Giornate intense quelle dell’ottobre 1860 che la storiografia risorgimentale ha colorato di epico.
di: Fernando Riccardi
Il mese di ottobre del 1860 fu sicuramente decisivo per le sorti del
travagliato processo che portò all’unificazione della penisola italica.
Giorni densi di eventi che la storiografia risorgimentale ha colorato di
epico. Ma procediamo con ordine seguendo un criterio cronologico. Il
primo ottobre del 1860, sulle sponde del Volturno, si registrò il
maggiore scontro in campo aperto dell’intera campagna meridionale tra le
truppe garibaldine e ciò che restava dell’esercito napoletano.
Quella di Calatafimi, in Sicilia, del 15 maggio precedente, quella
passata alla storia per la famosa frase di Garibaldi “qui o si fa
l’Italia o si muore” fu in effetti una battaglia che si concluse con il
vergognoso disimpegno del generale napoletano Landi che, vecchio,
imbelle e corrotto fece ritirare le sue truppe proprio quando aveva la
vittoria in pugno. Sul Volturno, invece, si combattè con grande veemenza
su entrambi i fronti. E le truppe napoletane guidate dal generale
Ritucci seppero dimostrare tutto il loro valore mettendo in difficoltà
l’esercito garibaldino che sperava di sbrigare la partita senza
incontrare troppi ostacoli. Ma le clamorose indecisioni dello stato
maggiore borbonico da un lato e l’arrivo in prima linea di regolari
reparti di truppa dell’esercito piemontese dall’altro, fecero sì che la
partita, usando una terminologia calcistica, si concludesse in pareggio.
E se i garibaldini non riuscirono a superare il Volturno, i
napoletani, che speravano di rompere le linee nemiche e di procedere
alla riconquista di Napoli, dovettero rassegnarsi ad una tattica di solo
contenimento. Il primo ottobre del 1860, dunque, sul Volturno si ebbe
una battaglia senza vinti né vincitori.
Anche se va detto che il tempo giocava chiaramente a favore del generale
e, soprattutto, del re sabaudo ormai giunto con il suo poderoso
esercito nel meridione.
Ma andiamo avanti rapidamente per giungere al 21 ottobre, il giorno del
plebiscito, altra tappa decisiva sulla strada che condusse all’unità.
Abilmente architettate dagli agenti segreti del conte di Cavour, le
consultazioni decretarono la volontà delle genti del sud di volersi
unire in matrimonio indissolubile con il Piemonte e di porsi sotto la
guida di sua maestà Vittorio Emanuele II di Savoia, il “re galantuomo”.
Quello che non aveva disdegnato di mettersi personalmente alla testa del
suo esercito per impadronirsi “manu militari” di un pezzo d’Italia.
Nonostante i solenni inni di giubilo per i risultati schiaccianti del
plebiscito, la rivolta popolare che scoppiò qualche mese dopo, quella
che viene bollata come “brigantaggio” e che andò avanti per dieci lunghi
anni, perché il sud d’Italia non si riconova affatto nell’unità
piemontese. Non a caso, Massimo D’Azeglio, uno dei più ferventi
sostenitori dell’unità italiana, così ebbe a dire in Parlamento: “A
Napoli noi abbiamo cacciato il sovrano per stabilire un governo fondato
sul consenso universale. Ma ci vogliono, e sembra che ciò non basti per
contenere il Regno, sessanta battaglioni... Ma, si dirà: e il suffragio
universale? Io non so nulla di suffragio; ma so che al di qua del Tronto
non sono necessari battaglioni e che al di là sono necessari. Dunque vi
fu qualche errore... Bisogna sapere dai napoletani, un’altra volte per
tutte, se ci vogliono, sì o no”.
Più chiaro di così... Ma veniamo, infine, al fatidico 26 ottobre, il
giorno dell’incontro di Teano, il giorno dell’abbraccio tra Garibaldi e
Vittorio Emanuele II di Savoia, quell’abbraccio che consacrò l’unità
d’Italia e che una foltissima schiera di pittori ha immortalato in
chilometri e chilometri di tele e dipinti.
Evento considerato l’emblema più puro dell’epopea risorgimentale. Ma
anche qui va fatto un minimo di chiarezza. Il luogo dell’incontro non fu
Teano ma la piccola contrada di Taverna Catena, oggi appartenente al
comune di Vairano Patenora. Comunque, a Teano o giù di lì, non vi fu
l’incontro tra Garibaldi e il re sabaudo ma un vero e proprio scontro
all’arma bianca, con tanto di temporale, fulmini e saette. Lì, infatti,
si concluse la “spedizione dei Mille”. Ma si concluse in maniera molto
diversa dalle originarie aspettative. Garibaldi infatti, risalito lo
Stivale, avrebbe voluto continuare la sua corsa fino a Roma per
impadronirsi della città eterna e mettere fine al potere temporale della
Chiesa. Cosa che la monarchia sarda, legata a filo doppio alla Francia,
non poteva assolutamente permettersi. Ecco perché mentre Garibaldi si
inoltrava nel cuore della Terra di Lavoro, il re di Sardegna scendeva
con il suo esercito verso Napoli. Ma non per abbracciare ed ossequiare
il generale dei Mille quanto per stoppare bruscamente la sua avanzata
verso Roma. L’incontro di Taverna Catena, in effetti, si protrasse per
una ventina di minuti circa in una atmosfera di tensione, di reciproca
freddezza e di palese antipatia. Garibaldi, alla fine, dovette chinare
la testa e cedere il comando delle operazioni al re sabaudo.
Ormai la sua missione era bloccata. Qualche giorno dopo, era il 9
novembre, da Napoli il generale delle camicie rosse si imbarcò per
raggiungere l’esilio di Caprera.
Altro che incontro trionfale, altro che abbraccio affettuoso e fraterno
tra “padri della patria”. Poco ci mancò che i due, in quella occasione,
si sfidassero a singolar tenzone. Per cui a questo punto è d’uopo
trarre le conclusioni. E mi piace farlo prendendo in prestito le parole
di uno di dei protagonisti di quello “storico” evento. Dopo Teano,
infatti, il re sabaudo così scrisse a Cavour: “Come avrete visto ho
liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi sebbene,
statene certo, questo personaggio non è affatto docile né così onesto
come lo si dipinge e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è
molto modesto come prova l’affare di Capua e il male immenso che è
stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il denaro
dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui che s’è circondato di
canaglia, ne ha seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice
paese in una situazione spaventosa”.
Parole che non necessitano di commenti. Eppure l’incontro di Teano
continua ad essere festeggiato in pompa magna con due comuni che si
accapigliano per rivendicarne la paternità. Chissà, da lassù, come sarà
felice e contento il Peppino nazionale il quale ben sa come le cose sono
andate realmente...
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