Agli inizi del secondo conflitto
mondiale la Germania, la nazione che sarebbe stata destinata a dominare
gli scenari di guerra per molto tempo e in seguito a resistere
coraggiosamente contro il suo assedio ordito dall’ignobile cricca di
oltre 50 stati del mondo, era dotata di una forza militare che, dal
punto di vista quantitativo, era nettamente minore a quella dei suoi
avversari. Questo perché ciò che gli storici oggi dimenticano di
ricordare è che Adolf Hitler, il cancelliere tedesco, fu tra i politici
che più di tutti s’impegnò per un vero disarmo mondiale e che, fino a
quando non fu provocato oltre la misura e difendendo gli interessi del
suo popolo, si impegnò nel rispettare le leggi internazionali in materia
di riarmo.
Quanto scritto viene provato, ad
esempio, dal censimento delle forze marine tedesche. E’ noto, infatti,
che l’Inghilterra aveva riconosciuto alla Germania il permesso di
ricostituire delle forze di difesa marittime a patto che il numero di
elementi costituenti la sua flotta operativa non superasse il 35% di
quella inglese e che le sue forze sottomarine non fossero superiori al
45%. Tale condizione fu totalmente rispettata dalla Germania tanto che,
allo scoppio della guerra, essa aveva soli 23 sottomarini, laddove
l’Inghilterra ne possedeva 69 e la Francia, giusto per citare un altro
stato, 86. In poche parole, dei tre grandi stati che furono inizialmente
protagonisti del conflitto, la Germania fu quella che affrontò il
nemico col minor numero di sommergibili. Questa semplice evidenza prova
lapalissianamente quindi come Adolf Hitler non si fosse occupato di un
riarmo “massiccio” delle sue forze marziali e di quanto fosse stato
incline a non rompere l’armonia mondiale degli stati, accettando
finanche imposizioni che, di fatto, erano utili solo nel porre la
Germania in una condizione di debolezza. Queste evidenze, oggi
ignobilmente taciute, fanno capire come in fin dei conti non fosse negli
interessi del Cancelliere del Reich iniziare una guerra e di come egli
fosse sincero quando, il 23 luglio del 1940 (quindi in un momento nel
quale egli era un sicuro vincitore), disse al suo amico August Kubizek:
“Questa guerra rallenterà per molti anni il nostro lavoro di
ricostruzione nazionale. E’ una tragedia, io non sono divenuto il
Cancelliere del grande Reich Tedesco solo per affrontare una guerra.”
(da Adolf Hitler, il mio amico di gioventù, Thule Italia Editrice).
Qui si è volutamente scritto di quantità
e non di qualità, relativamente allo stato militare tedesco: questo
perché, seppur inferiori di numero, le forze tedesche erano
qualitativamente superiori a quelle di qualsiasi altro stato, per
addestramento fisico quanto morale. I soldati tedeschi, ben
equipaggiati, addestrati e consci di combattere per dei giusti valori,
seppur inizialmente inferiori di numero riuscirono ad uscire sempre
trionfanti dagli scontri. L’altissima preparazione degli equipaggi e
l’ottima messa a punto dei mezzi rappresentarono la vera forza della
Germania anche nel campo della guerra sottomarina, prova ne sia che già
il 17 settembre 1939, a due settimane di distanza dall’inizio del
conflitto, l’U-Boot 29 avesse silurato ed affondato la portaerei
britannica “Courageous” e più tardi, il 13 ottobre, l’U-Boot 47
affondava la corazzata “Royal Oak”, in seguito ad un’incursione tanto
rischiosa quanto audace presso la munitissima base nelle isole Orcadi
della marina britannica: momenti eroici di una guerra che, in quel tempo
in cui ancora non vi erano le bombe al fosforo o i fuochi degli atomi,
ricordava quasi l’Iliade cantata dagli aedi dell’antica Grecia.
Naturalmente, l’estrema facilità con la
quale i tedeschi erano riusciti a portare a segno i loro colpi non mancò
d’impensierire l’ammiragliato inglese, che capì come non solo il primo
postulato che essi si erano prefissi, ovvero il blocco totale della
Germania, non fosse conseguibile, ma che addirittura loro stessi,
nonostante il maggior numero di mezzi posseduti, rischiassero seriamente
di ritrovarsi chiusi nel proprio mare.
