La locuzione
“triangolo della morte” (o “triangolo rosso”), di origine giornalistica, indica
un'area del nord Italia
in cui alla fine della seconda guerra mondiale,
tra il 1945
ed il 1948,
si registrò un numero particolarmente elevato di uccisioni a sfondo politico,
attribuite a partigiani
ed a militanti di formazioni di matrice comunista.
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Il
territorio su cui ha imperversato
l’odio comunista, attraverso gli omicidi e le efferatezze compiute da schiere
di partigiani assassini e carichi di odio, è compreso tra le città di Bologna,
Reggio Emilia, e Ferrara.
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Anche nei territori del nostro comune
(Minerbio – BO) e di quelli vicini o adiacenti, la ferocia e l’odio che da
sempre contraddistinguono il vorace mostro sanguinario comunista, si sono
manifestati con palese evidenza in tutta la loro drammaticità.
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I rancori e le vendette personali, così
come, a volte il semplice delirio di onnipotenza dei partigiani comunisti,
hanno prodotto un abisso di orrore sui cittadini inermi dei nostri territori,
compiendo vere e proprie stragi a guerra già finita.
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Elenco solo alcune delle vittime che
sono riuscito a identificare dopo un paziente lavoro di ricerca, e prego
chiunque fosse in grado di fornire dettagli o di completarne la stesura di
contattarmi.
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Lo scopo non è quello di alimentare
l’odio verso coloro che si sono macchiati di tali nefandezze, ma quello di
restituire alla verità storica la giusta dimensione della realtà che i
comunisti hanno tentato di nascondere per decenni.
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Ho riscontrato infatti grande difficoltà
nel riassemblare i frammenti di verità precedentemente nascosti dall’opera
sistematica di disinformazione messa in atto dal PCI prima, e dai suoi eredi
metamorfizzati in seguito.
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Ad esempio, non è stata data alcuna
risonanza, infatti, riguardo al fatto che dal 24 aprile al 5 dicembre 1945 la
media dei preti assassinati dai comunisti nell’arcidiocesi di Bologna sia stata
di un martire al mese.
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Nonostante il processo di revisione
storica innescato dal crollo del comunismo mondiale, dopo la caduta del “Muro
di Berlino”, pochissimo è stato scritto su queste vittime, a cui non è stata
dedicata nemmeno una via o una piazza.
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Ecco quindi alcuni dei nominativi delle
vittime dimenticate, che in concomitanza dell’anniversario del 25 Aprile è
giusto e doveroso ricordare.
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Onoriamo citandoli, il loro estremo
sacrificio, insieme a tutti coloro che non sono qui elencati, abbracciandoli
idealmente.
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Isacco Mantovani di Pietro, nato a Baricella
26/08/1903.
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Fu trovata la salma in una fossa comune a Marrana
(FE) il 23/05/1945.
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Da un primo esame del corpo risultò evidente che era
stato torturato.
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Don Corrado Bortolini, nato a Minerbio il
27/08/1892, ex parroco di Santa Maria in Duno (Bentivoglio).
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Il I° marzo 1945 i partigiani irruppero nella
canonica, e dopo aver rubato orologi, scarpe, stoffe, portafogli, e un
prosciutto, sequestrarono lui ed il fratello Ettore.
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Secondo la testimonianza di Don Silvano Stanzani,
Don Corrado fu evirato da una donna partigiana, in pubblico, poi fu trascinato
con un camioncino per oltre un chilometro, e infine fu impiccato ad un albero.
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La salma non è mai stata ritrovata.
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Voglio citare l’eccidio di Argelato, compiuto dai
partigiani comunisti a guerra finita, tra l’8 e l’11 maggio 1945, in cui furono
torturate, seviziate e uccise 17 persone tra cui i 7 fratelli Govoni,
sequestrati a Pieve di Cento e la famiglia Costa di San Pietro in Casale.
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Più belve delle
belve,i partigiani della "2 Brigata Paolo" infierirono con una crudeltà
ed un sadismo veramente inconcepibili su ogni prigioniero, a colpi di roncole,
per poi strangolarli ad uno ad uno.
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Alcuni anni dopo, nel 1949, Caterina Govoni, la
mamma dei fratelli, allora 80 enne, si imbattè in un partigiano del luogo, tale
Filippo Lanzoni, che si era vantato di saperla lunga a proposito del massacro,
e gli chiese quindi, supplicandolo, di rivelarle dove fossero sepolti i suoi
figlioli.
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Il Lanzoni, "eroico partigiano", le rispose
testualmente :
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“Vuoi trovarli ? Ti procuri un cane da tartufi.”
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Non contento le aizzò contro due donne comuniste,
che si lanciarono su di lei e la picchiarono a sangue.
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Devo segnalare
inoltre quanto accaduto alcuni giorni fa a Pieve di Cento, in occasione del 67°
anniversario della morte proprio dei fratelli Govoni.
