![]() |
L'uomo e la sua l'evoluzione democratica |
«A mali estremi, estremi rimedi,
o diversamente nulla».
WILLIAM SHAKESPEARE
Amleto, Atto IV, scena III
Piero Sella
Che il
proliferare senza confini e senza regole della grande finanza sia alla radice
dell’attuale marasma economico è ormai evidente.
È
altrettanto fuori discussione che i danni più pesanti stanno toccando all’Europa.
Le nazioni
del Vecchio Continente, che cinquant’anni fa si erano mosse per realizzare uno
Stato federale, hanno visto questo ambizioso progetto politico impantanarsi e
poi evaporare. Di esso non sono rimasti altro che l’euro – una moneta che non
ha alle spalle uno Stato da cui essere difesa – e una Banca Centrale che ne
cura l’emissione e la circolazione su un territorio privo di leggi comuni.
A questa
banca i singoli Stati hanno riconosciuto un’autonomia assoluta.
La gestione
dell’economia è così passata dagli Stati, non a un’autorità politica sovrannazionale
da essi nominata, ma a un ente finanziario che non risponde ad alcuna autorità.
Sciocco errore o colpevole tradimento degli interessi europei? Il risultato è comunque
disastroso: gli Stati non hanno oggi voce in capitolo, né sul merito delle
decisioni della banca, né sulla scelta dei suoi dirigenti.
Ma allora a
chi fa capo questa Banca Centrale Europea? E chi nomina i suoi vertici? Essa si
inserisce perfettamente nell’organigramma di quella burocrazia bancaria
atlantica che è riconducibile alla strategia dei centri economici e finanziari
del capitale ebraico. Come le altre sigle collegate – Banca dei Regolamenti
Internazionali, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Federal Reserve
– che svolgono funzioni pubbliche e che perciò sono ritenute dai più
istituzioni statali, pur essendo in realtà società private, anche la BCE vede
il suo nucleo dirigente formarsi attraverso una cooptazione che, senza vincoli
di nazionalità, porta in alto i più affidabili tra gli addetti ai lavori.
Fatto sta
che i governi europei, impigliati nella ragnatela tessuta dalla plutocrazia
mondialista, sono rimasti fuori dalla stanza dei bottoni. Interdette loro le decisioni
di maggior rilievo, ai politici degli ex Stati sovrani risulta oggi delegata
unicamente l’amministrazione corrente, gravata anch’essa dalle direttive che,
minacciose e ineludibili, piovono di continuo dall’alto.
Questa
avvilente minorazione dei popoli d’Europa, commissariati dalla grande finanza,
è stata ben fotografata – purtroppo solo in privato – da Berlusconi quando
intercettato sbotta: «la gente non conta un c..., i parlamenti non contano un
c...».
Accertato
che le cose non stanno per nulla come democrazia vorrebbe, ci pare necessario
capire chi sono quelli che contano, chi, alla fin fine, ha in mano il potere.
Nella società attuale, dove metro di ogni cosa, unico valore condiviso è la
ricchezza, il potere non può che appartenere a quell’oligarchia che si è assicurata
il «signoraggio» e cioè l’esclusiva a stampare e a cedere alla collettività il
denaro, nella quantità, al costo e a condizioni non pattuite con gli utenti del
servizio, ma variabili unicamente a suo arbitrio.
È questo il
punto di partenza per la nascita e il prosperare di una finanza internazionale
parassitaria, oggi tanto solida da non aver difficoltà a imporre, con un
guinzaglio assai corto, la propria legge ai Paesi e alle economie assoggettate.
A ricattare e strangolare al minimo segnale di ammutinamento.
Quando, dopo
la designazione di Monti, Berlusconi, ancora forte di una maggioranza
parlamentare, ha tentato di rassicurare i suoi dicendo «possiamo staccargli la
spina quando vogliamo», Tremonti lo ha gelato: «appena qualcuno si azzarderà a
chiedere le elezioni, lo spread schizzerà in alto».
Lo scontro
tra economia e politica è impari: i sovietici mandavano i carri armati, oggi le
armi per i colpi di Stato sono altre e più decisive. Quella dei signori
dell’usura è il prestito. Il debito, in quanto fonte di guadagno, ma soprattutto
di controllo politico, una volta creato, va mantenuto ad ogni costo.
