giovedì 5 maggio 2011

5.5.1936: Impero italiano. Le ragioni di un torto

Guerra d’Africa: 2 Ottobre 1935 – 5/9 Maggio 1936

IL POSTO AL SOLE

LXXV anniversario della Proclamazione dell’Impero

di Alberto B. Mariantoni

L’Italia, settantacinque anni fa, il 9 Maggio 1936, dopo XV secoli di Storia, nel quattordicesimo anno dell’era fascista, ridiventava imperiale. E questo, in barba ed alla faccia di quelle potenze coloniali che, fino ad allora, pur sfruttando ripetutamente le variegate potenzialità del nostro Paese, non avevano fatto altro che umiliare e mortificare la nostra Nazione, per poterla interessatamente comprimere e contenere nell’angusto alveolo di una prestabilita e controllata impotenza.

Premetto immediatamente che questo mio excursus storico non vuole assolutamente essere encomiastico o esaltatorio di nessuna esperienza coloniale. Il Colonialismo, infatti, sotto qualsiasi forma, ivi compreso il particolare modello fascista, è una contraddizione in termini con i principi ed i valori di libertà, indipendenza, autodeterminazione e sovranità politica, economica, culturale e militare a cui ogni Popolo-Nazione del mondo, non solo ha diritto di ambire o di desiderare ma addirittura, ha il dovere civile e morale di rivendicare e di ottenere, con qualsiasi mezzo, per poterli tangibilmente concretizzare, per la propria gente e gli altri popoli, nel contesto della società umana.

Colonialismo: una volgare idea malsana

Il concetto (moderno) di colonialismo – inizialmente giustificato ed incoraggiato da un Bolla papale (quella di Alessandro VI Borgia che, nel 1493, aveva suddiviso il Globo terrestre in due metà, l’una arbitrariamente assegnata al Portogallo e l’altra alla Spagna), successivamente legittimato, il 7 Giugno 1494, dal Trattato di Tordesillas (tra i Re cattolici di Spagna e Giovanni II del Portogallo) e, dopo diversi secoli, ulteriormente convalidato dalla Conferenza geografica di Bruxelles (1876) ed, in ultima istanza, ugualmente ed aggiuntivamente ufficializzato e reso ammissibile e praticabile da 14 Paesi[1] che partecipavano alla Conferenza di Berlino (15 Novembre 1884 / 26 Febbraio 1885) – tende ad autorizzare, coonestare e legalizzare l’occupazione militare, la dominazione politico-culturale e lo sfruttamento economico di un Paese su un altro Paese e/o di un Popolo su un altro Popolo. Questo, ovviamente, quando non implica o non ha già implicato – come nel caso degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia, dell’Olanda, del Belgio, della Spagna, del Portogallo, del Sud-Africa e di Israele – la sistematica eliminazione o marginalizzazione delle popolazioni dei territori conquistati, la pulizia etnica o l’espulsione degli autoctoni, l’apartheid, la negazione, il rifiuto o il plagio delle culture aborigene, l’assimilazione forzata delle popolazioni sottomesse e, “dulcis in fundo”, perfino l’ibridazione generalizzata e reciproca (salvo per gli Israeliani… che, nel rapporto con le popolazioni palestinesi sottomesse, tendono a distinguersi e ad isolarsi, praticando delle speciali unioni endogamiche, tra membri della stessa setta, a partire da basi religiose e/o culturali e/o storiche) dei dominatori e dei dominati, nel contesto di un inevitabile habitat multirazziale e multirazzista.

In altre parole, il Colonialismo, ai miei occhi ed a quelli (spero…) di chiunque possegga un minimo di umanità e di buon senso, altro non è, né può essere, che l’ordinaria e ripugnante legalizzazione dell’ingiustizia della violenza, del sopruso e della rapina, nonché di un inevitabile, assurdo e devastatore autolesionismo o “masochismo” etnico-culturale!

Le Colonie italiane

Premesso quanto sopra, siccome è di Storia che vorrei parlare, è nel suo particolare contesto che mi permetterò di risituare la conquista dell’Etiopia e la Proclamazione dell’Impero da parte dell’Italia fascista.

Per cominciare, chiariamo subito che l’Italia non divenne affatto un “Paese coloniale” sotto il Regime fascista. Lo era già prima del 1936, ed ancora prima della fondazione (1919) e dell’ascesa al potere (1922) dello stesso Fascismo!

Qualora, però, qualcuno non lo sapesse o lo avesse dimenticato, prendo la libertà di ricordare che i possedimenti extra-nazionali che – nel 1922 – il Fascismo si trovò ad ereditare dai precedenti Governi Socialisti e Liberali del Regno d’Italia, erano i seguenti: Eritrea (occupata nel 1869-1885), la concessione di Tien-tisin (7 Giugno 1902) in Cina, Somalia (1889-1908), Libia (1911-1912), Catellorizzo, Rodi ed isole del Dodecanneso (1912), nonché le isole di Saseno e Capo Linguetta (3 Agosto 1920), in Albania. Ed il relativo Ministero delle Colonie, era stato istituito con la Legge del 6 Luglio 1912, n. 749 ed aveva iniziato a funzionare con il R.D. del 20 Novembre 1912, n. 1205.

E’, dunque, con i suddetti territori e quelli dell’Etiopia – nuovamente conquistati, tra il 2 Ottobre 1935 ed il 5 Maggio 1936 – che il Regime fascista proclamò l’Impero, il 9 Maggio del 1936.

L’Etiopia

Il Paese che l’Italia del 1935 (301.336 kmq di superficie ed una popolazione di all’incirca 43.000.000 di anime) si apprestava a conquistare in Africa, aveva un’estensione di all’incirca 1.120.400 kmq (quasi 4 volte l’Italia), con una popolazione di all’incirca 28.000.000 di abitanti, di diverse etnie, per lo più di origine camita e caratterizzata da forti influenze arabo-semite e somalo-bantù (da cui, la denominazione araba, per popolazioni miste, Habesh, divenuto, in seguito, in italiano, Abissini), di lingua gheez (con svariate derivazioni e dialetti, come il tigrigno, al Nord del Paese, e l’amharigno, al Sud), in maggioranza di religione cristiana di rito copto, con forti minoranze musulmane e fàlasha o féllasha o félashim (in lingua amharica, “stranieri” – in realtà Etiopi, come gli altri, che praticano un Giudaismo particolare, a cui sono sconosciute le feste dell’Hannukà e di Purim).

L’Etiopia del 1935-36 (all’epoca, chiamata impropriamente Abissinia, per la ragione che abbiamo appena visto) – pur facendo parte, dal 1923, della Società delle Nazioni di Ginevra (grazie alla volontà della Gran Bretagna e della Francia) ed avente, con l’Italia, un vero e proprio Trattato di Amicizia (1928) – era uno Stato prettamente tribale/feudale, di modello assolutista, dove l’autorità era interamente nelle mani di un Negus Neghesti o Neguss Neqest (Re dei Re o Signore dei Signori) che la delegava, su base territoriale, ai suoi diversi diretti vassalli, come i Re o Ras del Tigrai, del Goggiam, del Caffa, del Sidamo, dell’Uollo, il Sultano del Gimma, l’Emiro dell’Harar, etc.

In quel Paese – dove era ordinariamente praticata la schiavitù e la vendita/acquisto di esseri umani ridotti precedentemente all’asservimento (pratica che verrà immediatamente abolita, con la liberazione di tutti gli schiavi esistenti, dal Maresciallo Emilio De Bono, il 14 Ottobre 1935) – non esistevano leggi, nel senso che le intendiamo in Europa, ma semplicemente consuetudini orali e tradizioni ancestrali. Non esistevano, inoltre, Ospedali o strutture sanitarie. Non esistevano strade, scuole, università, né infrastrutture primarie e secondarie. La sola ferrovia del Paese, la Addis Abeba-Gibuti, di all’incirca 780 chilometri, era stata realizzata da francesi.

Quello Stato, dopo la morte di Menelik II (1844- 1913) – il Negus delle nostre sconfitte di Dogali (26 Gennaio 1887) e di Abba Garima (1 Marzo 1896) – aveva conosciuto momenti di forte tensione tra le diverse tribù del Paese, a causa soprattutto del diritto di successione al Trono di Giuda, rivendicato simultaneamente da due pretendenti: Judith o Zauditu o Zewditu Menelik (figlia del precedente Imperatore) e Lidj o Lidg Iyasu o Ligg Jassu, nipote di Menelik II°, figlio dell’ex Negus reggente, Ras Mikaél.

In quella situazione di incertezza istituzionale, un modesto Ras della regione dell’Harar, di nome Tafari Makonnen (1892-1975 – che in lingua amharico-etiope vuole dire, “Tafari” = “colui che è temuto”, e “Mäkwännen” o “Makonnen” = “grande, nobile”) – con il sotterfugio, l’intrigo e la violenza, e soprattutto la complicità della Corona britannica, la correità di Judith o Zauditu o Zewditu Menelik (Imperatrice pro-tempore dell’Etiopia) ed il beneplacito dei missionari cattolici della regione di Harar – aveva lui stesso arbitrariamente usurpato quel trono. Il 7 Ottobre 1928, infatti, si era auto-proclamato Negus o Neguss Neqest o “Re dei Re” o “Signore dei Signori” (nonché, Eletto da Dio, Leone conquistatore della Tribù di Giuda, Luce dell’Universo, Difensore della Fede, etc.). Ed il 3 Novembre 1930 (dopo la morte dell’Imperatrice Judith), si era auto-incoronato Imperatore, con il nome di Hailé Selassié. Questo, senza dimenticare di fare dapprima esautorare e spodestare illegalmente dalle gerarchie della Chiesa etiopica (27 Aprile 1916), in seguito, internare (1921) ed, in fine, assassinare (1935), l’altro scomodo pretendente al Trono, Lidj o Lidg Iyasu o Ligg Jassu, uno dei legittimi eredi di quel regno.

La “passeggiata” africana

Visto che ci siamo, però, sarà bene ugualmente richiamare alla memoria che la conquista[2] dell’Etiopia, per l’Italia, non fu affatto una banale “partita di Risiko”!

Contrariamente all’opinione più diffusa che lascia spesso intendere che la Guerra d’Africa di Mussolini fu una semplice “escursione” o “passeggiata”, nel contesto di un rapporto sproporzionato di forze che avvantaggiava notevolmente l’Italia, basta rammentare alcune informazioni:

– di fronte agli all’incirca 177 000 uomini (comprese le CC.NN. delle divisioni “21 Aprile”, “23 Marzo” e “28 Ottobre”, rispettivamente comandate dai Generali Giacomo Appiotti, Ettore Bastico e Umberto Somma), 580 pezzi d’artiglieria, 125 carri armati leggeri e 125 aerei che furono inviati in Eritrea dall’Italia per scatenare l’offensiva contro l’Etiopia, il Governo di Addis Abeba, dopo aver mobilitato le sue truppe già dal 29 Settembre del 1935, fu immediatamente in grado, il 2/3 Ottobre 1935, di allineare, contro il corpo di spedizione italiano, un contingente militare che superava abbondantemente le 400/500 mila unità di linea;

– le forze armate etiopi, erano suddivise in diverse armate di 50/80 mila combattenti ciascuna;

– erano agli ordini di numerosi Capi feudali della corte di Hailè Selassiè (come, i fratelli Cassa, Ras Nasibù, Ras Sejum, Ras Mulughietà, Ras Immirù, Ras Destà Dametèu, Ras Abebè Aregai, Ras Mangascià, Ras Gherarsù Duchì, Ras Giamberiè, Ras Scilesci, etc.) che, a loro volta, erano opportunamente consigliati e militarmente addestrati e guidati da “informali” e “disinteressati” esperti britannici accorsi delle confinanti colonie inglesi del Kenia, dell’Uganda e del Somaliland;

– erano armate con moderni fucili europei (tra cui, 10.000 Mauser e 10 milioni di cartucce – unitamente a 30 cannoni anticarro e 60 cannoni antiaerei Oerlikon – gentilmente inviati dal Governo del futuro alleato dell’Italia, il cancelliere tedesco Adolf Hitler; senza contare i 200.000 fucili e relativo munizionamento – ivi comprese le tristemente celebri “Dum-Dum”[3] – graziosamente forniti dal Governo di Sua Maestà britannica, e le 150.000 carabine fatte pervenire dalla Francia), più di 2.000 mitragliatrici, un centinaio di batterie antiaere da 20mm, all’incirca 300 cannoni campali (tra cui, più di duecento cannoni Schneider e Vicker da 75 mm), un centinaio di mortai, qualche dozzina di carri armati, una cinquantina di aerei (da caccia, bombardamento e ricognizione, tra cui: diversi Beechcraft Staggerwing, due Fokker F-VII/a e Fokker F-VII/b, alcuni Barman 192, alcuni Havilland DH-60, tre Breda Ba-15, due Junkers W33/c, un Heinkel HD-21, sei Potez 25, due Fiat AS-1, alcuni Weber Meindi A-VII, etc.) pilotati – oltre che da alcuni etiopi (come Asfaw Ali, Bahru Kabada e Tesfaye) – da volontari/mercenari inglesi, sudafricani, australiani, americani (come, John C. Robinson), sovietici (come Mishka Babitcheff), tedeschi (come il Barone von Engel, il Conte Schatzberg, Ludwig Weber, etc.) e francesi (come Gaston Vedel, Thierry Maignal, Hubert Julian, etc.), tutti indistintamente agli ordini dall’ex ufficiale d’aviazione francese André Maillet.

