A proposito della visita di Gheddafi
di Filippo Giannini
“Vermetti-furbetti: sono così chiamati dei piccoli animali invertebrati che hanno corpo molle. Il loro luogo naturale, dove prolificano, è in quella fascia di terra bagnata dal mare caldo”.
Sì, i vermetti-furbetti hanno lasciato credere che le atrocità (reali o presunte, come vedremo) commesse dagli italiani in Libia, furono opera del male assoluto. La Verità vera è completamente diversa, o almeno fortemente ridimensionata.
L’invasione della Libia fu preparata dall’Italia fin dal 1887 (Mussolini, il male assoluto, aveva quattro anni). Forti pressioni per questa impresa vennero principalmente dalle banche alla testa delle quali era il Banco di Roma che aveva investito notevoli capitali proprio in Libia, contando sulla sua trasformazione in colonia. Ma a favore della spedizione troviamo anche i socialisti, i sindacalisti rivoluzionari, nonché i cattolici. La decisione della guerra contro la Turchia, che allora dominava la Libia fu presa dal Presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, nel novembre 1911 ed il 25 di quel mese il dado fu tratto, e fu guerra. Violente dimostrazioni contro quell’impresa si svolsero principalmente in Romagna, guidate, indovinate da chi? Dall’allora non ancora male assoluto. Però, evviva la democrazia, la dichiarazione di guerra, come consentiva l’art. 5 dello Statuto, fu inviata senza l’approvazione del Parlamento (cose fasciste, vero? Anzi fascistissime), il quale, in vacanza dal luglio, riaprirà solo il 22 febbraio 1912.
Il contingente italiano, dopo aspri combattimenti, occupa i principali centri costieri della Tripolitania e della Cirenaica; ma non va oltre. L’interno libico rimarrà, per almeno due decenni, in mano di bande locali, spesso in lotta fra loro.
Ma, c’è sempre un ma, anche se non ancora in Camicia nera: un attacco turco a Sciara Sciat provoca quasi 400 morti fra i bersaglieri italiani. Seguirà da parte italiana una feroce rappresaglia (fascista? Ma che pensate! Mancano ancora una dozzina di anni prima che il male assoluto prenda il potere) che colpirà anche la popolazione civile dell’oasi. Il comportamento italiano susciterà indignazione nella stampa internazionale e provocherà un’intensificazione della guerriglia araba di resistenza. E’ OVVIO che i vermetti-furbetti, giocando sul monopolio dell’informazione e sull’ignoranza del popolo, HANNO FATTO CREDERE CHE QUELLA RAPPRESAGLIA FOSSE DI CHIARA MARCA FASCISTA. E non è da dimenticare che dopo la Prima Guerra Mondiale la riappropriazione della Libia fu avviata con mano di ferro da un Ministro liberale che si chiamava Giovanni Amendola.
La visita del dittatorello libico, colonnello Gheddafi che ci ha onorato in questi giorni di giugno 2009, nel corso della quale ha preteso, e ottenuto le scuse da parte delle autorità italiane per le atrocità commesse dall’Italia fascista (il fascismo, come abbiamo visto, nel caso di Sciara Sciat, era ancora solo nella mente di Allah), ed i vermetti-furbetti si sono genuflessi anche dinanzi al sanguinario beduino.
Chi scrive queste note non è un fanatico, quindi riconosce che nel caso specifico le scuse erano giustificate, ma (ecco un altro ma) quali scuse ha portato Gheddafi per le atrocità commesse da parte dei suoi concittadini a danno degli italiani? Circa le atrocità di cui furono vittime i soldati italiani caduti nelle mani dei turchi-libici durante la conquista di Tripoli, sono così riportate dal Journal:
Il mai sufficientemente rimpianto Franz Maria D’Azaro, già il 10 novembre 1987 scriveva:
E veniamo alle imprese di Omar al Muktar. Il film che esaltava le imprese del ribelle libico, Il Leone del deserto, costato circa cinquanta miliardi di lire nel 1980, ebbi occasione di vederlo nei primi anni del ’90 in Australia, per quanto ricordo, non fu particolarmente acido nei confronti degli italiani. Il film non è stato mai proiettato in Italia.