Il cliente,
il debitore, non deve essere messo nelle condizioni di poterlo estinguere. Le
nazioni e i privati indebitati sono un capitale da tenere in vita e accudire
con la stessa cura che ha il pastore per il suo gregge. Per lasciarli
indefinitamente sulla graticola, non c’è di meglio che impedire alla politica quelle
riforme che possano turbare lo status quo debitorio. Sono invece incoraggiate manovre
di corto respiro tese a produrre deflazione, disoccupazione e, più in generale,
effetti recessivi. Col ristagno produttivo, il cerchio si chiude. I debitori
boccheggiano e hanno bisogno di nuovi prestiti.
Il
plutocrate però non si accontenta di vivere aspettando passivamente il frutto
dell’usura. Poiché capitale e interesse, per la natura stessa del prestito, non
sono immediatamente esigibili, e l’esperienza insegna che può esserci addirittura
il rischio di vederli sfumare, i crediti vengono velocemente cartolarizzati e
commercializzati, cioè frazionati e venduti al minuto. Le banche, alle quali i
politici europei permettono di muoversi con scioltezza, in regime di pressocché
totale deregulation, riescono ad accollare ai propri clienti qualsiasi titolo
cartolarizzato predisposto dai gestori dell’azzardo finanziario. Clienti già spennati
in varie occasioni, e predestinati, nella visione della plurisecolare
creatività finanziaria giudaica, al ruolo di fruitori finali del cerino acceso.
Entrano così in cassa sempre più soldi, che la speculazione impiega per
attaccare sui mercati, sottomettere e schiavizzare prede sempre più grosse.
Ma quando,
per l’ingordigia degli usurai – le banche d’affari USA, ricche dei miliardi di
dollari stampati per esse dalla FED – la bolla debitoria si gonfia oltre
misura, le banche si trovano in affanno a scaricare il rischio. Lo spread (il differenziale
di interesse tra le obbligazioni meno solide e quelle più forti, oggi i bund
tedeschi) e l’euribor (il tasso che regola i prestiti interbancari) si
impennano.
Il debitore,
pubblico o privato, che all’inizio era stato invogliato con interessi minimi,
per ottenere il rinnovo o altri finanziamenti, deve pagare un tasso sempre più
alto. Ma spendere di più per finanziarsi non lo mette al riparo da ulteriori
guai. È ormai finito, sebbene stia onorando i propri impegni, nel mirino della
speculazione, la quale è libera di giocare nelle borse persino sul timore, da
essa stessa dosato, che possa subentrare il default. Ne nascono sbalzi nella
quotazione dei titoli, verso il basso quando sono diffuse voci preoccupate, verso
l’alto quando vengono rilasciate dichiarazioni rassicuranti, ottimistiche.
L’utile, in
entrambi i casi, finisce nelle tasche di chi ha avuto la licenza di mettere a
punto il marchingegno ed è quindi in grado di sfruttarne gli effetti.
Quando il
virus del default infetta il mercato, i titoli dei Paesi aggrediti dalla speculazione
valgono sempre meno. Se le banche ne hanno troppi, il loro bilancio non quadra
più e, poiché la loro capacità di prestare è legata, sia pure in piccola parte,
al capitale posseduto, diventa per loro difficile continuare a finanziare le
imprese. Quando queste entrano in sofferenza, per gli istituti di credito si fa
reale il rischio di non vedersi restituiti quei soldi che avevano prestato senza
averli.
Le acrobazie
speculative della finanza virtuale sono ricadute a questo punto sulla economia
reale.
È possibile
porre rimedio a questa situazione? Intervenire dettando regole a difesa dell’economia
nazionale ed europea e contro la speculazione? È possibile prendere decisioni
che interrompano la crescita del debito e dei relativi interessi?
È possibile,
ma il cambiamento non può certo avvenire nel quadro attuale.
L’Europa e i
suoi Stati non hanno infatti nelle loro mani le leve dell’economia, né quelle
degli istituti finanziari, i quali, come già detto, agiscono in assoluta autonomia.