Per chi ancora non ne fosse al corrente, infatti, quella “spensierata scampagnata”, per le truppe italiane – senza tenere conto dei circa 4.350 morti (2.317 morti per l’esercito, 1.165 della milizia, 193 dell’aeronautica, 56 della marina, più decine di civili), dei circa 9.000 feriti e degli all’incirca 18.200 rimpatriati per malattia – ebbe momenti di drammatica incertezza, come nel corso delle battaglie del Ganale Doria (Dicembre 1935 – Gennaio 1936), del Tembien (Gennaio-Febbraio 1936), dell’Endertà (10-15 Febbraio 1936), del Tigrai (Febbraio-Marzo 1936), del Lago Ashianghi (Marzo-Aprile 1936), del Lago Tana, dell’Ogaden, di Gianagobò, di Ganu Gadu, di Birgot (Aprile-Maggio 1936), di Addis Abeba (Aprile-Maggio 1936), etc.

Ciò precisato, ritengo che per lo stesso Fascismo, la guerra all’Etiopia e la successiva Proclamazione dell’Impero, furono – da un punto di vista strettamente Fascistauna flagrante stonatura ed una vera e propria forzatura politica e pratica.

Certo, per tentare di discolpare o scagionare il Regime fascista da quella palese dissonanza, potrei semplicemente affermare che la guerra all’Etiopia e la Proclamazione dell’Impero sono inevitabilmente riconducibili ad un contesto storico, in cui la maggior parte delle Nazioni di cultura europea o cosiddette Occidentali, già deteneva immensi territori coloniali.

Non dimentichiamo, infatti, che l’Inghilterra e la Francia, nel 1935-1936, a loro sole – con complessivi 46.476.407 chilometri quadrati di territori che avevano indebitamente sottratto ad altre Nazioni ed all’incirca 516.493.500 ex-liberi cittadini del Terzo mondo che avevano sottomesso ai loro Stati – potevano vantare i maggiori Imperi coloniali del mondo.

Tanto per avere un’idea dell’estensione e della diversificazione dei loro Imperi, cercherò sommariamente di elencare i possedimenti coloniali di quelle due “care”, “altruistiche” ed “anticolonialiste” Nazioni:

- Europa britannica (possedimenti, per 82.952 kmq e 4.800.000 abitanti): Gibilterra; Irlanda del Nord (Ulster); Isola di Malta; Isola di Man; Isole Normanne (Guernsey, Jersey, Chanel Islands);

- America ed Isole Atlantiche britanniche (possedimenti, per 10.376.950 kmq e 14.632.075 abitanti): Canada; Piccole Antille; Isole Bahamas o Lucaie; Isole Bermuda; Giamaica e dip.; Isole Sottovento; Isole del Vento; Guyana brit.; Honduras brit.; Labrador; Isole Maluine o Falkland; Terranova; Trinità e Tobago; Newfoundland; Anguilla; Antigua e Barbuda; Barbados; Labrador; Georgia del Sud; Isole Vergini; Isole Cayman; Dominica; Grenada; Jamaica; Montserratt; Saint Kitts e Nevis; Santa Lucia; San Vincenzo e le Grenadine; Isole Turks e Caicos; Isole S. Elena (Ascensione, Tristan da Cunha); Isole Shetland; Isole Orcadi ed Isole Sandwich;

- Asia britannica (possedimenti, per 5.581.300 kmq e 393.628.900 abitanti): Isola di Cipro; Aden; Hadramaut; Kuwait; Oman; Qatar; Trucial States (attuali Emirati Arabi Uniti); Bahrein; Bhutan; Borneo settentrionale; Brunei; Burma; Isola di Camaran; Isola di Ceylon; Singapore; Hong-Kong e Kaulun; Impero Indiano (India e Pakistan); Birmania; Isola di Laccadive; Isole Maldive; Sarawak; Stabilimenti di Stretto; Nepal; Malesia brit. e Stati Malesi; Wei-hai-wei; senza contare la tutela politica, finanziaria e militare sull’Egitto, l’Iraq, l’Iran, l’Aghanistan, etc.;

- Mandati SDN (possedimenti, per 65.000 kmq e 1.250.000 abitanti): Kerak (Trangiordania); Palestina;

- Africa britannica (possedimenti, per 9.835.333 kmq e 61.988.156 abitanti): Costa d’Oro (Ghana); Camerun; Nigeria; Gambia; Kenia; Maurizio, Ciagos e dip.; Nassa; Bechuanaland; South West Africa; Baia della Balena; Colonia del Capo; Rhodesia sett. e merid; Zanzibar e Pemba; Kenia; Isola Maurizio; Sierra Leone; Socotra e Seicelle; Isole Rodriguez; Somalia Brit.; Sudan Anglo-Egiziano; Uganda; Unione dell’Africa meridionale (Sud Africa) e dipendenze (Basutoland, Beciuania e Swaziland);

- Mandati SDN (possedimenti, per 1.901.100 kmq e 6.215.000 abitanti): Africa di S.W. (Namibia); Camerun brit.; Tanganiga; Togo brit;

- Oceania britannica (possedimenti per 8.486.170 kmq e 9.580.948 abitanti): Australia; Nuova Zelanda; Isole Macquarie; Isole Norfolk; Nova Galles del Sud; Papua e Nuova Guinea; Isole Cook; Isole dell’Unione; Isole Nuove Ebribi; Colonia Brit. delle Gilbert e Ellice; Queenland; Isole Zasmania; Territorio Victoria; Isola della Fenice; Isole Pictairn e Ducie; Isole Sporadi della Polinesia Centrale; Isole Salomone; Isole S. Cruz o Regina Carlotta; Isole Tonga o degli Amici; Isole Tucopia; Isole Viti o Figi, Isole Rotumah; British Antartic Territories; Isole diverse;

- Oceania franco-britannica (possedimenti per 13.230 kmq e 60.000 abitanti): Nuove Ebridi e dipendenze;

- Mandati SDN (possedimenti per 243.280 kmq e 593.000 abitanti): Isole Nauru; Isole Nuova Guinea; Isole Samoa britanniche;

- Antardide (possedimenti per 4.780.000 kmq e 2.000 abitanti): Terra di Graham; Terra Ross; Terra di Giorgio V; Isole Tristan De Cunha.

- Per completare il quadro informativo a proposito della Gran Bretagna, potrei aggiungere che, nel 1867, “gli Inglesi avevano inviato una spedizione vittoriosa contro il Negus Teodoro, ma non avevano mai avuto l’intenzione di stabilirsi nel paese, in quanto avevano calcolato che l’Etiopia avrebbe richiesto forti spese per un profitto molto scarso” (Denis Mack Smith, “Storia d’Italia 1861-1969”, Euroclub, Laterza, Bari, 1978, pag. 374).

  • L’ugualitaria, progressista ed antifascista Francia (governata, in quel periodo, dal “Fronte Popolare” social-comunista, diretto dal giudaita e socialista francese Léon Blum), nel 1935-1936 (per visualizzare la vastità dell’Impero britannico, vedere: http://users.erols.com/mwhite28/frnc-emp.htm), possedeva:

- America francese (possedimenti, per più 91.250 kmq e 575.000 abitanti): Guadalupa e dip.; Guaiana fr.; Martinica; S. Pierre e Miquelon;

- Asia francese (possedimenti, per più 711.355 kmq e 21.350.000 abitanti): Annam; Cambogia; Carical; Chandernagor; Cocincina; Cuang-ceu-uan; Laos; Mahé; Pondichery; Tonkino; Yanaon;

- Mandati SDN (possedimenti, per 215.000 kmq e 4.100.000 abitanti): Federazione degli Stati della Siria e del Grande Libano;

- Africa francese (possedimenti per 10.060.070 kmq e 38.185.000 abitanti): Africa Equatoriale francese (A.E.F.); Africa Occidentale francese (A:O.F.); Algeria e dipendenze; Costa francese dei Somali; Madacascar e Comorre; Marocco francese; Isole della Riunione; Tunisia e dipendenze;

- Mandati SDN (possedimenti, per 752.200 kmq e 2.930.000 abitanti): Camerun; Togo;

- Ocenania francese (possedimenti per 22.660 kmq e 80.500 abitanti): Isole Clipperton; Isola Gambier o Mangareva; Isola Macatea; Isole Marchesi; Isole della Nuova Caledonia; Isole Rapa o Opporlo; Isola della Società; Isola Tuamotu o Paumotu; Isole Tubuai;

- Oceania franco-britannica (possedimenti per 13.230 kmq e 60.000 abitanti): Nuove Ebridi e dipendenze.

Gli altri Imperi coloniali

Vediamo, ora, i possedimenti coloniali di alcuni paesi europei[4] e quelli degli USA:

  • la cosmopolita e poco bellicosa Olanda, possedeva, nel 1935-1936: America Olandese - possedimenti, per 130.120 kmq e 228.000 abitanti: isole di Aruba, isole Bonaire, isole S. Eustatius, isole di S. Martino e di Saba ; più Curaçao, e Guaiana o Surinam; Asia Olandese – possedimenti, per più di 1.459.270 kmq e 58.500.000 abitanti: Indonesia, Banka, Billiton e Riau; Borneo e dipartimenti; Celebes e dip.; Giava e dip.; Sonda e Molucche; Sumatra e dip.; Oceania Olandese – possedimenti per 401.500 kmq e 300.000 abitanti: Nuova Guinea; Isole dipendenti;
  • il discreto e modesto Portogallo, possedeva, nel 1935-1936: Asia Portoghese – possedimenti, per più di 20.505 kmq e 1.250.000 abitanti: Cambing, nelle Indie occidentali; Damao, Diu e Goa, in India; Macao, in Cina; Timor, nelle Indie occ.; Africa Portoghese - possedimenti per 2.085.215 kmq e 9.700.000 abitanti: Angola; isole Azore; isole Capo Verde; Guinea portoghese; Isole Madera; Monzambico; isole Sao Tomé e Principe;

  • la Spagna, repubblicana, massonica ed antifascista, possedeva, nel 1935-1936: Africa Spagnola, possedimenti, per 348.000 kmq e 1.820.000 abitanti: isole Canarie; Er Rif e Presidios; isole Fernando Poo e dip.; Rio de Oro e Ifni, Marocco spagnolo; Rio Muni ed Elobey;

  • il minuscolo ed insignificante Belgio, possedeva, nel 1935-1936: il Congo Belga, con 2.365.000 kmq e 15.000.000 abitanti, ed il Ruanda-Urundi, con 2.707.300 kmq e 13.165.000 abitanti;

  • l’altrettanto minuscola ed insignificante Danimarca, possedeva, nel 1935-1936: la Groenlandia, con 2.175.000 kmq e 15.000 abitanti.

Non parliamo degli USA… che – a loro dire… – non avrebbero mai posseduto colonie!

  • I democraticissimi”, “tollerantissimi e liberalissimi Stati Uniti d’America, infatti – senza parlare dell’ignobile “Conquista” del West (il Kentucky, l’Indiana, l’Illinois, il Tennessee, il Mississippi, il Wisconsin, il Minnesota, il Dakota, l’Arkansas, l’Oklahoma, il Kansas, il Nebraska, il Colorado, l’Arizona, lo Wyoming, il Montana, l’Idaho, l’Utah, il Nevada: tutti territori sottratti con l’inganno, la forza e la brutalità delle armi ai Pellerosse d’America ed unilateralmente annessi dagli Stati Uniti, con lo sterminio di all’incirca 85 delle loro Nazioni), né delle altre “annessioni” territoriali (“l’acquisto” della Louisiana ai Francesi nel 1803, e della Florida agli Spagnoli, nel 1819; “la cessione” dell’Oregon da parte dell’Inghilterra; il furto al Messico, del Texas, nel 1845, nonché del Nuovo Messico e della California, nel 1848; annessione militare delle Filippine, ufficialmente dal 1901 al 1935, ma mantenuta fino al 1941 e, poi, dal 1943 al 1948), né tanto meno dei vari “regimi di tutela” da loro imposti a diversi paesi dell’America Centrale (tutela politica, economica e militare sull’Isola di Cuba dal 1898; controllo economico e “protezione” militare su Santo Domingo, dal 1905; tutela politica ed economica sul Nicaragua, dal 1912, e sull’isola di Haiti, dal 1915) – possedevano ufficialmente, nel 1936: l’Alasca, con 1.530.331 kmq e 60.000 abitanti; l’isola di Portorico, con 8.896 kmq e 1.545.000 abitanti ; le isole di S. Croce (218 kmq), S. Giovanni (54 kmq) e S. Tommaso (86 kmq), con complessivi 25.000 abitanti; la Zona del Canale di Panama, con 1.435 kmq e 40.000 abitanti; l’isola di Guam, con 544 kmq e 18.500 abitanti; le isole Hawaii, con 16.702 kmq e 260.500 abitanti; l’isola di Wake (4 kmq) e le isole Samoa, con 200 kmq e 12.000 abitanti.