La Germania, infatti, aveva preso in
contropiede gli inglesi: proprio per evitare il suo blocco nell’ultima
decade dell’agosto del 1939, quando ormai era chiaro che gli inglesi
desideravano, a tutti i costi, trascinarla in una guerra che essa non
voleva (rispondendo ad ogni richiesta d’incontro con minacce più o meno
velate), aveva dislocato diciassette sommergibili oceanici
nell’Atlantico, tenendone altri sei costieri pronti ad intervenire
disseminando mine lungo le coste inglesi. Il lungimirante organizzatore
di questa strategia era stato Karl Dönitz, il comandante della flotta
sottomarina tedesca. A Dönitz tale comando venne affidato nel 1935,
quando in seguito al citato accordo anglo-tedesco furono indicate alla
Germania le condizioni sotto le quali essa poteva procedere al
rafforzamento dei propri mezzi marini. Karl Dönitz, un vero precursore
dei tempi e militare di grandissimo spessore, sin da allora fu un
convinto sostenitore delle enormi possibilità offensive offerte
dall’arma subacquea, tanto da far immediatamente presente ai suoi
superiori che sarebbe bastata una flotta formata da circa trecento
sottomarini per conseguire in brevissimo tempo il dominio dei mari,
tenendone operativo solo un centinaio e lasciando gli altri duecento
come mezzi di scorta. Tuttavia, come già scritto, la condizione dettata
dagli inglesi poneva alla Germania un limite superiore ben inferiore
alla cifra indicata e la volontà ferrea, da parte del Terzo Reich, di
rispettarlo fece in modo che la strategia di Dönitz non fosse mai
pienamente realizzata. La carenza numerica fu quindi compensata
dall’estrema perizia degli equipaggi e dall’ottima tecnica dei mezzi.
Nel 1940, quando dopo la caduta della
Francia si potè usufruire di basi nell’Atlantico, Dönitz potè mettere in
pratica la strategia da egli ideata ovvero la tattica d’attacco detta
dei “branchi di lupo”. Questo tipo d’offensiva prevedeva il preliminare
sparpagliamento di vari gruppi d’unità (i branchi) in una vasta aera di
mare, formando in questo modo delle zone di pattugliamento. Appena uno
dei sommergibili individuava un convoglio di navi nemiche si metteva
immediatamente al suo inseguimento e nello stesso tempo lanciava
l’allarme alle alte unità, che convergevano immediatamente sulla rotta
del convoglio sotto la guida del suo inseguitore. Il lettore può quindi
immaginare come l’azione fosse simile a quella di un branco di lupi che
batte la zona di caccia: non appena un lupo identificava la preda e si
metteva al suo inseguimento, gli altri richiamati da lui si mettevano
sulle sue tracce, così da accerchiarla ed attaccarla. Il branco di
sottomarini quindi, una volta affiancato il convoglio, aspettava la
notte per eseguire l’attacco vero e proprio che avveniva in due fasi: la
prima prevedeva l’utilizzo di siluri, quindi era prevista l’emersione
in superficie e l’utilizzo dell’artiglieria di bordo. Eseguite queste
manovre, il branco s’immergeva prima che il nemico avesse il tempo di
organizzare una controffensiva, quindi continuava la tattica
d’inseguimento e d’attacchi notturni, cedendo la “preda” quando questa
usciva dai confini della propria zona di pattuglia ad un altro gruppo di
sommergibili (che tra l’altro, essendo il suo equipaggio più “fresco” e
riposato, poteva compiere l’azione con una messa in pratica migliore).
Questi continui inseguimenti ed attacchi in notturna conducevano allo
sfinimento dei navigli nemici, che quindi potevano arrendersi o
combattere sino al loro affondamento.
Questa tattica, che imitava alla
perfezione un processo naturale messo in atto da predatori tanto comuni
sul suolo tedesco, si rivelò tanto semplice quanto vincente e permise
alla marina tedesca di conseguire risultati eccezionali. Tra la tarda
estate del 1940 (in cui fu resa possibile una sua completa attuazione) e
la fine del 1941 il tonnellaggio di navigli affondati fu pari a
2.200.000 tonnellate, mentre nel 1942 la cifra superò i 6.000.000.