Omar el Muktar era al servizio del monarca senussita, Re Idriss, detronizzato proprio da Gheddafi nel 1969.
Ora è necessario ricordare, checché ne possano dire i vermetti-furbetti, la pacificazione della Libia era una delle tante eredità negative lasciate al fascismo dai governi precedenti. Come ricorda Franz Maria D’Azaro, quando Rodolfo Graziani, inviato in Libia dal Governo per tentare la pacificazione, trovandosi di fronte a Muktar, questi chiese al futuro Maresciallo d’Italia:
Omar el Muktar nasce in un villaggio della Marmarica orientale intorno al 1862, in un ambiente fortemente influenzato dalle regole del Corano. Omar el Muktar si fa notare sia per la sua attitudine negli studi coranici, sia per il suo temperamento volitivo, ma anche per la sua volontà nel combattere prima i turchi, poi gli invasori italiani. A 40 anni è nominato capo della Zawia (convento e centro d’azione) e tornato nella natia Marmarica ha la spiacevole sorpresa di vedere le tribù sottomesse al governo italiano. Da allora in poi, sempre nel nome di Dio Altissimo e Misecordioso, punisce con spietata durezza chiunque accetti di collaborare con le autorità italiane.
A causa della guerra 1915-1918 il territorio, specialmente quello interno, vide le truppe italiane ridursi notevolmente per essere trasferite in altri fronti, così che bande sempre più numerose poterono spadroneggiare nel territorio imponendo decime alle popolazioni, accanendosi, in particolare contro coloro che mostrano una qualsiasi simpatia verso l’Italia. Omar el Muktar ha una parte preminente in queste azioni intimidatrici e punitive, precedute e seguite sempre da atti di inaudita ferocia. Fare un elenco del terrore seminato dal Leone del deserto e da altre bande simili è semplicemente impossibile (1). L’attività di Omar el Muktar assume connotati di assoluta preminenza nel biennio 1929-1931, di conseguenza il Governo italiano ritenne indispensabile pacificare tutta la Libia. Badoglio e Graziani, incaricati allo scopo, reputarono necessario sottrarre il territorio all’influenza dei capi locali. Graziani, sempre affascinato dal modello della romanità, si richiamò alla legge “parcere subiectis et debellare superbos” e la applicò sforzandosi a persuadere i nativi che se protetti dal tricolore italiano avrebbero ottenuto un avvenire tranquillo e di prosperità. Quindi giustizia e perdono per i sottomessi, severità implacabile per i ribelli.
Mohamed el Mohesci, giornalista filo-italiano, sostenne che la tensione alimentata da Omar el Muktar stava frenando il decollo economico e sociale della Cirenaica, nonostante
Negli anni ’29, a seguito di una serie di contatti con alti ufficiali italiani, sembrava che un accordo sulla pacificazione fosse a portata di mano, ma a ottobre di quell’anno el Muktar ordinò l’attacco ad una pattuglia di zapié (carabinieri indigeni) comandati dal brigadiere Stefano Ramorino, accorsa per riparare la linea telefonica, appositamente sabotata in località Gars Benigden proprio per realizzare l’agguato. L’eccidio compromise qualsiasi ulteriore tentativo di accordi e ravvivò la guerriglia e la contro-guerriglia. Nei primi quattro mesi del 1931 il ritmo delle razzie e degli agguati assunsero proporzioni non più tollerabili. Fu in questo contesto che Graziani concepì e diresse la più grande e complessa operazione sahariana mai prima compiuta. Obiettivo finale della manovra: l’oasi di Kufra, nel più profondo sud desertico, conquistata, dai reparti cammellati, dopo una massacrante marcia nel deserto.