Se quanto fino ad ora mi sono permesso di dettagliare non dovesse bastare per cercare di giustificare formalmente la Proclamazione dell’Impero da parte del Regime di Mussolini, potrei facilmente evocare la necessità, per l’Italia di quel tempo, di conquistarsi uno sbocco per la sua manodopera, visto il vasto surplus di braccia che, da sempre, aveva favorito la piaga della disoccupazione ed incluso la nostra penisola tra i Paesi europei che potevano costantemente vantare il loro più alto numero di emigrati

Potrei aggiuntivamente far valere il retroterra culturale ed i particolari stati d’animo individuali e collettivi (oggi completamente imperscrutabili ed incomprensibili) che regnavano in quell’epoca.

Ricordiamo, infatti, che il Regime fascista, nel 1935 – dopo una serie di gratuite e cruente provocazioni che alcune istallazioni militari e civili italiane in Eritrea avevano dovuto costantemente subire da parte delle truppe regolari di Addis Abeba (apertamente incoraggiate da Londra!), ed i premeditati e sanguinosi attacchi (più di 120 morti, tra assalitori ed assaltati) che erano stati sferrati da gruppi di militari etiopi agli ordini di Omar Samantar, sia contro il Consolato italiano di Gondar (4 Novembre 1934) che il presidio italiano di Ual-Ual (Luglio-Agosto 1934 e 5/6 Dicembre 1934), senza contare i 25 attacchi alle regie rappresentanze italiane, le 15 aggressioni contro nostri connazionali ed i loro beni, i 56 sconfinamenti ed incidenti di frontiera che si erano verificati nell’ultimo decennio – fu praticamente costrettoa furor di popolo, in Italia – ad agire, in qualche modo, per tentare fare fronte a quella situazione. E, nell’immaginario popolare, per vendicare e fare pagare agli Abissini (così venivano chiamati, allora, gli Etiopi), i precedenti e mai dimenticati smacchi militari ed oltraggi fisici che questi ultimi avevano ripetutamente inflitto all’esercito italiano, quarant’anni prima. Tra i più conosciuti:

o il massacro di Dogali (26 Gennaio 1887) che era stato perpetrato dalle truppe di Ras Alula ai danni di 500 uomini di una Colonna italiana comandata dal Tenente-Colonnello De Cristoforis;

o l’eccidio di Abba Garima – definita “l’onta di Adua” (1 Marzo 1896) – che era stato consumato ai danni di all’incirca 18.000 soldati (10.596 Italiani ed il resto, Eritrei), guidati dal Generale Oreste Barattieri[5] da parte di un esercito di all’incirca 120.000 Etiopi, condotti da Ras Makomen e Re Menelik IIº; quell’eccidio, era costato all’Italia, all’incirca 8.000 tra morti e feriti (tra i morti, i Generali Dabormida ed Arimondi), 3.000 prigionieri, 6.000 dispersi o sbandati, 500 ascari mutilati, senza contare 55 cannoni catturati ed ingenti quantitativi di armi e munizioni cadute in mano nemica.

Per completare l’informazione, diciamo che quei due disastri militari non erano stati i soli nel corso dell’avventura coloniale italiana, prima dell’arrivo di Mussolini al potere.

Due fatti analoghi, infatti, erano parimenti avvenuti durante la conquista della Libia (1911-1912) ed erano stati, a suo tempo, abilmente occultati all’opinione pubblica nazionale dai responsabili politici dell’epoca. Sto parlando, in particolare, delle inequivocabili e cruente sconfitte militari italiane di Sciara Sciat e di Gasr Bu Hàdi (due clamorose ed umilianti disfatte che, ancora oggi, sono regolarmente ricordate e festeggiate, ogni anno, dall’attuale Governo del Colonnello Gheddafi).

Perché, allora, l’Impero fascista?

Ora, pur potendo storicamente giustificare ed assolvere il Regime fascista con i temi e gli argomenti che ho appena finito di ricordare, insisto nel dire che – da un punto di vista strettamente Fascistala politica coloniale italiana dell’epoca mussoliniana (anche se ben diversa – ad eccezione della repressione operata contro le tribù Senussite di Omar El Muktar[6] negli anni ’30, nel Sud-Est della Cirenaica da quelle che, nello stesso periodo e fino alla fine degli anni ’60 ed, in certi casi, fino agli anni ’70, ebbero a praticare – o che praticano ancora oggi – nel mondo, gli ultimi Stati colonialisti ed imperialisti del pianeta, come la Francia, la Gran Bretagna, gli USA ed Israele!) e la Proclamazione dell’Impero furono una vera e propria contraddizione in termini, sia con la Rivoluzione fascista, sia con la sua visione del mondo, sia con la sua dottrina, sia con la sua prassi quotidiana, sia con la politica di indipendenza, autodeterminazione e sovranità che il Regime mussoliniano aveva intrapreso – sin dalla metà degli anni ’20 – a favore dell’insieme dei Popoli-Nazione del mondo che, allora, lottavano per la loro indipendenza e la loro sovranità.

Fascismo e Indipendenza dei Popoli

Per capire quanto sto affermando – e cioè che l’azione intrapresa dall’Italia di Mussolini nei confronti dell’Etiopia (1935-1936) era ufficialmente incompatibile con i principi di libertà, indipendenza, autodeterminazione e sovranità politica, economica, culturale e militare che erano espressi, predicati, reclamati e pretesi dalla Weltanschauung fascista, sia per il Popolo-Nazione italiano, sia per i diversi Popoli Nazione europei, sia per l’insieme dei Popoli-Nazione del mondo – sarebbe sufficiente ricordare il sostegno che il Governo di Roma non cessò mai di dispensare ai Nazionalisti Irlandesi[7] del Generale Eoin O’Duffy[8]; ai Nazionalisti Croati[9] di Ante Pavelic, Mile Budak, Mladen Lorkowic, etc.; agli Indipendentisti Indiani[10] del Mahatma Ghandi (Mohandas Karamchand) dapprima e di Muhammad Iqbâl[11] e di Subhas Chandra Bose[12], in seguito. Senza dimenticare, quelli del celebre Imam musulmano indiano Maulana Mawdudi.

Sarebbe ugualmente sufficiente menzionare il determinante aiuto che il Governo fascista concedeva regolarmente ai Nazionalisti Arabi[13]. Ad esempio, con la fondazione (15 Agosto 1933) e lo sviluppo (fino al 1943) di Radio Bari: una Radio indipendentista, sovvenzionata da Roma, che era interamente gestita ed animata da giovani panarabisti, come i Libici, Munir Barchane e Ali Sherif; i Maghrebini, Manuby Meknassy, Rustun Deruisce, Munir Lahabidi, Sheikh El-Kassem, Alfred Hazam, Bechir Madhebi e Mohamed Ali Najar; il Siriano Mohamed Kurd, etc.

Come precisa Claudio Mutti, “fin dai primi anni, la politica estera del Fascismo manifestò l’intento di stabilire o di sviluppare le relazioni dell’Italia coi paesi musulmani, e non solo con quelli dell’area mediterranea e dell’Africa orientale”[14].

Inoltre, per rendersi conto dell’appoggio politico e finanziario (ed, in certi casi, perfino logistico e militare…) che il Fascismo fornì costantemente alle lotte per la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità politica, economica, culturale e militare delle popolazioni arabo-musulmane[15] dell’Africa del Nord e del Vicino-Oriente, ed ai loro principali Leader – come il Druzo Libanese Shékib Arslan (Presidente del Comitato Siro-Palestinese e fondatore del Movimento Panarabo) ed il suo braccio destro, Ihsân al-Giabri; l’Imam Yahya dello Yemen; i Libanesi Antoun Sa’adè, Fakhri El-Barudi (fondatori del «Partito Popolare Socialista Siriano» o al-Hizb al-Qawmî as-Sûrî al-Ijtimâ’î) e Pierre Gemayel (fondatore delle Falangi Libanesi o al-Kataeb al-Lubnâniyya); gli algerini, Sheikh Ben Badis (Ulemà riformisti) e gli indipendentisti Mohammed Taleb, Rashid Amara, Mohammed Abdoun, Hadj Shershalli e Sî Mohammed Pascià del “CARNA” (Comité d’action révolutionnaire nord-africain); il Siriano Fauzi Kaikyi; il Tunisino Habib Bourguiba (Néo-Destour); Michel Aflak e Salah El-Din El-Bitar (responsabili del Movimento “Camicie d’Acciaio” o al-Qumsân al-Hadîdiyya, e futuri fondatori, nel 1943, a Damasco, del Partito della Rinascita Araba o Partito Ba’as); gli Egiziani Mansour Daoud, Musftafà el-Ouakil, Ahmed Hussein (responsabili delle “Camicie Verdi” o al-Qumsân al-Khadrâ’) e Hamed Hussein (“Jeune Egypte” o Hizb Misr al-Fatâ); i Marocchini Ahmed Balafrej, Brahim El-Uazzani e Mohamed Lïazidi (Fraction Istiqlal); gli Iracheni Mohammed e Ahmed el-Salman (nazionalisti iracheni filo-fascisti e rispettivamente, nel 1936, capitano e generale d’aviazione), nonché, al governo di Rachid ‘Ali al-Gaylani (1941), nella sua lotta per l’indipendenza del paese dalla colonizzazione britannica; ai Palestinesi Hajj Amin Al-Husayni (Gran Muftì musulmano di Gerusalemme) e Fawzi el Kawakij; etc. – basta dare uno sguardo alla rivista “La Nation Arabe”[16]; oppure, consultare la vasta e convincente bibliografia[17] sull’argomento.

Questo, naturalmente, senza dimenticare che “l’Italia – come fa giustamente notare Stefano Fabei – fu il primo Stato europeo a sostenere concretamente la lotta di liberazione del popolo palestinese dal mandato britannico e dal progetto sionista in Terra Santa”[18].

Fascismo e realpolitk

Come mai, allora, Mussolini non si accorse della palese digressione e della flagrante discrepanza con la sua stessa visione del mondo che erano contenute in fieri nella conquista dell’Etiopia e nella successiva Proclamazione dell’Impero?

Pur accorgendosene, sono convinto (ed il mio sincero convincimento risulta dall’approfondita e spassionata analisi storica di quel periodo) che Mussolini, in quel momento, non potette fare altrimenti, in quanto furono le imprevedibili ed inattese casualità e contingenze della realpolitik di quel tempo, e non la sua più intima volontà politica, che lo spinsero ad imbarcarsi in quell’apparentemente incoerente e contraddittoria avventura.

Per cercare di capire, però, il significato ed il senso di quell’apparente deviazione e discordanza, è necessario fare un passo indietro, e ritornare, per un attimo, all’epoca del famoso “Patto a Quattro[19]: il “Patto”, cioè, che Mussolini – nel 1933 – propose simultaneamente (e molto ingenuamente…) alla Francia, alla Gran Bretagna ed alla Germania, le principali potenze politiche, economiche e militari dell’Europa di quel tempo.

Quel “Patto” – che era basato su una completa parità ed un’uguaglianza di posizioni tra le quattro principali Nazioni europee di allora, prevedeva una stretta collaborazione tra Parigi, Londra, Berlino e Roma per la pace in Europa e nel mondo, ed aveva, come finalità, la giustizia giusta per tutti e la riconciliazione tra i popoli – fu dapprima accettato dai rappresentanti delle quatto potenze, il 7 Giugno del 1933, e regolarmente firmato, da questi ultimi, il 15 Luglio successivo. In seguito, senza nessuna ragione ufficiale o nessun esplicito o implicito pretesto, Francia e Gran Bretagna si rifiutarono categoricamente ed inspiegabilmente di ratificarlo!

Di fronte a quell’incomprensibile ed assurdo rifiuto, Mussolini, oltre alla scioccante e comprensibile delusione, ebbe la matematica certezza che Londra e Parigi – non solo non desiderassero “per niente fare”, come egli stesso aveva avuto a sottolineare in quel tempo, “l’economia, l’immensa economia, di una nuova guerra mondiale”, ma – con la scusa delle clausole dell’irragionevole ed iniquo Trattato di Versailles ed il comodo alibi e paravento della Società delle Nazioni (S.D.N.), volessero semplicemente continuare a giocare il ruolo dei padroni del mondo ed a beffarsi sfacciatamente e spudoratamente dei diritti degli altri popoli e delle altre nazioni.

Una parentesi per capire

Non dimentichiamo, infatti, il Trattato di Versailles[20] del 28 Giugno 1919…

Quell’iniquo “Trattato” che – come ebbe a stigmatizzare, il 14 Luglio 1919, il Consiglio Nazionale del Partito Socialista francese – viole ouvertement le droit des peuples à disposer d’eux-mêmes, qui multiplie les nouveaux risques de guerre, qui réduit en esclavage des nations entières, qui s’accompagne enfin de mesures de violence contre tous les mouvements de libération, non seulement en Russie et en Hongrie, mais dans tous les pays de l’ancien Empire habsbourgeois, dans tout l’Ouest et en Allemagne, ne peut à aucun titre recevoir un suffrage socialiste… qu’il doit subir, non pas seulement une révision partielle… mais une transformation complète[21].