Per cambiare
le cose, la premessa ineludibile è quella che le Banche di emissione e con esse
l’intera struttura del credito e delle assicurazioni siano nazionalizzate. La
BCE apparterrà allora al popolo europeo, Bankitalia a quello italiano. Il
denaro stampato e messo in circolazione non sarà gravato in partenza da nessun
balzello, da nessun signoraggio privato. L’indirizzo operativo della BCE sarà
stabilito non dalla finanza atlantica, ma del governo federale europeo eletto
dal popolo.
Con la
nazionalizzazione del credito dovrà anche essere vietata – in tutto o in parte
– la cessione agli investitori stranieri dei titoli del debito pubblico.
Questo
resterà così un problema contabile interno, precluso alla speculazione di chicchessia.
In Italia il
Presidente del Consiglio potrà davvero nominare il governatore della nostra
Banca Centrale, che oggi può semplicemente indicare. Cesserà anche la
scandalosa e illegittima situazione odierna che vede le banche private, soggetti
che dovrebbero essere controllati da Bankitalia, esserne invece azionisti e
quindi proprietari.
È chiaro che
la politica, così com’è oggi, non ha né la volontà né la forza per imporre
riforme del genere. È del pari illusorio che il mondo bancario accetti di
autoriformarsi. Esso ama lo status quo perché ha preso atto che l’economia
reale è diventata poca cosa rispetto agli affari virtuali. Non soffre nel vedere
che, all’impazzare della pirateria finanziaria, la produzione e il lavoro passano
in subordine. Le banche sono più interessate a sfruttare la redditività derivante
dalla enorme massa di denaro che ogni giorno si muove esentasse alla velocità
della luce.
Anche
intervenire sul debito sarebbe possibile, e farlo non costerebbe neppure nuove
tasse, ma ci metterebbe sicuramente in urto con le strutture politicomilitari e
coi tabù culturali imposti all’Europa dalla plutocrazia atlantica.
I governi –
di sinistra, di destra o tecnici che siano – invece di richiamare in Patria le
migliaia di militari oggi all’estero, dove, al servizio della NATO, recano
gravi danni all’Europa, devono rassegnarsi a far cassa con le pensioni e la
proprietà immobiliare. Invece di spingere al lavoro i nostri disoccupati, ponendo
così fine a un’enorme evasione fiscale, devono favorire l’immigrazione e
sprecare miliardi per mantenere clandestini, rifugiati e rom. Per non parlare delle
decine di migliaia di extracomunitari che intasano i tribunali e affollano le
carceri.
La cupola
plutocratica, in conclusione, ci danneggia e ci impedisce di reagire. E l’unico
segno di vita che essa dà nella crisi è il mostrarsi preoccupata per la sorte
dei suoi compagni di merende, le banche, che decide pertanto di rifinanziare.
Come avviene
quest’operazione? Stampando, con poca spesa e nessun controllo esterno, il
quantitativo di banconote ritenuto opportuno. Questa produzione di denaro dal
nulla, cripticamente indicata agli ignari sudditi come «immissione illimitata
di liquidità», viene considerata dagli economisti, dai «bocconiani» e dalla
stampa specializzata come un taumaturgico rimedio. A trarne vantaggio, in
realtà, sono solo la Banca Centrale che con le nuove banconote si è procurata
nuovo lavoro e nuovi utili, e le banche oggetto del soccorso.
È un affare
tra banche. I privati, ma anche gli Stati che, incredibilmente, non hanno più
una loro banca, sono costretti ad approvvigionarsi sul mercato.
Le banche
inguaiate possono anche fruire, per rifinanziarsi, della riduzione del tasso
BCE decisa dal Governatore appena nominato. E lo sconto dello 0,25% non è poca
cosa se riferito al precedente tasso BCE dell’1,5%. Lo sconto non è invece
significativo per gli Stati gravati dallo spread e per i privati ai quali, al
tasso BCE, vengono aggiunti spread ed euribor. È così che, da un tasso di
partenza BCE dell’1,25% le banche possono applicare ai clienti interessi
intorno al 13%. Per legittimare questo esproprio, i politici hanno di recente
ritoccato verso l’alto il limite oltre il quale il tasso veniva giudicato usurario.
