domenica 21 giugno 2009
Non possiamo dimenticarvi, camerati!
Come posso dimenticarvi camerati. Sono passati oltre sessant’ anni dalla vostra morte, e noi non possiamo lasciare la bandiera che ci avete consegnato, quella della continuità ideale e del ricordo. Non siete morti inutilmente. Quella goccia d’onore la portiamo nel sangue e nel cuore. Lo scrittore Henry de Montherlant scrisse: “I volti dei giovani in armi apparivano induriti. Tutto era nell’ordine. Così sia. Noi marceremo al posto degli altri se sarà necessario… Le madri in lutto guardavano quei ragazzi così cresciuti, così somiglianti ai loro figli. Quando la folla si allontanò restarono dietro esitanti, come affascinate da un foglio sul muro che splendeva come un sorriso. Prima di varcare la soglia per uscire si fermarono sotto il quadro dove erano scritti i nomi dei caduti del Collegio, per leggere ancora una volta quello che sapevano esserci, un nome che non si sarebbe più mischiato negli affari del mondo”. Sono stato allievo in un collegio ad Oderzo, dove alla fine della guerra, dopo aver consegnato le armi, vennero trucidati dai partigiani 126 ragazzi della Repubblica Sociale. Ma in quel collegio non c’è una lapide che li ricordi. I loro nomi non sono stati incisi sul freddo marmo con la data di nascita e il reggimento d’appartenenza, però i loro nomi sono stati scritti nei nostri cuori. Non c’è posto per chi ha indossato la camicia nera, non c’è posto per quelli come i ragazzi del Collegio Brandolini di Oderzo che sono caduti per la nostra patria. Avevano solo diciotto anni, ma indossavano con onore una divisa, quella della Repubblica Sociale. Furono a migliaia quelli che si arruolarono, a migliaia quelli che furono massacrati alla fine della guerra. Ma non preoccupatevi: quei nostri valori non passeranno mai sotto il segno dell’antifascismo e della resistenza e lasciateci almeno l’onore di ricordarli. Non chiediamo vendetta: la guerra è finita per tutti. A questi soldati non verranno mai dedicate strade, anche la chiesa ha il timore di celebrare delle messe per loro. Ma il silenzio imposto la condanna di chi un tempo li difendeva e li onorava, ora non può che aiutarci a capire che se il vostro cameratismo è morto, il nostro cuore arde ancora. Lasciateci ricordare i nostri martiri, lasciateci mettere dei fiori di campo sulle loro tombe, lasciateci fare il nostro saluto, le nostre radici non si sono ancora seccate, la nostra acqua è pura come quella dei fiumi non ancora inquinati, nei quali si vede il fondale. Non possiamo sopportare ciò che ora accade in Italia. La nostra patria sta soffrendo per una grande crisi, ma la crisi più grave è che stiamo dimenticando d’essere italiani. Stiamo dimenticando quello che hanno fatto i nostri padri, inseguiamo la fine, cerchiamo il precipizio. Lo scultore tedesco Arno Breker, alla fine della seconda guerra mondiale, venne perseguitato, perché aveva creato delle opere d’arte che celebravano quel periodo. Venne umiliato e i vincitori gli distrussero tutte le sue opere , ma lui non si piegò, non si arrese. La rivista Militia riportò queste sue affermazioni : “ … ma certi valori sono indistruttibili, nonostante tutto. E non si può essere colpevoli eternamente! Così a me non è dato di esporre perché io sono colpevole! Non posso lavorare come vorrei perché sono colpevole ! E se qualcuno mi attacca, mi offende sulla stampa o altrove, io non posso difendermi perché non troverei un giudice abbastanza coraggioso da rendermi giustizia. Io sono inesistente ! Io ho sempre torto ! Come il vinto! Io sono un vinto, è tutto!”. Quanti dovettero pagare questo tributo anche in Italia.
Gli storici affermano che ventimila persone vennero uccise dalle vendette partigiane, ventimila massacrati alla fine della guerra, non durante la guerra. Molti corpi non sono stati recuperati, molte donne uccise, molte violentate, e penso alle ausiliarie, il cui sacrificio mi è davanti. Ma a distanza di sessant’anni stiamo ancora discutendo e negando l’onore a quelli che vennero uccisi. Nei campi di battaglia si stanno riesumando un milione di soldati tedeschi caduti in guerra in Russia, Polonia, Ucraina, Bielorussia. Ho trovato questa notizia sul giornale “ La Stampa ”(7 gennaio 2008) .
David Keys scrive : “Un milione di soldati tedeschi caduti sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale nell’ Europa dell’Est saranno riesumati dopo sessant’anni e avranno finalmente degna sepoltura in cimiteri di guerra che la Germania sta rapidamente allestendo. Una decisone che però già suscita polemiche, perché tra quei corpi ci sono anche quelli di migliaia di Waffen SS reclutati nei paesi alleati e occupati dal Reich nazista”. Ma nel riesumare i corpi di questi soldati si fa una particolare attenzione nel dividere i buoni dai cattivi. Non bisogna che qualche Waffen SS finisca in un cimitero. Così continua il giornalista: “Tuttavia il progetto è costantemente accompagnato da polemiche e sospetti. In Polonia, le autorità controllano sistematicamente il nome di ogni soldato riesumato (per lo meno quelli identificabili dalle targhette metalliche o altro) e lo confrontano con le liste dei criminali di guerra per assicurarsi che nessuno di loro finisca per aver un posto e un nome nei nuovi cimiteri”.