Il luogo, innanzitutto: Francia ed Inghilterra, alla fine della Prima guerra mondiale, avevano imposto ed ottenuto che quel “Trattato” fosse firmato nella Galerie des Glaces (Galleria degli Specchi) del palazzo di Versailles. Lo stesso luogo in cui, il 18 Gennaio del 1871 – dopo la vittoria prussiana di Sedan (2 Settembre 1870) – il Re di Prussia, Gugliemo I° aveva proclamato il suo Impero federale (quello di Bismarck, per intenderci) o II Reich.

I contenuti: Francia ed Inghilterra – senza accettare o ammettere che i rappresentanti tedeschi potessero in qualche modo negoziare quell’armistizio o essere comunque presenti (magari passivamente, come semplici osservatori) alla messa a punto di quel diktat – avevano imposto alla Germania (considerata – secondo l’Art. 231 di quel “Trattato”[22] – come sola responsabile della Prima guerra mondiale) un certo numero di mutilazioni territoriali, equivalenti ad un settimo del suo territorio ed al 10% della sua popolazione (vedere, in proposito: http://www.abmariantoni.altervista.org/storia/Carta_Germania_1919.jpg), senza contare i danni di guerra e le riparazioni economiche e finanziarie: dapprima, il “Piano Charles Dawes[23]” ed, in seguito, il “Piano Owen D. Young[24]”.

Le “clausole capestro[25] di quel Trattato:

a. clausola morale (sic!)[26]: sulla base dell’Art. 231 del Trattato[27], la Germania è dichiarata responsabile, per averli causati, di tutti i danni subiti dai Governi Alleati, in seguito alla guerra che è stata loro imposta con la sua aggressione”[28];

b. clausule territoriali: la cessione:

- alla Francia, delle province dell’Alsazia (14.520 km2, con 1.634.260 abitanti)[29] e della Lorena (2.000 km2, con 650.000 ab.); delle miniere di carbone della Ruhr/Sarre; nonché di una parte delle ex colonie tedesche del Togo e del Camerun (752.200 kmq e 2.930.000 abitanti): del pacchetto azionario che era detenuto dalla Deutsche Bank (25% delle azioni) all’interno della Turkish Petroleum[30];

- al Belgio, dei distretti di Eupen e di Malmédy (1.036 km2, con 49.494 ab.)[31]; e – sotto forma di “Mandato della SDN” – dell’ex colonia tedesca del Ruanda-Urundi, con 2.707.300 kmq e 13.165.000 abitanti;

- alla Danimarca, della regione di Schlesvig o Schleswig del Nord (3.993 km2, con 40.172 ab.)[32];

- alla Polonia, della Posnania (26.000 km2, con 1.944.000 ab.), di una parte dell’Est dell’Alta Slesia (3.270 km2, con 1.000.000 ab.)[33] e di una parte della Prussia orientale (17.750 km2, con 1.284.000 ab.), ivi compreso l’accesso al mare fino alla città di Danzica (che era stata sottratta alla Germania – isolando la Prussia orientale dal resto del Reich – dichiarata “Città libera” ed affidata all’amministrazione della SDN); senza contare, la provincia di Posen (Netzegau) ed il distretto di Soldau (500 km2, con 24.000 ab.);

- alla Lituania, della città e regione di Memel (2.657 km2, con 71.781 ab. o, secondo altre fonti, 141.000 ab.);

- alla Cecoslovacchia, del Land di Hultschin (316 km2 e 48.466 ab.) ;

- al Giappone, delle Isole Marshall, Marianne e Caroline (ex possedimenti tedeschi nell’Oceano Pacifico) e della regione di Shandong in Cina;

- alla Gran Bretagna – sotto forma di “Mandato della SDN” – del Tanganika (all’incirca 930.000 km2, con circa 5.500.000 abitanti), di una parte del Togo ed una parte del Camerun ex tedeschi (all’incirca 280.000 km2 di teritorio, con circa 1 milione di abitanti);

- all’Unione Sud-Africana (che poi era sempre la Gran Bretagna!) – sotto forma di “Mandato della SDN” – della Namibia (all’incirca 822.876 km2 di territorio, con circa 3 milioni di abitanti);

- all’Australia (che poi era sempre la Gran Bretagna!) – sotto forma di “Mandato della SDN” – la Nuova Guinea tedesca, più gli arcipelaghi delle isole Salomon, Bismarck, Bougainville, Nuova Hannover, Lincoln e Kaiser ;

- alla Nuova Zelanda (che poi era sempre la Gran Bretagna!) – sotto forma di “Mandato della SDN” – dell’arcipelago delle isole Samoa (all’incirca 2.700 km2, con qualche migliaio di abitanti);

- all’insieme degli Alleati (ma, in realtà, soltanto alla Francia ed alla Gran Bretagna!) di una parte della Flotta mercantile tedesca;

- il tutto, naturalmente, senza tenere conto, dell’internamento del resto della Flotta da guerra; della confisca dell’insieme della flotta da guerra tedesca (quest’ultima, però, rifiutando quel disonore, si auto-affonderà nella rada di Scapa Flow, al largo della Scozia, il 21 Giugno 1919); della consegna agli Alleati dell’intera flotta sottomarina tedesca, nonché 2 mila aerei, 5 mila autocarri, 5 mila pezzi d’artiglieria e più di 30 mila mitragliatrici[34]; della smilitarizzazione e dell’occupazione della regione tedesca della Ruhr/Sarre (con la promessa che, dopo 15 anni, sarebbe stato indetto un plebiscito, per dare alla popolazione di quella regione, la possibilità di auto determinarsi politicamente), da parte dell’esercito franco-belga e dell’amministrazione di quella regione, da parte della SDN (ma in realtà, della Francia); della rinuncia, da parte tedesca, dell’insieme delle sue colonie (Art. 119 del “Trattato di Versailles); nonché dell’internazionalizzazione delle vie fluviali tedesche e dell’apertura del canale di Kiel;

- clausole militari: interdizione, per lo Stato tedesco, di progettare, costruire e/o possedere aerei da combattimento, carri armati, artiglieria pesante e marina da guerra; interdizione (Art. 42) di costruire fortificazioni, sia sulla riva sinistra del Reno che sulla riva destra, all’Ovest di una linea tracciata a 50 km. all’Est di quel fiume; l’abolizione del servizio militare e riduzione degli effettivi, ad un totale (Art. 43) di 100.000 uomini per l’esercito e di 16.000 per la marina; smilitarizzazione ed occupazione militare da parte degli Alleati, per 15 anni, della regione della Renania; occupazione militare Alleata della regione di Maienza (15 anni), quella di Coblenza (10 anni) e quella di Colonia (10 anni); prepotenze ed umiliazioni che culmineranno, tra il 20 Gennaio ed il 23 Settembre 1920, con l’occupazione militare delle città di Francoforte e di Darmstadt, ordinate dall’allora Primo Ministro e Ministro degli Esteri francese, Alexandre Millerand;

c. clausole diplomatiche: l’annullazione dei “Trattati di Brest-Litovsk” con la Russia, nonché di ogni altro Trattato, Accordo o Convenzione sottoscritti con il Governo di Mosca;

d. clausole politiche: abdicazione dell’Imperatore, obbligo di realizzare una Repubblica democratico-parlamentare, composta da 17 Länder, con Capitale a Weimar ed interdizione di riunire[35] la Germania con l’Austria;

e. clausole economiche e finanziarie[36] – Art. 259 e Art. 292 delle Parti IX (clausole finanziarie) e X (clausole economiche) del Trattato; riassumendo:

- confisca di tutti i beni posseduti dalla Germania al di fuori delle sue frontiere;

- consegna agli Alleati, a titolo di riparazione, della maggior parte della flotta mercantile, delle locomotive (5 mila), dei vagoni ferroviari (150 mila, tra vagoni passeggeri e merci), delle macchine industriali (intere fabbriche furono smontate e trasferite in Belgio, Francia e Gran Bretagna!) e delle materie prime tedesche (controllo delle miniere di carbone e ferro);

- interdizione di esportare all’interno dei suoi ex mercati commerciali esterni (Austria, Ungheria, Romania, Bulgaria, Turchia, etc.);

- pagamento dei danni di guerra Alleati, dapprima per 226 milliards di marchi-oro (i primi 20 miliardi de marchi-oro, dovendo essere versati prima del 1 Maggio 1921 !) ed, in un secondo momento (1921), per 132 miliardi di marchi-oro;

- le ferrovie ed il resto dell’industria dovevano servire da “cauzione cutelare”: questo, senza contare l’imposizione del “piano Dawes” del 1924 (nel 1925, la Germania doveva pagare 1 miliardo e 220 milioni di marchi-oro) e, successivamente, del “piano Young” (Owen D. Young) del 1929 (che prevedeva, dal 1 Agosto del 1930, una prima serie di 36 versamenti annui che dovevano passare da 1 miliardo 685 milioni a 2 miliardi 425 milioni di marchi-oro – per le riparazioni ed i debiti di guerra – ed una seconda serie di 23 versamenti annui di all’incirca 1 miliardo e 650 milioni di marchi-oro, per i soli debiti di guerra;

- risarcimenti che la Germania avrebbe finito di pagare soltanto nel 1988); come precisa il sito internet http://www.cronologia.it/storia/italia/crisi03.htm, “l’accordo di Losanna, firmato il 9 luglio 1932, sospese il pagamento di tutti i debiti di guerra tra le potenze europee, e la Germania che avrebbe dovuto pagare ancora 37 annualità per una somma complessiva di 76 miliardi 800 milioni di marchi-oro, trasse dall’accordo il prodigioso vantaggio di liquidare le riparazioni così gravose con l’impegno di emettere obbligazioni del Reich, quando le condizioni generali del mercato glielo consentano, per un valore nominale di tre milioni di marchi-oro, che verranno versate a saldo delle sue riparazioni”; riparazioni che Hitler, invece, decise di interrompere, nel 1933, dopo che il suo paese aveva comunque versato agli Alleati, 22,8 miliardi di marchi, di cui 9,5 miliardi alla sola Francia.

f. Lloyd George, l’allora Primo ministro britannico, in presenza di Lord Riddell, il 30 Marzo del 1919, così aveva commentato il Trattato di Versailles: “The truth is we have got our way… the German navy has been handed over, German merchant shipping has been handed over, and the German colonies given up. One of our chief trade competitors has been crippled and our Allies are about to become her biggest creditors. This is no small achievement”[37].

g. In altri termini, come sottolinea il Rabbino americano Ken Spiro[38], “Hitler would never have come to power were it not for Germany’s defeat in World War I. As a result of that defeat, the punishing Versailles Treaty which brought Germany to its knees, and the world-wide depression following the war, Germany was thrown into economic chaos”[39].

h. Insomma, dobbiamo ancora chiederci da quale “cappello di mago” sia potuto uscire, negli anni ’30, il personaggio Adof Hitler ed il suo III Reich?

Ricordiamo ugualmente i Trattati di Saint-Germain” (1919, con l’Austria), di “Trianon (1920, con l’Ungheria), di “Neuilly” (1919, con la Bulgaria), di “Sèvres” (1920, con la Turchia). Trattati che, insieme a quello di Versailles – dopo avere letteralmente inventato una serie di Stati, come la Cecoslovacchia (dove coabitavano 7 milioni di Cechi, 3,2 milioni di Tedeschi dei Sudeti, 3 milioni di Slovacchi, 700 mila tra Ungheresi e Rutheni, 30 mila Polacchi), la Iugoslavia[40] (dove esistevano, ben 9 gruppi etnici diversi, due alfabeti diversi[41], quattro lingue e culture diverse, nonché 3 gruppi religiosi diversi ed antagonisti: cattolici, greco-ortodossi e musulmani), la Grande Polonia (che – oltre ai Polacchi – inglobava, Tedeschi, Bielorussi, Ucraini, Galiziani, Lituani, etc.) – avevano imposto la distruzione, la scompaginazione e la spoliazione (oltre che dell’’ex Reich tedesco), dell’Impero Austro-Ungarico, dell’Impero Ottomano e del Regno di Bulgaria:

- L’Austria – sulla base del “Trattato di Saint-Germain” (1919) – aveva dovuto cedere 107.262 km2 di territorio (2 volte e mezzo la Svizzera), con all’incirca 11.000.000 di abitanti. In particolare: la Galizia, alla Polonia; il Sudetenland e la Boemia e Moravia, alla Cecoslovacchia[42]; il Tirolo del Sud (o alto Adige), Trieste, Trento ed il Trentino, all’Italia; lo Steiermark del Sud, il Sud della Styria, una parte del Sud della Carinthia, la Slovenia, la Dalmazia, l’Istria[43] e la Bosnia-Erzegovina alla nuova Iugoslavia; il Land Ödenburg all’Ungheria ; il tutto, senza contare l’interdizione (art. 88 del Trattato di Saint-Germain) di fusionare o di unirsi, direttamente o indirettamente, ad altri Stati o altre entità territoriali;

- L’’Ungheria – sulla base del “Trattato di Trianon” (1920) – aveva dovuto cedere: la Transilvania alla Romania[44]; la Slovacchia e la Ruthenia alla Cecoslovacchia; parte della Croazia alla Iugoslavia; come precisa il sito http://kropot.free.fr/CommHongrie.htm, “la Cecoslovacchia si era abusivamente impadronita di 63.004 chilometri quadrati di territorio ungherese, con una popolazione di 3 milioni di abitanti; la Romania, aveva arbitrariamente incorporato 102’181 chilometri quadrati, con una popolazione di 5.236.000 abitanti; la Serbia, si era militarmente annesso 63.572 chilometri quadrati, con 4.151.000 abitanti. Il tutto, naturalmente, legittimato dal Trattato di Trianon, il 4 Giugno 1920”.

