Premessa
Nel perdurante clima di disinformazione
- relativamente all'assetto economico-finanziario e alla crisi in atto -
nessuno parla di sistemi alternativi per arginare ed abbattere la
stretta creditizia e, soprattutto, cosa assai più importante, per
risolvere il problema economico-finanziario alla radice.
Nessuno ricorda, per esempio, cosa accadde durante la repubblica di Weimar e, soprattutto, come e da chi fu risolta... Nessuno ricorda, altresì, come Benito Mussolini, appena nominato Presidente del Consiglio ad appena 39 anni, abbia assunto - ad interim - anche le cariche di Ministro degli Esteri e degli Interni, con una speciale delega all'economia; e come riuscì nei primi tre anni a dipanare ogni disavanzo primario e a raggiungere l'agognata parità di Bilancio, tanto che persino Luigi Einaudi lodò quanto fece l’allora presidente del Consiglio. Si ricordano viceversa gli incarichi recenti del Presidente Monti come commissario UE dimenticando, però, che egli fu già consulente durante il governo De Mita dell’ex ministro del Bilancio Paolo Cirino Pomicino che l’aveva nominato in tre commissioni, incaricate di ridurre la spesa e il debito. Purtroppo – sia detto per inciso – il debito pubblico aumentò del 44,5% in quei tre anni e la spesa pubblica del 45,9 % tant’è che nel ‘92 il nostro “eroe” se ne tornò con la coda fra le gambe all’università (forse per riprendere gli studi) lasciando l’Italia in balia di se stessa. L’elenco dei “guastatori economici” potrebbe continuare per ore, ma ritengo inutile andare avanti. In tempi bui, di mestissima crisi finanziaria, nessuno parla della vera origine del debito pubblico che non è dovuta esclusivamente a sprechi e ruberie . ma soprattutto al fatto che né lo stato nè tantomeno il popolo sono proprietari della moneta.
Nessuno ricorda, per esempio, cosa accadde durante la repubblica di Weimar e, soprattutto, come e da chi fu risolta... Nessuno ricorda, altresì, come Benito Mussolini, appena nominato Presidente del Consiglio ad appena 39 anni, abbia assunto - ad interim - anche le cariche di Ministro degli Esteri e degli Interni, con una speciale delega all'economia; e come riuscì nei primi tre anni a dipanare ogni disavanzo primario e a raggiungere l'agognata parità di Bilancio, tanto che persino Luigi Einaudi lodò quanto fece l’allora presidente del Consiglio. Si ricordano viceversa gli incarichi recenti del Presidente Monti come commissario UE dimenticando, però, che egli fu già consulente durante il governo De Mita dell’ex ministro del Bilancio Paolo Cirino Pomicino che l’aveva nominato in tre commissioni, incaricate di ridurre la spesa e il debito. Purtroppo – sia detto per inciso – il debito pubblico aumentò del 44,5% in quei tre anni e la spesa pubblica del 45,9 % tant’è che nel ‘92 il nostro “eroe” se ne tornò con la coda fra le gambe all’università (forse per riprendere gli studi) lasciando l’Italia in balia di se stessa. L’elenco dei “guastatori economici” potrebbe continuare per ore, ma ritengo inutile andare avanti. In tempi bui, di mestissima crisi finanziaria, nessuno parla della vera origine del debito pubblico che non è dovuta esclusivamente a sprechi e ruberie . ma soprattutto al fatto che né lo stato nè tantomeno il popolo sono proprietari della moneta.
Pochi parlano dei casi attuali della
Grecia e dell'Argentina... che non sono retti da regimi dittatoriali o
autoritari che dir si voglia, ma che rappresentano - soprattutto nel
caso islandese - una prova lampante e inimitata di democrazia reale e
sostanziale.
Le uniche parole che ci sentiamo
ripetere sono quelle assimilabili alla strategia del ricatto, alla
tattica dell'usuraio mascherato che con la bocca fa finta di concedere e
poi arraffa tutto con ambedue le mani. Si afferma infatti: Se non
seguirete la nostra "ricetta" faremo la fine della Grecia, i suicidi
anziché diminuire aumenteranno in modo esponenziale ecc.
E' chiaro che quando la situazione si fa
critica ecco arrivare puntuale il ricatto: sia esso fiscale, oppure
relativo alla politica economica da adottare.
Si tratta in effetti di una vera e
propria strategia terroristica, per chiudere la bocca a chi non si
allinea al mainstream, e vuole arginare l'ondata pervasiva di tasse e
rincari che colpiscono tutti, in specie i ceti meno abbienti.
