giovedì 21 gennaio 2010
Biggini Carlo Alberto
Nato a Sarzana il 9 dic. 1902 da Ugo e da Maria Accorsi, iniziò gli studi liceali presso il liceo Doria a Genova, interrompendoli per obblighi militari (1922-1924). Nell’ottobre del 1920 aderì alle avanguardie giovanili del fascio di quella città, e nell’aprile 1925 diede la sua adesione al manifesto degli intellettuali fascisti. Ma quasi subito si distaccò dal fascismo militante, al quale non si riaccostò che verso il 1926-1927, quando già frequentava la facoltà di giurisprudenza dell’università di Genova, dove si laureò nel 1928.
In sostanza, la partecipazione del B. alla lotta politica, almeno fino al 1927, avvenne sotto il segno delle posizioni gentiliane e della costante preoccupazione di conservare un contatto e di aprire un colloquio con le forze non allineate al fascismo in nome delle comuni tradizioni culturali.
L’influenza del filosofo siciliano sul B. è del resto evidente nella concezione «civile» della lotta politica e nella predilezione per alcuni temi cari alla tematica gentiliana (il giobertismo e la sua crisi, la meditazione sulla natura dello Stato).
La tardiva adesione del B. al PNF (la domanda di iscrizione è del l° maggio 1928) fu oggetto d’una polemica, mossagli nel 1934 da alcuni esponenti della federazione fascista della Spezia, che contestandogli inoltre la collaborazione (1926-28) alla rivista genovese di chiara intonazione antifascista Pietre, pur limitata a contributi di carattere meramente tecnico e culturale, mettevano in dubbio la possibilità di retrodatare la sua anzianità di militante fascista.
Ottenuta la laurea in giurisprudenza, il B. nel 1929 si laureò anche in scienze politiche ed amministrative presso l’università di Torino e quindi ottenne, nel 1930, il diploma di perfezionamento presso la scuola superiore di scienze corporative presso l’università di Pisa. Del corporativismo fascista egli fu uno dei più convinti fautori e studiosi, in connessione con i suoi prevalenti interessi nel campo del diritto pubblico e della storia del pensiero politico italiano.
In uno dei suoi primi saggi di diritto pubblico (Il fondamento dei limiti all’attività dello Stato, Città di Castello 1929), largamente influenzato dalle concezioni gentiliane, il B. ripudiava ogni integralismo, ogni risoluzione della sfera dell’individuo in quella della collettività e l’identificazione del diritto privato con il diritto pubblico. L’identificazione dello Stato con la società che lo esprime lo porterà, qualche anno dopo, in uno studio pubblicato negli Studi sassaresi del 1935 (La realtà dello Stato e i suoi organi), a respingere l’identificazione dello Stato con i suoi organi: la polemica contro il formalismo di scuola liberale del diritto costituzionale sarà poi definitivamente riaffermata in una rassegna dei più recenti studi di diritto costituzionale del 1938.
Accanto al filone principale della produzione relativa al diritto pubblico, costituzionale e corporativo, il B. coltivò sempre un interesse storico che trovò la sua espressione in indagini sul pensiero politico e giuridico di Pellegrino Rossi, poi su Giuseppe Ferrari, e in recensioni alle opere di F. Ercole sul passaggio dal Comune al principato e di A. Levi su Carlo Cattaneo. Già nel 1926 aveva pubblicato alla Spezia uno studio sulla politica di Augusto in cui, pur nei limiti di un lavoro scolastico e retorico, veniva posta l’attenzione sui valori e i fondamenti del principato augusteo. Un posto a sé occupa la Storia inedita della Conciliazione, pubblicata a Milano nel 1942 per incarico dello stesso Mussolini, che gli mise a disposizione i documenti ufficiali.
Dopo aver conseguito la libera docenza in diritto costituzionale, il B. fu incaricato (1932) di diritto costituzionale e comparato e di dottrina generale dello Stato presso l’università di Sassari, dove nel dicembre 1936 divenne titolare di diritto costituzionale e corporativo; nel 1938 si trasferì all’università di Pisa, di cui, nel 1941, divenne rettore.