- La Bulgaria – sulla base del “Trattato di Neuilly” (1919) – aveva dovuto cedere: la Tracia centrale alla Grecia; la Dobrugia alla Romania; la Macedonia del Nord alla Iugoslavia;

- La Turchia – sulla base del “Trattato di Sèvres” (10 Agosto 1920) – ridotta praticamente alla sola Anatolia, aveva dovuto cedere: l’Armenia turca ed il Kurdistan[45] a due nuovi e mai realizzati (per volontà Britannica) Stati indipendenti; la Tracia orientale e la regione di Smirne alla Grecia; il Sandjak[46], la Siria ed il Libano alla Francia (sotto forma di “Mandato della SDN”); l’Isola di Cipro, la Palestina, la Transgiordania, l’Iraq ed il Kuwait[47] alla Gran Bretagna (sotto forma di “Mandato della SDN”).

Ma non è tutto…

Con l’insieme di quei cinici ed assurdi “Trattati”, l’Inghilterra e la Francia, non solo erano riuscite a scombinare, mettere in ginocchio, umiliare ed impoverire l’insieme delle Nazioni sconfitte nel Primo conflitto mondiale, ma avevano addirittura trovato il modo di turlupinare, truffare e defraudare perfino l’Italia che – con più di 500 mila morti[48], 500 mila mutilati e feriti gravi, e più di 460 mila feriti – figurava tra i vincitori di quella guerra !

La “vittoria mutilata”

Gli Inglesi ed i Francesi, infatti, con il “Trattato o Patto di Londra[49] del 26 Aprile 1915, mentre da un lato – per spingere Roma a rompere la sua precedente alleanza con l’Austria-Ungheria ed entrare in guerra al loro fianco contro gli Imperi Centrali, il 24 Maggio 1915 – avevano ingannevolmente promesso ai suoi rappresentanti, all’articolo 13 di quell’accordo, di fare ottenere, oltre al Trentino, Trieste, l’Istria e ad un protettorato di fatto sull’Albania, perfino “l’annessione integrale di tutta la Dalmazia fino a Punta Planca ed adeguati e consistenti compensi in Africa”; dall’altro – con il segreto e confidenziale “telegramma 4511”, del Maggio 1915, firmato dall’allora Ministro degli Esteri francese, Delcassé, ed indirizzato al Governo di Atene (Grecia) – i medesimi Anglo-Francesi ritrattavano e disdicevano nascostamente gli stessi termini di quella loro precedente “offerta” all’Italia che era stata ratificata dal suddetto “Trattato/Patto”, specificando ai responsabili politici dell’allora Stato greco: “Se entrate subito nell’alleanza, noi faremo il possibile per darvi le isole che… abbiamo promesso all’Italia. Noi non vogliamo che l’Italia si ingrandisca nel Mediterraneo. Riteniamo invece conforme al nostro interesse l’ingrandimento della Grecia”[50].

Il tutto, naturalmente, da dietro il comodo alibi ed immorale paravento della S.D.N.: il “giocattolone” politico-diplomatico che Londra e Parigi si erano astutamente fabbricato per loro stesse, sia per continuare ad imporre la loro sfrontata ed arrogante volontà al resto dei Paesi del mondo che per aumentare considerevolmente ed impunemente i loro già enormi e sproporzionati possedimenti coloniali. Possedimenti che gli Inglesi ed i Francesi – con il marchingegno dei “Mandati Internazionali” – erano astutamente e facilmente riusciti a monopolizzare ed incamerare, ai danni della Germania e della Turchia, ed ugualmente dell’Italia, a cui era stato furbescamente negato, sia durante che dopo la Prima guerra mondiale, non solo di potere sperare di ottenere l’amministrazione diretta o indiretta di un qualunque territorio extra-metropolitano, ma perfino di potere avere una qualsiasi voce in capitolo, nelle discussioni e trattative che avevano preceduto, sin dal 1914-1915, la segreta e piratesca parcellizzazione e spartizione degli ex territori Ottomani[51] (nel Vicino-Oriente) e Tedeschi[52], in Africa ed in Asia.

Non dimentichiamo, in fine, che quella serie di ignobili inganni e di indicibili e banditeschi ladrocini e taglieggiamenti – freddamente e scelleratamente perpetrati a danno e detrimento del Governo di Roma[53] e successivamente considerati e definiti dai nazionalisti del nostro paese come una vittoria mutilata – non provocarono soltanto un profondo e frustrante malcontento nell’opinione pubblica italiana. Spinsero ugualmente l’allora Presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952), a ritirarsi, per protesta, dai lavori della “Conferenza di Parigi”, e perfino a rassegnare le dimissioni del suo medesimo Governo (Giugno 1919).

Il vergognoso e spregevole atteggiamento della Francia e della Gran Bretagna nei confronti dell’Italia, fu altresì all’origine – dopo l’ulteriore e vile risoluzione wilsoniana (appoggiata dai franco-britannici) di escludere l’Esercito italiano finanche dal presidio militare della città di Fiume, e la complice ed imbelle politica rinunciataria del Governo di Francesco Saverio Nitti[54] (1868-1952) – di una serie di improvvise, incontrollate e rivelatrici reazioni, come la rivolta degli Arditi, la “Marcia su Rochi”, l’occupazione del capoluogo istriano (11-12 Settembre 1919) e la Proclamazione, da parte del poeta-soldato Gabriele D’Annunzio, della famosa Reggenza del Carnaro (1919). Situazione che prenderà fine, più tardi – grazie ai negoziati diretti tra l’Italia e la Iugoslavia – dapprima con il “Trattato di Rapallo” del 12 Novenbre 1920 (che dichiarava la città di Fiume, indipendente) ed, in un secondo momento, con il “Trattato di Roma” (1924) che permetteva, in fine, all’Italia di ottenere la tanto agognata e sofferta annessione di quella città.

Chiusa la parentesi…

Il contrattacco mussoliniano

Come il lettore lo avrà senz’altro intuito, agli occhi di Mussolini (che, in quel momento, teneva ben presente nel suo spirito, i recenti e vomitevoli curricula delle suddette “altruistiche” e “filantropiche” Nazioni…), il rifiuto di Londra e di Parigi di ratificare il Patto a Quattro(accettato, come abbiamo visto, il 7 Giugno del 1933, firmato il 15 Luglio 1933, ma fino al 2 Ottobre 1935, mai voluto ratificare, né dalla Francia, né dalla Gran Bretagna) era apparso come un gesto apertamente arrogante ed insultante, nonché diplomaticamente, politicamente e storicamente intollerabile ed inaccettabile.

Ecco, allora, al di là delle frasi roboanti e dell’ordinaria retorica dell’iniziale discorso del Duce, il significato ed il senso di alcune sue frasi, il 2 Ottobre 1935, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’Etiopia: (…) quando nel 1915 l’Italia si gettò allo sbaraglio e confuse le sue sorti con quelle degli alleati, quante esaltazioni del nostro coraggio e quante promesse. Ma dopo la vittoria comune, alla quale l’Italia aveva dato il contributo supremo di 670 mila morti, 400 mila mutilati, e un milione di feriti, attorno al tavolo della pace esosa non toccarono all’Italia che scarse briciole del ricco bottino coloniale. (…) Abbiamo pazientato 13 anni durante i quali si è ancora più stretto il cerchio degli egoismi che soffocano la nostra vitalità. Con l’Etiopia abbiamo pazientato 40 anni! Ora basta!”…

Ragione per cui, ritengo che Mussolini prese la decisione di lanciare l’Italia in quell’apparentemente incoerente e sicuramente antistorica avventura della conquista militare del cosiddetto “posto al sole” in Etiopia, non solo per reagire all’ottuso ed inammissibile atteggiamento dell’Inghilterra e della Francia nei confronti dell’Italia ma, soprattutto, per una serie supplementare di motivi che, a mio giudizio, antistorici e contraddittori con le sue stesse idee non lo erano affatto. E questo, sia per tentare di incrinare ed infrangere il “muro di omertà” e di servile ed acquiescente silenzio che avviluppava lo status quo coloniale delle principali potenze imperialiste del mondo di allora; sia per fare scoppiare al gran giorno il “bubbone” di quella situazione abnorme e mettere a nudo e smascherare pubblicamente l’egoismo ed il solipsismo dei governi di Londra e di Parigi; sia, in fine, per essere in grado di svergognare e di recuperare propagandisticamente a vantaggio dell’Italia, l’ipocrisia, il servilismo ed il bigotto e farisaico conformismo della maggior parte degli Stati aderenti alla S.D.N. che, come sappiamo, erano contemporaneamente sull’ordinario “libro paga” dei corruttori di Londra e di Parigi.

Londra e Parigi si scoprono il sederino

Londra e Parigi da sempre conosciute nel mondo, come le “vergini immacolate concezioni” del diritto internazionale e della morale mondiale! – pur detenendo gli immensi ed oppressivi Imperi coloniali che abbiamo avuto poc’anzi la possibilità di verificare, non esitarono un solo istante a raddoppiare di intensità la loro notoria e costante aggressività, superbia e prepotenza. E, facendo leva sulle loro abituali “clientele” internazionali in seno alla Società della Nazioni (SdN) di Ginevra, si affrettarono sfacciatamente ad accusare l’Italia di colonialismo (sic!) ed a fare votare, contro quest’ultima (allorché, nel 1933, in una situazione analoga, non avevano mosso un dito, per impedire al Giappone di impadronirsi militarmente della Manciuria!), delle pesanti e costrittive Sanzioni economiche. Sanzioni che erano state ufficialmente proposte – su pressione diplomatica dei Governi inglese e francese – dal socialdemocratico R.J. Sandler, Ministro degli Esteri della Svezia, e votate il 18 Novembre 1935, dai rappresentanti di 52 Stati aderenti alla Società delle Nazioni: vale a dire, il “giocattolo” politico-diplomatico ginevrino che, come abbiamo potuto già constatare, serviva esclusivamente – come l’ONU, oggi, nelle mani degli USA… Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia docent! – a tutelare gli interessi imperialistici delle principali potenze politico-militari di allora.

Quelle Sanzioni, come sappiamo, misero momentaneamente e dolorosamente l’Italia – tradizionalmente sprovvista di materie prime e completamente dipendente dalle importazioni dall’estero, per fare funzionare la sua, allora, appena consolidata industria nazionale – in una situazione di estrema e drammatica difficoltà[55].

Non dimentichiamo, infatti – come precisa il giornalista svizzero Paul Gentizon (nel libro, Défence de l’Italie, Ed. de l’Aiglon, Lausanne, 1949, pag. 107) – che “su 35 milioni di tonnellate che, prima delle Sanzioni, sbarcavano annualmente nei suoi porti, l’Italia ne riceveva 28 per mare, e tra queste, 16,7 milioni da Gibilterra, 1,7 milioni da Suez, 1,4 milioni dai Dardanelli ed il resto da altri porti”.

Allo stesso tempo, quelle stesse Sanzioni misero l’Italia in una situazione di massima ed inevitabile dipendenza economica e commerciale nei confronti della Germania (il solo paese del mondo – insieme agli Stati Uniti ed all’URSS – che si era rifiutato di applicare le Sanzioni decretate dalla S.d.N contro Roma), e la costrinsero[56], contro ogni sua precedente intenzione o volontà, a prendere seriamente in considerazione una possibile alleanza con il III Reich.

L’Italia di Mussolini, infatti – per avere una speranza di riuscire a salvaguardare i suoi supersudati ed irrinunciabili acquisiti politici, economici e sociali dell’appena stabilizzata Rivoluzione Fascista e tentare di fare dignitosamente sopravvivere il suo Popolo-Nazione, sia come “soggetto della propria politica” e della “propria Storia” si vide praticamente obbligata a stringere un Patto di alleanzae di “muta assistenza” con Berlino: l’unico governo d’Europa che, in quel momento, aveva avuto il coraggio ed il buon senso (anche se non totalmente disinteressati…) di schierarsi a fianco dell’Italia e di offrirle il solo, possibile, insperato e salutare “salvagente” per la sua economia. Economia che – senza quell’opportuno ed indispensabile intervento – sarebbe stata pericolosamente minacciata ed, in ogni caso, votata ad una drastica e rovinosa recessione.

Proclamazione dell’Impero

Il resto, fa parte della Storia conosciuta.

