L’intelligence usò la droga per condurre test su detenuti, spie e psicopatici con l’obiettivo di alterare la personalità. Senza volerlo contribuì alla rivolta generazionale degli anni 60
NEW YORK
La Seconda guerra mondiale è finita da pochi anni. L’Europa, ancora
distrutta, è spaccata in due. L’Unione Sovietica, ormai potenza
nucleare, fa paura. L’America continua a vivere nel terrore anche quando
doma il maccartismo e mette fine alla «caccia alle streghe». È l’alba
della Guerra fredda e la Cia, convinta che gli scienziati russi stiano
cercando di trasformare l’essere umano in un’arma controllando la sua
mente e attribuendogli una nuova personalità, decide di giocare
d’anticipo affidando a un brillante chimico, Sidney Gottlieb, un
progetto che ha gli stessi obiettivi: scoprire se è possibile sopprimere
il carattere di un individuo sostituendolo con un altro creato
artificialmente.
Gottlieb, un uomo inquieto, scosso da pulsioni etiche
che lo spingono a rifiutare la religione ebraica, quella della sua
famiglia, per battere altre strade, dall’agnosticismo al buddismo zen,
accetta di guidare un programma segreto che lo porterà a usare molti
uomini come cavie (alcuni moriranno, altri impazziranno) convinto che,
per quanto alto, questo sia un prezzo che vale la pena pagare per
difendere la libertà dell’America e dell’Occidente. Ottenuta carta
bianca e molti soldi, privo di controlli, Gottlieb investe 240 mila
dollari nell’acquisto di tutte le scorte di una nuova droga, l’Lsd, che
trova in giro per il mondo. Può essere la materia prima per trasformare
la personalità: il chimico decide di sottrarla ai russi (e alla Cina di
Mao, ancora isolata ma già temuta).
Inizia, invece, a sperimentare lui l’Lsd:
prima in centri di detenzione sotto controllo americano in Germania,
Giappone e nelle Filippine. Serve a tenere i test lontani da occhi Usa
indiscreti, ma anche a ottenere l’aiuto di medici e chimici nazisti: la
Cia usa i dati degli esperimenti fatti nei campi di concentramento
tedeschi e giapponesi. Anche i metodi ricordano quelli degli abissi del
dottor Mengele, l’«angelo della morte»: detenuti non protetti (spie
nemiche, assassini psicopatici) torturati e drogati per misurare fino a
che punto può arrivare la resistenza della mente umana.
Poi Gottlieb trasferisce, in modo meno cruento,
i suoi esperimenti negli Stati Uniti: distribuisce l’Lsd a penitenziari
e ospedali psichiatrici per esperimenti di varia intensità. Questa
storia agghiacciante della quale rimangono poche tracce (gli archivi del
programma, chiamato MK-Ultra, furono distrutti quando Gottlieb lasciò
la Cia) non è inedita: alla fine degli anni Settanta il caso venne fuori
durante le indagini del Congresso sulle attività clandestine
dell’intelligence Usa. Ormai sepolto da decenni, riemerge ora nella
ricostruzione di un giornalista, Stephen Kinzer, che, dopo anni di
ricerche, ha appena pubblicato Poisoner in Chief (avvelenatore capo), un libro nel quale ricostruisce questa pagina tragica della storia americana.
Tragica e paradossale: il programma che
la Cia aveva ideato per cercare di mettere sotto controllo l’umanità
finì, invece, per alimentare involontariamente la ribellione
generazionale della controcultura californiana degli anni Sessanta e
Settanta: gli hippy e i tanti giovani che cercavano la libertà nella
droga. L’Lsd di Ken Kesey, l’autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo,
veniva da un esperimento sponsorizzato dalla Cia. E anche la droga di
Robert Hunter dei Grateful Dead o quella di Allen Ginsberg, il poeta
della beat generation e dell’Lsd, arrivò, indirettamente, dai massicci
acquisti dell’intelligence.
Ormai consapevole di poter distruggere una mente, ma
di non poterne creare un’altra, Gottlieb, che per i servizi segreti
produsse anche veleni — regali tossici per Fidel Castro, un fazzoletto
avvelenato per uccidere un colonnello iracheno, una freccia avvelenata
per eliminare un leader congolese, tutti attentati falliti — si ritirò
nel 1972 quando andarono via i capi della Cia che lo avevano coperto.
Passò i suoi ultimi anni creando comuni dedite alle danze folk e alla
pastorizia e facendo il filantropo: gestore di un lebbrosario in India e
poi a fianco dei malati terminali in un hospice.
TRATTO DA:
https://www.corriere.it/esteri/19_settembre_11/04-esteri-documentoicorriere-web-sezioni-e22027d4-d4d2-11e9-8dcf-5bb1c565a76e.shtml?fbclid=IwAR0UmvNvC-3J9ZK1JmOPyPJsDrIc908rYRu8QCacyJYXSwuNa3NQ4CGMo_E
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https://www.corriere.it/esteri/19_settembre_11/04-esteri-documentoicorriere-web-sezioni-e22027d4-d4d2-11e9-8dcf-5bb1c565a76e.shtml?fbclid=IwAR0UmvNvC-3J9ZK1JmOPyPJsDrIc908rYRu8QCacyJYXSwuNa3NQ4CGMo_E
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