Tra i numerosi assi nella manica della
prestigiosa marina militare tedesca, la Kriegsmarine, vanno certamente
ricordate le corazzate “tascabili”, ovvero delle navi da guerra di
dimensioni relativamente piccole. In particolare queste erano delle
imbarcazioni modernissime, dotate di armamenti capaci di impegnare navi
nemiche anche di dimensioni ben maggiori, ma caratterizzate da una
grande velocità che le permetteva di attaccare e quindi sfuggire alle
corazzate nemiche dotate di armamenti ben più pesanti.
La prima di queste unità navali fu la Deutschland,
entrata in servizio nel 1933. Questa convinse tanto i vertici dello
stato maggiore da farle seguire, in brevissimo tempo, il varo di altre
due navi, la Admiral Scheer e la Admiral Graf Spee.
Queste tre unità dapprima vennero classificate come “navi protette”, ma
dopo il 1941 la loro destinazione d’uso venne mutata in “incrociatori
pesanti”, anche se rimase all’interno della marina militare l’abitudine
d’indicarle come “corazzate tascabili”.
Queste navi avevano delle
caratteristiche tecniche in comune tra loro, in particolare il tipo di
scafo, non rivettato ed interamente saldato, la propulsione a motore
Diesel, la corazzatura (relativamente) leggera e l’armamento pesante
costituito da sei cannoni dal calibro pari a 280 mm, con un dislocamento
pari a sole dodicimila tonnellate.
Nel particolare, la Graf Spee era lunga
185,62 m e larga 21,58. Pur dislocando 12000 tonnellate, poteva
raggiungere una velocità pari a 26 nodi, con un’autonomia di 12.600
miglia. Lo scafo e tutte le sovrastrutture erano coperte da una corazza
di spessore costante e pari a 14 cm di acciaio. L’armamento era composto
da 6 cannoni da 280 mm posti in due torri strinate, 8 cannoni da 150 mm
e 6 cannoni contraerei da 88 mm. A questi armamenti pesanti si sommano
poi mitragliere e mitragliatrici di vario tipo e calibro. Erano inoltre
presenti, in coperta, 6 tubi lanciasiluri da 553 mm. L’equipaggio era
formato da 44 ufficiali e da 1050 tra marinai e sottoufficiali.
Essa prendeva il nome dall’ammiraglio
Graf von Spee, che durante la Prima guerra mondiale aveva riportato una
brillante vittoria contro gli inglesi nell’oceano Pacifico, al largo del
Cile.
All’inizio della Seconda guerra
mondiale, la corazzata Deutschland venne inviata nell’Atlantico
settentrionale e la Graf Spee nell’Atlantico meridionale, mentre la
Scheer venne lasciata a difesa delle acque metropolitane.
Lo stato maggiore della Kriegsmarine
aveva organizzato la guerra sull’oceano Atlantico in maniera tanto
semplice, quanto geniale: le due corazzate, letali e veloci, dovevano
riuscire da sole a tenere frazionato l’immenso potenziale navale nemico
ovvero quello della ben famosa marina militare inglese. Il lettore
potrebbe chiedersi come due navi potessero tenere impegnata un’intera
marina militare, ma la risposta è tanto semplice: esse, non potendo
(naturalmente!) reggere il confronto diretto con la marina inglese,
doveva tenerla impegnata per via indiretta ovvero colpendo i navigli
mercantili. In questo modo gli inglesi, per potere mantenere le proprie
linee di rifornimento (per se e per i loro “valorosi” alleati), dovevano
necessariamente frazionare la loro flotta in varie aree dei mari, in
modo da scortare la rotta di ogni singolo naviglio. E’ rimarcabile che i
tedeschi, non volendo lasciare un attimo di respiro alla flotta
inglese, pensarono anche a come eseguire il rifornimento di carburante
per le due navi: mediante delle navi cisterna, dislocate nelle acque in
cui le corazzate erano impegnate, quasi come delle sorte di “stazioni di
rifornimento” in mare.
La Graf Spee affondò il suo primo
obbiettivo il 30 settembre 1939 nelle acque di Pernambuco. Nel giro di
poche settimane seguirono altri affondamenti ed il 7 dicembre, a meno di
due mesi di dal primo affondamento, col siluramento della Streonshalh
(una nave cargo inglese), le navi eliminate dalla Graf Spee ammontavano
a 50.000 tonnellate. Il comandante della splendida unità navale
tedesca, Hans Langsdorff (un vero eroe di guerra, come più tardi
dimostreremo), potè essere più che felice del risultato ottenuto dalla
sua nave e con lui tutto lo stato maggiore tedesco. Sulle sue tracce vi
erano otto divisioni della marina militare inglese, ma queste non
riuscirono mai a raggiungerlo ed egli le portava, praticamente, dove
voleva lui.
La marina inglese certamente non poteva
stare a guardare inerte due navi che da sole mettevano in scacco tutta
la sua forza navale ed in particolare l’ammiraglio inglese H. H.
Harwood, comandante della divisione inglese in Sud America, decise di
studiare una trappola nella quale far cadere la Admiral Spee.
Egli, una volpe della guerra nei mari
(sarebbe quantomeno ipocrita non ammetterlo) capì che la corazzata
tascabile tedesca avrebbe certamente, presto o tardi, fatto
un’incursione nel Rìo de la Plata, così nella prima metà del dicembre
del 1939 iniziò, in maniera non troppo palese, a pattugliare quelle
acque con gli incrociatori Aiax e Achilles (dotati di cannoni da 152 mm) ed Exeter (armato con un cannone da 203 mm).