Dopo 7 mesi di aspro ed incerto conflitto in Etiopia, il 5 Maggio 1936, Mussolini, dal balcone di Palazzo Venezia, a Roma, scandì le fatidiche parole che tutti gli Italiani attendevano dalle sue labbra: “Il maresciallo Badoglio mi telegrafa: Oggi 5 maggio alle ore 16, alla testa delle truppe vittoriose, sono entrato in Addis Abeba”. Vedere, per credere: http://camera.archivioluce.com/camera-storico/scheda/video/i_presidenti/00025/IL3000052643/1/5maggio-XIV-L-adunata-9-maggio-XIV-L-impero.html

Difficile, oggi, affermare che quell’impresa – come Mussolini ebbe a sottolineare nel medesimo discorso – sia davvero stata la redenzione dei miseri che trionfa sulla schiavitù millenaria”…

Quella, comunque, fu l’immagine che ritennero, in cuor loro, insospettabili personaggi della cultura e della vita politica italiana, come lo stesso Vittorio Emanuele Orlando, il commediografo Sem Benelli, il socialista Arturo Labriola, il giornalista liberale Luigi Albertini che – pur essendo stati fino ad allora apertamente schierati con l’Antifascismo – decisero, a partire da quella situazione, di rimettersi comunque politicamente in discussione e di avvicinarsi idealmente al Fascismo.

Lo stesso dicasi per le parole che furono pronunciate dal Duce quattro giorni dopo: (…) viene suggellato il destino dell’Etiopia, oggi, 9 Maggio, quattordicesimo anno dell’era fascista. (…) L’Italia ha finalmente il suo Impero. (…) Il popolo italiano ha creato col suo sangue l’impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. (…) In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni?”[57].

I “Sì”, come sappiamo, frastornarono il cielo con un enorme boato. E l’entusiasmo generale per quell’avvenimento, non risparmiò né gli intellettuali di estrazione laica, come Elio Vittorini, Romano Bilenchi, Vasco Pratolini, né quelli di tradizione cattolica, come Agostino Gemelli, Vico Necchi e Francesco Olgiati. E non risparmiò nemmeno il Partito Comunista clandestino.

Nell’Agosto del 1936, infatti, quest’ultimo, nel suo mensile “Lo Stato Operaio” n. 8 (anch’esso clandestino), pubblicò un manifesto indirizzato a tutti gli Italiani, anche “ai fratelli in camicia nera[58], invitando all’unione del popolo italiano, fascista e non fascista, in cui, tra l’altro, si affermava: “Lavoratore fascista ti diamo la mano. Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace e di libertà, di difesa dei lavoratori … ”. Propositi che vennero ribaditi, nell’Ottobre del 1936, dal Comitato centrale dello stesso Partito Comunista e sottoscritti da Togliatti, Di Vittorio, Longo, Negarville, Sereni, Teresa Noce, Donini ed altri.

Sintomatico, inoltre, era stato, già dall’inizio della Guerra d’Africa (1935), il gesto di Luigi Pirandello (che aveva offerto la medaglia d’oro del suo Premio Nobel) e quello del filosofo antifascista Benedetto Croce che volle contribuire allo sforzo bellico con il dono alla Patria della sua medaglietta d’oro di Senatore.

Ugualmente rivelatrice, subito dopo la conclusione della Guerra d’Africa, sarà l’onestà intellettuale dimostrata da alcuni leader Comunisti, come:

- Nicola Bombacci, nell’articolo intitolato, I nemici dell’Italia proletaria e la maschera abissina, pubblicato su “La Verità”, n. 1, del 1936, pag. 22-25;

- Amadeo Bordiga, come conferma il libro di A. Peregalli e S. Saggioro, intitolato Amadeo Bordiga. La sconfitta e gli anni oscuri 1926-1945, Milano, 1998, pag. 221-222;

- Mario Montagnana[59], Giudaita e Comunista torinese, direttore de l’Unità che, nell’Agosto del 1936, aveva dichiarato: “Noi dobbiamo avere il coraggio di dire che non ci proponiamo di abbattere il fascismo”[60].

Questi ultimi, avendo perfettamente compreso il significato ed il senso di quell’impresa, espressero volontariamente e spassionatamente il loro indiretto o implicito sostegno a Mussolini, per la coraggiosa e salutare azione destabilizzatrice che egli era stato in grado di scatenare, sia nei confronti del feroce e retrivo colonialismo/imperialismo praticato nel mondo dalla perfida Albione che contro la supina acquiescenza e servile complicità manifestata, fino ad allora, dalla Società delle Nazioni di Ginevra (SDN)[61], nei confronti della Gran Bretagna e della Francia.

E questo, nonostante l’eventuale impiego, limitato e circostanziato[62], di bombe caricate ad iprite[63] (ciò che, in definitiva – e per motivi senz’altro meno drammatici ed impellenti – avevano analogamente già fatto le truppe di Sua Maestà britannica, in Russia, nel 1919, contro i Bolscevichi[64], ed in Iraq, negli anni ’20, contro le popolazioni Curde[65] ed Arabe in rivolta; nonché l’esercito spagnolo, il 29 Giugno 1924, nella regione di Tétouan[66], in Marocco) che sarebbe stato espressamente richiesto e fermamente preteso dal Generale[67] Pietro Badoglio, per essere militarmente in grado di frenare e di controbattere, nel Gennaio del 1936, un’inattesa e travolgente offensiva etiope. In particolare, quella condotta dai Ras, Immirù (40.000 uomini), Mulughietà (80.000), Cassa e Sejum (40.000 + 30.000) che – puntando in direzione di Tracazzè, Macallè e Tembien – aveva facilmente travolto la 24ª Divisione italiana “Gran Sasso” (presso la località di Dembeguinà), riconquistato la regione dello Sciré, sconfinato militarmente in Eritrea, al punto che non era affatto escluso che potesse ugualmente rinnovare o replicare, ai danni delle truppe italiane di quella zona del fronte, il massacro di Dogali (26 Gennaio 1887) e/o l’eccidio di Adua-Abba Garima (1 Marzo 1896).

In tutti i casi, lo shock epocale che provocò la conquista mussoliniana dell’Etiopia – con il diverso esempio[68] della colonizzazione italiana – segnò direttamente o indirettamente l’inizio della fine degli spavaldi ed arroganti Imperi di Parigi e di Londra nel mondo.

Queste, tra l’altro, furono le realizzazioni che furono operate in Etiopia, in soli 5 anni di presenza italiana:

- furono costruiti ed organizzati, ad esempio, numerosi villaggi popolari, come quelli di Oletta e di Bischioftu, nelle vicinanze di Addis Abeba;

- venne realizzata la costruzione, in meno di 18 mesi, di 6 grandi assi stradali, due dei quali, da Addis Abeba, continuano ancora oggi a congiungere Massaua (una strada di 1.600 chilometri – e con i mezzi tecnici dell’epoca, cioè con i picconi, le pale e molto “olio di gomito”) e Assab, sul Mar Rosso (la Kombolcia-Assab, una strada di 480 chilometri, fu portata a compimento in soli 6 mesi!), ed un altro, che congiungeva Mogadiscio, sull’Oceano Indiano;

- l’edificazione ex novo della ferrovia Massaua-Asmara (attualmente in disuso);

- la ristrutturazione della ferrovia Gibbuti-Addis Abeba e la costruzione, in parallelo a quest’ultima, di una strada camionabile, sul tratto Gibbuti-Diredaua, fino alla stazione di Harrar;

- la progettazione e la costruzione (non terminata) delle strade camionabili verso i porti di Berbera e di Zeïla (nell’allora Somalia britannica) e la località di Gambela, alla frontiera con il Sudan;

- questo, naturalmente, senza contare le decine e decine di edifici pubblici, di uffici postali, di scuole, di ospedali, di infermerie, di lebbrosari, di stazioni radio, stazioni telefoniche, di alberghi, di caserme, di campi sportivi, di centrali elettriche, di mattatoi, di fognature, di opere idrauliche e di contenimento delle acque dei fiumi, i piani di appoderamento e della messa in cultura di cereali, di fibre tessili, di piante oleaginose; la ristrutturazione dei porti di Assab (Eritrea) e di Mogadiscio (Somalia); la prospezione mineraria in Etiopia: il rame, nel Tigré e nell’Amhara; il ferro, quasi dappertutto; il piombo e l’argento, nelle diverse regioni dell’altopiano; il carbon fossile e la lignite nel Choa e nella regione del lago Tana; il potassio ed il manganese, nel Tigré; il salgemma, nella Dencalia; il mica ed i silicati nell’Harrar; lo zolfo, nel bacino dell’Auasch, etc.

Non da ultimo, va ricordato l’ambizioso progetto mussoliniano di Comunità Imperiale Romana.

Mussolini, infatti, di lì a poco – in aperta sfida e provocazione al colonialismo ed all’imperialismo che erano praticati dalle altre potenze mondiali – volle inaugurare un nuovo tipo di ordinamento dei popoli che allora facevano parte o erano parte integrante dello Stato italiano: quello, per l’appunto, della Comunità Imperiale Romana. Una Comunità, cioè – come spiega il costituzionalista Gaspare Ambrosini – dove ”nessuna parte ha funzione di semplice strumento, né tanto meno è assoggettata a sfruttamento; tutte partecipano allo scopo comune ed ai comuni vantaggi, conformemente alla tradizione di Roma che (…) associava i popoli al suo destino” (citato da Michele Rallo, L’epoca delle rivoluzioni nazionali in Europa, vol. IV°, Ed. Settimo Sigillo, Roma, 2002, pag. 85).

Qualunque sia o possa essere il giudizio che, oggi, si possa esprimere sulla Colonizzazione fascista, è ovvio che quel tipo di ordinamento – sia nel concetto che nella sua applicazione pratica – era diametralmente all’opposto di ogni forma di dominazione dei popoli, quale era praticata, in quel periodo, dall’insieme delle potenze coloniali europee ed extra-europee.

Mussolini aveva visto giusto?

In tutti i casi, la prova provata che Mussolini – con la sua inattesa, spiazzante e provocatoria impresa coloniale in Africa Orientale (A.O.I.) – avesse comunque visto giusto, fu la durata, limitata (ed imbarazzante…), dell’assedio economico che Londra e Parigi avevano fatto votare, contro l’Italia, da 52 Stati della SDN.

Quelle Sanzioni, infatti, si protrassero, in tutto e per tutto, soltanto 242 giorni (dal 18 Novembre 1935, al 18 Luglio 1936). Ed era inevitabile che così avvenisse!

Londra e Parigi, in realtà, essendosi accorte che le motivazioni del boicotto economico che esse stesse avevano voluto fare imporre all’Italia per la sua impresa africana, si ritorcevano politicamente e moralmente contro la loro stessa presenza coloniale sui circa due terzi dei Paesi del mondo, si rassegnarono obtorto collo a revocarle. E due anni dopo, accettarono perfino di riconoscere l’esistenza dell’ “Impero italiano” (la Gran Bretagna, il 16 Aprile 1938; la Francia, il 4 Ottobre 1938), ammettendo, a malincuore ed a “denti stretti”, la nostra Nazione in quello che loro stesse consideravano l’esclusivo e, fino ad allora, riservatissimo “Club dei Paesi coloniali!

Pur facendo buon viso a cattivo gioco, però, l’Inghilterra e la Francia non dimenticarono mai lo “sgarbo” che l’Italia aveva fatto loro con la conquista dell’Etiopia e la Proclamazione dell’Impero italiano.

Anzi, diciamo che quel fascisticorompere le uovanel loro paniere e l’irriverente e provocatrice destabilizzazione mussoliniana del loro “Ordine Mondiale” – che Londra e Parigi avevano studiatamente voluto, furbescamente fabbricato ed interessatamente strutturato a Versailles nel 1919 – saranno ben ricordati e tenuti in evidenza dalle suddette capitali, nonché segretamente “legati al dito”, per poterli sicuramente fare “pagare”, un giorno, all’Italia del Littorio!

Come sappiamo, purtroppo, è quanto queste ultime, con il concorso degli USA, riusciranno comunque a fare, negli anni successivi, nei confronti del nostro Paese…

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Note

[1] Gran Bretagna, Francia, Germania, Impero Ottomano, Stati Uniti, Russia, Austria-Ungheria, Portogallo, Spagna, Italia, Belgio, Danimarca, Olanda, Svezia-Norvegia.