In questo periodo collaborò a moltissime riviste scientifiche (Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1929-1932, Rivista di scienze politiche e giuridiche: lo Stato, 1930, Archivio di storia della filosofia, 1932, Archivio di studi corporativi, 1932-1942, di cui assunse la direzione dopo la sua chiamata all’università di Pisa, L’economia italiana, 1934, Nuovi studi di diritto, economia e politica, 1929-1930, Studi sassaresi, 1935-1936, Terra e Lavoro, 1935) e a riviste politiche di vario orientamento fascista (Dottrina fascista, L’ordine corporativo, Origini, Politica sociale, La Terra).
Alieno dal partecipare alle lotte di corrente in seno al fascismo, sia perché convinto della necessità di conservare l’unità della classe dirigente fascista, sia per la natura culturale e la matrice gentiliana della propria vocazione politica, che tendeva al mito della «fedeltà», il B. riuscì a mantenere sempre buoni rapporti con i maggiori esponenti del fascismo nazionale delle più varie tendenze e nutrì un’autentica devozione per Mussolini. Più contrastanti i suoi rapporti con gli esponenti del fascismo spezzino: alla Spezia, dove aveva fondato e diretto il locale istituto di cultura fascista, conferendogli una marcata impronta di centro di studi corporativi, dal 1931 al 1934 fu membro del direttorio locale del partito, e dal 1932 al 1934 membro effettivo della giunta provinciale.
La sua elezione nel 1934 a deputato per il collegio unico nazionale dette al B. occasione di allentare i suoi rapporti con l’ambiente spezzino (ma nel 1938 sarà ancora commissario prefettizio di Sarzana). Nel 1935 egli fu oggetto di una violenta polemica da parte del direttore dell’organo locale del partito l’Opinione, C. Danese, esponente del fascismo più grossolano ed Intransigente, che aveva preso spunto da una conferenza del B in cui si sosteneva che il fascismo non costituiva una completa cesura con il liberalismo (Istanbul, 30 marzo), per attaccarlo. La polemica ebbe una qualche risonanza e fu portata a conoscenza di Mussolini, che però non vi diede alcun peso. Non riuscì così ad influenzare negativamente la carriera nazionale del B., che nel Parlamento fu nominato membro della corporazione olearia in rappresentanza dei lavoratori dell’agricoltura, indi, nel 1937, membro parlamentare per la riforma dei codici, quindi presidente di commissione nell’istituto di rapporti culturali con l’estero, presidente del consiglio direttivo delle scuole superiori del partito e consulente giuridico del ministero degli Esteri per l’Albania. Consigliere nazionale nella Camera dei fasci e delle corporazioni nel 1939, dalla corporazione olearia fu trasferito poi in quella dei tessili. Ma la carica politicamente più significativa fu quella di presidente della commissione di mistica fascista ai littoriali. Il B. venne così a svolgere, fino a quando non fu chiamato ad incarichi di maggiore responsabilità, un ruolo eminentemente tecnico, che ben si congiungeva con la sua formazione ideologica e politica improntata ad un moderato conservatorismo.
Dopo aver partecipato alla campagna d’Africa e a quella di Grecia (per cui dopo la morte gli fu concessa una medaglia di bronzo), il 19 dico 1942 il B. assunse la carica di ispettore generale del Partito nazionale fascista; il 5 febbr. 1943, in occasione del vasto rimaneggiamento di governo operato da Mussolini, fu nominato ministro dell’Educazione nazionale membro del Gran Consiglio e del direttorio nazionale del partito. In quell’occasione pronunciò alla radio un discorso sulla gravità della situazione bellica; e non è da escludere che il suo incitamento personale abbia avuto qualche peso nello spingere il Gentile a pronunciare in Campidoglio (2 giugno 1943) l’appello di difesa nazionale.
Come ministro egli si proponeva (vedi il suo discorso al Senato del 13 maggio) di accentuare il carattere selettivo delle scuole stesse, istituendo il giudizio globale in luogo della votazione, accrescendo lo studio del latino e introducendolo in tutte le scuole medie superiori a indirizzo tecnico e professionale; queste ultime avrebbero dovuto essere accresciute; quanto alle università dovevano essere sfoltite.