C’è da rilevare
infine quanto l’incontrollato aumento della massa monetaria operato dalla BCE
contrasti con le linee guida dettate dalla stessa: nessun aiuto alle imprese
nazionali, condanna assoluta – quando ciò nel passato era possibile – di
qualsiasi politica tale da produrre inflazione.
Il perché
della differenza tra questi due opposti indirizzi è evidente.
Obiettivo
dello Stato è quello di garantire difesa, sicurezza, servizi, lavori pubblici,
assistenza sanitaria e giustizia sociale. Deve quindi investire il necessario
e, nel farlo, non deve curarsi più di tanto di creare debito. È vero che aumentare
il circolante conduce a una proporzionale riduzione del valore della moneta, ma
è anche vero che, al crescere dell’inflazione è automatica la riduzione del
debito. Se l’operazione è accortamente pilotata, può condurre al tempo stesso
all’espansione dell’economia e all’azzeramento del debito.
La Banca
Centrale Europea ha scopi istituzionali assai diversi da quelli dello Stato.
L’emissione e il controllo della circolazione monetaria, quand’è in mano a
privati che si muovono a fini di lucro, non punta al benessere della popolazione,
alla tutela dell’economia, dei produttori, dei consumatori. L’immissione di
moneta non è fatta per fornire servizi e non avviene a pioggia, ma è riservata
ai soli istituti di credito. E l’obiettivo è unicamente quello di far loro superare
un momento critico, in modo che possano continuare ad esercitare con tranquillità
le consuete attività parausurarie, e non venga a mancare la loro collaborazione
al grande gioco virtuale allestito dalle centrali plutocratiche d’oltreoceano.
I soldi
creati e passati alle banche non provocano dunque inflazione e non vanno a
intaccare la sostanza dei debiti. Si tratta di un meccanismo ben registrato in
cui il denaro in uscita ritorna moltiplicato nelle mani di chi l’ha stampato.
Sarebbe del resto fuorviante che l’industria del credito, col suo «fuoco
amico», provocasse con l’inflazione una riduzione dei debiti. Non si è mai
visto un macellaio chiedere l’eliminazione dal mercato del bancone delle carni.
C’è da
aggiungere che, per il mantenimento del debito, la BCE ha altre frecce nel suo arco. Poiché gli Stati potrebbero
renderlo meno pesante anche attraverso lo sviluppo, la Banca Centrale si muove
per impedire la crescita del PIL: eccola bloccare la spesa, frenare gli
investimenti, tenere bassi gli stipendi, ridurre il welfare.
È quello che
i cittadini europei, senza averne alcuna colpa, sono oggi condannati a subire.
La grande
finanza sembrerebbe dunque, al momento, avere in mano tutti gli strumenti per
continuare a giocare, di bolla in bolla e senza limiti di tempo, sulla pelle
delle nazioni.
* * *
L’assurda
rinuncia degli Stati europei alla sovranità economica e monetaria non può
essere considerata come fenomeno circoscritto, privo di ripercussioni.
Essa
costituisce anzi la base di partenza dalla quale i poteri forti hanno potuto estendere
il loro dominio sull’intera categoria politica e, di riflesso, su ogni aspetto
della convivenza sociale.
In tale
quadro la democrazia è solo un lugubre lenzuolo calato dalla plutocrazia per
soffocare in tutto l’Occidente la libertà dei popoli e per insidiarla con spocchiosa
protervia in ogni angolo della Terra.
Il debordare
della grande finanza e del suo braccio secolare, l’apparato militare della
NATO, è infatti sfacciato e senza limiti. Il pretesto per l’intervento è sempre
disponibile: contro la vittima il lupo può invocare, di volta in volta, il terrorismo,
il pericolo delle armi di distruzione di massa, l’imperativo di portare la
democrazia anche ai meno fortunati, l’obbligo morale della protezione dei
civili.