All’alba del 13 dicembre la Graf Spee
avvistò le navi nemiche, ma il comandante fece un grosso errore:
convinto che gli incrociatori fossero delle navi di scorta di un
convoglio decise di attaccarle. Cadde così nella trappola organizzata da
Harwood. Lo scontro, davvero spettacolare, durò per più di un’ora: la
Graf Spee però non affondò. Anzi, mise fuori combattimento la Exeter e
danneggiò seriamente le altre due unità. Essa venne colpita da una
ventina di colpi lanciati dalle navi inglesi, ma questi non superarono
la corazzatura della nave, che uscì dallo scontro senza lesioni tali da
menomare le sue capacità di movimento o di difesa. Accadde però
l’impensabile.
Langsdorff, seguendo una decisione che
ancora oggi lascia seriamente perplessi gli storici, decise di cercare
riparo nel porto di Montevideo. Egli poteva continuare a combattere, ma
forse la sua decisione venne forzata dal fatto che, durante lo scontro,
la nave avesse perso tutta la riserva di acqua dolce. La nave rimase nel
porto uruguaiano per novanta ore. Gli inglesi, non riuscendo ad
abbattere mediante il leale scontro di forze la nave tedesca, decisero
di ricorrere a mezzi ben più subdoli e falsi, tipici del debole che teme
lo scontro contro il forte. Essi, mediante una ben orchestrata
propaganda e mediante traditori infiltratisi all’interno dei servizi
segreti tedeschi, riuscirono a convincere Langsdorff che tutte le navi
inglesi dell’Atlantico meridionale stessero convergendo sul porto di
Montevideo, così da distruggere la Graf Spee e tutto il suo equipaggio.
Langsdorff cadde nuovamente nella
trappola del nemico. Mentre la prima volta però la supremazia tecnica e
tattica tedesca vinse sulla superiore forza inglese, stavolta si dovette
piegare alla menzogna del nemico. Egli, per amore di salvare tutto il
suo equipaggio (verso il quale ogni comandante è legato da un vincolo di
responsabilità quasi divino), il pomeriggio del 17 dicembre, dopo aver
presenziato personalmente ai funerali dei membri dell’equipaggio caduti
nello scontro, uscì dal porto e dopo avere evacuato la nave ne ordino
l’autoaffondamento. In questo modo tutto l’equipaggio si salvò. Quando
però Langsdorff capì che nessuna nave inglese stava confluendo nel porto
di Montevideo e che egli, pur nella buona fede di salvare il suo
equipaggio, aveva di fatto autodistrutto un mezzo che da solo bloccava
tutta la marina inglese dell’Atlantico del sud, decise di suicidarsi. In
questo modo egli, discepolo di una delle più antiche scuole militari
del mondo, potè salvare e mantenere il suo onore intatto. Egli, che
durante i combattimenti aveva riportato diverse ferite ed una commozione
cerebrale, si suicidò con un colpo alla testa sparato con la sua
pistola d’ordinanza, dopo avere posto sulle proprie spalle la bandiera
della vecchia marina imperiale tedesca ed avere scritto una lettera
nella quale caricava su di sé tutta la responsabilità dell’errore
compiuto.
Lo scrivente vuole sottolineare una
cosa: mentre gli ammiragli italiani vendettero le rotte delle navi della
marina militare italiana al nemico, consegnando di fatto le vite di
migliaia di coraggiosi soldati italiani al fuoco degli incrociatori e
dei bombardieri nemici, la marina militare tedesca dava prova di onore e
di serietà ben più alte. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo.
Il lettore sveglio potrebbe notare che
attaccare degli obbiettivi tutto sommato “civili” come dei mercantili
fosse quantomeno poco onorevole. La sua obiezione sarebbe più che valida
e per questo lo scrivente vuole chiarire, in chiusura del presente
testo, un particolare fondamentale: nei suoi affondamenti di navigli
mercantili e di navi militari la Graf Spee non fece mai nessuna vittima.
Questo perché la forza di fuoco veniva utilizzata esclusivamente per
immobilizzare i mercantili che solo una volta completamente svuotati
venivano abbattuti. Inoltre i marinai inglesi, civili o lavoranti su
navi da guerra, venivano immediatamente soccorsi, trattati con la
massima cura e quindi accompagnati nel primo porto disponibile.
Langsdorff si attenne sempre in maniera assolutamente rigida al diritto
internazione e si preoccupò personalmente della sorte dei marinai presi
in salvo. Espresso questo, è curioso notare come gli ufficiali tedeschi
avessero il pieno rispetto degli equipaggi delle navi nemiche, rispetto
che gli imponeva di preservare la loro vita, mentre gli inglesi per
distruggere una nave utilizzarono una menzogna che utilizzava come punto
di leva proprio la minaccia dell’uccisione di tutto l’equipaggio della
nave tedesca.
Pochi anni dopo, gli stessi che
utilizzarono questi vili mezzucci (ed altri più violenti, come le bombe
al fosforo contro i centri civili) processeranno per crimini di guerra
una nazione i cui ufficiali soccorrevano i caduti degli stati nemici.
Ironia della Storia, direbbe il filosofo Hegel.
Pasquale Piraino
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