CORPORATIVISMO, SOCIALIZZAZIONE. LA MARCIA DEL FASCISMO VERSO LO STATO NAZIONALE DEL LAVORO.
di Filippo Giannini
10.04.2012 - Cari
amici, non voglio tediarvi ricordando mio padre, ma è necessario non
per altro per introdurre un nuovo articolo che, per la verità
completamente nuovo non è. Dunque mio padre, Virgilio, oltre ad essere
dotato di determinate caratteristiche come una acutissima intelligenza e
una non comune cultura, era di una modestia che rasentava la stupidità.
Ma quello che lo caratterizzava in particolare era la sua onestà che
andava oltre ogni umana immaginazione. Mio padre ci lasciò circa quarant
'anni fa. Qualche lettore si chiederà: ma che c ' entra il padre di
Giannini? Un attimo di pazienza e giungo al PERCHE'. Dunque per quanto
scritto si evince che il Ragionier Giannini visse gli anni del pre
fascismo e il fascismo per intero. Una prima precisazione: mio padre non
era, nel corso del Ventennio, mai stato fascista, il suo unico dovere
era il lavoro, quindi posso dire che era un a-fascista.
Veniamo al punto: caduto il fascismo e subentrata la democrazia, poté notare la differenza di buon governo tra il pre-fascismo e la novella democrazia e confrontando questi periodi con quello del male assoluto (così indicato da l'infame N° 1), ebbene divenne fascista e votò sempre per il MSI.
Veniamo al punto: caduto il fascismo e subentrata la democrazia, poté notare la differenza di buon governo tra il pre-fascismo e la novella democrazia e confrontando questi periodi con quello del male assoluto (così indicato da l'infame N° 1), ebbene divenne fascista e votò sempre per il MSI.
Mio
padre si spense negli anni settanta, quando la classe politica allora al
potere non aveva raggiunto il grado di disonestà che oggi la
caratterizza. Per quanto ho scritto non posso immaginare mio padre vivo
ai tempi di questa repubblica nata dalla resistenza.
Non
passa giorno che non si verifichi un furto, una ruberia, una truffa,
corruttela di ogni genere da parte dei furbetti vermetti che siedono al
parlamento o al senato, cose che al tempo del male assoluto sarebbero
state semplicemente impensabili. Proprio questi giorni mi è venuto in
mente un fatto poco noto e che ritengo opportuno ricordare. Al Liceo
classico di Roma, il Torquato Tasso, erano iscritti due figli di Benito
Mussolini: Vitorio e Bruno. È da osservare che quel Liceo in quel
periodo era caratterizzato da grande serietà e difficoltà nello studio e
gli studenti che superavano l'esame di diploma erano considerati dei
piccoli genii. Ebbene accadde che quando Benito Mussolini seppe che
alcuni professori riservavano un occhio di riguardo ai propri figli,
forse in rispetto del loro cognome, scrisse al preside una lettera con
la quale pretendeva che ad essi fosse riservato lo stesso trattamento di
severità in uso per qualsiasi altro studente.
Quanto sopra scritto mi ha ispirato l'articolo che segue, iniziando con un grido, alto e forte: ALTRO CHE ARTICOLO 18!
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Socializzazione e Stato Corporativo
I passaggi fondamentali per giungere al Manifesto di Verona
I passaggi fondamentali per giungere al Manifesto di Verona
"La
Socializzazione non è se non la realizzazione italiana, romana, nostra,
effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il
soggetto unico dell'economia, ma respinge la livellazione di tutti e di
tutto, livellazione inesistente nella natura umana e impossibile nella
storia" (Mussolini - 14 ottobre 1944)
Il
teorico e storico della dottrina cattolica, Don Ennio Innocenti, che
tanti anni ha dedicato allo studio e all'insegnamento, ha scritto che il
problema affrontato da Mussolini nell'ultimo decennio della sua vita
"fu quello di far entrare il corporativismo nelle imprese per elevare il
lavoratore da collaboratore dell'impresa a partecipante alla gestione e
alla proprietà e quindi ai risultati economici della produzione”. E
aggiunge: "Durante la RSI ... fu emanato un decreto che prevedeva la
socializzazione delle imprese. E' stato questo, sostanzialmente, il
messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E' un messaggio in
perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà
sempre radicalmente avversa sia al capitalismo sia al
social-capitalismo. In quest'ultimo messaggio mussoliniano di
esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico”.