Credo che non si dovrebbe fare questo: di fronte alla morte ci dovrebbe essere solo pietà. Ogni soldato che muore in guerra ha donato la sua vita. Non si potrebbe posare una pietra su questa drammatica vicenda, una pietra a forma di croce. Forse in questo modo la guerra e i suoi ricordi verrebbero sepolti, non lasciando posto all’odio. In Italia alla fine della guerra una madre raccoglieva i corpi dei soldati tedeschi che trovava nei campi di battaglia e non li giudicava dal grado o dall’uniforme, non le importava se erano stati soldati delle Waffen SS o soldati della Wehrmacht. Con le sue mani di madre pietosa li seppelliva in cimiteri di campagna, avendo cura di informare le rispettive famiglie. Tante madri tedesche l’hanno ringraziata perché grazie a lei hanno trovato i figli. Nessuno ricorda questo episodio. La donna ha dimostrato un grande cuore.
Alcuni giorni fa mi venne donata una gavetta e un elmetto tedesco custoditi da un contadino. Appartenevano a un soldato catturato dai partigiani nelle vicinanze di Motta di Livenza. Prima di massacrarlo, lo fecero dormire in una casa rurale. Il soldato chiedeva pietà. A casa lo attendevano tre figli e inutilmente ne aveva mostrato le foto ai suoi carnefici, ma non riuscì a impietosirli. Il tedesco fu massacrato e il corpo sepolto da qualche parte, non lontano da Motta di Livenza, accanto alle limpide acque del suo fiume. In quei giorni altri due tedeschi furono massacrati a colpi di accetta. Ho saputo di recente che una contadina conserva ancora quella scure. Fatti come questo ve ne sono molti.
Se uno scrittore valido e onesto come Giampaolo Pansa volesse descrivere ciò che accadde a tanti tedeschi in ritirata, ce ne sarebbero di pagine. In questi sessanta anni sono stati tanti e tanti episodi su quello che hanno fatto i tedeschi, ma non altrettanti sui tedeschi uccisi in Italia dai partigiani durante e dopo la fine della guerra. Tanti furono uccisi inutilmente solo per vendetta. Per loro non c’è mai stata una croce. Giovanni XXIII di cui sono usciti tutti i suoi diari su alcune vicende della seconda guerra mondiale scrive: “La caduta di Mussolini” “La notizia più grave del giorno è il ritiro di Mussolini dal potere . La accolgo con molta calma. Il gesto del Duce lo credo atto di saggezza che gli fa onore. No, io non gli getterò pietre contro di lui. Anche per lui sic transit gloria mundi. Ma il gran bene da lui fatto all’Italia resta: il ritirarsi così è espiazione di qualche suo errore. Dominus parcat illi. Ma il papa buono dell’umanità scrive ancora nel suo diario due considerazioni sull’Armistizio. “le notizie di ieri sera annunciavano l’armistizio Eisenhower! Badoglio ha firmato il 3. Certo è un grande dolore per l’Italia, ed io lo condivido: ma conseguenza ineluttabile della guerra andata male, e della violenza dei bombardamenti che non sono guerra ma soprafazione selvaggia”.
Non posso commentare le parole di un papa. Ma vorrei che i nostri capi leggessero il diario di questo papa, specialmente quelli che hanno preso le distanze dal fascismo, chiamandolo il male assoluto, dopo aver definito Benito Mussolini un grande statista. Il papa Giovanni XXIIII su Pizzale Loreto scrive: “30.4. 1945. Giornata triste nel pensiero della fine esecranda riservata dai partigiani – cosiddetti patrioti – a Mussolini con la Clara Petacci e ai suoi più vicini fascisti. Vangelo sanguinoso ed implacabile. Io ho invocato però misericordia e pace”. Il papa buono dell’umanità scriveva in data primo maggio del 1945: “impressioni disgustose circa il trattamento fatto al corpo di Mussolini al Largo Loreto di Milano”.
Non posso non essere d’accordo con quello che ha scritto Giovanni XXIII, il suo cuore ha avuto coraggio, non credo che i nostri politici che ci insegnano a sposare l’antifascismo e la resistenza la pensino come lui. Quante poltrone vacillerebbero e quanto coraggio troveremmo. Io penso che anche in tempi come questi bisogna saper tenere in alto i nostri cuori e il nostro saluto. Io morirò fascista, il mio ultimo respiro resterà fascista. E di Mussolini come dice il papa “il gran bene resta”.
Onore ai tutti i caduti della guerra senza distinzione, onore a chi immolò la sua vita per l’Italia. Non ho nessuna difficoltà a portare il mio saluto nei cimiteri italiani, dove sotto un cumulo di terra sono sepolti i nostri caduti. Io non andrò nelle piazze, lasciatemi marciare solitario tra i nostri ricordi. Ho un famigliare da onorare: un ragazzo di tredici anni. Sua madre tornando a casa dall’ospedale, abbracciando il marito urlava: maledetti partigiani me lo avete ucciso. Era il suo unico figlio credo che meriti pure lei un ricordo. E voi uomini, divenuti massime autorità, che un tempo avevate quella fiamma nel cuore, perché l’avete spenta? Noi pochi o molti saremo soli con il ricordo, il nostro ricordo che non passa attraverso le bandiere rosse, l’antifascismo, la resistenza. La nostra bandiera porta ancora l’aquila che vola verso la montagna come il nostro sguardo. “Il cedere e il rassegnarsi al fato non sono scritti nel libro della mia vita ; provo nella tenacia di questa lotta, che mi ghermisce, nella fierezza di non piegare mai la fronte, nel proposito incrollabile di morire in piedi, una soddisfazione, che il volgo non sa, non può intendere, e che somiglia a quella che la maggior parte degli uomini non sa attingere che solo dalla vittoria”. Gaetano Manfredi, gli oratori del giorno settembre /ottobre 1957 n 9-10
Emilio Del Bel Belluz
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