Quando il 16 luglio 1943 fu chiesta la convocazione del Gran Consiglio del fascismo, il B. si mostrò diffidente sull’opportunità di tale iniziativa. Durante la seduta del 24-25 luglio non volle firmare l’ordine del giorno Grandi contestandone la validità giuridica; rifiutò la tesi centrale di Grandi di un ritorno puro e semplice allo statuto, riaffermò il suo lealismo verso Mussolini ed espresse i suoi dubbi che il gruppo degli oppositori potesse scindere le sue responsabilità da quelle di Mussolini. Alla confutazione delle tesi costituzionali del B. il Grandi dedicò una larga parte della sua replica finale: al momento del voto il B. fu tra i pochi a schierarsi contro il suo ordine del giorno. Per tutta la mattinata del 25 luglio egli fu al centro delle frenetiche manovre politiche tentate da Mussolini per cercare di riprendere il controllo della situazione.
Da una parte ricevette l’incarico dal capo del governo di redigere un memoriale per dimostrare l’incostituzionalità e l’irrilevanza giuridica del voto del Gran Consiglio: con questo Mussolini si recò nel pomeriggio dello stesso giorno all’udienza reale. Dall’altra, ricevette l’incarico di ristabilire i contatti con Grandi, che però rifiutò. Politicamente assai più interessante appare la notizia riferita dal Tamaro, secondo il quale Mussolini avrebbe chiesto al B. di appurare se esistessero le condizioni per un distacco dalla Germania «senza che questa avesse a dolersene» e di effettuare un discreto sondaggio presso Orlando che egli riteneva potesse eventualmente assumere il potere in ore tanto gravi con un programma di conciliazione e di unità nazionale. Fallite tali manovre, il B. ricevette a Viareggio, dove si era ritirato, la notizia della caduta di Mussolini.
Il comportamento del B. durante i quarantacinque giorni di Badoglio presta il fianco a numerosi interrogativi. Da una parte egli si affrettò a inviare al re il sentimento della sua devozione, prima con un telegramma e poi attraverso un colloquio con l’aiutante del re, generale Puntoni. In questo colloquio spiegava che il suo voto al Gran Consiglio non aveva affatto il di sfiducia nei confronti del sovrano, ma soltanto quello di sottrarre la Corona a responsabilità tanto difficili in un momento così delicato. D’altro canto, esiste nelle carte della Segreteria particolare del Duce per il periodo della Repubblica Sociale un diario, o meglio una serie di considerazioni, che il B. avrebbe steso dal 30 luglio al 14 ag. 1943.
Il documento, dattiloscritto e non firmato, per le idee che esprime è sicuramente del B.; può sussistere solo il dubbio sulla data di composizione, se cioè non sia stato scritto a posteriori per fornire la prova di un assoluto lealismo fascista che molti, nell’ambiente della Repubblica sociale, mettevano in dubbio. In questo diario, tutto pervaso di sentimenti di fedeltà e devozione per Mussolini e in cui il B. ribadiva la propria concezione del fascismo, erano spiegate anche le ragioni del suo voto al Gran Consiglio con la considerazione dei «supremi interessi della patria», indissolubilmente legati con i «rapporti di alleanza con la Germania».
Dopo l’8 settembre il B. fu raggiunto a Viareggio, dove abitava con la famiglia, dall’invito ad entrare a far parte del nuovo governo repubblicano (21 settembre). In un primo tempo comunicò a Pavolini il suo rifiuto, affermando che non desiderava essere il ministro di un «governo fantasma». Poi, in seguito a pressioni tedesche, cedette, superando l’incertezza che gli derivava dal suo conservatorismo monarchico-nazionalista, e il 23 settembre divenne ministro dell’Educazione nazionale.