[2] Per approfondire il tema della “Guerra d’Africa”, 1935-1936, vedere: G. Bernasconi, Le guerre e la politica dell’Italia nell’Africa Orientale, Casa Editrice La Prora, Milano, 1935; Pietro Badoglio, La guerra d’Etiopia, A. Mondadori Editore, Milano, 1936; Luigi Federzoni, A.O., il ”posto al sole”, Ed. N. Zanichelli, Bologna, 1936; Amedeo Giannini, «Il conflitto italo-etiopico», Istituto Nazionale fascista di cultura, Roma, 1936; Aldo Cabiati (Gen.), La conquista dell’Impero: cronaca ragionata della guerra italo-abissina, Ed. Sonzogno, Milano, 1936; Benito Mussolini, Scritti e discorsi dell’Impero – Novembre ’35 / Novembre ’36, Hoepli, Milano, 1936; R. Cimmaruta, Ual Ual, A. Mondadori Editore, Milano, 1936; C. Tommasello, Con le Colonne Celeri dal Mareb allo Scioa, A. Mondadori Editore, Milano, 1936; R. Sabbatini, La nostra guerra in A.O., Ed. S.A.C.S.E., Milano, 1936; Achille Starace, La marcia su Gondar, A. Mondadori Editore, Milano, 1937; Emilio De Bono, La preparazione e le prime operazioni, Istituto Nazionale Fascista di Cultura, Roma, 1937; AA.VV., Gli Annali dell’Africa Italiana, Anno I, voll. 1-4, Casa Editrice Mondadori, Milano, 1938; Aldo Caioli, L’Italia di fronte a Ginevra. Aspetti del conflitto italo-etiopico, dall’origine alla conquista dell’Impero, Ed. Volpe, Roma, 1965; F. Bandini, Gli italiani in Africa, Longanesi & C. Milano, 1971; Mario E Zetto, Il posto al Sole – Cinquant’anni fa: l’ultima grande impresa coloniale della storia 1936-1941, edizioni Giardini, Pisa, 1986. Per una bibliografia prettamente antifascista, vedere: G. Rochat, Il colonialismo italiano, Loescher, Torino, 1972 ; A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale – La conquista dell’impero, vol II, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1979; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale, 4 vol., Laterza, Roma-Bari, 1976-1984 ; L. Goglia – F. Grassi, Il colonialismo italiano da Adua all’Impero, Ed. G. Laterza & Figli , Roma-Bari, 1981; Giuliano Procacci, Dalla parte dell’Etiopia. L’aggressione italiana vista dai movimenti anticolonialisti d’Asia, d’Africa, d’America, Ed. Feltrinelli, Milano, 1984; A. Del Boca (a cura di), I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti, Roma, 1996; Nicola Labanca, In marcia verso Adua, Einaudi, Torino, 1993 ; Oltremare – Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna, 2002; Una guerra per l’impero Memorie della campagna d’Etiopia 1935-36, Il Mulino, Bologna, 2005.

[3] Già largamente utilizzate in India dalle truppe inglesi contro i “ribelli” e le popolazioni civili che non volevano sottomettersi alla dominazione ed allo sfruttamento dei colonialisti di Londra.

[4] Per avere una visione comparativa dell’insieme degli Imperi coloniali, vedere: http://users.erols.com/mwhite28/1907powr.htm; oppure, soltanto per le colonie africane dell’Europa, vedere : http://users.erols.com/mwhite28/afri1914.htm

[5] Ex Garibaldino dell’Impresa dei Mille, Deputato di sinistra, Governatore civile e militare dell’Eritrea e Comandante supremo nella Guerra Italo-Etiopica del 1896, nominato direttamente, in quest’ultimo ruolo, dall’allora Presidente del Consiglio Francesco Crispi, della sinistra storica.

[6] Quella repressione, senza tentare di giustificarla moralmente in alcun modo, si rese praticamente indispensabile a causa dei continui attacchi che la guerriglia senussita continuava a provocare contro la presenza italiana nell’Est della Libia. Nel caso di Omar al Muktar, la sua condanna a morte fu decretata da un Tributane militare italiano (15 Settembre 1931), non perché – come spesso si pretende – aveva guidato la rivolta armata contro le truppe italiane presenti in Libia, ma poiché quest’ultimo, nel corso del processo, aveva formalmente riconosciuto di avere ordinato l’assassinio di un certo numero di prigionieri italiani – tra cui i piloti Beali e Hunerter, il Brigadiere dei Carabinieri Reali Stefano Ramorino e del suo distaccamento di “Zaptié” (Carabinieri libici e/o eritrei) – e di essersi ugualmente reso responsabile della strage di Slauta, dove un’intera tribù di innocui e disarmati beduini libici legati all’Italia, venne massacrata dai suoi meharisti.

[7] Vedere : Maurice Manning, The Blueshirts, Ed. Pellicani, Roma, 1998.

[8] Il leader delle Blueshirts (Camicie Blu) irlandesi e futuro fondatore del Partito Nazional-Corporativo.

[9] Vedere, in proposito: A. Caliga, «Il labirinto jugoslavo. Passato e futuro dei Balcani», Jaca Book, Milano, 1983; S. Clissold, a cura di, «Storia della Jugoslavia», Einaudi, Torino, 1969; Adriano Bolzoni, «Ustacha. Gli uomini di Ante Pavelic che sognarono una Croazia libera», Settimo Sigillo, Roma, 2000.

[10] Vedere, siti internet:http://www.thule-italia.com/lalegioneindiana.htm, http://www.carpe-diem.it/cultura/htm/spada.htm, http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/armi/autieri.htm; oppure consultare ugualmente: Renzo De Felice, Il Fascismo e l’Oriente. Arabi, Ebrei e Indiani nella politica di Mussolini, Ed. Il Mulino, Bologna, 1988; Manfredi Martelli, L’India e il Fascismo. Chandra Bose e il problema del Nazionalismo indiano, Settimo Sigillo, Roma, 2002.

[11] L’ispiratore spirituale del moderno Pakistan.

[12] Presidente (1937-1939) ed uno dei leaders, insieme a Ghandi ed a Nehru, dell’Indian National Congress, nonché futuro fondatore dell’ Indian National Army (INA) e del primo Governo indipendentista indiano in esilio (Azad Hind Government), negli anni ’40. Per saperne di più, vedere : Manfredi Martelli, L’India e il Fascismo. Chandra Bose e il problema del Nazionalismo indiano, Settimo Sigillo, Roma, 2002. Vedere ugualmente – per quanto riguarda la collaborazione di questo personaggio con il Naziona-Socialismo – Massimiliano Afiero, Indische Freiwilligen Legio der Waffen SS – La Legione SS di Subhas Chandra Bose, Edizioni Marvia, Voghera (PV), 2007.

[13] In proposito, vedere : Daniel Grange, Structure et Techniques d’une Propagande: Les Emissions Arabes de Radio Bari, articolo, in Relations Internationales, N. 2, Paris, 1974, pag. 166-9 ; Basheer M. Nafi, The Arabs and the Axis: 1933-1940, Arab Studies Quarterly, Spring, 1997.

[14] “Storia del XX° secolo”, Aprile 1997, pag. 43-49.

[15] Vedere, in proposito: Manfredi Martelli, Il fascio e la mezzaluna. I nazionalisti arabi e la politica di Mussolini, Settimo Sigillo, Roma, 2003.

[16] Articolo: «L’Italie et le monde Arabe», Ginevra, Aprile-Maggio-Giugno 1933.

[17] In particolare: Enrico Galoppini, «Il Fascismo e l’Islam», Ed. all’insegna del Veltro, Parma, 2001; Stefano Fabei, «Guerra Santa nel Golfo», Ed. all’insegna del Veltro, Parma, 1990; Stefano Fabei, « Il fascio, la svastica e la mezzaluna», Mursia, Milano, 2002 ; Stefano Fabei, «Una vita per la Palestina. Storia di Hajj Amin Al-Husayni, Gran Mufti di Gerusalemme», Mursia, Milano, 2003; Manfredi Martelli, «Il Fascio e la mezzaluna. I nazionalisti arabi e la politica di Mussolini», Settimo Sigillo, Roma 2003; G. Carocci, «La politica estera dell’Italia fascista», Laterza, Bari, 1969 ; Juliette Bessis, «La Méditerranée fasciste», ed. Karthala, Publications de Sorbonne, Paris, 1981 ; Juliette Bessis, articolo, «Chekib Arslan et le Fascisme», in Cahier No. 6, «Les relations entre le Maghreb et le Machrek», Centre National de la Recherche Scientifique, Maison de la Méditerranée, Institut de Recherches Méditerranéennes, Université de Provence, Aix-En-Provence, 1984, pag. 119-132 ; Luigi Villari, «Italian Foreign Policy Under Mussolini», Ed. Devin-Adair Co, New York, 1956; Giovanni Tucci, «Il Fascismo e l’Islam», articolo, in «La Vita Italiana», Maggio 1937, pag. 597-601 ; Rosaria Quartararo, «Roma tra Londra e Berlino. La politica estera fascista dal 1930 al 1940», Ed. Bonacci, Roma, 1980 ; Luigi Goglia, «Il Mufti e Mussolini: alcuni documenti italiani sui rapporti tra nazionalismo palestinese e fascismo negli anni trenta», articolo, in «Storia contemporanea», Anno XVII, N. 6, Dicembre 1986, pag. 1201-1253; Claudio Mutti, articolo, «Una vita per la Terrasanta», in «Storia del XX° secolo», N. 7, Novembre 1995 ; Claudio Mutti, articolo, «Il sangue contro l’oro», in «Storia del XX° secolo», N. 10, Febbraio 1996; Claudio Mutti, articolo, «Fascismo e Islam», in «Storia del XX° secolo», N. 22, Aprile 1997.

[18] Articolo: “Il sostegno dell’Italia alla prima intifada – I rapporti tra fascismo e nazionalismo palestinese negli anni trenta, in rivista “Studi Piacentini”, No. 35, 2004, pp. 145.

[19] Ecco cosa scrisse, a proposito del “Patto a Quattro”, nel 1942, il liberal-conservatore e futuro direttore antifascista del Corriere della Sera, Mario Missiroli: “Non si esagera quando si afferma che nessuno, più di Mussolini, perorò la causa della solidarietà europea, nessuno più di lui, si studiò di prepararne i modi e le vie (…) Aderì a tutte le proposte di disarmo a condizione che altri facessero altrettanto; riuscì a ottenere quella tregua negli armamenti, che parve, per un momento, avviare l’Europa verso forme più civili di convivenza; elaborò quel Patto a Quattro che passerà alla storia come un capolavoro di saggezza e di previdenza politica che portò al convegno di Monaco. Ma le plutocrazie non volevano la pace, animate come erano da immutabili propositi di egemonia e di sopraffazione e ben lo si vide al tempo dell’impresa d’Etiopia, quando ordirono contro l’Italia proletaria l’infame congiura delle sanzioni. Ecco perché oggi l’Italia combatte. Combatte per la sua autonomia economica, premessa di una vera, effettiva, sostanziale autonomia politica“.”Servitù economica e indipendenza politica sono termini inconciliabili…” (Mario Missiroli, articolo, Guerra proletaria, apparso sul mensile La Vittoria, 1942).

[20] Per più ampie informazioni a proposito delle menzogne e delle falsità degli Alleati che erano state all’origine di quel Trattato-Diktat, vedere: Alcide Ebray La Paix malpropre (Versailles) – Pour la réconciliation par la vérité, Società Editrice « Unitas », Milano, 1924 (consultabile on-line su: http://www.aaargh.com.mx/fran/livres5/ebraypaixmal.pdf); Harry Elmer Barnes, In Quest of Truth and Justice; Debunking The War Guilt Myth, National Historical Society, Chicago, 1928; The Genesis of the World War; an Introduction to the Problem of War Guilt, Knopf, New York, 1929.

[21] Libera traduzione: “viola apertamente il diritto dei popoli a disporre di loro stessi, che moltiplica i nuovi rischi di guerra, che riduce in schiavitù delle nazioni intere, che si accompagna in fine di misure di violenza contro tutti i movimenti di liberazione, non solamente in Russia ed in Ungheria, ma in tutti i paesi dell’antico Impero asburgico, in tutto l’Ovest e in Germania, non può a nessun titolo ricevere un suffragio socialista… che deve subire, non solamente una revisione parziale… ma una trasformazione completa” (testo citato da Paul Rassinier, Les responsables de la Seconde guerre mondiale, Nouvelles Editions Latines, Paris, 1967, pag. 8 e 9).

[22] Ecco il testo ufficiale, in inglese: The Allied and Associated Governments affirm and Germany accepts the responsibility of Germany and her allies for causing all the loss and damage to which the Allied and Associated Governments and their nationals have been subjected as a consequence of the war imposed upon them by the aggression of Germany and her allies (Trattato di Versailles ; Riparazioni : Parte VIII ; Sezione I ; Articolo 231). Vedere sito : http://www.firstworldwar.com/source/versailles231-247.htm

[23] Presidente del primo “Comitato degli Esperti sulle Riparazioni” : uno statunitense che, negli USA, era ugualmente e contemporaneamente Presidente del Consiglio d’amministrazione della Central Trust Co. of Illinois.

[24] Secondo Presidente del medesimo “Comitato sulle Riparazioni” : un altro statunitense che era ugualmente il Presidente del Consiglio d’amministrazione della General Electric (una società controllata dal gruppo israelita americano J. P. Morgan & Co. Incorporated N.Y.). E più tardi, diventerà Presidente della Radio Corporation of America.

[25] Per le fonti, vedere : The Treaty of peace between the Allied and Associated powers and Germany, Published by His Majesty’s Stationary office, London, 1923; vedere ugualmente i siti web: http://www.nobel-paix.ch/paix_p1/traitver.htm; http://crdp.ac-reims.fr/memoire/bac/1gm/connaissances/traites.htm; http://fr.encyclopedia.yahoo.com/articles/v/v0101202_p0.html):

[26] Per rendersi conto dell’arbitrarietà di questa clausola, basta dare uno sguardo all’eccellente libro dello scrittore anarchico francese Georges Demartial, Le mythe des guerres de légitime défense. Librairie des sciences politiques et sociales, Marcel Rivière, Paris, 1931.