Per evitare questa grossa lacuna, ritengo opportuno riportare quanto fece un illustre sconosciuto:
Domenico Pellegrini Giampietro.
In questo post non mi soffermerò
tanto sulle note biografiche quanto sull'opera che svolse egregiamente
durante l'epopea della RSI, in un momento quindi di estrema difficoltà
operativa, in cui quasi tutti i governi hanno aumentato il debito
pubblico a scapito delle future generazioni
La cosa principale, dunque, è
individuare i punti salienti del suo agire che si svolsero verso la fine
della seconda guerra mondiale e che dunque ne risultarono
profondamente inficiati.
Partiamo dalle sue parole che descrivono
esattamente cosa avvenne nell'ambasciata tedesca a Roma dove alcuni
gerarchi si intrattenevano a colazione con l'ambasciatore Rahn.
" ...mentre in un'atmosfera carica e distaccata si consumava il pasto frugale, Mussolini chiamò a telefono da Monaco. Egli parlo con Buffarini Guidi, con Pavolini, poi con me...La sua voce mi pervenne lontana, stanca, quasi irreale... Ricordo alcune sue parole che riporto integralmente. Mi disse: Pellegrini, sono contento di avervi ancora con me. Acerbo ha tradito. Voi, come ultimo sottosegretario alle finanze, potete svolgere da ministro un buon lavoro nell'interesse dell'Italia, Conto su di voi. Risposi commosso: ai vostri ordini, Duce, ed agli ordini della mia patria, come sempre!"
Il programma e l'opera svolta
La sede del Ministero fu ubicata a Brescia, vicino Salò.
Per tal via sul neo ministro gravò un
peso immane. Egli infatti dovette gestire e guidare l'economia
corporativa, occupandosi altresì della produzione bellica e finanche
della Socializzazione.
I punti del suo programma possono essere brevemente riassunti così:
- rimettere in moto la macchina finanziaria sulla base dei criteri già esposti a Roma il 25; e, cioè, potenziando il gettito tributario in vista dell'eccezionale sforzo bellico;
- strenua difesa della Lira e del suo potere d'acquisto con conseguente controllo sulla emissione e circolazione monetaria (si ricordi che per un certo qual tempo in Italia circolarono pure i marchi tedeschi);
- massima tutela degli interessi economici italiani, di fronte a chiunque (tedeschi compresi).
Rudolf Rahn | . |
Rahn, addirittura, voleva nominare per
ogni ministero un commissario tedesco, con l'evidente intenzione di
tenere sotto controllo l'intera attività ministeriale italiana. A questo
proposito, Pellegrini insorse vivamente e, ad una cena col Console Eitel Moelhausen
(che aveva sostituito Rahn), fece valere le sue ragioni. In particolare
affermò di ritenere assurda quella ingerenza e che aveva accettato
l'incarico senza limitazioni o imposizioni dall'esterno. Il console
accolse le sue proteste e così non vi furono commissari tedeschi ai
ministeri.
Questo è un fatto importantissimo che
sovente viene colpevolmente taciuto, in particolar modo allorquando si
parla della RSI come una sorta di protettorato germanico in Italia.
Le riserve auree della Banca d'Italia
Herbert Kappler |
Spesso, quando si vuole giustificare la
"privatizzazione" del capitale si dice che quest'ultima si rese
necessaria in quanto la riserva aurea fu trafugata dai tedeschi.
E' vero (fino a un certo punto pero): il
16 settembre del 1943, a più di una settimana dall'ignobile armistizio
firmato da Badoglio, i tedeschi prelevarono la riserva aurea della Banca
d'Italia per trasferirla in Germania. Ciò avvenne, occorre ricordarlo, prima della costituzione della RSI. In quella precisa occasione il Maggiore delle SS Herbert Kappler si fece consegnare le chiavi del caveau delle riserva aurea dal governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini.
Vincenzo Azzolini |
I tedeschi, infatti, si erano già appropriati dell'oro della Banca albanese e di fronte alla minacciosa richiesta del trasferimento aureo in Germania il neo ministro delle Finanze chiese ed ottenne che una parte di esso servisse per onorare i debiti contratti con la Svizzera, un'altra parte per quelli con la Germania medesima. Il resto dell'oro - che in effetti costituiva il grosso della riserva - riuscì a farlo custodire a Fortezza, dove, in seguito, il governo regio poté recuperarlo. Nelle trattative Pellegrini Giampietro fu assistito, oltre che dallo stesso Cambi anche da Franz Lo Jucco e dall'Avv. Giovanni Orgera, già podestà di Napoli. Quest'ultimo nel maggio 1944 fu nominato governatore della Banca d'Italia in sostituzione di Azzolini, il quale tornato a Roma fu arrestato dagli alleati.