L’uso della
menzogna è sistematico. Alle masse sono imposti, con larghezza di mezzi e
raffinata tecnica pubblicitaria, giudizi storici, indirizzi politici,
orientamenti culturali e artistici. Ecco perché – sessant’anni dopo – sono
ancora in circolazione, e spacciate per verità, le tesi propagandistiche della
coalizione demo-comunista vittoriosa sull’Europa nella guerra ’39-’45. Ecco il
telone dell’olocausto agevolare, da un lato l’invadenza intellettuale giudaica,
dall’altro nascondere il razzismo teocratico che, da un secolo, opprime la
Palestina. Ecco ad annacquare l’identità dei popoli, a criminalizzare l’idea
nazionalista, la martellante campagna a favore della globalizzazione,
dell’immigrazione, dell’integrazione, dell’accoglienza, dell’imbastardimento
razziale. Napolitano, il presidente guerrafondaio e golpista, ha definito recentemente
«folle» una legge dello Stato, quella sulla cittadinanza. Il «ministro per
l’integrazione» del nuovo governo Monti è già al lavoro per modificarla. È la
totale, programmata devastazione di ogni cemento etnico e sociale.
Le
aggressioni della NATO sono puntualmente supportate dalle agenzie di stampa e
dai media, i quali però non si occupano mai dei massacri di civili perpetrati
dagli invasori atlantici e minimizzano le torture, i sequestri di persona e le
detenzioni illegali che si consumano ogni giorno negli USA, nelle loro colonie,
nei paesi occupati o in quelli dove hanno basi militari.
In questo
panorama di disinformazione, è degno di specifica attenzione il fatto che siano
stati presentati come legati alla cosiddetta «primavera araba» gli eventi di
Libia. Il Paese, che nulla aveva in comune con quelli vicini, è stato in realtà
prima corrotto e destabilizzato dai servizi franco-britannici, poi piegato attraverso
bombardamenti terroristici che hanno distrutto ogni infrastruttura militare e
civile. A riprova di quanto l’aggressione sia stata improvvisa e proditoria, la
Libia, in tutta la guerra che l’ha vista martirizzata, non è mai stata in grado
di sparare, contro chi violava il suo territorio, neppure un missile.
Quanto ai
corrispondenti di guerra europei, si sono guadagnati il loro stipendio
propinando alla pubblica opinione tutta la spazzatura mediatica ammucchiata
dalla cupola atlantico-sionista. Uno sforzo professionale che, per quel che
riguarda la TV, non ha mai raccordato in modo coerente il testo con le immagini
dello schermo e che, neppure sulla carta stampata, è riuscito a coprire coi
racconti di atrocità mai avvenute, di fosse comuni, di stupri di massa, il
vergognoso intervento dei crociati occidentali. Chi, stando dalla parte dei
libici prezzolati dagli occidentali, si era lanciato nella descrizione di un
Gheddafi in fuga, con camion stipati di lingotti d’oro e casse di gioielli, è
stato sbugiardato dalla morte del Rais, armi in pugno, sulla sabbia del suo
Paese.
La guerra
mossa dalla NATO contro la Libia voleva colpire in realtà il governo e gli
interessi italiani. Da tempo il Presidente del Consiglio Berlusconi era finito
sulla lista nera dei suoi «alleati» anglo-franco-americani. Il suo attivismo
internazionale, in particolare gli stretti contatti personali con Putin e
Gheddafi, erano giudicati pericolosi; potevano condurre l’Italia verso nuovi
equilibri energetici e politici. Un’evasione che poteva contagiare l’Europa.
Questo è il motivo – e non le sue performance sessuali – per cui Berlusconi
«non godeva della fiducia dei mercati».
Per
liberarsi di questa anomalia sono stati mobilitati gli uomini legati in Italia
ai poteri forti: opposizione, magistratura, giornali delle banche. Tutti, va da
sé, sotto l’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica.
Col
fallimento della congiura di Fini e il contenimento dell’attacco giudiziario,
per mettere in riga Berlusconi e l’Eni non restava che colpire Gheddafi.
Le
intercettazioni di WikiLeaks confermano la solidità di questa nostra interpretazione.
«Il presidente – scrive da Roma a Washington l’ambasciatore USA Spogli – è
colpevole di assecondare i peggiori istinti di Putin e di minare i tentativi
dell’Unione europea e degli USA di creare una politica energetica comune».