In questa luce si spiegano alcuni episodi salienti della sua attività ministeriale. Tra i primi atti fu il mantenimento in carica dei rettori nominati dal governo Badoglio e la sua presenza al discorso d’inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Padova tenuto dal rettore C. Marchesi. La cosa fece scalpore e Pavolini ottenne da Mussolini l’immediato allontanamento del Marchesi dal rettorato (6 dicembre). Con decreto 20 dic. 1943 il B. sottopose a revisione i ruoli degli insegnanti universitari e liberi docenti che avevano ottenuto i loro titoli per motivi esclusivamente politici durante il ventenni o e ottenne che gli insegnanti fossero esonerati dal giuramento di fedeltà alla Repubblica sociale. Con ordinanza ministeriale del 18 giugno 1944 modificò l’ordinamento degli studi medi richiamandosi alla legge Gentile (si veda il suo appello del 1944 Agli uomini della scuola e la circolare Valori tradizionali nella scuola italiana). La scuola media veniva soppressa e sostituita da tre classi di ginnasio, dopo le quali si poteva accedere direttamente al liceo classico, scientifico, artistico e magistrale, tutti di cinque anni, eccetto quello magistrale. Particolarmente notevole l’introduzione di un serio corso di lingue straniere in tutte le classi del liceo classico e la possibilità di accedere ai quattro licei provenendo anche dall’avviamento mediante un semplice esame integrativo. In tutti i licei, compreso l’artistico, che fino a quel momento ne era stato privo, sarebbe stato introdotto l’insegnamento della lingua latina.
Il B. cercò inoltre di salvare il patrimonio artistico e industriale nazionale esposto alle offese belliche e ancor più alla cupidigia dei Tedeschi (vedi la protesta dell’8 marzo 1944 contro le autorità tedesche, del 3 luglio a Mussolini per i permessi di esportazione delle opere d’arte, nonché il memoriale del 4 genn. 1945 sull’amministrazione tedesca della Venezia Giulia e Tridentina, seguito da un colloquio del 15 febbr. 1945 a Venezia con l’alto commissario tedesco F. Reiner, per definire la questione della sovranità italiana in materia scolastica).
Una simile attività nel campo della scuola incontrò ostilità da parte degli elementi più oltranzisti del partito fascista: in un rapporto del servizio disciplina del Partito repubblicano fascista del 12 sett. 1944 venivano trasmesse a Mussolini le lamentele di coloro che non riuscivano a concepire l’opposizione del B. a ogni forma di giuramento da parte dei docenti. Ma una critica completa della sua azione politica nel campo della scuola è in una lettera scrittagli da Pavolini del 3 genn. 1945, nella quale lo accusava di debolezza e complicità morale con i nemici della Repubblica sociale e del fascismo.
Il B. venne, così, ad essere un esponente della cosiddetta ala «conciliativa» del governo, dietro alla quale stava, neppure troppo mimetizzato, lo stesso Mussolini che, appoggiandola, intendeva mediare e talvolta neutralizzare le posizioni dei gruppi più intransigenti e l’invadenza dei Tedeschi; da Mussolini egli ebbe l’incarico di redarre un progetto di costituzione della Repubblica sociale che fu però giudicato troppo «garantistico».
In questo quadro vanno collocati i rapporti che il B. ebbe con G. Silvestri e con il gruppo di E. Cione (il B. appoggiò ad esempio il progetto di costituire il Centro nazionale italiano di studi sociali, genn. 1945), le cui iniziative, pur distinte e diverse, tendevano ad attenuare la radicalizzazione della guerra civile e a cercare di stabilire un rapporto con elementi non fascisti e perfino con esponenti della Resistenza: dal luglio al dicembre 1944 il B. partecipò a Milano, insieme con il ministro Pisenti, con Silvestri ed altri, a contatti, che non ebbero poi nessun esito, con elementi, peraltro poco rappresentativi, della Resistenza. Da questi tentativi nacque, il 14 febbr. 1945, con il consenso di Mussolini e del B., il «raggruppamento nazionale repubblicano-socialista», che peraltro incontrò subito l’ostilità dei Tedeschi che ne imposero lo scioglimento e la soppressione del suo organo di stampa, L’Italia del popolo.