E proprio relativamente al ritrovamento di detta riserva nel memoriale di Pellegrini si legge testualmente:
"...furono gli alleati che ne vennero in possesso e non è mio compito chiarire la destinazione data alla riserva aurea e alle modalità che accompagnarono la restituzione".
Con questa espressa dichiarazione la
questione si chiude. E cioè, delle due l’una: o l’oro venne restituito
dagli alleati all’Italia e dunque cade la tesi della sottrazione; oppure
se è vero che vi fu, essa fu portata a compimento dagli alleati
angloamericani, non dai tedeschi.
Reichskreidit Kassenscheine |
Un altro problema che il neo Ministro
dovette affrontare fu quello dei "marchi tedeschi di occupazione". Dopo
il vergognoso armistizio, i tedeschi, considerando l'Italia paese nemico
e territorio di occupazione, avevano messo in circolazione i cosiddetti
“marchi d'occupazione" (Reichskreidit Kassenscheine) che
rappresentavano l'equivalente delle "amlire"che gli eserciti alleati
avevano messo in circolazione nel sud-Italia. Ebbene, appena Pellegrini
prese le redini del Ministero si occupò immediatamente di risolvere il
problema.
Il 25 ottobre del 1943 riuscì, attraverso l'agenzia Stefani, a far diramare il seguente comunicato:
"In territorio italiano le truppe germaniche eseguiranno i pagamenti esclusivamente in lire, e i marchi di occupazione messi in circolazione, dal giorno 25 ottobre, perderanno il carattere di pagamento legale e saranno immediatamente ritirati a mezzo della Banca d'Italia tramite gli istituti di Credito italiano".
AM LIRE |
E fu proprio così che venne tutelato il
potere d'acquisto della Lira, talché i prezzi al consumo, nonostante il
periodo di guerra, rimasero ad un livello accettabile; all'uopo, onde
evitare speculazioni sui generi di prima necessità, fu istituito un
comitato dei prezzi che controllava l'andamento e le oscillazioni dei
medesimi. Pertanto appare incomprensibile la protesta di chi lamentò
aumenti inauditi, datosi che, in quei particolari frangenti, causati sia
dalle continue requisizioni tedesche sia dall'insufficienza dei
trasporti e dalle diverse condizioni delle regioni, non si poteva fare
altrimenti. Ad ogni buon conto, al Nord si registrò un aumento assai
contenuto dei prezzi (50%circa); per converso, al Sud, si registrò un
aumento proibitivo dei prezzi, con una media del 200% e con picchi che
arrivarono addirittura al 400%!
Le donne napoletane furono costrette a
prostituirsi e i loro figli a pulire le scarpe degli invasori
angloamericani. Questa è la nuda e cruda verità che gli scribacchini di
sistema nascondono e tentano maldestramente di cancellare.
L'accordo del 25 ottobre prevedeva pure
la cifra da emettere nei confronti degli alleati tedeschi, da
corrispondere a titolo di risarcimento spese che ammontava a ben 7
miliardi per il 1943, a 10 miliardi per il 1944 e a 12 miliardi per il
1945. Queste cifre corrispondevano a quanto il governo regio dovette di
più e non meno corrispondere agli alleati anglo americani.
Inoltre, con tale accordo, si tentò di
impostare una regolamentazione dei rapporti finanziari italo-tedeschi e,
precisamente, il ripristino del clearing interrotto con l'armistizio,
la ripresa delle rimesse dei lavoratori italiani dalla Germania, il
ritorno alle precedenti convenzioni doganali, una certa regolarizzazione
nelle zone di giurisdizione dei commissariati germanici soprattutto per
Trento e Trieste.
In pratica si giunse, in un certo qual
modo, a ripristinare le relazioni fra i due stati sulla base di parità
per le due nazioni. Per esempio, dopo l'otto settembre, i titoli di
stato erano scesi del 30% e con la RSI, tornarono in parità nominale.
Il 30 gennaio 1944 fui stipulato un
nuovo accordo secondo cui le somme guadagnate dai lavoratori italiani in
Germania erano trattenute in un conto speciale a Berlino ed accreditato
direttamente al governo italiano, il quale doveva provvedere con propri
mezzi a corrisponderne il valore alle famiglie residenti in Italia.
Piero Pisenti |
Il Bilancio della RSI e la manovra finanziaria.
