati
comunisti – perorò il successo dei rapporti economici e commerciali "che
legano e tendono a legare l’Italia dell’Unione Sovietica" perché, tali
iniziative, avvenne l’incontro delle due rivoluzioni (quella fascista e l’altra
di Lenin) promovendo la condanna della recessione sociale creata dalla
plutocrazia. Il sopravvento di Joseph V. Dzugasvili (Stalin) nel 1927 alla
guida dell’URSS, con il conseguente allontanamento di Trotshij, Zinoviev e
Kamenev della politica del Kremlino chiuse l’appartenenza di Bombacci al
partito comunista, promosse l’ulteriore avvicinamento a Mussolini e nel 1936
gli permise di intraprendere il 6 aprile la pubblicazione in Italia del
periodico comunista "La Verità" (una "Pravda" per i
nostri connazionali) contro il quale si scatenò l’accidia critica dei Pensatori
Politici dei salotti di destra e di sinistra, prossimi però, a scuoiarsi
le mani all’imminente proclamazione del nuovo Impero Italiano, effettuata
il 9 maggio dal Duce sul Balcone di Palazzo Venezia. Bombacci fu anche tra i
sostenitori dell’autarchia perché, l’ostruzionismo del capitalismo Yankee
e l’Albione significava soltanto d’impedire all’Italia e all’Europa il proprio
riscatto dalle imposizioni schiaviste del trattato di Versailles del 28.4.1919
che tutto pronosticava come utopia, meno che l’autentica pace e la genuina
evoluzione al progresso sociale dei popoli.
Da quel momento, dalla nascita della Pravda
italiana, allo sconvolgente 8 settembre 1943, l’incedere degli avvenimenti è
celere, anche travolgente, e dopo il radio discorso di Mussolini da Monaco di
Baviera – dell’8 settembre – che incitava gli italiani alla costituzione della
repubblica sociale e alla riscossa, anche Bombacci, con i "compagni"
Walter Mocchi, Fulvio Zocchi, il socialista Carlo Silvestri e molti altri non
fascisti, si recò al nord per la rivolta ideale contro il tradimento
badogliano e per la civiltà del lavoro da riscattare, da aprire a un futuro
migliore col solco della Socializzazione.
Nel tracciare le caratteristiche di "Uomini
e scelte della RSI" (ediz. Bastogi, 2000) il promotore F. Andriola
affidò a Guglielmo Salotti il compito di illustrare la figura di Nicola
Bombacci e l’opera da lui svolta tra i protagonisti della repubblica di
Mussolini e, anche in questa appassionata analisi, emerge con chiarezza che
egli fu all’altezza del compito, contribuendo a far vibrare nel Manifesto di
Verona (quello del PFR e approvato nel novembre 1943) lo spirito
appassionato di Alceste de Ambris allorquando, per la reggenza del Carnaro e
per Gabriele d’Annunzio, approntò lo "Statuto della Perfetta Volontà
Popolare" in cui, come ribadì anche Fulvio Balisti, venne delineato un
primo studio di Socializzazione e che nell’assise di Castelvecchio s’elevò a
cardine fondamentale per l’ordinamento del lavoro nel nuovo Statuto, tutelando
contemporaneamente il diritto alla proprietà privata nelle aziende e quello
partecipativo agli utili da parte delle maestranze produttrici.
Nella proiezione delle principali immagini
della RSI sullo schermo della storia (quello illuminato anche da Giuseppe
Mazzini e da Alfredo Oriani) s’inseriscono con stile eroico il discorso di
Mussolini al Teatro Lirico di Milano (15.12.1944) e quello di Bombacci in
piazza De Ferrari a Genova (15.3.1945): entrambi espandono nel futuro la
volontà elettiva del lavoro premiante e della giustizia sociale a simbolo
dell’autentica civiltà.
Senza questa certezza non si promuove il
progresso.
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