Risultati a dir poco eccezionali non appena si ricordi il bassissimo
numero di sommergibili posseduti dalla Germania, che non raggiungeva
neanche il mezzo centinaio.
Come più volte sottolineato nel corso di
questa scheda, tali risultati furono ottenuto grazie all’estrema
perizia degli equipaggi ed agli ottimi mezzi posseduti: questi erano i
sommergibili U-Boot (abbreviazione di Unterseeboot, letteralmente
“battello sottomarino”) classe VII, che Dönitz reputava essere ottimi ai
fini della guerra nell’Atlantico. Tra questi, il tipo C fu quello che
ottenne i migliori risultati. Caratterizzato da un’ottima manovrabilità e
da una rapidissima velocità d’immersione, dislocava 781 tonnellate in
superficie e 885 in immersione; lungo 67 m e largo 6, grazie ai 2 motori
Diesel da 2400 kW in superficie viaggiava ad una velocità pari a 17
nodi mentre in immersione, a causa dell’utilizzo di motori elettrici, la
sua velocità era pari a 8 nodi; l’armamento era costituito da un 1 SK
C/35 da 88 mm, 1 mitragliera antiaerea da 37 mm 2 da 20 mm, cinque tubi
lanciasiluri da 553 mm armati con 14 siluri e 4 mine. L’equipaggio tra
ufficiali e marinai era di 44 uomini.
Nel 1942, quando la Germania si trovò a
dovere fronteggiare una guerra sempre più ampia condotta da un numero
sempre maggiore di nemici, dovette affrontare reazioni sempre più
intense: la sua risposta fu la messa a punto di interventi migliorativi
dei propri mezzi subacquei, atti a spostare il cannone lanciasiluri, ad
aumentare il numero di mine trasportate, a migliorare le caratteristiche
idrodinamiche dello scafo o a modificare l’equipaggiamento antiaereo,
dato il pressante attacco subito da parte degli aerosiluranti.
L’andamento della guerra diveniva però, mese dopo mese, globalmente
sfavorevole e con l’andare del tempo divenne sempre più difficile per i
sommergibili tedeschi attuare la loro brillante tattica d’assalto, che
venne infine resa del tutto inoffensiva grazie alle contromisure prese
dagli alleati. Forse la Germania sarebbe divenuta nuovamente
competitiva, nei riguardi della guerra subacquea, se fosse stata in
grado di porre sul campo un mezzo capace di passare inosservato agli
aerei, ai radar e a tutti gli altri ecogoniometri, magari potendo
sfruttare profondità di navigazione molto più basse rispetto a quelle
usuali. Il Terzo Reich però era in piena agonia ormai, il suo popolo
stremato e le sue industrie ormai al limite del collasso. Nonostante la
tragedia che si stava consumando, un nuovo sottomarino in grado di
immergersi a profondità inaudite ed invisibile ai radar, il “Walter”,
venne infine prodotto come prototipo in poche unità. L’ora era ormai
tarda e quell’immenso sforzo, dono ultimo dei migliori tecnici al mondo
al loro popolo, fu del tutto inutile: il Terzo Reich era ormai caduto.
Il 9 maggio 1945 la guerra era finita e
Karl Dönitz, che aveva iniziato la sua carriera come sommergibilista nel
primo conflitto mondiale, per espressa volontà di Adolf Hitler divenne
Presidente del Reich. Egli, in buona fede, fece di tutto per convincere i
soldati tedeschi a consegnarsi agli americani, perché temeva che essi
finissero preda dei campi di concentramento russi. Purtroppo, gli
americani e gli inglesi non si dimostrarono migliori dei loro alleati
sovietici e milioni di tedeschi, per il semplice fatto di avere ubbidito
a degli ordini, furono inviati in campo di sterminio (ufficialmente
denominati come di “rieducazione”) dove trovarono ad attenderli una
morte a dir poco terribile. Sempre in vista di salvare quanti più uomini
fosse possibile, Dönitz ordinò a tutti i mezzi marini al largo di
arrendersi: alcuni di loro, rigidi come il migliore acciaio, in un gesto
di suprema fedeltà decisero di affondarsi insieme ai loro mezzi; altri
rientrarono nei porti, dove ammainarono solennemente la bandiera con lo
Svastica.
Nessun commento:
Posta un commento