Il libro, “Nuovissimo annuncio di Mussolini” (1961) dovrebbe contribuire alla comprensione di un periodo, quello fra il 1914 e il 1945, che è stato fra i più vivaci nella vita del popolo italiano.
di Giorgio Vitali
di Giorgio Vitali
PRESENTAZIONE
Premessa
indispensabile: qualsiasi presentazione di un testo, specialmente se di
carattere politico o culturale, non dovrebbe mai rappresentare un esercizio di
calligrafia o di belle lettere, ma garantire alcune informazioni di base per i
lettori, al fine di facilitarne la comprensione e soprattutto l’acquisizione di
tutte le informazioni collaterali riscontrabili nella letteratura facilmente
accessibile. Per fortuna oggi possiamo avvalerci del prezioso contributo di
Internet, per cui è sufficiente una documentazione essenziale.
E’ necessario tuttavia
chiarire alcuni aspetti fondamentali inerenti al periodo in esame, per fare
chiarezza sulla realtà vissuta e sulle menzogne sparse a piene mani nel
dopoguerra. Queste menzogne hanno contribuito alla creazione di una
cristallizzazione mentale sulla natura del Fascismo e soprattutto degli uomini
del Fascismo che ben poco hanno a che vedere con la realtà vissuta all’epoca.
La prima persona a non corrispondere
agli schemi mentali divulgati dalla propaganda occidentale durante la guerra e
nel dopoguerra è proprio Mussolini. E questo libro ne è la dimostrazione.
Di recente ha conseguito un
notevole successo, un libro pubblicato nel 2011. Si tratta di “ Sangue
romagnolo". I compagni del Duce: Arpinati, Bombacci, Nanni” di Giancarlo
Mazzuca e Luciano Foglietta (decano dei giornalisti romagnoli). Prefazione di
Sergio Zavoli (il socialista di Dio).
In questo libro si documenta
la persistenza di un’amicizia nata durante le battaglie sociali e sindacali
ante primo conflitto mondiale che mai fu scalfita dall’asprezza delle
divergenze politiche apparse nel dopoguerra e fino al 1945. Si trattava di
persone che agivano nel tentativo di trasformazione della società italiana e le
loro opinioni divergevano nelle modalità d’azione, non nella sostanza della
soluzione politica.
D’altronde le rivoluzioni,
almeno quelle più efficaci, a cominciare dal Primo Triunvirato romano,
finiscono sempre con lo scontro armato fra i vecchi associati. D’altronde, come
narra un testimone, anche Pietro Nenni, ancorché provato da vicissitudini
famigliari, alla notizia dell’assassinio di Mussolini pianse.
Mussolini in questo si può
contraddistinguere fra i rivoluzionari storici. Per aver conservato l’amicizia
di tanti ex compagni di lotta da lui separatisi, anche con asprezza, durante il
lungo periodo che va dal 1922 al 1945.
Da notare che in questa
storia c’è anche, immancabile, la presenza della morte.
Arpinati e Nanni sono
assassinati il 22 aprile 1945 da “partigiani”. Non se ne conoscono le ragioni,
ma possiamo immaginarle. Bombacci è assassinato da “partigiani” dell’Oltrepò
pavese a Dongo. A costoro va aggiunto un altro nome molto importante: Bruno
Buozzi, assassinato alla Storta, località a Nord di Roma, sulla Cassia, la
notte prima dell’ingresso degli Atlantici a Roma. Anche della sua morte, del
tutto inattesa per gli amici e i parenti, non si hanno giustificazioni, ma se
ne possono intuire le ragioni.
Buozzi era sicuramente uomo capace
di contribuire alla creazione di una nuova Costituzione “repubblicana e
sociale”, come auspicata da Mario Bergamo.
Possiamo così immaginare che
anche a Bergamo sarebbe stata riservata la stessa fine qualora avesse risposto
positivamente all’invito che Mussolini gli fece alla fine del 1943. Nella
storia d’Italia,soprattutto perché sistematicamente rimosse, devono essere
principalmente considerate tutte le morti “non accidentali” che hanno colpito
molti di coloro che volevano agire con onestà d’intenti nell’interesse del
popolo e per la sostanziale indipendenza della Nazione.
La biografia di Mario Bergamo
è lineare.