«La continua
presenza di Eni – dice sempre Spogli, riferendosi alle trivellazioni iraniane e
africane della nostra azienda petrolifera – è un fattore d’attrito nelle
relazioni Italia-USA».
Contro gli
interessi italiani e a fianco delle centrali di potere mondialiste si è schierato
persino il Vaticano, costretto, ancora una volta, a pagare pegno per il suo
peccato originale, la sudditanza teologica al giudaismo, il «fratello
maggiore». Il vescovo di Tripoli, monsignor Martinelli, che aveva smentito le
allarmistiche notizie diffuse dal comando NATO e chiesto la fine dei
bombardamenti sulla città, è stato rimosso e richiamato in patria.
L’Europa è
dunque immobilizzata dalla costruzione finanziaria mondialista di cui essa
rappresenta solo un’appendice coloniale. La sua politica estera è nelle mani
della NATO che, dopo la caduta del comunismo, è passata – senza che le nazioni
dell’Alleanza venissero interpellate – a fronteggiare i nemici di Israele. Le
sue istituzioni politiche e le strutture economiche e produttive devono
conformarsi alla pressione di potenze e lobby straniere.
È per questa
ragione che, nella crisi attuale, nulla potrà essere riassestato con quegli
interventi marginali che, di volta in volta, vengono messi sotto i riflettori e
presentati da maggioranza, opposizione e governi tecnici, come determinanti.
Per essere più chiari, cambiare i ministri, modificare il sistema elettorale,
cancellare o meno le provincie, dare scadenze diverse all’età pensionabile,
intervenire sulle intercettazioni, privatizzare, non può risolvere alcunché.
Il
pessimismo non può certo essere mitigato quando vediamo i Paesi in crisi passare
direttamente e senza scosse nelle mani dei proconsoli del grande capitale.
Uomini questi tutti allevati nelle strutture finanziarie internazionali e già collaudati
nelle Banche d’affari mondiali e in quella Centrale Europea.
Questa resa
della politica, che avviene alle spalle di una popolazione spaventata e che non
è in grado di capire, ha il sapore della beffa perché è proprio dal mondo della
finanza, dai suoi uomini, dai suoi titoli tossici, che la crisi ha avuto
origine.
L’aver
affidato in Grecia ed in Italia ai banchieri le redini della cosa pubblica
dimostra l’incapacità dell’Europa democratica a reagire. Invece di essere obbligati
a mettere ordine a casa loro, nelle loro banche, gli uomini della catastrofe
sono stati chiamati a mettere le mani nelle nostre tasche. Dietro una democrazia
disposta a sacrificare il suo popolo è ormai evidente il potere dell’usura
internazionale, un potere finalizzato alla predazione e nel quale il rigetto di
ogni socialità non è casuale e momentaneo, ma fisiologico e irreversibile.
Ha dunque
ragione il grande Shakespeare. Per ribaltare una prognosi infausta, i rimedi
devono essere estremi, devono cioè condurre a esiti che non abbiamo il timore
di definire rivoluzionari.
Piero Sella
http://www.uomolibero.com/images/USURA.pdf
http://www.uomolibero.com/images/USURA.pdf
prova di ANNA
RispondiEliminaSono commerciale più la parte di quelli che si dicono prestatori sono tutti un .je sono alla ricerca di prestito quello fa 2 anni io sono stato realizzato scroccato dai generi. Io ho visitato un sito d'avviso di prestito tra privato serio ovunque nel mondo ed ho conosciuto signore arduo, del nome PATRICO VALDEZ che mi ha conceduto un prestito di 200.000€? che devo rimborsare su 20 anni con molto un debole interesse da parte sua cioè 2% su tutta la mia durata di prestito e là il giorno dopo mattina ho ricevuto il denaro senza protocollo. Necessità di credito personale, la vostra banca rifiuta di voi accordate di prestito, siete in CSI ed altro… vi consiglio di indirizzarvi a lui e stringete soddisfa ma attenzione a voi che non amare rimborsare i prestiti. Ecco il suo e-mail: patricovaldez6@gmail.com