venerdì 12 novembre 2010
Nerone incendiò davvero Roma ?
Di recente, la TV di Stato ha dedicato “Superquark” ad uno dei personaggi più demonizzati di tutti i tempi: Nerone. Essendo stata già trasmessa in passato, la puntata ha rappresentato una delle tante repliche con cui la Rai ci fotte il canone. Comunque, anche se non s’è tratto di una novità, il nostro giudizio è che - tranne per l’aspetto che tratteremo – il programma si sia mantenuto su un piano d’equilibrio abbastanza accettabile.
Come si sa, nell’immaginario collettivo Nerone rappresenta l’emblema della mostruosità del potere assoluto, allorché finisce in mano ad un folle. In realtà, questo imperatore non fu affatto quel matto da legare che ci hanno fatto credere. Naturalmente, con ciò non vogliamo assolverlo da certe grosse pecche che pure ebbe. Diciamo subito che la sua cattivissima fama si deve essenzialmente a scrittori come Tacito, Svetonio e Dione Cassio. Nessuno però dice che essi avevano tutto l’interesse a dipingerlo in modo negativo. Nerone, infatti, fu sempre in conflitto con il Senato, che era composto dalla casta nobiliare cui appartenevano i suddetti storici. Egli per indole stava invece dalla parte del popolo, col quale amava mescolarsi sotto mentite spoglie. Basti dire che ne spartiva le preferenze sia per le bettole (che bazzicava di notte in incognito), sia per il tifo per i “Verdi” (i conducenti di bighe nell’arena, in perenne competizione con gli aurighi “Blu” della classe nobiliare). Ma, a parte ciò, a favore di Nerone parlano i provvedimenti, da lui tentati a favore dei più poveri e sempre contrastati dal ceto dei potentati.
Ciò premesso, in questa sede ci preme commentare l’aspetto particolare della trasmissione, che ha trattato il famoso incendio di Roma del 64 d. c. e l’altrettanto famigerata persecuzione che ne seguì.
Anche se si tratta di un episodio ancor oggi controverso tra gli studiosi, Piero Angela ha continuato ad avvalorare la versione più faziosa che propende per la colpevolezza di Nerone. Tale tesi in effetti affonda le sue radici sostanzialmente in alcune parole di Tacito. Fu questo storico ad adombrare - primo tra tutti - una responsabilità dell’imperatore per l’incendio. Attribuì infatti quel tremendo disastro “non si sa se al caso o al dolo del principe”. Come si vede, nei termini in cui fu lanciata, l’accusa risulta così vaga da indurci a pensare che sia stata inventata di sana pianta. Del resto, se Tacito avesse avuto qualche elemento probante a suo favore, non si sarebbe fatto sfuggire l’occasione di spiattellarlo negli “Annali”. Comunque, poiché serviva alla “causa”, l’accusa fu tranquillamente ripresa poi da Svetonio. Egli, essendo ancor più ostile a Nerone di quanto lo fosse Tacito, ci ricamò sopra: ed ecco venir fuori la storiella del principe, intento a cantare la caduta di Troia mentre il rogo divorava l’Urbe. Questa fandonia era troppo suggestiva, per non trasformarsi col tempo in una inossidabile leggenda metropolitana. Fatto sta che gli altri scrittori successivi, da Dione Cassio a Plinio il Giovane, si rifecero tutti a tali versioni di parte. Stranamente, si comportarono meglio gli scrittori cristiani, perché fino a Sulpicio Severo (V secolo) non ripresero questa versione. Eppure si trattava di autori del calibro di Tertullino e Lattanzio, che avevano buoni motivi per avercela con Nerone, accusato d’essere il primo persecutore dei cristiani. Con tali precedenti, la “damnatio memoriae” di questo imperatore - almeno tra i ceti che contavano - non poteva non venire da sé. Viceversa, la popolazione meno abbiente continuò ad onorare ancora per molti secoli questo imperatore, che aveva osato schierarsi dalla sua parte contro i potenti senatori. Per estirpare questo residuo di paganesimo, nel 1100 i suoi resti furono fatti sparire (forse nel Tevere) ad opera del papa Pasquale II. Sul vecchio sepolcro di famiglia di Nerone, sorse poi l’attuale chiesa di S. Maria del Popolo, nell’omonima piazza romana sotto il Pincio.
In tempi recenti, comunque, una parte della storiografia ha rivisto le cose in senso meno prevenuto.