Contrariamente a quanto prevede il codice d’onore occidentale, un capo arabo ha il dovere di sottrarsi alla morte e alla cattura. Omar el Muktar, approfittando di questo diritto, non accettò la battaglia, ma ormai stanco, sfiduciato, vecchio e abbandonato dai suoi fidi, venne catturato, ai primi di settembre del 1931 nella zona di Uadi el Kuf, da una pattuglia di Sawari. Dopo la cattura, accusando di essere stato abbandonato al suo destino, stoicamente aggiunse:
Graziani, d’accordo con Badoglio e con il Ministro delle Colonie De Bono, convocò il Tribunale militare speciale.
Trascriviamo le parti essenziali del dibattimento: “L’anno millenovecentotrentuno, il giorno quindici del mese di settembre, in Bengasi nell’ufficio d’Istruzione delle Carceri Regionali (…). Si entra nel vivo della causa. Il Presidente chiede:
Al termine dell’udienza il Presidente chiese al giudicabile se ha altro da dire a sua discolpa, ed ottenuta risposta negativa, il Tribunale si ritirò in Camera di Consiglio. (omissis)
Il giorno dopo, alle 9 nell’assolata piana di Soluk, l’esecuzione venne consumata in un cupo silenzio.
Ed ora facciamo qualche dispettuccio ai vermetti-furbetti, ricordando qualche esempio di quanta cattiveria fu animata la colonizzazione Littoria.
Il Duce si recò in Libia dal 12 al 21 marzo 1937, per inaugurare ospedali, strade, edifici pubblici, fattorie. Anziché essere preso a fucilate fu accolto dai nativi con un entusiasmo incontenibile, tanto che gli fu donata la Spada dell’Islam, intarsiata in oro massiccio e pietre preziose, alto simbolo di riconoscenza. Nel corso delle sua visita nelle varie località libiche l’entusiasmo dei coloni italiani e della popolazione locale era veramente esaltante. Descrivere in queste poche pagine le opere compiute dal lavoro fascista, a dispetto del dittatorello libico, risulta impossibile, ma solo per motivi di spazio.
Un’altra iniziativa del male assoluto, accuratamente taciuta dai vermetti-furbetti, iniziativa unica del genere per i Paesi colonizzatori, fu il provvedimento con il quale grazie al R.D. Legge 3 dicembre 1934 XIII, N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, dove nell’articolo 4 è riconosciuta
Spaziando ancora con qualche esempio, possiamo ricordare quanto scrisse il capo senussita Mohammed Redà:
E ancora. Un autorevole insegnante libico, il prof. Mohammed ben Messuad Fusceka, in un suo libro, con il titolo La storia della Libia, edito nel 1956, fra l’altro ha scritto:
E oggi (ma quanta tristezza), cosa possono snudare e alzare verso il cielo i vari vermetti-furbetti, i vari arlecchini e pulcinella, i quali non hanno niente di meglio che indagare quanti rapporti sessuali ha uno rispetto all’altro? Li vediamo genuflessi di fronte ad un Gheddafi autore di una delle più vergognose rapine che la storia ricordi, durante le quali parlò di cancro italiano. Quando cacciò, negli anni ’70 gli italiani dalla Libia, appropriandosi da perfetto razziatore di quattromila ettari di terreni, di 714 mila olivi, 245 mila piante di agrumi, 184 mila piante di mandorlo, un milione di tralci di uva, 4 mila ville, 765 appartamenti, 468 edifici, 727 tra veicoli industriali e trattori agricoli, 265 officine, 50 industrie, nazionalizzate le banche (un affare da quattordici miliardi in un colpo solo), un numero imprecisato di oggetti di valore confiscati nelle case degli italiani. Una sola soddisfazione, se questa fosse sufficiente:
Ed io non dovrei essere un nostalgico?
1) Per coloro che volessero approfondire l’argomento, si consiglia la lettura di un articolo a firma di Franz Maria D’Azaro, contenuto ne Il Secolo d’Italia del 10 e 13 novembre 1987.
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