Egli nasce a Montebelluna (
Treviso) l’8 febbraio 1892. Fratello di Guido.
Si laurea in Legge a Bologna
nel 1914 e subito dopo s’iscrive a lettere nella stessa Università. Fonda, con
N. Mazzola, l’. Interventista e
rivoluzionario, (scrive: Guerra alla guerra), è volontario e più volte citato
nei Bollettini di guerra. Nel dopoguerra si schiera su posizioni di ”Repubblica
Sociale”, presto definita “Corrente bergamiana”. Con Leandro Arpinati, Pietro
Nenni e il fratello Guido è fondatore il 9 aprile 1919 del Fascio di
Combattimento di Bologna, da cui si dimette il 4 marzo 1920 di fronte alla
progressiva svolta a destra del movimento fascista (peraltro determinata da
contingenze sociali che conosciamo, e dalla nefasta opera di personaggi come
Dino Grandi). Nello scontro inevitabile che ne seguì, egli fu capo dei
repubblicani bolognesi e subì le violenze degli squadristi. Nello stesso
periodo si trovò molto vicino ai Gruppi dannunziani deambrisiani. In
particolare alla < Riscossa dei Legionari Fiumani> che sostenne in
polemica con < L’Assalto>, organo dei fascisti bolognesi. Nel 1924 fu
eletto deputato per il PRI. Nel Partito combatté le correnti ottocentesche
ancora molto presenti fra i cosiddetti “repubblicani storici”, in nome del suo
fondamentale progetto di Repubblica Sociale. Nel congresso di Milano del PRI fu
eletto segretario politico. (Vedi anche: “Socialismo mazziniano”, raccolta di
scritti economico-sociali di Giulio Andrea Belloni, a cura di Vittorio
Parmentola, presentazione di Giovanni Spadolini, ed. Archivio Trimestrale,
1982).
Dalle colonne della “Voce
Repubblicana” fu un tenace oppositore del Fascismo, ma in polemica con gli
“Aventiniani” egli negò l’esistenza di un’isolata “questione morale”, e
contemporaneamente tentò la costituzione di un movimento
repubblicano-socialista.
Dalla nostra posizione di
studiosi di quell’interessante periodo politico, oggi riteniamo che lui avesse
ragione. Non solo per l’inanità di quella posizione del liberalismo borghese,
(combattuta anche da Antonio Gramsci), che facilitò, nella sostanza, il
rafforzamento della tendenza autoritaria del Fascismo, ma anche perché tutta la
questione, compresa la strana morte di Matteotti, nel momento in cui Mussolini
stava portando a compimento il patto di pacificazione coi socialisti, ci appare
con sempre maggiore chiarezza una congiura ben congegnata, con diramazioni
nemmeno tanto nascoste da far risalire alla finanza della City.
Dopo l’attentato a Mussolini
del 31 ottobre 1926 a Bologna, egli fu accusato da “ certi” fascisti di esserne
il mandante ed il 12 novembre successivo fuggì con Pietro Nenni in Svizzera da
dove si trasferì definitivamente a Parigi.
Qui ricostituì la direzione
del PRI, che rappresentò in seno alla Concentrazione Antifascista. In questo
periodo redasse “ L’Italia del Popolo”, organo ufficiale del PRI. (Testata
ripresa, negli anni 70-80, dal movimento pacciardiano, direttore Giano Accame).
Nel 1928, per contrasti con i
seguaci ormai integrati nella politica della Concentrazione, si dimise da
segretario politico. Nello stesso periodo tenta la grande iniziativa di una
“Internazionale Repubblicana” a spiccato carattere sociale. (Vedi: M.B.
L’Internazionale Repubblicana in: La Difesa, S. Paolo del Brasile, 16, 23, 30
dic. 1928).
In questo tentativo egli vi
difese una sua idea di Nazional-Comunismo. (Nulla da spartire, ovviamente, col
comunismo bolscevico, del quale conosceva molto bene la natura.)
Da qui il suo quasi totale
isolamento dall’emigrazione antifascista, isolamento contro il quale reagì con
molti scritti che furono discussi anche in Italia sul Popolo d’Italia, Regime
Fascista e Bibliografia Fascista.