L'idea
di un "socialismo effettuabile" sorse in Mussolini già nel 1914, quando
uscì dal Partito Socialista, "organismo" velleitario e ciarliero e la
sviluppò nell'immediato primo dopo guerra.
Nel
1919, Mussolini parlando, agli operai della "Dalmine" che avevano
occupato le fabbriche e innalzato le bandiere tricolori anziché quelle
rosse e continuato a lavorare sotto la guida dei tecnici, fra l'altro
dichiarava che "il lavoro doveva essere conquista, vittoria di uomini
liberi. Voi non siete più salariati ma compartecipi, corresponsabili
nella produzione”.
In
questo dopoguerra è stato scritto e detto che l'idea di Mussolini della
Socializzazione "fu solo un tardivo espediente per ingannare le masse
lavoratrici". E' una delle tante menzogne, fra le mille e mille, di un
regime corrotto e inetto terrorizzato di dover affrontare un serio
confronto con il Governo che lo ha preceduto.
Tutta
l'attività del Governo Mussolini fu un susseguirsi costante di decreti e
leggi di chiare finalità sociali all'avanguardia non solo in Italia ma,
addirittura, nel mondo.
Quelle
leggi, di cui i lavoratori italiani ancora oggi ne godono i privilegi,
sono quelle volute da Mussolini nei suoi vent'anni di Governo. Qualsiasi
confronto con quanto fatto dai Governi di questo dopoguerra,
risulterebbe stridente.
Citerò
solo alcune di quelle leggi o decreti, quelle, cioè che ritengo più
rappresentative, ricordando che prima del fascismo nello specifico campo
legislativo c'era il vuoto più assoluto:
Tutela lavoro donne e fanciulli (R.D. 653 - 26/4/1923);
Assistenza ospedaliera per i poveri (R.D. 2841 30/12/1923);
Assicurazione contro la disoccupazione (R. D. 3158 - 30/12/1923);
Maternità e infanzia (R.D. 2277 - 10/12/1925);
Assicurazione contro la TBC (R.D.2055 -27/10/1927);
Esenzioni tributarie famiglie numerose (R.D.1312 - 14/6/1928);
Opera nazionale orfani di guerra (R.D. 1397 - 26/7/1929);
INAIL (R.D.264 - 23/3/1933);
Istituzione libretto di lavoro (R.D. 112 - 10/1/1935);
INPS (R.D.18274/10/1935);
Riduzione settimana lavorativa a 40 ore (R.D. 1768 - 29/5/1937);
ECA (R.D. 847 - 3/6/1937);
Assegni familiari (R.D. 1048 - 17/6/1937);
Casse rurali e artigiane (R.D.1706 - 26/8/1937);
INAM (R.D. 318 - 11/1/1943);
Da
tutto ciò si evince il motivo per cui i governi che seguirono nel
dopoguerra, per evitare un democratico confronto, sono stati costretti a
creare una cortina di menzogne e varare quelle leggi antidemocratiche e
lesive al libero pensiero, quali le “Leggi Scelba ”, “Legge Reale " e
"Legge Mancino".
Su
questo argomento torneremo in un prossimo futuro e rientriamo
prontamente in tema ricordando l'enunciazione mussoliniana “andare verso
il popolo ", trasformata poi nel più sociale "stare con il popolo".
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I
principi essenziali dell'ordinamento corporativo sono espressi e
ordinati nella "Carta dei Lavoro" che vide la luce il 21 aprile 1927.
"La
Carta del Lavoro" trasportava il lavoratore fuori dal buio del medioevo
sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra
capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e
codificati.
In un
articolo di fondo apparso alcuni anni or sono su "Il Giornale d'Italia",
fra l'altro si legge: .