Domenico Pellegrini Giampietro |
Nel corso della guerra si verificarono
episodi assai curiosi che, in un certo qual modo, influirono
negativamente sul circolante. Il lancio di enormi quantità di valuta
italiana lanciata da aerei alleati per finanziare la resistenza
partigiana, alimentarono senza dubbio il processo inflattivo. Inoltre,
come già accennato in precedenza, l'enorme difficoltà nei trasporti
aveva ingenerato un aumento dei prezzi, ragion per cui nella valutazione
del Bilancio occorre anche mettere in conto tale avversità che,
viceversa, in tempo di pace non si sarebbe verificata.
Ad ogni buon conto, date le condizioni
del Paese e l’enormità delle spese correnti, secondo alcuni detrattori,
il Ministro ricorse, per non allarmare il paese ad una sorta di doppio
bilancio. Entriamo nei particolari.
Il bilancio ufficiale presentava un ammontare complessivo pari a 380 miliardi, così ripartiti:
50 miliardi di di entrate fiscali, 47 miliardi di depositi e c/c bancari versati al Tesoro, 208
miliardi per anticipazioni della Banca d’Italia e di altri enti ed
Istituiti. Mentre le spese sostenute dalla RSI ammontavano a circa 360 miliardi, di cui 170,6
di spese ordinarie e straordinarie dello Stato, più 189 miliardi di
contributi per spese di guerra alla Germania, per un totale complessivo
di circa 360 miliardi; per cui risultava un attivo di 20 miliardi
circa. Ma la situazione corrispondeva alla realtà? Secondo Giorgio
Bocca no. Perché nell’esercizio del ‘43-44 le entrate furono secondo i
suoi calcoli circa 38 miliardi, mentre le uscite effettive
ammontarono a 213 miliardi e 167 milioni, nell’esercizio successivo le
entrate diminuirono, a causa dell’occupazione alleata di varie provincie
e dello sciopero fiscale, toccando appena il tetto di 26 miliardi,
contro un totale in uscita di 207 miliardi e 263 milioni.
Da ciò si ricaverebbe che le entrate complessive furono di circa 64 miliardi e 430
milioni. Tale enorme differenza fra i due bilanci è dovuta al fatto che
il Bocca non considerava fra le entrate i prestiti e le anticipazioni
delle Banche, perché in tal modo il pareggio di Bilancio sarebbe dovuto
a debiti, il cui pagamento veniva disinvoltamente rinviato a fine
guerra.
Bisognerebbe ricordare allo scomparso
partigiano e scribacchino di Sistema che nessuno stato si mantiene solo
sulle entrate fiscali, senza ricorrere alla Stampa di moneta o, peggio,
alla sottoscrizioni di titoli di debito, attraverso Buoni del tesoro
BTP, che a differenza della prima soluzione costituiscono un vero e
proprio indebitamento da parte dello Stato. Ed è quello che accadde
nella RSI. Il Duce era notoriamente contrario ad un aumento della
pressione fiscale che, in quel determinato frangente, si sarebbe
rivelata altamente nociva per la popolazione, ragion per cui Il ministro
Pellegrini condusse un'agile manovra finanziaria appoggiandosi sia
alla Banca d’Italia sia sugli altri istituti di credito.
Questa manovra consentì non solo di
raggiungere il pareggio di bilancio ma pure di superarlo. L’Istituto
Poligrafico dello stato stampò 11 miliardi di Lire sui 137 autorizzati.
Fu esercitato un controllo scrupoloso sulle emissioni installate nelle
varie sedi: Novara, Bergamo e Milano. Fu impedito ai tedeschi di portare
i macchinari del poligrafico in Germania, onde poteva effettuarsi
un’eventuale falsificazione per ragioni di pronta liquidità. A riprova
di ciò, nel marzo del ‘45, i tedeschi proposero al governo della RSI, di
eliminare la numerazione dei biglietti di Stato (non banconote) da 1.2 5
e da 10 lire: la proposta fu respinta categoricamente da Pellegrini,
per cui anche il biglietto di piccola taglia da una lira continuò ad
essere numerato.
Il rapporto di cambio fra Lira e marco
durante la RSI passò da 6,7 Lire a quello di 10 lire per marco, e ciò
dal 15 settembre del ‘43 fino alla fine della guerra; con il franco si
passò da 100 Lire per un franco a 100 Lire 0,77 di Franco fino a 0,50;
Al Sud il cambio con il dollaro fu fissato inizialmente a 100 Lire per dollaro, mentre occorrevano 400 Lire per una sterlina!
Giorgio Bocca |
In tal modo, mantenendo il tempo di restituzione assai vicino alla emissione, dimostrò di non voler impegnare il suo governo nell’indebitamento delle nuove generazioni, soprattutto in un futuro gravido di incognite.