Nel 1931 sostenne l’esigenza
di una Repubblica franco-italiana, federale, nell’ambito del progetto
mazziniano della Confederazione di Stati sovrani europei.
Nel 1932 scrisse <
Saturnia o l’elogio della discordia> pubblicato a Parigi, anche su
suggerimento di R Rossetti in polemica con le posizioni della Concentrazione.
Nel 1933-34 pubblicò ventotto
numeri di una rivistina quindicinale: I novissimi annunci, che inviava
regolarmente anche a Mussolini. Una delle pochissime pubblicazioni vive e
stimolanti del cosiddetto “Antifascismo”.
Nel 1938-39 aderì alla Lega
internazionale dei Combattenti per la Pace.
A fine 1943 Mussolini lo
invitò tramite un suo agente (Farinacci) a collaborare per la stesura della
Costituzione della R.S.I.
Riconoscendogli il merito di
antesignano (“…l’espressione repubblica sociale è vostra…”), ma Bergamo non
accettò la proposta, rispondendo: < Troppo tardi! Però verrò con Voi a
sant’Elena>. Non immaginava invece quello che sarebbe successo (non
conosceva bene gli anglosassoni e il loro potere finanziario). Fu allora che
Buffarini Guidi si rivolse al fratello Guido, il quale respinse l’offerta,
legandosi, in seguito, ai partigiani.
Fu pertanto al solo Nicola
Bombacci (anche Bruno Buozzi era stato assassinato), che toccò il peso della
partecipazione degli ex antifascisti alla compilazione della Costituzione
(vedi: Franco Franchi, Caro nemico, Settimo Sigillo, 1990; Franco Franchi, Le
Costituzioni della RSI, Sugarco, 1987).
Vanno aggiunte altre
considerazioni, in riferimento al tentativo di coniugare socialismo e
repubblicanesimo. La questione fu trattata da Santi Fedele nella sua “Storia
della Concentrazione antifascista”, Feltrinelli, 1976,e il più recente ”I
repubblicani di fronte al Fascismo”, 1990. Importanti gli articoli di Enrico
Landolfi pubblicati su “L’Italia del Popolo” degli anni 80-90, dedicati alle
radici del pensiero nazional-popolare, con riflessioni sul pensiero di Mario
Bergamo, Giovanni Amendola, Salvatore Barzilai. Mario Bergamo non rientrò
neppure dopo la fine della guerra, rifiutandosi di riconoscere validità morale
e politica alla restaurazione liberale attuata dalle forze del Capitalismo
occidentale.
Egli fu pertanto definito,
come Mazzini, esule per antonomasia.
Gli ultimi anni della sua
vita furono tranquilli. Fu assunto come consigliere legale dal noto editore
Cino Del Duca, che in Italia, tra l’altro, pubblicava il settimanale TEMPO, che
ospitava grandi firme del giornalismo e della letteratura nazionale. Memorabili
sono le pagine affidate a Malaparte e a P.P.Pasolini. E si diede anche alla
poesia. Scrisse ancora opere politiche come: L’Italia che resta (1960),
Novissimo Annuncio di Mussolini (1962), il libro che presentiamo. Il bilancio
morale e politico della sua esperienza di vita e del suo nazionalcomunismo, da non
confondere con il bolscevismo, [ Vedi: Nazionalcomunismo, a cura di Giorgio
Bergamo, 1965, raccolta di scritti scelti.]
Mario Bergamo morì a Parigi
il 24 maggio (data molto significativa per lui, che fu accanito interventista),
1963.
Giorgio
Mario Bergamo.
Se Mario Bergamo
fu, come già detto, l’esule per antonomasia, il figlio Giorgio rientrò al più
presto in Italia, ove scelse la Repubblica Sociale “ per un mio bisogno intimo
di pulizia e, più in generale, di coerenza nazionale” come scrive lui stesso in
un elzeviro del 19 gennaio 1984, intitolato Fratelli d’Italia, ed ove esercitò
la professione di medico cardiologo. Fu anche il curatore delle ultime opere
del padre: L’Italia che resta (1961), Novissimo Annuncio di Mussolini (1962),
Nazionalcomunismo (1965), Laicismo integrale (1968).