Alla fine di aprile la liberazione sorprese il B. a Padova, sede del suo ministero, dove, anche per la protezione degli autorevoli antifascisti che aveva contribuito a salvare, riuscì a superare la fase più critica. Minato da un male inguaribile, dovette però rifugiarsi, sotto il falso nome di professor De Carlo, all’ospedale di Padova, dove morì il 19 nov. 1945.
Per gli scritti del B. fino al 1932 si rinvia alla bibliografia pubblicata da L. Cardinale, Gente sul baluardo, Ravenna 1935; per il periodo posteriore, oltre ai saggi pubblicati su varie pubblicazioni periodiche, si ricordano in particolare: La crisi dello Stato e le costituzioni moderne, Roma 1934; L’instaurazione di fatto degli ordinamenti giuridici e la loro legittimazione, Sassari 1934; Sviluppi dell’ordinamento corporativo e consigli provinciali dell’economia corporativa, Roma 1935; La Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel nuovo ordinamento costituzionale, Padova 1939 (traduzione francese e spagnola, ibid. 1939); I principi generali dell’ ordinamento giuridico fascista, Pisa 1942.
Fonti e bibl.: Arch. Centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato, n. 434, Biggini Carlo Alberto; Ibid., Partito nazionale fascista. Consiglieri nazionali, fasc. 66, Biggini Carlo Alberto; Ibid., Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato (1922-1943), Rotazioni ministri, mov. 6 febbr. 1943; Ibid., Segreteria particolare del duce. Carteggio riservato. Repubblica sociale, fasc. 646; Arch. di Stato di La Spezia, serie Prefettura Gabinetto, bb. 39-40 (fasc. dedicati a ministri, senatori, deputati, consiglieri naz.); P. Russo, Il caso Cione (con lettere del Cione al B.), in Riflessi, Milano, 13 ott. 1945; F. Pezzi, F. P. sul caso Cione, ibid., 3 nov. 1945; Il Bo) Padova, 15 dic. 1945 (necrol.); C. Silvestri, Turati l’ha detto, Milano 1946, pp. 170 s.; U. Manunta, La caduta degli angeli: storia intima della Rep. sociale ital., Roma 1947, pp. 50 s., 79, 85, 100; E. Cione, Storia della Repubblica sociale italiana, Caserta 1948, pp. 92, 166, 185 s., 192-95, 197, 204-07, 236 s., 240, 255, 257-59, 262, 383, 385, 388, 399, 404, 447, 459, 497; E. Amicucci, I seicento giorni di Mussolini, Roma 1948, pp. 35, 37, 184, 200, 286; A. Tamaro, Due anni di storia: 1943-1945, Roma 1949, I. pp. 63, 123; II, pp. 5, 215, 520; Jò Di Benigno, Occasioni mancate: Roma in un diario segreto, 1943-1944, Roma 1955, p. 169; P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Roma 1958, pp. 155 s.; C. Francovich, La resistenza a Firenze, Firenze 1961, pp. 124-38; V. Cersosimo, Dall’istruttoria alla fucilazione: storia del processo di Verona, Milano 1961, pp. II, 14 ss., 179-81 (deposizione del B. alla istruttoria), 191-93; G. Bianco-C. Costantini, Un episodio dell’opposizione democratica al fascismo: la rivista «Pietre» (1926-1928), in Miscell. ligure in onore di G. Falco, Milano 1962, pp. 457-96; G. Bianchi, Venticinque luglio: crollo di un regime, Milano 1963, pp. 444, 585, 615, 642, 653 864; R. Zangrandi, 1943: 25 luglio-8 settembre, Milano 1964, pp. 131, 161, 749. 751, 765, 911 s., 917; L. Federzoni, L’Italia di oggi per la storia di domani, Milano 1967, pp. 205, 273-317, 305-10.
D. Veneruso
Da: Dizionario biografico degli Italiani. Roma: Istituto della enciclopedia italiana, 1960-.
tratto da: http://biblio.unipi.it:8081/archiviofoto/entity.jsp?entity=Biggini%20Carlo%20Alberto
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