Il
Diritto Corporativo tende a porre l'Uomo al centro della Società
postulando dei principii di cui ne cito alcuni ritenendoli i più
caratterizzanti e avvalendomi dello studio del Dott. Sebastiano
Barolini:
1) ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell'impresa;
2) partecipazione dei lavoratori agli utili dell'impresa;
3)
partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali onde evitare
chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano
informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare
altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;
4)
intervento dello Stato attraverso suoi funzionari immessi nei Consigli
di Amministrazione allorquando le imprese assumono interesse nazionale a
maggior difesa dei lavoratori;
5)
diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle
concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto
lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;
6)
diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso
sociale di contro all'appiattimento collettivista ed alle concentrazioni
capitaliste;
7)
edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito
ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la
previdenza sociale, l'assistenza gratuita alla maternità e all'infanzia,
le colonie marine e montane per bambini poveri, l'assistenza agli
anziani, i dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via dicendo;
8)
eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un
apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino
non può farsi giustizia da se, altrettanto deve valere per i conflitti
sociali ed evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle
parti in causa ed alla collettività nazionale;
9)
abolizione dei sindacati di classe ormai ridotti a cinghie di
trasmissione dei partiti che li controllano e creazione dei sindacati di
categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una
Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni
di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;
10)
attuazione, particolarmente nel Mezzogiorno, della bonifica integrale
che toglie ai latifondisti le terre incolte, le rende produttive e le
distribuisce in proprietà gratuita ai contadini poveri.
Questi
enunciati, che risalgono ai primi anni '30, non sono che il logico
sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor
più lapidariamente nel "Manifesto di Verona". (1)
Come
logica successione di questo processo che, come abbiamo visto, partì nel
lontano 1914 e giunse ad approdare alle "Leggi sulla Socializzazione"
nella Repubblica Sociale Italiana.
Sin
dalla seduta del Consiglio dei Ministri del 27 Settembre 1943 (quindi a
pochissimi giorni dalla sua liberazione), Mussolini fra l'altro
dichiarava che < la Repubblica avrebbe avuto un pronunciatissimo
contenuto sociale> e il 29 settembre ancor più esplicitamente:
<(la Repubblica Sociale Italiana avrebbe avuto) un carattere
nettamente socialista stabilendo una larga socializzazione delle aziende
e l'autogoverno degli operai > .
La
Socializzazione era uno strumento per una più ampia trasformazione dello
Stato così come era nel pensiero fascista: socializzare l'economia per
socializzare lo Stato.
Questo
pensiero può risultare più chiaro leggendo uno stralcio della Relazione
che accompagnò il Decreto Tarchi, Ministro dell'Economia: <(...) la
civiltà tende ad un nuovo ciclo, e quel nuovo ciclo nel quale l'uomo
riassumerà il ruolo di protagonista della propria storia e del proprio
destino in funzione della sua personalità estrinsecantesi in attività
concrete sociali, cioè nel lavoro. Sotto tale profilo l'affermazione
programmatica che riconosce il lavoro come soggetto dell'economia
(...)> .
Ecco
allora prender forma la dottrina della società come era intravista da
Saint Simon, da Owen, da Mazzini, concezioni vilipese dal Bolscevismo ma
ben focalizzate dal "socialismo effettuabile" di Mussolini e riportate
nel "Manifesto di Verona" e ufficializzate nella dichiarazione
programmatica del 13 gennaio 1944 e nel decreto legislativo dell'11
febbraio seguente.
La
Borsa di Milano, che era ben vitale nella Repubblica Sociale, il 13
gennaio, all'annuncio dei provvedimenti sulla Socializzazione, determinò
il giorno dopo la caduta dell'indice generale da 854 a 727 punti. Dopo
un periodo di stasi, quando il 13 febbraio furono emanati i decreti di
Socializzazione, l'indice generale scese a 567 punti, poi però, ad
iniziare da marzo riprese a salire fino a toccare, il 6 giugno 1944 il
ragguardevole livello di 1.745 punti (2).
Certamente il Paese che sopportava oltre quattro anni di disastrosa
guerra e diversi mesi di lotta intestina, ben difficilmente poteva
attuare in tempi rapidi un così ambizioso progetto di trasformazione
dello Stato. Progetto, però, che, come disse Mussolini a Milano
"qualunque cosa accada, è destinato a germogliare”. Giustamente
l'avvocato Manlio Sargenti ha recentemente rilevato: .
Prima
di chiudere il lavoro e concludere, ritengo importante citare gli
articoli che sono di base della nostra lotta politico-sociale, articoli
che, ovviamente a oltre ottanta anni dalla loro promulgazione, possono
essere ritoccati lì dove è necessario ma il cui spirito deve rimanere
inalterato.
1.
Art.9) base della Repubblica Sociale Italiana e suo soggetto primario è
il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
2.
Art.10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio
individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo
Stato. Essa però non deve diventare disintegratrice della personalità
fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro
lavoro.