Per lungo tempo egli
collaborò alla terza pagina del Gazzettino, quotidiano del Veneto, sotto la
direzione di Gianni Crovato e di Gustavo Selva, con una serie di elzeviri
intitolati “Fuorisacco”. Questo fu anche il titolo di un libro pubblicato nel
1990 da Mursia, raccolta di buona parte degli elzeviri. Libro da leggere per la
passione e l’onestà morale che ne traspare, tanto che l’autore fu definito, da
Riccardo Bacchelli, carattere di rigore morale e di probità intellettuale, ma
anche per comprendere come siano andate realmente le cose durante quegli anni
(1920-1945).
Terribile, nel libro, la
pagina dedicata al massacro di Oderzo, dove furono assassinati, dopo orribili
torture , 138 fascisti, per lo più giovanissimi.
Considerazioni
conclusive.
La pubblicazione
di questo libro dovrebbe contribuire alla comprensione di un periodo, quello
fra il 1914 e il 1945, che è stato fra i più vivaci della vita del popolo
italiano.
Il fatto che in questo
dopoguerra l’informazione “ufficiale” sia stata schiacciata in conformità a
un’idea ossessiva basata su slogan privi di logicità, tra l’altro in contrasto
con il progresso a livello internazionale degli studi sociologici e
antropologici, deve spingere gli studiosi seri, quei pochi che rimangono, alla
“intelligenza” degli eventi.
Nell’attuale immaginario
popolare, l’ascesa al potere del Movimento Fascista è vissuto come
un’oppressione di minoranze su un intero popolo. Per di più, è stata accettata
per vera la propaganda degli anni 20 dei socialisti, secondo cui il Fascismo
sarebbe una forma di reazione borghese alle istanze popolari. Nulla di più
falso.
Infatti, il Fascismo fu,
nella sostanza, e lo dice anche il nome, un tentativo di elaborare e
interpretare in termini di sintesi totale (da qui l’utilizzazione del termine
“totalitario” da parte di Mussolini) tutte le istanze politiche e sociali
emerse con l’esplosione della tecnica (presa d’atto da parte di tutti i popoli
dell’importanza della tecnica dopo il primo conflitto mondiale). Questo fu
l’immane sforzo del Fascismo, tanto che ne restano ancora vivissime le tracce
non solo in Europa.
Nel suo fondamentale testo “
Tramonto di una civiltà”, Casini, 1969, lo storico William H.McNeill dimostra
che tutti i paesi occidentalizzati reagirono alla presa di coscienza scaturita
dal trauma del primo conflitto mondiale aumentando il controllo sociale.
Pertanto, il regime autoritario (fatto passare per dittatura) instaurato in
Italia dagli anni 20, fu una conseguenza diretta di esigenze concrete, dovute
anche alla necessità di introdurre una programmazione della produzione agricola
e industriale, fin’allora del tutto assente nel nostro paese. Che va paragonato
a quanto di feroce fu fatto in URSS nello stesso periodo e per lo stesso scopo.
Va anche aggiunto che nei paesi anglosassoni questo cambiamento fu meno
avvertito semplicemente perché, è bene ripeterlo, in quei paesi la “democrazia”
è del tutto formale. Non esistendo un reale ricambio sociale ed essendo la
classe politica egemone quella stessa emersa nel XVII secolo, come conseguenza
delle rapine piratesche e delle conquiste dell’Impero commerciale per
antonomasia.
D’altronde l’attuale
spettacolo della falsa lotta per la presidenza degli USA è facilmente
decifrabile per chiunque abbia capacità di raziocinio.
Durante il “ventennio”, se si
esclude l’infima minoranza dei fuorusciti, (ma la maggioranza di costoro era
espatriata poiché massoni mentre molti la pensavano coma Bergamo), tutti gli
antifascisti o liberali prefascisti ebbero vita facile e poterono manifestare
la loro attività professionale senza interferenze. Non solo. Molti di costoro
continuarono a fregiarsi del titolo di Senatori del Regno. Mentre proseguiva
quel tenace tentativo di sintesi sociale che, è giusto si capisca, non è di facile
attuazione. E oggi ancor meno di ieri.