[27] Quell’Articolo costituiva la base giuridica per potere imporre alla Germania l’insieme delle riparazioni di guerra.

[28] Come precisa Georges Demartial, “le crime de l’Allemagne c’était de l’avoir déclarée. Or l’Allemagne n’avait déclaré la guerre que parce qu’elle y avait été matériellement provoquée par la mobilisation russe, et si même elle l’avait déclarée sans provocation, elle n’aurait commis aucun crime puisque la guerre était un droit. Où était son crime particulier ?” (Le mythe des guerres de légitime défense. Librairie des sciences politiques et sociales, Marcel Rivière, Paris, 1931, pag. 39). Per saperne di più sulle reali responsabilità dei diversi Stati europei nello scoppio della Prima guerra mondiale, vedere ugualmente : John S. Ewart, The roots and causes of wars (1914-1918), George H. Doran Publishing Company, New York, 1925; S. B. Fay, The Origins of the World War, Macmillan, London, 1928; Harry Elmer Barnes, The Genesis of the World War, 3rd edition, Knopf, London, 1929 ; Henri Pozzi, Les CoupablesLa vérité sur les responsabilités de la guerre et les dessous de la paix (Documents officiels secrets), Éditions Européennes, Paris, 1935.

[29] Fonti tedesche, parlavano di 1’900’000 abitanti.

[30] La Compagnia perolifera che, nel 1911, aveva scopperto ed aveva iniziato a sfruttare industrialmente il petrolio nella regione di Mossul (Nord della Mesopotamia o dell’attuale Iraq).

[31] Altre fonti, parlano di 61.000 abitanti.

[32] Secondo fonti tedesche: 161.000 abitanti.

[33] Nonostante le popolazioni di quel territorio, il 20 Marzo del 1921, avessero votato a più del 60% per la loro riannessione alla Germania, la Polonia continuerà a mantenere quei territori sotto la sua sovranità.

[34] Del tipo : Bergmann MG15 ; Maschinengewehr 08 e MG08 ; Parabellum MG14 ; Spandau o Maxim LMG 08/15, ecc. E l’insieme delle Maschinenpistole 18/1 o MP18.

[35] Che era in aperta contraddizione con i 14 Punti di Wilson, l’uno dei quali prevedeva il diritto dei popoli all’auto-determinazione.

[36] Il celebre economista britannico, John Maynard Keynes, nel suo “The Economic Consequences of the Peace” (Harcourt Brace Jovanovich, New York, 1920), aveva vanamente perorato la causa della cancellazione di quelle clausole ed, in particolare, di quelle che prevedevano le cosiddette riparazioni di guerra tedesche. Il suddetto libro, è ugualmente consultabile on-line, sul sito : http://www.j-bradford-delong.net/articles_of_the_month/ecp.html

[37] Libera traduzione: “la verità è che noi abbiamo ottenuto ciò che volevamo… la Marina tedesca è stata consegnata, le navi mercantili tedesche sono state consegnate e le colonie tedesche ci sono state rimesse. Uno dei nostri principali competitori commerciali è stato paralizzato ed i nostri Alleati stanno diventando i suoi creditori più importanti. Questo non è (affatto) un piccolo successo” (vedere : http://www.humanitas-international.org/showcase/chronography/timebase/1919tbse.htm).

[39] Libera traduzione: “Hitler non sarebbe mai riuscito a prendere il potere senza la sconfitta della Germania nella Prima guerra mondiale. Come conseguenza di quella sconfitta, il punitivo Trattato di Versailles che mise la Germania in ginocchio, e la depressione mondiale che seguì la guerra, la Germania era stata scaraventata nel caos economico”.

[40] Per volere degli “strateghi” di Versailles, gli antichi territori degli Sloveni, dei Croati, dei Serbi e di altre 6 minoranze nazionali furono artificialmente riuniti per la prima volta in un solo Regno.

[41] L’alfabeto cirillico e quello latino.

[42] Uno “Stato-Nazione” completamente inventato a Versailles che era popolato da Cechi, Slovacchi, Austriaci, Tedeschi, Polacchi, Ungheresi e Ruteni.

[43] Successivamente retrocessa all’Italia, sulla base del Trattato di Rapallo del Novembre 1920.

[44] La Romania, il 1 Dicembre 1918, aveva ugualmente ed unilateralmente integrato le regioni della Bessarabia e della Bucovina.

[45] L’Armenia turca ed il Kurdistan furono successivamente recuperati da Ankara, sulla base del “Trattato di Losanna” del 24 Luglio del 1923.

[46] Regione restituita alla Turchia, dalla Siria (sotto “Mandato francese”), nel 1939.

[47] Per saperne di più sull’ invenzione a tavolino (con squadra e riga…) di queste ultime tre Nazioni da parte di Winston S. Churchill (allora ministro delle Colonie del governo presieduto da Lloyd George), vedere : Christopher Catherwood, La follia di Churchill, l’invenzione dell’Iraq, editrice Corbaccio, Milano, 2005.

[48] Per visualizzare il quadro riassuntivo delle perdite umane subite dai diversi belligeranti nel corso della Prima Guerra mondiale (1914-1918) vedere: http://tmh.floonet.net/articles/barnesww1.html

[49] Come precisa Vincenzo Bianchi, “il patto prevedeva l’intervento italiano entro un mese. A guerra finita e vinta, l’Italia avrebbe ottenuto il confine del Brennero, l’Istria, la Dalmazia settentrionale, con Zara, Sebenico e la “Krajina” di Knin, zona a nord-est di Zara, abitata da serbi, ma in mezzo al territorio croato. La Krajna era già sottomessa per secoli a Venezia (quotidiano Rinascita del 13 Febbraio 2006).

[50] Novissimo Melzi, edizione ampliata, riveduta ed aggiornata da G. Tecchio, L.F. De Magistris e P. Manfredi, Ed. Antonio Vallardi, Milano, 1936, pag. 986.

[51] In particolare : il “Trattato segreto” tra la Gran Bretagna ed Ibn Saud (il fondatore della futura dinastia saudita), con il quale Londra impone il suo protettorato alle regioni arabe del Nejd, Al-Hassa, Qatif e Jubail, in cambio del riconoscimento del regno di Ibn Saud; gli “Accordi Sykes-Picot” (dai cognomi deile due personalità che li avevano firmati a Downing Street, a Londra: Mark Sykes, per il Regno Unito, e François Georges Picot, per la Francia), del 16 Maggio 1916, con i quali gli Anglo-Francesi – in barba alle promesse di indipendenza e sovranità fatte agli Arabi dello Sceriffo della Mecca, Hussein, e di suo figlio Feysal (futuro comandante dell’Armata araba contro i Turchi), nel Maggio del 1916, dal celebre colonnello britannico Thomas E. Lawrence (alias, Lawrence d’Arabia) – avevano già segretamente definito le grandi linee di ripartizione dell’ex Impero Ottomano e che assegnavano la Siria, il Libano e la regione di Mossul alla Francia, ed il resto (la Mesopotamia ed il territorio compreso tra l’Egitto ed il Golfo Persico) alla Gran Bretagna. Questo, naturalalmente, senza contare la “Dichiarazione Balfour” del Novembre 1917, con la quale i Britannici promettevano al movimento sionista internazionale, l’istallazione in Palestina (la medesima Palestina che già avevano promesso agli Arabi di Hussein e di Feysal!) di una “dimora nazionale” per gli Israeliti del mondo (nel testo ufficiale, si parla addirittura di “razza ebraica”!).

[52] Il “Trattato di Londra” del 26 Aprile 1915, che abbiamo già visto.

[53] Come sottolinea Vincenzo Bianchi, “a Versaglia l’Italia venne trattata da vinta. Dovette cedere ai vinti, miracolati in vincitori, i territori di valore strategico della Dalmazia. Soprattutto, con l’inglobamento dei possedimenti turchi nel Mediterraneo Orientale e nel Medio Oriente, tutti attribuiti ai franco-inglesi, la posizione di prigionia dell’Italia era aggravata. L’Italia fu cronicamente angariata con una spietata guerra economica, cinicamente condotta dai padroni economici del mondo (quotidiano Rinascita del 13 Febbraio 2006).

[54] Il “Cagoia” di… d’annunziana memoria.

[55] In proposito, vedere : Raffaello Riccardi, Economia fascista – Sanzioni – Commercio estero – Autarchia, Prefazione di Galeazzo Ciano, Ed. Unione Editoriale d’Italia, Roma, 1939.

[56] Come è bene illustrato dal sito internet www.carabinieri.it/editoria/carabiniere/2003/maggio/10militaria/militaria_art_01.html – la politica estera italiana si era ripromesso, fino a quel momento, due obiettivi principali: “Il riconoscimento de iure dell’Impero e la stipulazione dell’agognato “Patto” con la Francia – la Gran Bretagna si sarebbe accodata – per un “Asse Mediterraneo”, in funzione antitedesca; la Francia risponderà con un insulto: ritirando il suo Ambasciatore da Roma e continuando a “riconoscere”il Negus”…

[57] Per l’intero testo, vedere: http://it.wikisource.org/wiki/Italia_-_9_maggio_1936,_Discorso_di_Proclamazione_dell%27Impero

[58] Per il testo completo, vedere: http://www.alessandracolla.net/?p=105 – http://www.alessandracolla.net/2007/11/16/appello-ai-fratelli-in-camicia-nera/

[59] Fratello di Rita – la prima moglie di Palmiro Togliatti – e di Elena, moglie di Paolo Robotti, Comunista alessandrino, esule in URSS e vittima, più tardi, della repressione stalinista.

[60] Frase citata da Pino Rauti e Rutilio Sermonti, in Storia del Fascismo, vol. 1, C.E.N., Roma, 1977, pag. 194.

[61] Immaginata dal Presidente statunitense Wilson, la SDN era nata lo stesso giorno dell’entrata in vigore del Trattato di Versailles che era stato firmato al Quai d’Orsay (Parigi), il 10 Gennaio 1920.

[62] Un utilizzo che – oltre ad essere espressamente proibito dalla Convenzione di Ginevra del 1925 – è sicuramente, ieri come oggi, inaccettabile ed inescusabile da un punto di vista morale. L’allora Ministro delle Colonie del governo britannico presieduto da Lloyd George e futuro ed indiscusso campione della democrazia”, Sir Winston S. Churchill, invece, in quel medesimo periodo storico, aveva una ben diversa opinione in proposito: “I do not understand this squeamishness about the use of gas. (… ) I am strongly in favour of using gases against uncivilised tribes”. (Libera traduzione: “Non capisco questa schizzinosità circa l’uso di gas. (… ) Sono fermamente per usare i gas contro le tribù incivili”). Per averne conferma, consultare: Martin Gilbert, Winston S. Churchill, Vol. 4 (1916-1922, The Stricken World), Houghton Mifflin, Boston, 1975; oppure, il sito internet, http://www.globalresearch.ca/articles/CHU407A.html

[63] In ogni caso, è ciò che sostiene lo storico Angelo Del Boca (a cura di), nel libro I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti, Roma, 1996, pag. 45. Anche se, le sue affermazioni sono fortemente contestate da innumerevoli testimonianze raccolte, in prima battuta, da “Storia Verità” (Marzo 1997), e da ultimo riportate da Filippo Giannini su “Il Popolo d’Italia” del 5 Agosto 2005.

[64] Per l’utilizzazione del gas mostarda o iprite da parte della Gran Bretagna, vedere : Jonathan Glancey, Gas, chemicals, bombs: Britain has used them all before in Iraq, articolo, The Guardian, 19 Aprile 2003 (Glancey, in particolare, precisa : “(…) the RAF had employed mustard gas against Bolshevik troops in 1919, while the army had gassed Iraqi rebels in 1920 “with excellent moral effect”. (Libera traduzione : “(…) la RAF ha impiegato gas mostarda contro le truppe bolsceviche nel 1919, mentre l’esercito ha gassato i ribelli iracheni nel 1920 “con un effetto morale eccellente”). Vedere ugualmente sito : http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,939608,00.html

[65] Vedere : Sven Lindqvist, A History of Bombing, New Press, New York, 2001 ; ed ugualmente, l’articolo di Giorgio Ieranò, Quando Churchill s’inventò l’Iraq, Il Giornale”, 21 luglio 2005, pag. 27.

[66] Vedere, in proposito : Sven Lindqvist, La mort venait déjà du ciel…, Le Monde diplomatique, Marzo 2002.

[67] Futuro Maresciallo d’Italia, e – successivamente – “democratico” e golpista antifascista.

[68] Come conferma Romano Bracalini, “gli Italiani, anche col fucile e il casco coloniale, restavano dei poveri cristi che andavano in Africa per lavorare e come colonialisti erano dei dilettanti. Si comportavano diversamente dagli Inglesi, che tenevano il frustino sottobraccio e non davano confidenza agli indigeni” (“Storia Illustrata”, n. 334, Settembre 1985, pag. 29).


http://www.mirorenzaglia.org/2011/05/5-5-1936-impero-italiano-le-ragioni-di-un-torto/#_ftn4

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