Tra di loro, ricordiamo Massimo Fini che ha dedicato a Nerone lo scorrevole saggio “Duemila anni di calunnie”, ristampato quest’anno per la Mondadori. Ebbene, l’incendio che venne attribuito a Nerone sarebbe stato uno dei tanti scoppiati a quei tempi nella città. Esso tuttavia fu quello più devastante, perché venne alimentato da un terribile vento. E’ possibilissimo che il suo inizio sia stato dovuto all’imprudente uso che il popolino faceva dei bracieri. Una sciagurata fatalità dunque. Le fiamme furono altresì favorite da un complesso di circostanze avverse: strutture quasi tutte in legno, strade strette, insufficienza d’acqua ed esiguità dei vigili del fuoco. Esse imperversarono per ben nove giorni e distrussero quasi tutta la città, causando migliaia di morti e danni incalcolabili. Dopo la devastazione, Nerone colse la palla al balzo per mettere mano ad un progetto che rifletteva i suoi gusti in materia di edilizia urbana. A lui risale infatti il primo piano regolatore di Roma, che desta ancor oggi meraviglia per la modernità delle sue concezioni. Ma é proprio questa ricostruzione a tiragli addosso sospetti e illazioni.
A ben vedere, il presunto “piromane” imperiale ebbe nell’occasione un comportamento davvero esemplare. Aprì subito il Campo Marzio e i suoi giardini per ospitare i fuggiaschi, ridusse il prezzo del grano, fece piantonare le zone colpite per evitare lo sciacallaggio ed infine ordinò di scaricare le macerie nelle vicine paludi di Ostia. Niente di meno di quanto farebbe oggi la Protezione civile.
Naturalmente, a cose fatte, furono cercate le eventuali responsabilità, come in ogni calamità che si rispetti. Al momento dell’incendio, covava già nell’ombra la congiura di Pisone, che venne scoperta l’anno dopo. Però, anche se qualche autore moderno attribuisce ai congiurati l’incendio, la tesi non regge a causa della ricordata presenza della luna piena. In più, resterebbe inspiegabile perché essi non abbiano profittato del fatto che Nerone fu notato aggirarsi senza scorta tra le fiamme, per ucciderlo.
Resta da vedere se vi fosse qualcun altro che avesse interesse ad alimentare le fiamme divampate casualmente. Molti storici moderni (Herrmann, Giannelli, Bishop, Goguel) avanzano l’ipotesi che qualche fanatico religioso abbia colto l’occasione per entrare in azione. Nel cristianesimo del tempo, c’erano purtroppo gruppi di estremisti pronti a tutto, come se ne sono sempre contati in ogni movimento o partito di massa. Costoro assimilavano Roma alla Babilonia citata nell’Apocalisse di Giovanni e, quindi, ne ambivano la distruzione. E il fuoco, come si sa, ha sempre costituito il mezzo purificatore per antonomasia. Non è quindi da escludere che qualche pazzoide aspirasse a procurarsi la gloria eterna del martirio. Ed é allora plausibile che i più esaltati fossero disposti a confessare persino colpe inesistenti. Sta di fatto che, secondo lo stesso Tacito, furono “arrestati coloro che confessavano”. Ciò significa che le confessioni, in sostanza, non furono loro estorte ma rese spontaneamente. La tortura venne usata solo in seguito e comunque nei confronti dei soli schiavi cristiani, non essendo lecita verso i cittadini. Va aggiunto che la successiva persecuzione colpì due o trecento persone, e non tutta la comunità cristiana. Inoltre risparmiò del tutto le province. Ciò dimostra che la qualifica di cristiano non era alla base degli arresti. Lo stesso Paolo, che era il capo notorio della nuova religione e che si era sempre dissociato dalle frange estreme, non venne toccato nell’immediatezza dei fatti. Lo dimostra l’incertezza della data della sua morte, che vien fatta oscillare tra il 64 e il 67. Se fosse stato martirizzato subito, il momento del suo supplizio non sarebbe rimasto di sicuro nel vago.
In conclusione, è parsa fuorviante quella parte di “Superquark”, che ha mostrato un Nerone isterico mentre ordina a chi gli riferisce d’aver arrestato “tutti i cristiani” di ammazzarli appunto “tutti”. E, avendo in precedenza mostrato la scena in cui pure Paolo viene arrestato, la tv statale ha fatto così credere agli spettatori che nessun cristiano si sia salvato, ivi incluso Paolo. Ha quindi reso un cattivo servigio pubblico. Eppure, è stato lo stesso Piero Angela a ricordare nel servizio che l’apostolo si trovava a Roma perché nel 60 si era affidato alla giustizia di Nerone. Vi era stato indotto dalla necessità di sottrarsi a Gerusalemme alle ire degli ebrei ortodossi e alla sicura morte che gli avrebbero inflitto. E - pensate un po’ – era stato giusto Nerone a mandarlo assolto da ogni accusa secondo i principi del diritto romano!
Tratto da:
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=4866
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