In altre parole, egli si comportò assai
diversamente da come lo dipinse il Bocca, evitando di gravare sul futuro
delle generazioni a venire, ma anzi facilitando il riassetto
finanziario italiano.
Ancora. L’attività legislativa del
Pellegrini non conobbe soste nemmeno sul finire del conflitto. Ne
abbiamo ampie testimonianze da tutta una serie di decreti legislativi
fatti approvare a ridosso del 1945, intesi a far affluire allo Stato i
capitali tesaurizzati dai privati, a contrarre il circolante ed a far
ribassare i prezzi che inevitabilmente, durante il periodo bellico
continuavano a lievitare.
Onde evitare che questo mio lavoro di
ricerca possa essere tacciato di autoreferenzialità vale la pena di
riportare alcuni pareri illustri:
Il senatore nord-americano Victor Wickersham,
presidente della Corte Alleata per l’economia europea, in una
intervista rilasciata a “Il Popolo” del 25 agosto 1945 (anno III n.124)
ebbe a dichiarare che:
“..la situazione economica dell’Italia settentrionale è molto migliore (sic) non solo rispetto alle regioni dell’Italia Meridionale e centrale ma anche in confronto delle condizioni di altri paesi europei in precedenza visitati dalla commissione ed in particolare della Germania, dell’Olanda, della Norvegia, del Belgio e di certe zone della Francia”.
Epicarno Corbino scrisse nel suo volume:
“…si poté constatare che la svalutazione della Lira a Sud era molto più elevata di quella della zona rimasta sotto il controllo tedesco repubblichino”.
concludo con quanto scrisse Silvio Bertoldi:
“Pellegrini ha lasciato il bilancio del suo operato di ministro che è poi bilancio della RSI. Gli va dato atto che amministro assai meglio lui il Nord, pur tra difficolta immani, di quanto abbia fatto nello stesso periodo a Sud il suo collega del governo Badoglio: e forse4 che trovò più comprensione lui da un personaggio come Rahn , di quanta ne avvia trovata a Salerno e a Roma il governo legittimo da parte degli alleato”.
La sua opera benefica non si esplicitò
solamente nel campo monetario. Egli salvò l’I.R.I la finalità dell’INPS e
sull’Istituto per la Ricostruzione Industriale, ne da ampia
testimonianza Vincenzo Tecchio, commissario dell’I.R.I., in una dichiarazione resa il 10 Aprile 1946 alla Corte di Cassazione :
“Pellegrini non solo mi approvò ma mi incitò a seguire tenacemente quelle direttive. Infatti durante il mio commissarioto, ho potuto salvare il patrimonio dell’I.R.I., perchè sempre, in ogni circostanza, ho trovato nel ministro delle Finanze un aiuto immediato, intelligente ed efficace. Innumerevoli volte ho chiesto il suo intervento verso autorità italiane e tedesche e sempre l’ho ottenuto nel modo più largo possibile; intervento non facile, né scevro da pericoli; ciò nonostante esso non è mai mancato. Se il patrimonio dell’I.R.I. è stato salvato, ciò è dovuto, in grandissima parte, alla tutela del Ministro Pellegrini… sempre ho trovato in lui uno strenuo e sdegnoso difensore del prestigio, dell’onore, della ricchezza italiana”.
Da queste parole si evince l’ottimo
lavoro svolto dal Pellegrini in ogni campo da lui controllato. E se ci
furono dei punti poco chiari o comunque non sempre all’altezza della
situazione ciò lo si deve principalmente alla particolare congiuntura
storica in cui si trovò ad operare il ministro napoletano.
© Petrus Aloisius
Testi e Fonti:
Decreto Ministeriale del 12/-11-1943 per la nuova disciplina dei contratti di guerra,
Decreto legislativo di Benito Mussolini del 12-10-1944 sulla socializzazione delle imprese.
Decreto Legge del 31-03-1945 per la socializzazione delle imprese industriali,
Domenico Pellegrini Giampietro: “Memoriale”
Bruno spampanato: “Contro memoriale”
Giorgio Bocca: “La repubblica di Mussolini” - Arnoldo Mondadori Editore
Arrigo Petacco: “Il comunista in camicia nera: Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini”
S. Bertoldi : "Salò - Vita e morte della R.S.I.”
Angelo Norelli: "Il ministro Domenico Pellegrini-Giampietro nel tramonto del Fascismo", Fratelli Conte Editori
http://proscritti.blogspot.it/2012/05/la-finanza-della-rsi.html?spref=fb
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