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La famiglia aveva
fatto affiggere dei manifesti commemorativi, ma la memoria di questi martiri è
stata infangata e vilipesa da qualche anonimo comunista, che ha imbrattato i
manifesti stessi, vergandoli con offese e lasciando come firma una stella a
cinque punte e la solita falce e martello.
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Ciò sta ad
indicare che l’odio comunista non si è ancora sopito ma anzi, dopo tanti anni,
riemerge con accanimento feroce.
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Il Sindaco del
paese minimizza il fatto e la sua enorme gravità, collocandolo tra gli
innumerevoli altri episodi di imbrattamento di muri avvenuti sul territorio.
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La colpevole
superficialità del Primo Cittadino la dice lunga sui reali sentimenti covati
dai seguaci della falce e martello …
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Vorrei anche
stigmatizzare la palese vigliaccheria degli autori del fatto, che non hanno
neanche avuto il coraggio di manifestarsi apertamente, nascondendosi dietro
l’anonimato e la loro stessa codardia tipicamente comunista.
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Il 5 febbraio 1951 in un fondo della tenuta Talon
località Quattro Portoni a S.Giacomo di Argelato viene scoperta una fossa
comune contenente i resti privi di indumenti, della famiglia Costa di S.Pietro
in Casale (Sisto, la moglie Adelaide Taddia, il figlio Vincenzo, e la cognata
Laura Emiliani.)
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Pare che gli uccisi dopo il 21 aprile 1945 nel bolognese
ammontino a 773 di cui 334 civili fra cui 42 donne.
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Dai martirologi stilati
successivamente dagli storici desumiamo il numero delle vittime scaturito dalla
violenza dei partigiani comunisti nelle nostre zone.
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Le cifre parlano di 112
vittime nella zona di Pieve di Cento (il paese dei Covoni), mentre solo a Pieve
i giustiziati furono 38.
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A San Matteo della Decima i
partigiani ammazzarono 17 persone, mentre a San Giorgio di Piano le vittime
furono 14.
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Il macabro rituale
interpretato dai partigiani ricalcava sempre il medesimo modus operandi : una
ferocia assassina con la quale i criminali comunisti si accanivano sui corpi
delle vittime, arrivando anche a seppellire vivi i malcapitati, oppure
sventrando le donne incinte, dopo averle stuprate e amputate sadicamente.
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La vigliaccheria comunista si è poi palesata anche a
causa dell’intervento di Togliatti, che grazie alla sua posizione di Ministro
della Giustizia, stabilì
l'amnistia per tutti i delitti commessi in azioni configurabili, anche dopo il
25 aprile, come militari.
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La tendenza della Magistratura, nel giudicare i
responsabili degli eccidi partigiani, andò quindi in questa direzione,
amnistiando i feroci assassini comunisti, lordi del sangue di centinaia di
vittime innocenti.
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Le belve comuniste assetate di odio (i partigiani),
torturarono, seviziarono, stuprarono, rubarono, e uccisero, con la complicità
quindi di colui per il quale avrebbero poi coniato il termine di : “Il
Migliore”.
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Ancora una volta emerge dai risvolti di una delle
pagine di Storia più tristi dell’Italia il coinvolgimento e la responsabilità
del criminale Togliatti, artefice di nefandezze storicamente comprovate, e
idolo ancora oggi dei nostalgici comunisti e dei loro seguaci metanorfizzati.
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Il subdolo tentativo di mistificare la realtà,
occultandola, tacendola, e dando spazio a giustificazioni parossistiche di una violenza fuori
controllo, ha trovato terreno fertile nell’accondiscendenza che per troppi anni
ha imperato nel substrato intellettuale creato ed alimentato ad arte dai
comunisti italiani.
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In questa ottica, la ricorrenza del 25 aprile,
assume un significato ben diverso da quello propostoci dagli eredi di
Togliatti, enfatizzato e stigmatizzato dalla riproposizione ciclica e nauseante
delle note di "Bella Ciao".
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Il significato auspicabile non è dissimile da quello
che dovrebbe assumere la ricorrenza, nell’ipotesi di assunzione di
responsabilità e di colpa che i comunisti dovrebbero fare propria in tale
contesto.
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Occorre che
ci sia, da parte degli eredi del “Migliore”, una presa di coscienza del sangue
innocente versato, un ripudio dell’odio dimostrato dai comunisti verso le
vittime innocenti, e il distacco da uno stereotipo che caratterizza la simbiosi
tra il sangue e la bandiera rossa.
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Il comunismo, mostro vorace che si è nutrito del
sangue anche dei suoi stessi figli, come ci insegna la Storia, deve una volta
per tutte chiedere scusa, e riconoscere la nefandezza e la perniciosità del suo
operato.
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Ma ciò metterebbe in discussione l’essenza stessa
della dottrina di Marx, a cui loro guardano trasognati…
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Pubblicato da:Dissenso
TRATTO DA:
http://www.italian-samizdat.com/2012/05/vittime-dellodio-comunista-nel.html
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