3.
Art.12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale), le
rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente -
attraverso una conoscenza diretta della gestione dell'equa ripartizione
degli utili tra il fondo e la riserva, il frutto del capitale azionario e
la partecipazione agli utili stessi da parte dei lavoratori (...).
Gli
articoli non menzionati sono certamente meritevoli di essere ricordati,
ma motivi di spazio mi inducono a citare quelli essenziali che da soli
caratterizzano lo spirito di base del "Manifesto di Verona"; e sempre
per tirannia di spazio sono costretto a rinunciare ad un dovuto commento
anche degli articoli menzionati.
L'attuazione della "Legge sulla Socializzazione" trovò enormi difficoltà
causate sia dagli industriali, per ovvi motivi; dai tedeschi timorosi
che la resistenza passiva da parte degli industriali avrebbe potuto
danneggiare la produzione bellica; da parte dei comunisti, che ormai
plagiavano i lavoratori, timorosi che la Socializzazione li scavalcasse a
sinistra.
Questa
situazione di stallo persistette sino a quando Concetto Pettinato, che
Mussolini stesso aveva definito "la nostra più importante mente
giornalistica”, creò un caso clamoroso. Un suo articolo, pubblicato su
"La Stampa" (di cui era direttore) del 21 giugno 1944, dal titolo: "Se
ci sei batti un colpo", diede una sferzata al Capo della RSI e lo
costrinse a mettere in atto quelle Leggi sulla Socializzazione che, come
abbiamo visto, erano già approvate in sede legislativa ma rimaste
inoperanti.
Mussolini ruppe gli indugi e autorizzò il Decreto del giugno '44 e l'entrata in vigore del Decreto del febbraio precedente.
A
causa della drammatica crisi che attraversava il Paese, Mussolini
ritenne opportuno attuare la Socializzazione per gradi; iniziando dalle
imprese editoriali.
La
situazione stava precipitando, ma nelle imprese socializzate si
riscontrò un notevole incremento della produzione. A dicembre 1944,
Nicola Bombacci programmò una serie di comizi e conferenze fra le
imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondadori traendone
sorpresa ed emozione. A seguito di ciò inviò una lettera a Mussolini
nella quale, fra l'altro scrisse: "Ho parlato con gli operai che fanno
parte del Consiglio di Gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e
compresi di questa loro missione dato che gli utili dopo questi primi
mesi è di circa 3 milioni”.
La
guerra ormai volgeva alla fine e, come ha scritto Amicucci ne "I 600
giorni di Mussolini": .
Proprio a questo scopo il 22 marzo 1945 il Consiglio dei Ministri decise
che si procedesse entro il 21 aprile alla Socializzazione delle imprese
con almeno 100 dipendenti e un milione di capitale.
Per
ripagare il grande contributo avuto dai grandi industriali, i comunisti
che controllavano appieno il CLNAI, come primo atto ufficiale,
addirittura il 25 aprile 1945, proprio mentre si continuava a sparare e
mentre era iniziato "l'olocausto nero", ripeto, come primo atto
ufficiale fu l'abolizione della "Legge sulla Socializzazione". E
l'operazione fu condotta proprio dal padre di Enrico Berlinguer. Non lo
sapevate? D'altra parte fu legittima difesa, in quanto i Berlinguer
erano ricchissimi proprietari terrieri.
Così era iniziata la grande beffa a danno dei lavoratori.
Quanti di voi conoscevano quanto riportato?
1)
Questi principi rivoluzionari che avrebbero posto in discussione i
"diritti acquisiti" costrinsero tanti "potenti della terra", a
coalizzarsi per ostacolare il processo mussoliniano prima imponendo le
Sanzioni, obbligandoci poi alla guerra, quindi "inventandosi" il "25
luglio", l'8 settembre ed infine i massacri del secondo dopoguerra allo
scopo che di quelle idee non rimanesse più traccia. Paradossale è che di
questo diabolico progetto la grossa finanza si avvalse proprio di
quella classe che ne sarebbe stata lesa: la classe dei meno abbienti. E
l'inganno continua!
2) Solo
per conoscenza storica il 6 giugno, alla notizia dello sbarco
angloamericano in Francia, si verificò il crollo del 30% chiudendo,
però, l'anno borsistico il 2 agosto 1944, al buon livello di 1.219
Punti.
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