Si è a lungo scritto
dell’attenzione che Mussolini riservava ai suoi ex compagni socialisti e
repubblicani, favorendo il loro mantenimento quando erano in difficoltà. (Caso
esemplare: Errico Malatesta). Atteggiamento interpretato come una forma della
bontà d’animo del Duce. In realtà Mussolini cercava di tenere vivo il retaggio
della molteplicità del pensiero rivoluzionario e popolare presente nel nostro
paese. Retaggio che, dopo oltre settanta anni di DOMINIO culturale
liberal-occidentale impostato con grande spreco di mezzi, sembra del tutto
scomparso. (Vedi: Alessandro Luparini, Anarchici di Mussolini, Dalla Sinistra
al Fascismo, tra rivoluzione e revisionismo, M.I.R. 2001.)
Il fatto che moltissimi
anarchici abbiano confluito nel Fascismo tanto negli anni 20 quanto durante il
breve periodo della R.S.I. dovrebbe far riflettere. Il libro di Luparini
documenta attraverso la biografia di Mario Gioda, Edoardo Malusardi e Massimo
Rocca, uno dei periodi più intensi della storia d’Italia. Paragonabile, a mio
avviso, a quel meraviglioso Cinquecento italiano che vide il fiorire della
forza creatrice del nostro popolo in tutte le scienze e le arti, su uno sfondo
di conflitti europei di grandi dimensioni. Va inteso, peraltro, che la figura
morale ed esistenziale dell’Anarchico va studiata partendo da quello che fu
detto circa l’Anarca di Junger: [ Marcello Veneziani].
Per la precisione ricordiamo
alcune fasi dell’instaurarsi di quella che sarebbe diventata, ma solo all’approssimarsi
del secondo conflitto mondiale, la molto opinabile dittatura personale di
Mussolini.
La nomina di Mussolini a
Presidente del Consiglio ebbe luogo dopo le consuete, seppure affrettate,
consultazioni, per opera del Capo dello Stato, col R.D. 31 ottobre 1922, e le
Camere, nelle quali i fascisti erano una minoranza, poco dopo votarono la
fiducia al nuovo governo, delegandogli anzi i pieni poteri per la riforma della
Pubblica Amministrazione.
Così, parimenti, il R.D. 14
gennaio 1923 n. 31 che creò alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Il R.D.L. 15 luglio 1923, n.3288, assai limitativo della libertà di stampa, e
la nuova legge elettorale politica 18 novembre 1923, n.2444 (c.d.Acerbo) fu
approvata con buona maggioranza dalle Camere.
Solo dal 1925 al 1929, e, ora
lo sappiamo, sotto la pressione delle contingenze internazionali, la
trasformazione in senso autoritario delle strutture di governo: abolizione del
sistema parlamentare, netto predominio assunto dal Potere Esecutivo, il
preannuncio della nuova rivoluzionaria organizzazione corporativa e
l’inserimento del Gran Consiglio del Fascismo fra gli organi costituzionali
dello Stato.
In sintesi: un governo
legittimo ma rivoluzionario allo stesso tempo, perché per la prima volta nella
storia italiana, ma anche e soprattutto nella storia del Regno d’Italia, si
trattò della presa del potere, sia pure in modo semi pacifico, da parte del
popolo delle trincee.
Fermo restando quanto emerso
il 25 luglio 1943 a proposito di un “intimamente fascista” Gran Consiglio,
dobbiamo paragonare questa sequenza di avvenimenti a quanto sta accadendo al
presente in Italy. Abbiamo un governo di persone non elette in precedenti
elezioni (Colpo di Stato Napolitano-Monti). Si tratta d’individui
rappresentativi d’interessi non italiani, anzi, palesemente anti-italiani,
selezionati in conformità a appartenenze a gruppi bancari, economici, massonici
chiaramente globalizzati.
Chiamano governo tecnico un
governo composto di persone che occupano posti ministeriali che nulla hanno a
che fare con la loro reale attività professionale. E, per concludere, tale
colpo di stato è avvenuto con la giustificazione di un’emergenza, il debito
pubblico, che è palesemente un falso. Infatti, il debito pubblico italiano è
costituito non già dal debito reale, ma dal debito contratto dallo Stato per
l’acquisto dalla B.C.E. che è privata, di cartamoneta, gravata da un interesse
che non trova alcuna logica giustificazione.
Giorgio Vitali.
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